Vai al contenuto

claudio scajola

Qui, nel Paese che invita Scajola alla festa della Polizia

scajola

Se n’è accorto Gianfrancesco Turano ed è uno scempio alla dignità delle stesse forze di Polizia che sfilavano: Scajola sul palchetto d’onore è la bomboniera di un Paese che non riesce a smafiarsi, nemmeno negli inviti del protocollo. Pensa te. Ecco l’articolo:

«Se il fotografo non fosse autorizzato e lo scatto non fosse pubblicato sul sito della Polizia di Stato, si vorrebbe credere a un montaggio. Invece è tutto vero.

Giovedì 26 maggio, durante la festa per il 164° anniversario dalla fondazione della Polizia, alla presenza delle massime cariche dello Stato, il palco autorità allestito all’Istituto Superiore di Polizia di Roma ospitava una serie di ministri dell’Interno emeriti. Fra questi, Nicola Mancino, Enzo Scotti e Claudio Scajola, ritratti da sinistra a destra in prima fila dall’obiettivo del fotografo.

Come qualcuno del protocollo avrebbe forse dovuto ricordare, Scajola è sotto processo a Reggio Calabria con l’accusa di avere favorito la latitanza dell’ex compagno di Forza Italia, Amedeo Matacena junior, erede di una dinastia di armatori fondata dal padre.

Matacena junior è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tuttora latitante a Dubai da dove il governo ha più volte promesso di stanarlo senza troppi risultati visto che l’ex deputato forzista è in fuga da due anni e sette mesi.

L’inchiesta reggina, peraltro, è stata condotta dal pm Giuseppe Lombardo con l’appoggio della Direzione investigativa antimafia il cui massimo dirigente, il generale Nunzio Antonio Ferla, è seduto in seconda fila dietro il terzetto di ministri a due metri dal politico che i suoi uomini hanno arrestato l’8 maggio 2014. (fonte

Quello strano suicidio nel processo Matacena-Scajola

 

arrestoscajola

Omar Pace era colonnello della Guardia di finanza distaccato presso la DIA. La mattina dell’11 aprile è stato ritrovato suicida nel suo ufficio, si è sparato un colpo di pistola in testa con la sua arma d’ordinanza. Il giorno successivo, il 12 aprile, il colonnello Pace avrebbe dovuto testimoniare al processo Matacena-Scajola a Reggio Calabria fornendo dettagli importanti sull’ex Ministro dell’Interno e sui documenti ritrovati durante la perquisizione. Ma è morto. Vedi il caso, a volte, eh?

Dicono che fosse depresso, Omar Pace: problemi famigliari, lutti ma soprattutto un declassamento professionale. Strana la meritocrazia, in Italia, eh? Ora è stata aperta un’indagine e forse varrebbe la pena seguirla con attenzione. Credo.

Eleggibili se ricattabili

Vale la pena spendere quattro minuti per ascoltare la telefonata di Claudio Scajola alla moglie. Una telefonata strana nella motivazioni ma paradigmatica nei contenuti.

Primo: Scajola sapeva sicuramente di essere intercettato e quindi è molto probabile che quella telefonata sia rivolta più a qualcun altro piuttosto che alla moglie che incontrerà dopo qualche ora. Lei stessa cerca di parlare il meno possibile mentre l’ex Ministro si avventura in nomi e cognomi dando anche la propria disponibilità (e sarebbe bello sapere chi aveva in mente) per un’eventuale collaborazione.

Secondo: le carriere politiche (ancora oggi e forse oggi ancora di più) sono nutrite dalla potenza ricattatoria. Si diventa classe dirigente se si deve un piacere a qualcuno più in alto: così la meritocrazia si misura nell’obbligo alla servitù.

Cosa c’entra Scajola con i programmi di protezione

Oltre all’immoralità nell’utilizzo del servizio di scorta l’arresto di Scajola spiega perché l’Italia su certi temi non è un paese sicuro. Ne ho scritto qui, per il sito de L’Espresso.

Penso, oggi, a chi si ritrova in pericolo per avere denunciato il malaffare e legge l’arresto di un ex responsabile della propria incolumità. Non lo so, mi viene da pensare questa cosa qui, oggi, prima di tutte le valutazioni politiche. Questa ferita qui che sta più profonda di tutti gli editoriali di stamattina.

 

La società incivile

Già, la legge è uguale per tutti. Il procuratore l’ha ripetuto più volte durante la conferenza stampa che si è tenuta stamattina al centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. «Se in un’inchiesta emergono gli invisibili, questi avranno lo stesso trattamento di tutti gli altri». Così è finito nella rete l’ex ministro Claudio Scajola. «Fa impressione il fatto che una persona, in passato con ruoli di vertici nello Stato, si occupi di un condannato per reati di mafia. Queste condotte hanno delle ripercussioni sulla cittadinanza, che non sa più di chi fidarsi. Il cittadino nel momento in cui esprime il proprio voto cerca rappresentanti che curino l’interesse generale. Invece capita di scontrarsi con una realtà ben diversa: i principi etici non sono rispettati da tutti. Il che ha delle conseguenza sulla credibilità dello Stato. Il nostro compito è dare segnali di certezza. Evitare, cioè, la confusione tra bene e male, tra legale e illegale. Una commistione che in questa città è molto forte. Abbiamo un dovere di responsabilità soprattutto nei confronti di quanti per lo Stato hanno dato la vita. Il rispetto delle leggi deve affiancarsi al valore dei comportamenti etici».

Il procuratore De Raho è approdato a Reggio Calabria dopo tantissimi anni nella trincea napoletana a combattere il Clan dei Casalesi. Mentre i boss di Gomorra stanno pagando a caro presso i loro crimini. Non è lo stesso in Calabria. «Qui nulla è cambiato. Le cose sono rimaste le stesse nonostante i processi e le condanne. Le cosche che dominavano un tempo sono sovrane ancora oggi. Il motivo è da ricercare in quella rete segreta che ha permesso alla ‘ndrangheta di crescere e di indossare gli abiti dei professionisti». Insomma, le complicità della «società incivile» – così il procuratore ha definito gli insospettabili al servizio dei clan – sono la vera forza della mafia calabrese.

Giovanni Tizian per L’Espresso.

Addolorato

Non so se essere più schifato dalle motivazioni che hanno portato Scajola in carcere (non sorprendenti) o dalle parole di quell’anziano signore che dichiara di essere “addolorato” e di non avere avuto “sentore” di questa indagine.