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Sara Cunial fa propaganda No Vax alla Camera per attaccare Conte. E la Lega la applaude

“Oggi siete qui, con la vostra faccia da vaccino, rei di aver fatto fallire il nostro Paese, aver imbavagliato l’onestà intellettuale, schiavizzato un popolo, riducendo l’Italia a campo di sperimentazione delle vostre terapie geniche”. Ha iniziato così ieri il suo intervento alla Camera dei Deputati Sara Cunial, fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle (che non ringrazieremo mai abbastanza per avere infarcito il Parlamento di elementi del genere) e che oggi guida la truppa dei vari negazionisti (No mask, No vax, No 5G e tutto quello che vi può venire in mente) per ritagliarsi un po’ di popolarità.

E la discussione è interessante perché questi sono gli stessi che poi parlano di censura, badate bene, mentre abbaiano liberi in Parlamento. Ha detto Cunial: “Per distogliere l’attenzione sui brogli elettorali internazionali pilotati dal centro di comando della partecipata di Profumo, continuate a comprarvi tutti, riesumando spettri politici coerenti con la scelta di far gestire l’emergenza dal nipote putativo di Gelli”. Qui siamo a livelli di complotti e di poteri forti che potrebbero fare impallidire perfino gli attivisti di QAnon.

Ricordate lo sdegno per Trump che invitava alla guerra? Ecco qua Sara Cunial ieri: “A voi che osate mettere un cittadino contro l’altro, devoti al culto turbo capitalista del debito a tutti i costi, per condannare le nuove generazioni, dico: né Cadorna né Diaz, perché l’Italia ripudia la guerra, anche quella a base di virus e l’Italia non solo ripudia la guerra, ma condanna duramente voi che ne siete i mandanti”.

In questo momento in cui si dibatte molto sulla responsabilità (anche penale) di chi fomenta l’odio attraverso le fake news, sarebbe curioso sapere chi risponde delle parole pronunciate ieri dalla deputata Cunial.

C’è anche un altro aspetto interessante: quando si discute della qualità della classe politica, arrivando addirittura a corteggiare Mastella, ci si dimentica che le discussioni parlamentari sono ogni volta un abisso che ci tocca percorrere. Il resoconto stenografico della Camera, al termine dell’intervento di Cunial, riporta un altro aspetto significativo: “(Applausi di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)”, si legge.

Perché in fondo Salvini e compagnia cantante e Sara Cunial accarezzano gli stessi elettori, gli stessi pezzi di popolo, solo che l’ex grillina ha almeno l’impudenza di non fingersi statista. Delira felice dei suoi deliri. I leghisti, invece, giocano di sponda. Ma la matrice dell’irresponsabilità, sotto sotto, è la stessa.

Leggi anche: 1. La sindaca della Lega arrestata perché negava aiuti alimentari ad anziani soli e stranieri / 2. Dino Giarrusso (M5S) a TPI: “Avanti con Conte senza Renzi, ora trattiamo per un governo con altri partiti. Ma no impresentabili” / 3. Di Battista a TPI: “De-Renzizzare il governo val bene una messa. Ora il M5S è coeso, ripartiamo con Conte”

L’articolo proviene da TPI.it qui

È che ci vorrebbero felici di essere schiavi

Il “rider felice”: un articolo de La Stampa – che si è basato su una notizia falsa – rivela una narrazione che colpevolizza i disoccupati alimentando pregiudizi

Ieri ha fatto molto discutere un articolo pubblicato da La Stampa, a firma di Antonella Boralevi, che racconta di tale Emiliano Zappalà, un rider felicissimo di essere rider, secondo Boralevi, che pedala per 100 km al giorno e guadagna come un manager dopo avere dovuto chiudere il suo studio da commercialista a causa dell’epidemia. Il sottotesto dell’articolo (in cui si attacca anche il reddito di cittadinanza) è in sostanza questo: se siete poveri è colpa vostra che non avete voglia di fare un cazzo perché il mondo del lavoro è pieno di grandi opportunità. Insomma, il solito articolo da libberisti (con due b) che vedono in giro un mondo perfetto e che tacciano coloro che rivendicano diritti come fastidiosi lagnosi.

“Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni. Aveva aperto uno studio di commercialista, il Covid gliel’ha fatto chiudere. E lui, invece di chiedere il reddito di cittadinanza, si è messo a lavorare. Dove? In uno dei settori che il Covid ha reso vincenti: la consegna a domicilio. Business raddoppiato in 10 mesi, come il numero degli addetti”, si legge nel pezzo di Boralevi. E già l’incipit è roba da orticaria. E poi: “Come racconta in un’intervista al Messaggero, da quasi un anno il Dottor Zappalà è un rider di Deliveroo. Cioè fa circa 100 chilometri al giorno in bicicletta, con un borsone giallo sulle spalle e consegna pizze e pranzi e spesa. Guadagna 2000 euro netti al mese e, certi mesi, anche 4000. Uno stipendio da manager. Ed è felice”. Felice, capito?

Il pezzo ovviamente è diventato subito combustibile per infiammare gli stomaci contro gli sfaticati che si lamentano e che non producono. Tutto perfettamente in linea con una certa narrazione che vorrebbe risolvere il problema della povertà e dei diritti del lavoro semplicemente negando. Se è felice Emiliano Zappalà dovremmo essere felici tutti. Ovvio. Ah, il grande sogno americano.

Peccato però che Emiliano Zappalà non esista e che quell’articolo sia completamente falso. E c’è da scommettere che tutti quelli che l’hanno rilanciato siano gli stessi che inorridiscono per le fake news in internet, ci metto la firma.

Emiliano Zappalà si chiama Emanuele (vabbè, ha solo sbagliato il nome, una giornalista, a proposito di meritocrazia e di cura nel proprio lavoro), ha studiato da commercialista ma non lo è mai diventato e quindi non ha mai aperto uno studio che quindi non è mai stato costretto a chiudere per la pandemia. Anzi i chilometri che percorre li macina su un motorino. Quindi si perde anche il culto dell’attività fisica, che peccato. Raggiunto da un giornalista de La fionda racconta di avere avuto mesi positivi, di lavorare molte ore al giorno e di guadagnare in media 1.600 euro al mese. Niente stipendio da manager, insomma. Anzi a voler indagare per bene si vede che proprio un Emiliano Zappalà risulta tra i firmatari del contratto siglato da Assodelivery e Ugl, un contratto che introdusse un “cottimo mascherato” e per questo è stato sconfessato e ritenuto illegittimo dallo stesso ministero del Lavoro. Tra l’altro, denunciano molti rider, “la sottoscrizione del contratto è stata utilizzata dalle aziende per ricattare più o meno velatamente i lavoratori: chi non firma, viene estromesso dalle piattaforme”. Insomma Zappalà è molto aziendalista, senza dubbio. E infatti dal suo profilo Linkedin rilancia con molto entusiasmo le comunicazioni aziendali di Deliveroo.

Quindi per l’ennesima volta la favola che avrebbe dovuto colpevolizzare i disoccupati si rivela semplice fuffa buona solo ad alimentare pregiudizi. Un bell’editoriale che si basa tutto su una notizia falsa e su una pregiudiziale narrazione a favore dello schiavismo felice. Perché loro ci vorrebbero così: mica solo schiavi, addirittura anche felici.

A proposito: “è un fatto o no?” chiedeva Antonella Boralevi in chiusura del suo saccente articolo. No, signora Boralevi. No.

Buon martedì.

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L’autogol di Mancini, che pubblica una vignetta negazionista sul Covid

Un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo, dalla fantasia. L’allenatore della nazionale di calcio Roberto Mancini invece lo vedi dalle vignette che condivide su Instagram come se fosse un adolescente qualsiasi, mettendoci una bella vignetta in cui un’infermiera (ovviamente nera, tanto per riuscire a beccare tutti gli stereotipi peggiori) chiede a un paziente su un letto di ospedale “hai idea come ti sei ammalato?”, e quello risponde “guardando i TG”.

roberto mancini vignettaroberto mancini vignetta

Perché si sa che i negazionisti, quelli che avranno esultato per la vignetta di Mancini come a una finale dei Campionati del Mondo, da mesi insistono nel dire che il virus non esista e che sia solo un’invenzione della stampa. Cosa c’è di meglio dell’allenatore della nazionale italiana per deresponsabilizzare un po’ di persone, per spargere un po’ di letame sull’informazione scientifica e per buttare all’aria tutta la cautela che viene raccomandata in questi giorni?

Chissà se Roberto Mancini ha voglia di andare a scherzare dai suoi tifosi che hanno perso parenti o amici in questi mesi, chissà se Mancini non ha voglia di entrare nella televisione degli italiani (come gli capita spesso con la sua squadra in prima serata) per spiegare a quel mezzo milione di italiani che hanno avuto il Covid che usa i social con la stessa irresponsabilità di un dilettante, lui che dovrebbe essere il re dei professionisti italiani. E chissà che non sia lo stesso Mancini che più di una volta, come accadde con Sarri qualche anno fa, tenne pomposi concioni sul calcio come veicolo di responsabilità e cultura, lui che ci ripeteva tutto serio serio che il calcio non può sopportare inciviltà e ignoranza.

E chissà che ne pensa la FIGC, quella che si spreme tanto per veicolare messaggi negli stadi e che si ritrova un domatore di fake news come allenatore della sua nazionale maggiore. Caro Mancio, se la creatività è direttamente proporzionale al ruolo che si riveste e alla visibilità pubblica oggi sei riuscito nella mirabile impresa di risultare il campione degli uomini poco saggi. Ora vedrete che ci dirà che gli hanno hackerato il profilo, che è stato un suo amico, che gli hanno rubato il telefono. Di sicuro è un autogol clamoroso. E questa volta ha completamente sbagliato la tattica. Complimenti mister, per come tiene alta la bandiera.

Leggi anche: 1. Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid” / 2. Spiegateci perché gli esperti che minimizzavano il virus ora imperversano in tv / 3. Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

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Buona guarigione, Briatore

L’imprenditore piemontese ha insistito nel negare la pericolosità del virus. Forse, una volta guarito dal Covid, dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo: dipendenti e ospiti del suo locale che si è rivelato un pericoloso focolaio

Giusto qualche giorno fa proprio su queste pagine mi è capitato di contestare Flavio Briatore per le sue idee e per la superficialità con cui ha affrontato il tema dei rischi Covid e la superficialità con cui ha invocato il liberi tutti in nome del fatturato del suo locale che proprio in questi giorni si è rivelato un pericoloso focolaio con ben 63 positivi su 90 tamponi fatti.

Flavio Briatore è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano (tra l’altro in un reparto che non è attrezzato per il Covid e dove, pagando, ha deciso di stare) perché anche lui è positivo e intorno, ovviamente, si sono avventati un po’ tutti, anche chi con un certo sprezzo del senso di umanità sta augurando all’imprenditore la peggior sorte in nome di una giustizia vendicativa che dovrebbe servirgli da lezione. Beh, qui si augura a Briatore di guarire presto (del resto le notizie dicono che le sue condizioni siano stabili e buone, niente di preoccupante al momento, così dice il comunicato ufficiale del suo staff) però alcune considerazioni meritano di essere fatte.

Come scrive giustamente Massimo Mantellini: «Immaginare di sterilizzare la discussione che lo stesso Briatore ha scatenato, ora che è malato della stessa malattia che negava, e questo in nome dell’umana pietà che dobbiamo riservare a tutti, è semplicemente ridicolo». Briatore, come molti altri, ha insistito nel negare il pericolo e negare la pericolosità del virus (e con lui lo stesso primario Zangrillo che ora se lo ritrova in reparto) e forse, una volta guarito, in quanto personaggio pubblico (e usato spesso dalla politica come profeta, sui social della Lega sono state rilanciate di gran voga le sue dichiarazioni) dovrà spiegare questa sua superficialità, ci dovrà spiegare come sia successo che la sua discoteca abbia numeri di contagio che sono ben superiori a quelle delle altre discoteche e dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo, a tanti dei suoi dipendenti e dei suoi ospiti. Perché, come dice spesso lo stesso Briatore, «le parole stanno a zero e contano i fatti». E infiammare gli animi finisce sempre per rivoltarsi contro, sempre.

Per quanto riguarda i complottisti invece non c’è speranza: comincia già a girare la fake news che Briatore sia stato “infettato dal sistema”. Pensate un po’.

Buona guarigione.

Buon mercoledì.

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Tutte le balle sull’immigrazione, smontate una a una

Bugie. Decine di bugie ripetute milioni di volte. Mandate a memoria e sparate a palle incatenate per concimare la paura e consequenzialmente aumentare il bacino di voti. La propaganda su cui si poggia il governo gialloblu sul tema dell’immigrazione ha fondamenta di fango ma la tossicità del dibattito è una coltre che sembra difficile spazzare.

L’invasione, innanzitutto. L’invasione non c’è mai stata ma questo 2018, nonostante gli strepiti e il terrorismo continuo, registra una diminuzione del flusso verso l’Italia dell’80%. Sembra incredibile, vero? Basterebbe questo per rendersi conto dell’ipocrisia della discussione: i pericolosi migranti sbarcato in Italia quest’anno sono meno di 17mila, il pubblico di una bruttina partita di serie B, e su quel piccolo stadio di provincia is sta giocando tutta la politica nazionale e internazionale. A ben vedere un dato interessante c’è: tra gennaio e il 25 giugno sono arrivati 2593 minori non accompagnati, semplificando si tratta di bambini e ragazzini senza genitori. In tutta questa retorica di annunci politici fatti da padre però non si è sentita una parola. Peccato.

In netta ascesa invece sono i numeri dei morti. Quelli di cui tutti fingono di non accorgersene o che quando fanno troppo male vengono buttati nel cassonetto del complottismo, delle fake news, diventano bambolotti e così ci si può considerare assolti. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione, dal primo gennaio 2018 al 27 giugno scorso 972 uomini, donne e bambini hanno perso la vita mentre tentavano di raggiungere l’Europa via mare. Poi ci sono quelli di questi giorni: 204 morti solo nell’ultima settimana (dal 25 giugno al 1 luglio) tra cui i tre bambini. Poi ci sono i 100 dispersi dichiarati dalla Guardia Costiera Libica. Tutti i numeri ovviamente sono per difetto: annegare nel mare ha il vantaggio di seppellire i corpi anche alla vista della comunità internazionale, ancora meglio i morti nei lager libici che rimangono solo nella memoria dei criminali che li hanno violentati, depredati, umiliati, torturati e poi uccisi. «Vi è un aumento allarmante delle morti in mare al largo della costa libica», ha detto il capo della missione della Iom Libia Othman Belbeisi, aggiungendo: «I trafficanti sfruttano la disperazione dei migranti per andarsene prima che ci siano ulteriori repressioni sulle rotte del Mediterraneo da parte dell’Europa». Ha un bel dire il ministro Toninelli nel ripetere che le politiche italiane (e europee) hanno «a cuore le vite umane»: se anche fosse così sono fallimentari, comunque.

Le ONG taxi del mare. La frase (riuscitissima, chissà Salvini che invidia) di Di Maio quando ancora era un semplice presidente della Camera ha innescato la creduloneria popolare secondo la quale senza ONG non sarebbe arrivato nessuno. La calunnia però è un venticello e quindi mentre tutti hanno inneggiato come eroe il pm Zuccaro quando ha deciso di aprire un’indagine sulle ONG (tra l’altro confessando fin da subito di non avere prove, ma fa niente) in molti si sono dimenticati di leggere (o di recepire) che quell’inchiesta è stata archiviata, conclusa con un niente di fatto. Il nulla. Nisba. E dimenticano, i ministri Di Maio e Salvini, di dire che tra il 2014 e il 2017 le navi delle ONG impegnate nel Mediterraneo centrale hanno soccorso 114.910 persone su un totale di 611.414, parliamo del 18,79% del totale. Incredibile, eh? Guardia Costiera (GC), Marina Militare (MM) e Guardia di Finanza (GdF) italiano hanno tratto in salvo 309.490 persone, pari al 50,62% del totale. Che ne dite?

(continua su Linkiesta qui)

«Questo chi lo dice? E perché?»

«Adottare il metodo storico-critico significa in primo luogo comprendere che non esistono portatori di verità assolute e imparziali, ma solo individui che hanno alle spalle un proprio vissuto e che quindi sono portatori di ideali e interessi sempre e comunque “di parte”. Significa, poi, porsi continuamente delle domande, in un processo che fornirà di volta in volta delle risposte parziali che, se ben adoperate, produrranno nuovi quesiti. Conseguentemente, l’obiettivo di questa guida è principalmente quello di spronare chi legge a non accontentarsi di risposte già pronte e confezionate, ma di acquisire un metodo critico di lettura e narrazione dei fatti storici; un metodo, inoltre, che sarà utile nel gestire il flusso continuo di notizie e informazioni tipico delle società ad alta complessità, come quella in cui viviamo.
Uno strumento di autoformazione, dunque, per chi utilizzerà questa piccola guida con l’obiettivo di accrescere e valorizzare i propri strumenti d’interpretazione della realtà, ma che crediamo potrà rivelarsi utile anche a chi, a diverso titolo e in ambiti vari, svolge attività di formazione e attività didattiche in ambito educativo.
L’imparzialità non esiste, ma l’onestà intellettuale e la correttezza metodologica sì.
Saperle riconoscere è il primo passo per non soggiacere ai dogmi e ai miti delle narrazioni tossiche.»

Il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki ha scritto un agile manuale che è prezioso per questi tempi. Si legge facilmente (e in fretta) e torna utilissimo per leggere questi tempi senza farsi troppo intossicare.

Come si legge nel post su Giap:

Il lavoro che i tempi richiedono è di resistenza culturale, ma anche   soprattutto  di sgombero delle macerie e ricostruzione di un mondo bombardato, di una città che non c’è più.

È un’opera di lungo termine, che andrà proseguita per generazioni e tanto meglio riuscirà quanto più sarà fatta per disperazione — ovvero, come si legge nel Dizionario Treccani, «non trovando altra soluzione, costretti da dura necessità». In parole povere: non abbiamo scelta.

Giusto ieri, cercando di sgombrare il campo da alcuni equivoci, citavamo su Twitter uno scritto giovanile del Moro di Treviri:

«L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla nostra condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni.»

È un lavoro sulla longue durée, ma per farlo abbiamo bisogno qui e ora di nuove reti, persone motivate e combattive, strumenti efficaci. Perché quegli altri non aspettano. Le loro ruspe sono pronte: sulle rovine della nostra città abbattuta vogliono costruire la lorocittà, un’immemore città-mercato piena di sbirri. Sono pronti a sbancare i cimiteri, a coprire ogni vestigia, a riscrivere la storia cancellando ogni ricordo a loro scomodo. Continua ad avverarsi la profezia di Walter Benjamin:

«Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere».

Che nessuna civitas possa vivere senza la difesa dei morti lo sa benissimo il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki, che da più di cinque anni studia, smonta e contrasta le riscritture capziose e le vere e proprie falsificazioni storiche intese a diffamare l’antifascismo, la Resistenza, le rivolte anticoloniali, i grandi movimenti di liberazione dal razzismo e dallo sfruttamento.

«La tradizione degli oppressi ci insegna che lo “stato d’eccezione” in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo».

Il manuale lo trovate qui. Il post di presentazione è qui.

A proposito di Minniti “ministro della verità”

Che il dibattito sulle fake news avesse trovato un terribile approdo era nell’aria. E oggi Minniti ha dato il peggio di sé. Vale la pena leggersi Giampaolo Coriani che da uomo di legge entra bene nel dettaglio sui quaderni di Possibile:

Il riferimento a Orwell e al suo capolavoro 1984 può sembrare scontato e banale ma sta succedendo davvero. Il ministro Minniti ha davvero presentato un protocollo attraverso il quale la Polizia Postale, che fa capo al suo Ministero, che fa capo al Governo, deciderà cosa sia vero e cosa sia falso.

Il Ministero della Verità, o Miniver, diventa reale e si identifica con il Ministero dell’Interno, e gli agenti della Polizia Postale, come tanti Winston e Julia, su segnalazione dei solerti cittadini, avranno davvero il compito di “qualificare con la massima certezza consentita” una notizia “come fake news”.

La “massima certezza”, certificata da un team di “esperti”, deriverà da elementi come “presenza di smentite ufficiali, falsità del contenuto già comprovata da fonti obiettive; provenienza della presunta fake da fonti non accreditate o certificate”, tutti assolutamente soggettivi e discrezionali.

La certificazione avrà ad oggetto non la sussistenza di un reato, come l’ingiuria o la diffamazione, cioè banalmente gli insulti in rete, che pure dovrebbero essere accertati in altre sedi ma che potrebbero astrattamente essere oggetto di provvedimenti sui social quando sono palesi, ma il vero o il falso.

Lo scopo è quello, “accertata” la fake news, “di viralizzare la contronarrazione istituzionale, affinché il cittadino possa giovarsi di una più completa descrizione del fatto o del fenomeno, e riappropriarsi, in tal modo, di quella libertà di scelta negatagli da un’informazione tendenziosamente falsa o parziale”, con la pubblicazione della smentita sui canali ufficiali.

Ma non è finita.

“Ove necessario, infine, la Polizia Postale, forte della professionalità acquisita nel corso degli anni, potrà fornire eventuale ausilio al cittadino destinatario della fake news, guidandolo nell’interlocuzione con le maggiori piattaforme social ed indirizzandolo nella proposizione di richieste di rimozione dei contenuti ritenuti lesivi, richieste le quali, in ogni caso, dovranno essere successivamente valutate dal singolo social network”.   

Quindi sarà lo Stato a guidare le richieste di rimozione di contenuti ai singoli social network, i quali rimarranno per carità autonomi, ma si troveranno di fronte lo Stato, che in via mediata, attraverso il Pinco Pallino di turno, chiede una rimozione.

Facile immaginare il margine di autonomia.

Così afferma il protocollo pubblicato per ora sulla pagina istituzionale del Commissariato della Polizia Postale Online.

Che sia questa la mirabolante normativa contro le fake news annunciata qualche mese fa alla Leopolda da uno che se ne intende?

Un protocollo operativo che non passa dalle Camere, peraltro sciolte, a un mese dalle elezioni politiche, e che incide sulla libertà di espressione senza neanche ci sia stata la possibilità di discuterlo e votarlo in parlamento?

Non so se sono abbastanza chiari i presupposti e le conseguenze di un simile progetto, sarebbe un discorso molto ampio e complesso, per quanto intuitivo, con riferimento alle libertà individuali, alla tutela del singolo cittadino e a tanto altro.

Valigia Blu, come spesso accade, solleva il tema e ne discute ad esempio qui. Ma vediamo di spiegarlo sinteticamente, solo con qualche esempio.

L’intervento italiano in Niger, appena votato dalla Camera, proposto dallo stesso ministro Minniti, è una missione di pace o di guerra?

Serve, come è stato motivato dai proponenti, ad addestrare truppe locali contro il terrorismo, oppure, come sostenuto da autorevoli testate, a difendere l’estrazione di uranio francese e a bloccare i migranti entro quelle frontiere?

E ancora, gli accordi che sempre il ministro Minniti ha affermato aver preso inLibia, hanno avuto come controparti i “sindaci” libici o le bande di trafficanti di uomini, e comportano un trattamento dei migranti conforme ai diritti umani o prigionia, stupri e omicidi senza controllo, con la complicità dei governi europei fra cui quello italiano, come sostiene Amnesty International?

Chi deciderà, attraverso la Polizia Postale? Lo stesso ministro Minniti.

Peraltro, contemporaneamente ministro e candidato alle imminenti elezioni in un partito politico, che a questo punto dovremo chiamare Socing.

Ricordando che La guerra è pace, la libertà è schiavitù ma soprattutto l’ignoranza è forza.

I fake bot che esultano per le casette (finte) avute (per finta) dopo il terremoto (vero)

Io non so esattamente secondo quale principio o quale scala dei valori decidiamo che una fake news sia orripilante e meriti di urlare tutto l’orrore del mondo rispetto ad altre che invece scivolano via come lemonsoda sulla tovaglia cerata. Personalmente trovo comunque che questi account (finti) che esultano per le casette (finte) avute (per finta) dopo il terremoto (vero) siano l’apice della sgradevolezza filogovernativa. E chissà perché non mi stupisce che se ne parchi così poco rispetto a altro.

Ne parla David Puente (bravo David) sul suo blog:

Proprio ieri avevo fatto i complimenti all’amica Stefania Carboni per il suo articolo riguardo i “fake bot” (per intenderci estremamente semplici “utenti falsi gestiti in maniera automatica“) che su Twitter avevano pubblicato nel tempo messaggi riguardo le casette del terremoto. Si parla di account creati da qualcuno dopo aver “rubato” le identità altrui sfruttando le loro foto, una pratica che riscontro ormai da anni visto che certe “piovre delle panzane” diffondevano contenuti in quel modo (vi ricordo il caso recente di “Adessobasta“).

Stefania riposta il tweet di “Raimondo Campanella” del 28 dicembre 2017 che contesta quellodell’account “Carla” del giorno prima:

Carla: “È una notte speciale x me perché stanotte dopo oltre 5 anni dal sisma dormo x la prima volta a casa mia.E mi andava di condividerlo con voi.”

Raimondo: “Fate schifo. Vi segnalo.”

Come riporta Stefania, la frase twittata da “Carla” è uguale a quella di altri account e diffuso nel corso degli anni. Nel tweet di “Raimondo” troviamo qualche esempio (riscontrabile qui), vi riporto i suoi screen e un elenco degli utenti.

Ecco i nomi e i link ai loro profili:

Che cosa hanno in comune tra di loro? Elenchiamo ancora:

  • molti sono stati creati nel gennaio 2012, qualcuno nel marzo dello stesso anno o del gennaio 2011;

  • hanno almeno una dozzina di migliaia di follower;

  • pubblicano in continuazione tweet con frasi banali (“Io amo chi sa strapparti un sorriso“), quasi da “perdi tempo“;

  • l’email usata per la gestione dell’account (tranne quelli evidenziati con un asterisco rosso *nell’elenco precedente).

(trovate tutto qui)

La trasparenza non esiste

(A proposito di fake news e educazione alla complessità ritorna sul punto Pier Aldo Rovatti)

 

La nostra vista viene sempre più alterata da quella pratica della bugia che oggi passa soprattutto attraverso il web e che ha preso il nome di fake news. Tutti pensiamo di sapere che cosa si intende per “falso” e perciò siamo disposti a combattere contro le falsità che inquinano la comunicazione pubblica, danneggiando la visibilità degli eventi e la credibilità dei singoli protagonisti. Di conseguenza, tutti siamo d’accordo che è urgente battersi perché si diradino le nebbie delle fake news e si riaffermi una condizione di piena trasparenza delle affermazioni che leggiamo e delle immagini che le accompagnano o le sostituiscono.

C’è però un “ma”. Se appare abbastanza semplice difendersi dall’idea di falsità, non sembra altrettanto facile maneggiare quella di verità, fino ad arrivare al paradosso che sappiamo bene che cosa è falso ma non abbiamo un’analoga chiarezza su ciò che possiamo o addirittura dovremmo considerare vero. Ci spingiamo verso la supposta verità, adoperiamo agevolmente l’idea di verosimile, ma poi, quando vogliamo esercitare davvero un pensiero compiuto, dobbiamo arrestarci dubbiosi.

 

Cosa c’è che non funziona? Da sempre la filosofia si è arrovellata sulla questione se la verità sia raggiungibile oppure no, e insieme alla filosofia ovviamente anche le religioni, anzi il pensiero filosofico ha spesso combattuto contro la “trascendenza” dell’idea religiosa di verità una battaglia culturale che si è via via attutita senza però spegnersi mai, come possiamo attualmente osservare. Qui, però, stiamo parlando di verità fattuali, estremamente concrete, che riguardano la vita normale di ogni giorno, sulle quali magari si costruiscono liti furibonde, in cui ciascuno si dichiara certo di quel che afferma o di quello che si ricorda, ed è disposto a “giurarlo” secondo una pratica che riproduce il rituale della testimonianza in un’aula di tribunale dichiarando, appunto sotto giuramento, di dire “tutta la verità”. Esiste davvero qualcosa di simile a “tutta la verità”? Quante sono le verità e di quanti pezzi è composta una verità cosiddetta fattuale?

 

Circola, proprio in questi giorni di preoccupazione contro il dilagare delle fake news, l’ipotesi che sia poco opportuno (e perfino che si tratti di un pensiero che anziché aiutarci aumenta le nostre difficoltà) servirsi di uno schema mentale (e culturale) di tipo binario: due valori contrapposti che si escludono, o il falso o il vero. Se restiamo incastrati in questa alternativa rigida, come il senso comune ha sempre fatto e continua universalmente a fare, ingabbiamo il problema appunto in una rigidità senza uscita, dove ogni posizione rimane immobile e conseguentemente la verità rischia ogni volta di diventare un obbligo autoritario.

 

Nella fattispecie attuale questa polarizzazione – ci si domanda – aiuterebbe a sconfiggere le notizie false? Con buone ragioni, si sospetta che presumere l’esistenza di ciò che viene oggi tecnicamente chiamato l’“algoritmo della verità” sia un incentivo alla diffusione stessa delle fake. Bisognerebbe dunque aprirsi un’altra strada, costruire qualche schema più dialettico senza il terrore che, se mettessimo in dubbio l’idea tradizionale e rigida di verità, sarebbe un disastro, quasi spalancassimo il portone della stalla e tutti i buoi scappassero fuori.

 

(continua qui)

Fake news? Il servizio sull’immigrazione dalla Tunisia di Rai 2, ad esempio, è tutta una bufala

Vanessia Tomassini per Notizie Geopolitiche, puntualissima e precisa:

 

Nel momento in cui in Italia si continua a parlare di Fakenews, sul fronte transnazionale dopo quelle sulla Libia arrivano le informazioni farlocche dalla Tunisia. D’altro canto in una guerra di record e di ascolti, giornalisti e produttori sono pronti a tutto. Lo definisce “low-cost journalism”, ossia giornalismo a basso prezzo, Souhail Bayoudh, il tunisino scelto dalla Rai come “fixer”, accompagnatore della troupe di Nemo – Nessuno Escluso per la realizzazione del servizio “Il traffico di migranti e la rotta tunisina”. Il reportage è andato in onda sul canale della Tv di stato lo scorso 23 novembre. “Volevano filmare a tutti i costi il percorso dei migranti che partono dalla Tunisia per arrivare in Europa. Sono stati qui solo tre giorni e pretendevano di realizzare un’esclusiva. Erano pronti a mettere addosso ad un ragazzo una telecamera nascosta per registrare tutti i passaggi: dal contatto con gli intermediari che assicurano il viaggio, il tragitto, fino all’arrivo in Italia; promettendo tutto l’aiuto necessario una volta giunto sulle coste italiane per proseguire il viaggio in Europa. Senza interessarsi tuttavia delle sorti di questo malcapitato che sarebbe andato incontro a morte certa”. Il nostro amico tunisino, ingaggiato dalla Rai per accompagnare i giornalisti Matteo Keffer, David Cherchini e Valentina Petrine, come si legge dall’autorizzazione rilasciata dal governo Tunisino che Notizie Geopoliticheha potuto visionare. “Non avrei mai permesso di mandare a morire un giovane ragazzo per un servizio televisivo, così ho chiamato il fotografo della mia associazione culturale a fingersi come attore per interpretare il ruolo di Sami. Il suo vero nome è Salem e la troupe lo aveva capito benissimo poiché in loro presenza tutti lo chiamavano col suo vero nome, ma hanno continuato a filmare, senza nulla fosse” aggiunge Souhail, proseguendo: “non so come funzioni in Italia, ma ogni giornalista teoricamente dovrebbe controllare le fonti, chiedere i documenti, accertarsi sull’identità di chi ha davanti. Ecco, tutto questo i suoi colleghi non lo hanno fatto e hanno mandato in onda un servizio falso. Nessuno sa da dove partono le imbarcazioni dal nostro Paese, è difficilissimo trovare un intermediario, per fare un servizio del genere è necessario entrare nella giusta rete, prendere i contatti giusti. Non è possibile farlo in tre giorni” . Noi crediamo che i colleghi abbiano agito in buona fede e forse si è trattata soltanto di leggerezza, visto che l’accompagnatore ci dice che loro non erano al corrente che Sal, nel video Sami, era un attore. Tuttavia la domanda che Souhail ci pone è: “se questo servizio era una bufala, cosa non vi fa pensare che lo siano anche i precedenti e i futuri? ” . Il dubbio, in questi casi, corrode più della certezza, ovviamente restiamo a disposizione di chiunque volesse replicare.