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famiglia

Clara

Clara ha 38 anni, due figli, due sfratti per morosità e tre sgomberi. Un curriculum niente male a soli 38 anni, mi dice lei. E quando lo dice le si riempiono gli occhi di lacrime.

Clara è nata a Palermo, si è innamorata che aveva 25 anni e a 30 è diventata mamma di Samuele. Due anni dopo di Stefano. È partita dalla Sicilia che i figli erano piccoli, destinazione Torino dove il marito avrebbe trovato “un buon posto”. Perché a Torino fa freddo, è vero, e forse il cielo non è proprio quello siciliano. Però vuoi mettere, si può vivere male nella città della Fiat? Deve aver pensato.

Poi, quando tre anni fa il “buon posto” ha chiuso i battenti, lasciando per strada suo marito insieme a chissà quanti altri dipendenti, la scelta di rimettere tutto in discussione. E allora hanno rifatto le valigie, destinazione Roma, stavolta. Perché Roma è pur sempre la Capitale, e si può vivere male nella Capitale d’Italia? Deve aver pensato di nuovo.

Poi, quando gli eventi hanno preso ancora una brutta piega, proprio Roma è diventata una trappola. “Perché qui – mi dice Clara – se acquistare una casa è impossibile, vivere in affitto è diventato addirittura un lusso”. E io che pensavo che un lusso fosse girare il mondo a bordo di uno yacht.

Clara non è una nullafacente, non è una sbandata senza arte né parte, né un’idealista che ha scelto di vivere “contro tendenza”. Non è una straniera. Ma soprattutto Clara non è un luogo comune e non è un caso isolato, perché con 800 euro di stipendio, sfido chiunque a pagarne altrettanti di affitto. Clara è una giovane donna italiana di Palermo, mamma di due figli, onesta e lavoratrice. Fa la bidella a tempo determinato e quando si alza la mattina per andare a lavoro, nessuno sa che si è svegliata dentro una baracca in periferia, ha preparato la colazione per i figli con un fornelletto alimentato da una bombola a gas, li ha svegliati e preparati per la scuola, riscaldando la stanza con una stufetta.

Ne scrive Manuela Campitelli qui. Le storie che si rincorrono le potete trovare sul sito genitori precari.it. Tanto per restare umani in mezzo alle alchimie delle alleanze di partito. E non perdere di vista le priorità. Umane: quindi politiche.

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Avere 30 anni oggi è difficile.

Sarà il compleanno ancora fresco o la riflessione sulla mia generazione ma stamattina mentre scrivevo e fuori si faceva alba mi ha colpito la lettera di Margherita Cardelli per LA 27 ora:

La mancanza di fiducia nel nostro caso ha portato alla disgregazione degli obiettivi comuni lasciando le persone sole e costrette a curare il proprio orticello, abbandonando ideali di comunità e socialità che tengono un popolo unito ed educato nei confronti delle istituzioni e della giustizia.

Avere 30 anni oggi è difficile. Alzarsi la mattina sapendo che non ci sono certezze è difficile. Avere paura di non sapere dove si potrebbe andare a sbattere la testa perché potrebbe accadere di tutto è difficile. È difficile perché le conseguenze di queste sensazioni distruggono le piccole cose. E le piccole cose sono la vita vera. Le relazioni si distruggono. Le amicizie si allontanano. Il sostrato sociale diventa cinico. Sono ben certa di non poter avere la possibilità di comprare una casa, a meno che non accetti l’aiuto della mia famiglia, e questo non è poi così grave, ma grave è la sensazione di non riuscire a tenere insieme gli affetti perché ognuno è costretto a decidere in base alle PROPRIE esigenze. Non ci si può più permettere di tenere conto delle esigenze degli altri. La difficoltà che può nascere nel gestire una relazione a distanza per motivi di lavoro può distruggere un amore o svilire le amicizie e porta ad una sorta di solitudine che allontana e separa le persone. E quando l’amore e l’affetto cominciano a soffrire di situazioni contingenti enormi e assolutamente ingestibili vuol dire che siamo arrivati alla fine. La nostra generazione è maledetta. Segnata fino alla fine.

Pagano i bambini

Una comunità per minori da dieci mesi è vuota. Sono spariti i minori a rischio? No, sono finiti i soldi

La casa è meravigliosa. Tanto spazio, tanta luce, tanta cura dei dettagli. Alle pareti i quadri della vicina scuola d’arte di Cantù. Persino la rampa dell’ascensore è affrescata. Sul divano e sulle mensole, giocattoli e libri. I letti sono fatti, ognuno con un peluche sul cuscino. È la Casa di Paolo e Piera, una comunità educativa per minori inaugurata il 5 giugno 2011 a Olgiate Comasco. È costata 1 milione di euro, raccolti sul territorio dalla Fondazione Paolo Fagetti, con il contributo della Fondazione Cariplo. Una nuova donazione, 200mila euro, è arrivata appena prima di Pasqua. Ma è vuota. In dieci mesi non ha mai visto un bambino.

Enrico Fagetti è il presidente dell’associazione e il papà di Paolo, morto a trent’anni in moto: faceva il volontario in quello che era ancora un istituto per minori, e i genitori hanno deciso di continuare a far vivere almeno i suoi progetti. Enrico è deluso e arrabbiato: «Possibile che in Italia nessun bambino abbia bisogno di un aiuto di questo tipo, quando pochi anni fa le comunità avevano le liste d’attesa? Ci avessero detto che questo era un servizio inutile, avremmo fatto altro. Sembra che i bambini siano spariti. In realtà sono spariti i soldi». Enrico non ha paura di dire a voce alta quello che in tanti sussurrano: «Con i tagli dei trasferimenti agli enti locali, i Comuni non hanno più i soldi per pagare le rette e quindi non allontanano più i minori. Preferiscono lasciarli in famiglia, anche quando la situazione è estremamente compromessa».

Il resto della storia qui.

Un mondo abitabile

Ogni giorno arrivano a Milano city-users in auto (ne entrano circa 800.000) in treno (320.000 persone ogni giorno in stazione centrale), in aereo (37 milioni di passeggeri l’anno) e con altri mezzi pubblici. Si stima che la popolazione diurna di Milano sia circa il doppio di quella residente. Da una parte la città dei residenti, invecchiati, un po’ impauriti e oppressi da problemi di congestione, inquinamento e abuso nei quartieri della movida, dall’altra la città-piattaforma delle funzioni dinamiche della Milano produttiva fatta di ricerca, finanza, moda, servizi avanzati, svago. Abitata questa da pendolari che faticano a raggiungerla nelle code interminabili di auto, nei treni malandati e nei bus spesso sovraffollati. È nella relazione fra queste due città che si gioca la questione dell’abitabilità: oggi la città-piattaforma schiaccia la città dei residenti. Occuparsi di abitabilità significa non pensare a progetti faraonici ma a ciò che può rendere la città accogliente, viva e in armonia, dando la casa ai giovani, ai lavoratori che fanno funzionare la macchina urbana, alle popolazioni temporanee. È necessario occuparsi degli spazi collettivi e dei luoghi della cultura che consentono l’incontro, del verde urbano, della valorizzazione delle aree agricole e naturali, della qualità dell’aria, delle forme e dei luoghi della mobilità, dei mezzi pubblici, della ciclabilità e di un uso delle auto non invasivo, dei servizi di welfare per la popolazione anziana e per l’accoglienza degli immigrati e delle nuove famiglie, di un decentramento vero di funzioni non marginali.

La riflessione di Alessandro Balducci apre una questione che sarebbe incosciente lasciare solo agli urbanisti: l’abitabilità del lavoro, l’abitabilità delle famiglie e l’abitabilità dei diritti e dei doveri sono il percorso obbligato per trovare lo slancio e costruire insieme. Perché l’accoglienza deve essere il nostro punto imprescindibile verso le elezioni che verranno e per gli amministratori che ci sono e che ci saranno. E l’accoglienza è l’ispiratrice di un momento che ci rende tutti migranti, nel passaggio di un’epoca che ha bisogno di reinventarsi e ha l’obbligo di essere includente. Lampedusa è anche nelle famiglie così difficili da costruire, nel lavoratore che rimane sempre più precario di quanto sia il suo lavoro e della famiglia che costa come un privilegio per pochi.

Ogni tanto mi piace pensare che partendo da qui, la Lombardia che ha innalzato i boriosi e gli spericolati a modelli di successo, l’inclusività diventi un punto di forza del nostro fare politica e si rompa il meccanismo che l’ha relegata tra le debolezze irrise dalla Lega e i suoi compari. Forti delle proprie fragilità, come scriveva qualcuno qualche millennio fa, e consapevoli. Un futuro abitabile perché attento ai meccanismi minori che determinano l’uguaglianza: e allora migrare sarà un viaggio verso il tempo che andiamo a prenderci.

La mattanza delle donne

Di solito a botte o a coltellate, quasi sempre per mano di mariti, fidanzati o ex. In Italia c’è una vittima ogni tre giorni, e va sempre peggio.

Se Laura sappia o meno che l’omicidio è la causa principale di morte per le donne, non glielo leggi in faccia. Quello che vedi chiaramente invece, mentre racconta l’incubo di quasi dieci anni di violenze subite da parte del marito, è il sollievo per esserne uscita. Perché, alla fine, quel che resta non sono le botte, ma la consapevolezza di essersi ripresi la propria vita. 

Certo, c’è pure la paura che l’epilogo della storia potesse essere diverso, come è stato per Stefania Noce, attivista 24enne di “Se Non Ora Quando” di Catania, accoltellata dal fidanzato che non si rassegnava ad essere ex. Anche per Maura Carta le cose sono andate diversamente, presa a pugni fino ad essere uccisa dal figlio schizofrenico, una delle 19 vittime dall’inizio dell’anno al 15 febbraio. 

E se i numeri sono questi, non c’è da aspettarsi niente di buono per il 2012, “considerando anche il fatto – sottolinea Cristina Karadole dell’associazione Casa Delle Donne Per Non Subire Violenza – che è dal 2006 che l’elenco dei femicidi aumenta costantemente, superando la media di 120 l’anno”. 

Omicidi che lasciano la scia di storie tutte diverse tra loro, eppure tutte uguali: violenze fisiche e psicologiche come copione fisso di una vita, che vorrebbero rimettere in riga la donna che ha osato troppo. “E’ così che succede – spiega Laura -, ti spengono poco a poco: prima ti fanno sentire una nullità, ti umiliano anche davanti agli altri, ti privano del tuo stipendio. Poi arrivano i cazzotti, e ti illudi che quella sia l’ultima volta”. E non sarà un caso – fanno notare le associazioni femminili – se la maggiore concentrazione di violenze hanno luogo nel più emancipato nord Italia.

L’inchiesta di Valeria Abate per L’Espresso accende la luce su una strage che non ha niente del rosa ma vira sempre sul rosso rame del sangue. Nel bel libro di Marco Cavina “Nozze di sangue”  (ed. Laterza) si legge ‘la violenza domestica rappresenta l’anima nera del matrimonio, il suo versante demoniaco, la sua irriducibilità agli schemi tranquillizzanti e coartanti dell’armonia del focolare’. Il punto cruciale sta nel ritenere la violenza sulle donne un argomento osceno, uno di quelli che non riesce ad entrare nel dibattito pubblico per un pudore arcaico di cui non riusciamo a spogliarci. Troppo possibile e troppo vicino per aprirsi alle analisi, troppo doloroso frantumare l’ideale di ‘famiglia’ (così ciellinamente formigoniano, qui da noi) che in fondo serve un po’ a tutti per rassicurarsi. Se la famiglia è l’ultimo welfare in un tempo di sostegni delegati alla parentela e al buon cuore e abbandonati dalla politica, raccontarne i contorni più oscuri può diventare l’ultimo passo prima del baratro.

I dati dei femicidi sono una mattanza che ha il profilo della guerra eppure si consuma in silenzio. Oggi il governo Monti potrebbe cominciare firmando la Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, nata a maggio a Istanbul, che costituisce il punto più alto raggiunto in questo lunghissimo percorso di armonizzazione delle leggi, delle politiche e delle strategie di intervento, sottoscritta già 16 paesi europei, con l’impegno di superare la violenza di genere. Noi (nel nostro piccolo) in Regione Lombardia lavoriamo al Progetto di Legge num. 136: INTERVENTI DI PREVENZIONE, CONTRASTO E SOSTEGNO A FAVORE DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA (lo trovate qui) e ci facciamo carico di parlarne, di costringere a dire e farsene carico. Perché, saremo idealisti, la politica ha l’obiettivo di spegnere la violenza, tra le altre cose, anche se (come diceva bene Friedrich Hacker) la violenza è semplice; le alternative alla violenza sono complesse.

 

Crisi lavoro: le nostre proposte

L’ordine del giorno sottoscritto dalla minoranza.

ORDINE DEL GIORNO

“ESAME DEI PROBLEMI INERENTI LA SITUAZIONE INDUSTRIALE REGIONALE”

Il Consiglio regionale

Premesso che

in Lombardia permane una situazione pesante sul piano occupazionale, nonostante una flessione del 33% nell’utilizzo della cassa integrazione, ed una leggera inversione di tendenza nelle assunzioni di giovani;

la disoccupazione coinvolge ancora più di centomila lavoratori; aumentano i licenziamenti e gli inserimenti nelle liste di mobilità; interi settori sono coinvolti nella crisi industriali, in particolare l’high tech;

nell’attuale congiuntura necessitano interventi sul piano degli ammortizzatori sociali, ma sopratutto una politica industriale capace di favorire la ripresa utilizzando tutti gli strumenti a disposizione della Regione, a partire dalla legge1/2007 e da quei settori propri della Regione: sanità, trasporti, energia, banda larga, ecc;

Fare squadra, fare rete, significa ripristinare e rinvigorire i tavoli regionali funzionali a politiche attive del lavoro e all’intervento coordinato fra sistema delle imprese, Istituzioni e sistema bancario;

la Lombardia si caratterizza come Regione a forte vocazione industriale e manifatturiera, deve uscire da una fase di progressivo declino per dare prova concreta della sua vocazione per riprendere a crescere: attivando tutte le sedi opportune, e gli strumenti legislativi necessari, per porsi alla testa di una politica industriale funzionale alla ripresa occupazionale e produttiva.

il Consiglio Regionale impegna la Giunta ad:

 

  1. Attivarsi per prolungare gli ammortizzatori sociali nel 2012;
  2. Rimettere in campo strumenti capaci di far incontrare domanda ed offerta di lavori, recuperando politiche formative utili alle domande che una timida ripresa sembra prospettare, attivando un proficuo rapporto con le parti sociali e gli strumenti della bilateralità;
  3. Incentivare i contratti di solidarietà dando loro più forza e favorendone l’applicazione;
  4. Utilizzare gli strumenti che la Regione ha a disposizione, in particolare Raid, concordando con le parti sociali percorsi necessari per consolidare occupazione e vocazione manifatturiera della Lombardia;
  5. Istituire presso Arifl una cabina di regia con le parti sociali, per monitorare i problemi più acuti del tessuto produttivo lombardo, individuando interventi tempestivi ed efficaci;
  6. Vincolare i bandi della regione, dallo start up all’innovazione, a valorizzare chi con gli stessi bandi crea occupazione aggiuntiva, facendo dell’occupazione un punteggio premiante;

 

  1. Definire le norme applicative in grado di attivare da subito le legge sulle varie forme di apprendistato, sia in rapporto alle università che ai diversi mercati del lavoro. Contestualmente va riportata alle sue origini la norma applicativa degli stage e dei tirocini;
  2. Attivare interventi sul mercato del lavoro più fragile: giovani, donne, over 45; agevolando la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in particolare per giovani e donne, sperimentando percorsi di flessibilità positive sul versante della conciliazione lavoro- famiglia e favorendo modalità di lavoro, fra cui il part time anche nella PA, ed il telelavoro, tutelando maggiormente le lavoratrici madri;
  3. Incrementare l’occupazione giovanile attraverso gli strumenti dell’apprendistato e dei tirocini, favorendo la stabilizzazione del lavoro dei giovani; sperimentare adeguati percorsi di reinserimento attraverso specifiche opportunità formative per over 45;
  4. a governare le aree dismesse per favorire insediamenti produttivi disincentivando le attività di carattere immobiliare;
  5. sostegno dei distretti e settori che rappresentano il Made in Italy: settore moda e ricerca;
  6. politiche di sostegno al credito per le imprese;
  7. a verificare la sussistenza delle condizioni per l’individuazione delle aree di crisi industriale complesse, in particolare per il settore dell’high tech al fine di poter attivare le misure previste dal DM 24 marzo 2010;

 

da mandato alla Commissione competente di sottoporre al 

Consiglio una specifica risoluzione con la quale si individuino:

 

  1. gli elementi normativi e programmatori necessari per un rilancio del settore industriale, con particolare riferimento ai settori tessile, edile, meccanico e high tech, coinvolgendo le parti sociali e il mondo accademico per individuare le azioni necessarie per la ripresa produttiva e occupazionale;
  2. le modalità per far evolvere l’attuale iniziativa RAID in una vera e propria cabina di regia, cui partecipino anche le parti sociali, dotata di una struttura tecnica di adeguato profilo professionale, con il compito di monitorare l’andamento di settori e aziende, studiare le tendenze dei mercati, predisporre piani di sostegno finanziario, collegare ai processi di spin off e di trasferimento tecnologico, facilitare e favorire l’intervento di nuove iniziative industriali e imprenditoriali;
  3. uno scenario per gli interventi pubblici sulla banda larga;
  4. lo sviluppo della filiera della green economy;
  5. scenari di regolamentazione e sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili;
  6. quadro normativo e sostegni finanziari, e ipotesi di sostegno e riconversione di specifici casi aziendali o comparti in difficoltà con l’obbiettivo del rilancio della produzione, mantenimento delle aziende e dell’occupazione sul territorio;
  7. quadro della semplificazione normativa e assetto delle infrastrutture e qualità territoriale per favorire l’attrattività produttiva.

 

Milano, 25 ottobre 2011

Noi siamo (forse) ai registri delle coppie di fatto

E a New York è stato approvato il matrimonio gay. E senza alambicchi politici o remore medievali la spiegazione migliore la dà proprio uno dei quattro senatori repubblicani (Mark J. Grisanti) che ha votato la legge: chiedo scusa a coloro che si sentano offesi. Ma non posso negare a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, alla gente del mio collegio e di questo stato, lo stato di New York, e a coloro che lo rendono grande gli stessi diritti che ho assieme a mia moglie.

Baldoni: “un colpo in testa al giornalista che cercava brividi in Iraq”

Conosco personalmente Guido Baldoni (il figlio di Enzo) con cui ho condiviso momenti di tourné che mi rimarranno indimenticabili. Per questo non saprei contenere la rabbia per il trattamento indegnamente infimo che certa stampa gli ha riservato. Ma Sergio è riuscito a raccontare senza scrivere come io non avrei mai potuto fare.

Enzo Baldoni: per non dimenticare l’altra memoria.

di Sergio Nazzaro

baldoniLe giornate della memoria muovono le emozioni, fanno riflettere, per un attimo c’è la voglia di scrivere. E invece no. Questa volta si celebra l’anniversario leggendo, facendo esercizio della memoria.

Studiando e approfondendo. Quasi un guardare per credere. E domandarsi come è possibile che chi disprezzi con tanto cinismo la vita umana, possa essere proprio un giornalista, un direttore di giornale. Nessuna dietrologia o ideologia: semplice sconcerto in nome di una normale convivenza civile. La memoria è anche questo difficile esercizio: doversi ricordare di persone come il sig. Renato Farina e il sig.Vittorio Feltri. (Grazie a Mauro Biani, al suo prezioso archivio e alla memoria che ricorda)

libero_1-1251360971VACANZE INTELLIGENTI di RENATO FARINA (da Libero, 24/08/2004)
Prima di cominciare a leggere è bene ricordarsi chi è Renato Farina, da wikipedia “(Desio, 10 novembre 1954) è un deputato e scrittore italiano. È stato radiato dall’Ordine dei Giornalisti il 29 marzo 2007, dopo avere ammesso di aver collaborato, da vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie false in cambio di denaro. Un mese prima, il 16 febbraio 2007, si era dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento[2] nell’ambito dell’inchiesta sul rapimento dell’ex imam di Milano, Abu Omar, patteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro)”.

Alle 16 di ieri, come quarta notizia di Al Jazeera, è stata mostrata la faccia barbuta di un uomo. In inglese ha detto: «Sono Enzo Baldoni». Aveva una polo grigia e l’aria tranquilla. Forse un po’ troppo. Pareva un turista per caso. Il comunicato dell’”Esercito islamico in Iraq” (Al-Jeish Al- Islami-si-Iraq) ha posto un ultimatum a Berlusconi: o ritira entro 48 ore le sue truppe, e lo fa in modo chiaro, con un decreto firmato, o «non garantiamo la sicurezza di Baldoni ». Vuol dire che lo ammazzano. Il gruppo ha un simbolo molto simile a quello di Al Zarqawi, il decapitatore professionista per conto di Osama Bin Laden. Si deve a questo simpatico esercito l’uccisione di un ingegnere e di un autista pachistani il 28 luglio scorso in Iraq. Al Jazeera non ha trasmesso le immagini dei pachistani perché «sconvolgenti”. Abbiamo capito cosa gli hanno fatto. Eppure Baldoni appare straordinariamente rilassato. Come se avesse un asso nella manica. Lo sappiamo su che cosa conta: sulle proprie idee. In fondo, è un loro simpatizzante. Perché dovrebbero fargli del male? È un giocherellone della rivoluzione. Repubblica ha pubblicato un suo decisivo reportage: «Le mie vacanze col brivido». Dopo le ferie intelligenti, proviamo a fare quelle sconvolgenti. Ecco il ritratto che dedica su “Linus” al Chapas: «Marcos: culo e carisma». E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all’Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com’era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista. Sarà uno 007 finito fuori pista – hanno pensato. Imad El Atrache ha provato a salvargli la vita parlando un’ora dopo allo stesso tg. Mi ha chiesto notizie e ho confermato: ha scritto diari di viaggio dal Chapas, dovunque senta odore di Che Guevara corre in soccorso e poi manda articoli a giornali di sinistra che glieli pubblicano. Enrico Deaglio de Il Diario ha confermato: scrive per noi ed è pacifista. Il governo italiano in fondo è sulla stessa linea. In una nota fa sapere: «Siamo impegnati a ottenere il risultato di far tornare in libertà il signor Baldoni, che si trova in Iraq per la sua attività privata di giornalista e quindi assolutamente non collegato al nostro governo ». Ovvio che dichiari di non cedere al ricatto, è scontato, ma intanto con quelle tre paroline – “signor”, “privata”, “assolutamente” – marca una distanza da Baldoni idonea a salvargli la pelle. Come dire: quest’uomo è italiano, ma è più roba vostra che nostra, si è messo nei guai per le sue privatissime cose, perché rompete le scatole a noi? Garantiamo, nel nostro piccolo, ai suoi rapitori islamici: tifa per voi, per la resistenza irachena. Non è musulmano, è milanese; non aderisce ad Al Qaeda, per carità, ma in fondo giustifica chi spara ai marines. Li conosciamo i documenti antimperialisti dove si solidarizza con «le ragioni economiche, politiche, morali che spingono gli oppressi del mondo a combattere con le armi contro l’America e i suoi servi sciocchi, ad esempio Berlusconi». Baldoni era di tale fatta. Lo ribadiamo volentieri, Signori dai lunghi coltelli: è del tipo di occidentale che piace a voi: antiamericano. Confidiamo basti. Abbiamo molti dubbi, ma c’è un precedente positivo. Nei giorni scorsi un reporter statunitense, Micah Garen, è stato liberato dalle milizie di Al Sadr. Ma, appunto, erano sciiti. Non sono del giro di Al Qaeda, non sono come Al Zarqawi. Gli sciiti di Najaf si lasciano commuovere dalla opinione politica, dai sentimenti personali. Garen ha stramaledetto Bush e si è salvato. Al Zarqawi invece ha decapitato Nick Berg anche se aveva un pedigree pacifista d’alto rango e di provata affidabilità. Era però ebreo e americano. Per questo abbiamo paura non sia sufficiente a Baldoni dire quanto pensa del Cavaliere. Una speranziella. Gli esperti dell’intelligence atlantica hanno molti dubbi su tutta la vicenda. Il volto del prigioniero non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull’orlo dell’abisso. Non appaiono intorno all’italiano uomini armati e mascherati. Potrebbe essere una recita. Anche se il precedente di Nick Berg, il quale pareva sereno, ci inquieta. È necessaria un’operazione di verità. Nei giorni scorsi si è registrato un curioso fenomeno. Basta leggere l’Unità per capirlo. Siccome a sinistra, sotto sotto, credono che i tagliatori di teste siano persone perbene, hanno ritenuto impossibile che ad essere rapito fosse un giornalista del genere terzomondista. Per cui all’unisono si è accreditata l’ipotesi dei “predoni”. Nulla che fare con la resistenza. Banditi di strada. Ma il quotidiano di Furio Colombo e Antonio Padellaro è andato oltre. Secondo il foglio rosso la morte dell’interprete e il rapimento di Baldoni erano probabilmente opera di «forze governative». Hanno scritto proprio questo. Per loro il legittimo governo di Allawi (nomina Onu) è fatto di predoni assassini. Inutile aspettarsi autocritiche. Martelleranno noi perché non ci caschiamo a questa storia di reporter dediti ai poveri. Andiamo anche noi a soccorrere Baldoni. Per solidarietà umana confermiamo: ha sempre scritto cronache dall’Iraq contro gli americani. E prima in Colombia, in Messico, ovunque. Salvatelo. Ma per favore, una volta sano e salvo qualcuno dovrebbe spiegare ai vacanzieri del brivido che non si gioca con le cose serie per scrivere pagine palpitanti. Dalle parti di Bagdad non c’è un Rotary islamico, o la confraternita frati benedettini musulmani che porgono la minestra e l’altra guancia. Lì si spara, e chi non è attrezzato fa danni a se stesso ma soprattutto agli altri. Ammazzano gente di destra e di sinistra, li rapiscono per ricavarne favori. In passato ho scritto la stessa cosa a proposito di turisti che giravano con il cammello in Yemen e in Somalia, salvo poi far spendere miliardi al governo per portarli a casa. Quando sono tornati, mi sono arrivate maledizioni. Mi auguro che Baldoni mi aspetti presto sotto casa. Basta che lui, e la gente come lui, con tutto il rispetto, faccia il proprio mestiere di creatore di spot. Gli venivano meglio. Non si va alla ventura come facili prede. Poi il prezzo lo pagano persone che non contano niente (l’interprete autista), la propria famiglia, e il governo. Torna Baldoni, e lìmitati agli aperitivi in piazza san Babila. E in vacanza cogli le pesche dell’agriturismo di famiglia.

libero_3-1251361042IL PACIFISTA COL KALASHNIKOV di VITTORIO FELTRI (da Libero, 27/08/2004)
Se esaminata cinicamente, cioè con lucidità, la disavventura di Enzo Baldoni sconfina nella commedia all’Italiana. Già ieri abbiamo scritto: un uomo della sua età, moglie e due figli a carico, avrebbe fatto meglio a farsi consigliare da Alpitour, anziché dal Diario, la località dove trascorrere vacanze sia pure estreme (si dice così?). Evidentemente, da buon giornalista della domenica egli ha preferito cedere all’impulso delle proprie passioni insane per l’Iraq piuttosto che adattarsi al senso comune. Ciascuno fa come gli garba. E se a lui garbava di mettere a repentaglio la ghirba allo scopo di essere la caricatura dell’inviato speciale, forse sognando di diventare un Oriano Fallaci o un Ettore Mo, c’è poco da obiettare. Molto da obiettare invece c’è sul fatto che adesso tocchi allo Stato italiano di toglierlo dalle pettole (dal milanese: peste). Vabbè. Non facciamoci guardar dietro spendiamo quanto c’è da spendere per riportarlo a casa, questo bauscia simile a certi tizi i quali, durante il week end, indossano la tuta mimetica e giocano ai soldatini nelle brughiere del Varesotto. D’altronde, come documenta la nostra inchiesta Stipendiopoli, gli enti pubblici sprecano molto denaro e non saranno alcuni miliardi in più, investiti al fine di liberare il semigiornalista, a mandarci in rovina. Chiudiamo un occhio sull’aspetto finanziario e apriamo l’altro sul paradosso cui assistiamo. Lui, Baldoni, è qui ritratto in prima pagina con in mano un mitra o una mitraglietta (non essendo pacifisti c’intendiamo poco di armi) fra due beduini o similari. Sorride felice perché è corso in aiuto dei più deboli in lotta contro i cattivi americani. Ecco, ai “poveri” iracheni sono rivolti gli appelli in favore del pubblicitario- pubblicista lanciati dai suoi famigliari. I quali implorano i sequestratori: «Lasciate libero nostro padre, è un pacifista». E ancora: «Noi ci rivolgiamo al popolo iracheno martoriato dalla guerra e agli uomini che detengono Enzo; lui è in Iraq come uomo di pace oltre che come giornalista. Egli cercava di salvare vite umane a Najaf quale volontario della Croce rossa. Lo spirito di solidarietà ha sempre caratterizzato le sue azioni». Penso a un grosso equivoco. Si servizi alle pagine 2, 3 e 4 considerano deboli e martoriati dalla guerra terroristi talmente deboli da prendersela con un loro amico, Baldoni appunto, tenerlo in ostaggio per ricattare l’Italia e minacciare di decapitarlo; insomma talmente deboli e bisognosi di carezze consolatorie da poter decidere della sua vita e della sua morte. Ammazza che debolezza. (…) E che gentiluomini, quanta solidarietà manifestano nei confronti di chi gliene ha data in buona o cattiva fede. Siamo al delirio. Baldoni stesso è inebetito dalle ideologie nate dalle ceneri delle ideologie: legge davanti alla telecamera il comunicato dei suoi aguzzini, in cui si dà del criminale a Berlusconi, e ne gode, glielo leggi in faccia che gode; e il video non inganna. Ma come si fa a schierarsi con i tagliatori di teste, come si fa a schierarsi con chi è stato con Saddam, come si fa ad affiancare banditi islamici che per tutto ringraziamento ti rapiscono e magari spezzano l’osso del collo? Fuori da ogni logica. Il paradosso ingigantisce se si tiene conto che il filoiracheno Baldoni candidato alla decapitazione è un pubblicitario (mestiere più capitalistico non esiste) il quale ha sempre lavorato per aziende americane: Mc Donald’s, Coca-Cola, Ibm, Shell, solo per citare alcuni nomi. Scusate cari lettori, più pirla di così è inimmaginabile. Ti guadagni la pagnotta (e non solo quella) ideando e realizzando spottini consumistici per le multinazionali odiate a sangue; le odii al punto da farti fotografare armato con un paio di beduini; poi arriva agosto, le schifose multinazionali (che ti strapagano) ti garantiscono (contrattualmente) lunghe ferie e tu, pistola, vai a trascorrerle in Iraq nei panni del samaritano islamico e complice di chi vuole decollarti. Enzo, hai qualche filo staccato. E come te ce l’hanno staccato i tuoi amici, gente sicuramente perbene che però non capisce un’acca, neanche dell’evidenza. Non fraintendete, spero che il detestato governo Berlusconi sia in grado di rimpatriare questo sbronzo di idiozie pacifiste e antiamericane. Il quale, rientrato nel nostro Paese di minchioni tolleranti, se proprio vorrà sfogare le sue pulsioni giornalistiche venga pure a Libero, qui al massimo sarà costretto a battersi contro Franco Abruzzo e Maurizio Belpietro che parlerà male di suo figlio, ma non dovrà sfidare a collo nudo la lama dei decapitatori. Dai Berlusconi, datti una mossa, restituisci alla famiglia e alla Coca-Cola questo spottaro strappato a via Montenapoleone e a Piazza San Babila.

libero_2-1251360995COLPO IN TESTA A BALDONI di RENATO FARINA (da Libero, 28/08/2004)
Non c’è rimedio. Non sono serviti i sorrisi suoi e quelli dei suoi cari. Quella è gente che mantiene le promesse: ammazzato. Una consolazione all’orrore: non gli hanno tagliato la testa. E’ stato assassinato come Fabrizio Quattrocchi, con proiettili di piombo in testa. Enzo Baldoni è morto alla stessa maniera del suo nemico ideologico. Quattrocchi, nel momento in cui aveva compreso la sua sorte, ha cercato di togliersi la benda nera. E poi, con un’aria di sfida tranquilla, ha detto all’uomo che parlava italiano: «Ti faccio vedere come muore un italiano ». I no globan avevano scritto proprio sul sito di Baldoni il loro schifo per una morte da mercenario. Negli ambienti no global e del Diario si era sussurrato: «Ha detto: “Vi faccio vedere come muore un camerata”». Una menzogna. Ed ora è toccato ad un altro nostro fratello italiano, battezzato. Le idee politiche erano diverse da quelle dei primi sequestrati. Ai terroristi islamici non importa delle nostre opinioni politiche, dei nostri sentimenti sul mondo. (…)

Poi ci fu Mauro Biani che rimise tutto nel giusto ordine

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Radio Mafiopoli 26 – Pino Masciari testimone giustiziato

http://www.youtube.com/watch?v=c5IYnh5Y6BA
Vi racconto una favola. Una di quelle favole “al contrario”, alla Rodari. Quelle favole che non ci crede nessuno, nemmeno chi le racconta, perché sono talmente al rovescio che se le ascolti sul serio ti viene il torcicollo.
Prendiamo una città, un città qualsiasi, facciamo Mafiopoli. A Mafiopoli ci sono i buoni e i cattivi. Nelle favole ci sono sempre, e ben chiari, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Ogni tanto si guardano negli occhi. Ma sono momenti di tensione e allora di solito nelle favole non si racconta mai del momento in cui un buono guarda in faccia un cattivo perché i momenti di tensione si vendono male nelle favole e poi magari rischi pure che ti rimane la cena sullo stomaco e non dormi tranquillo. Nella nostra favola c’è un buono (che è buono anche se la favola al contrario) che un giorno decide di uscire dai comandamenti delle favole e di guardare in faccia i cattivi (e fin qui … direte voi … beh, niente di che). Il fatto è che ad un certo punto il buono sale sulla macchina fatta di mollica di pane e va a raccontare degli occhi bavosi di chi ha guardato negli occhi e poi non contento fa i nomi e i cognomi. Mafiopoli è una favola strana, infatti i nomi e i cognomi poi ti tocca ripeterli 100 volte in 100 posti a 100 persone diverse tanto che ti perdi almeno metà capitoli del libro della tua vita ogni volta, con il coraggio in borsa, a farli e rifarli. Finisce che il buono diventa un nomaiolo professionista, ma mica perché lo vorrebbe fare di lavoro (che dico lui andrebbe benissimo a lavorare, a giocare con i pastelli insieme ai figli o a curare il soffritto con la moglie in cucina), diventa un nomaiolo professionista perché non ha tempo per fare altro, perché nella nostra favola al contrario se procuri momenti di tensione poi succede che la storia diventa urticante e non si vende più nelle librerie. E in più metteteci che il cattivo è mica cattivo per niente e quindi nel frattempo gli è girato il cappello e si è messo in testa di fargliela pagare.  A forza di fare nomi il buono ha perso il suo, e insieme la sua casa, la sua macchina, la sua famiglia. Perché è una favola al rovescio e non è mica come nella realtà che i buoni vanno custoditi e preservati. Alla fine il buono è così solo che per salvarsi dal morire allora comincia a uccidersi lui. (dico, tranquilli, è una favola, per di più al contrario). Perché li chiamano testimoni di giustizia, ma qui al rovescio, sono testimoni giustiziati. Una cosa da non crederci.

Radio Mafiopoli 12 – Giurin giuretta il bacio ti aspetta

GIURIN GIURETTA IL BACIO TI ASPETTA

MESSAGGIO PUBBLICITARIO

Scoraggio, viltà, disonore, puzzo, feccia. Arruolati anche tu in servizio volontario permanente nelle Mafie. Scegli il reparto che hai sognato per una vita: l’impudicizia di Cosa Nostra, le paranze dei Capa-lesi di Gomorra, la sommersione edilizia-frutticola delle ‘ndrine. Scegli la strada più facile per il successo, riempiti le tasche di euri contanti saluti alla dignità umana, regala alla tua famiglia l’onore di sparire nella melma. In promozione solo fino al 31 dicembre avrai diritto arruolandoti ad una confezione omaggio di appalti pubblici. Servizio volontario nelle Mafie: la soddisfazione di vedere tuo figlio scartare sotto l’albero i regali sporchi di lacrime dei figli degli altri.

[autorizzazione ministeriale richiesta, papello decretativo della collusione governativa]

C’è un esercito che ti aspetta giù a Mafiopoli. Una grande famiglia con grandi problemi di reclutamento. Settimana di carenza del personale giù a Mafiopoli. Mentre di notte i boss mafiopolitani attaccavano le palle di natale (impegnati com’erano a capire qual’era il diritto e il rovescio della palla) gli sbirri con slitte e pantere li hanno caricati nell’operazione “Perseo” dentro i sacchi di iuta pronti per essere assunti dietro le sbarre come aiutanti ad incartare giocattoli. E l’esercito delle mafie si sveglia con quel leggero bruciore di dietro come dopo una cena troppo piccante.

–          Ciao mi chiamo Totò Nessuno e anch’io sono entrato arruolato nell’esercito mafiopolitano. La mia vita è cambiata. Ora sono l’idolo dei bambini e non gioco più solo in porta come gli altri bambini ciccioni. La mattina scendo a rubare le merendine ai negozi del quartiere, così un giorno i miei figli potranno anche loro aprirsi un negozio ed essere sfracellati da un altro papà codardo come me. Pranzo pesce, pesce buono, pesce in quantità, usato come fermacarte dal capo del mio mandamento perchè mi vuole bene. Mi vuole bene e mi paga il pesce, finchè servo, qui tutti mi vogliono bene. Qui tutti i servi si vogliono bene. Siamo servi con la schiena dritta come spina di pesce e con le palle da pesce palla. Poi telefono ai miei figli, che escono da scuola, e che sono piccoli e ci credono alla befana e ci credono al mio onore, e allora sono un papà felice che si è fatto da solo e non ha figli sparati, finchè servo. Al pomeriggio scambio un paio di appalti con un assessore schiena dritta, che mi assume la moglie con i soldi del mandamento. Finché serve lui al mandamento, e intanto paga mia moglie. La paga per un favore, come le amiche degli amici, come le puttane. Siamo proprio una bella famiglia, con un papà servo e una mamma puttana a fare le statuine del presepe per il boss del nostro mandamento. Poi alla sera torno a casa per una cena veloce prima di uscire a sparare ai papà degli altri con la faccia da John Wayne. Come sarebbero fieri i miei amici. E torno tardi. Così tutti dormono e nessuno sente che m’infilo nel letto che puzzo di merda e sangue. Arruolatevi anche voi nell’esercito d’onoro delle mafie di mafiopoli.

E allora combiniamoci, con la santa punciuta che NESSUNO SI DEVE PERMETTERE DI PRENDERE IN GIRO. Con la santa punciuta con l’arbre magique alla ricotta. Come ce l’hanno insegnata i Lo Piccolo della stirpe dei Lo Pippolo, che per non dimenticarsela e per non consumare l’unico neurone che da latitanti si rimbalzavano in due se l’erano proprio scritta, più o meno così:

“Giuro giurissimo di averci fatto un giuramento di fede assoluta incommensurabile e che io possa bruciare come la santina impressografata qui scoppiettante nel falò delle mie mani, commendator Padrino!

Giuro di punire i prepotenti per giustiziare i deboli e di rubare ai ricchi per appoverare i poveri  e… magari, se ci capita, anche arricchire un paio di ricchi …

Giuro niente sesso siamo picciotti … infatti giuro che non desidererò mai la donna degli altri, ma che sarò solo fedele alla mia splendida e bellissima moglie, santissima donna … che io non sono sposato.

(Scusi dottor Padrino. E’ possibile che uno se non è sposato, non dico che guardi le donne degli altri, quello mai! Ma che insomma … un paio di volte al mese, uno scufrugliamento con una mignottazza… no? Niente? Neanche un boccaciccio sportivo? No? Vabbeh)

Giuro che rispetterò il padre e la madre, non mi fermerò fino alle quattro del mattino in osteria ma andrò a dormire presto almeno otto ore per notte altrimenti il giorno dopo taglieggio il cricket piuttosto che il racket.

Giuro davanti a questa santina che speriamo bruci in fretta … giuro che non cederò alle tentazioni del dimonio ma che vivrò sempre negli insegnamenti di Nostro Signore, anche se non c’avevo tempo di leggermi proprio tutto tutto ma alla fine ingegner padrino è il pensiero che conta.

E allora io giuro e spergiuro che come questo ramo di arancio mi ha puncicato il dito, allo stesso modo io… io… non mi ricordo più cosa volevo dire … e non so, c’è altro? Allo stesso modo io brucio se mi pentisco, peggio ancora se mi costituisco, e soprattutto se riferisco.

Giuro che è meglio un figlio puttaniere che poliziotto.

Giuro che rispetterò la legge anche se con gli errata corrige della zona, gli omissis della famiglia e i comandamenti dei mandamenti.

Giuro che non mi arricchirò con artifizi se non quel paio che lei sa di cementizi.

Giuro che non sono mai stato qui, non ho mai parlato, non vi ho mai veduto, che se anche fosse mi sono scordato, e anche se fosse ancora sono nella testa gravemente malato e che se insistono sono perseguitato, dal magistrato.

Giuro che non lo sapevo che avrei dovuto saperlo.

Giuro che era un amico, di un amico, che conoscevo di vista, per via di una parentela lontana.

E soprattutto giuro che sono un nullatenente, e che comunque me li sono sudati, e soprattutto che sono un perseguitato.

Finito, le formule di cortesia …

Ringraziandovi colgo l’occasione per porgere i miei migliori ossequi? No? Allora?

Timbro data e firma con lo svolazzo?

No? Allora cosa? Si sa che verba volano e scritta mano …

Cosa?

Ah, devo baciare tutti sulla bocca?

Vabeh… ma tutti tutti?

Non è che qui la cosa che non si va a donne, non si guardano le donne… voglio dire, non è che ho niente in contrario, sono un picciotto moderno. Però solo un bacio e poi amici come prima, vero signor Padrino? No, perché non è che io abbia niente in contrario contro i ricchioni, ma questi picciotti qui non è che sono i miei tipi … a me piace il capello biondo, un po’ nordico …

Ah no … no, mi scusi, no intendevo … avevo frainteso.

Allora bacio. Va bene, bacio. ”

Fortuna che si viene combinati una volta sola, nella vita, nell’esercito di mafiopoli. Alla bersagliera.