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Ecomafia in ottima salute, rapporto Legambiente: “26 mila reati ambientali nel 2016. In aumento illeciti su gestione rifiuti”

 

Secondo Legambiente funziona la legge sugli ecoreati, i cui primi effetti sono già avvertibili: a soli due anni dall’entrata in vigore delle norme crescono gli arresti del 20% (225), le denunce (28.818), i sequestri (7.277) e diminuiscono del 7% gli illeciti (passati da 27.745 del 2015 a 25.889 nel 2016). In tutta Italia “dilaga la corruzione, altra faccia delle ecomafie, con la Lombardia e il Lazio tra le regioni più colpite. Calano i reati contro gli animali. Aumentano quelli del ciclo illegale dei rifiuti e gli incendi che hanno mandato in fumo più di 27.000 ettari. Sul fronte abusivismo sono 17mila le nuove costruzioni fuorilegge”.

Secondo il rapporto di Legambiente, inoltre, diminuisce “in percentuale il peso delle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (dal 48% del 2015 al 44% del 2016) anche se si confermano ai primi posti nella classifica per numero di illeciti ambientali: in vetta la Campania (3.728 illeciti), poi Sicilia (3.084), Puglia (2.339) e Calabria (2.303). La Liguria resta la prima regione del Nord, il Lazio quella del Centro. Su scala provinciale, Napoli è in testa con 1.361 infrazioni, seguita da Salerno (963), Roma (820), Cosenza (816) e Palermo (811).

Frane, alluvioni: 7 milioni di italiani a rischio

Alluvione

La norma sul consumo di suolo deve ancora diventare legge e nel frattempo si va avanti asfaltando 7 metri quadrati di terreno al secondo. L’effetto serra avanza e con l’aumento di concentrazione di CO2 aumentano le alluvioni lampo. In questo contesto, che dovrebbe obbligare alla prudenza, negli ultimi 10 anni si è continuato a costruire in zone a rischio. Solo il 4% delle amministrazioni ha deciso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e la percentuale scende all’1% per gli insediamenti industriali. Così
Sono i dati contenuti nel rapporto Ecosistema Rischio 2016, l’indagine realizzata da Legambiente sulla base delle risposte fornite dai 1.444 Comuni che hanno risposto al questionario. A costruire dove non si dovrebbe non sono solo gli abusivi. Nell’88% dei casi (128 Comuni su 146) sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana e in 20 Comuni (14%) non si è trattato di qualche casa ma di interi quartieri. Nel 38% dei casi si è pensato bene di tirar su fabbricati industriali, nel 12% (17 Comuni) scuole e ospedali, nel 18% (26 Comuni) strutture ricettive e nel 23% (33 Comuni) strutture commerciali.

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE (Pdf)

Questo solo per le attività dell’ultimo decennio. I numeri complessivi sono ben più alti. In 1.074 Comuni (il 77% del totale delle amministrazioni che hanno risposto al questionario) ci sono case in aree a rischio. Nel 31% interi quartieri, nel 51% impianti industriali, nel 18% scuole o ospedali, nel 25% strutture commerciali.

Qualcosa comunque sta cambiando. Alcuni interventi aumentano ma il loro senso è spesso discutibile. Tra i 982 Comuni in cui è stata segnalata la realizzazione di interventi e opere di messa in sicurezza il 42% ha optato per nuovi argini (una scelta che in alcuni casi si limita a spostare il problema anziché risolverlo) e solo 12% ha ripristinato aree di espansione naturale dei corsi d’acqua. Nel 45% delle amministrazioni (439 Comuni fra i 982 dove sono stati realizzati interventi) sono state realizzate opere di consolidamento dei versanti montuosi instabili, ma solo 47 Comuni hanno previsto il rimboschimento dei versanti più fragili. Inoltre in 118 Comuni (8% del campione) sono stati realizzati interventi di tombamento e copertura dei corsi d’acqua: altro asfalto in superficie.

Due Comuni su 3 hanno dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e 4 Comuni su 5 hanno preparato piani urbanistici con la perimetrazione delle zone a rischio idrogeologico e hanno un piano di emergenza, ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. “Ci vuole un’inversione di tendenza: occorre fermare il consumo di suolo, programmare azioni che favoriscano l’adattamento ai mutamenti climatici e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio”, propone il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti.

(fonte)

La mafia a Lodi non esiste (ennesima puntata, eh)

Balzo in avanti per la Lombardia nella classifica nazionale del ciclo illegale dei rifiuti. Secondo il rapporto 2014 di Legambiente sull’ecomafia, presentato ieri mattina a Milano, nel 2013 nella nostra regione sono stati accertati in generale 1.268 reati contro l’ambiente, con 1.085 persone denunciate, 339 sequestri e 24 arresti, numero quest’ultimo più basso solo di quello registrato in Campania e Puglia, mentre nello specifico del ciclo illegale dei rifiuti, la Lombardia è passata dal sesto al quarto posto nella classifica nazionale, dietro Campania, Puglia e Calabria, con 448 infrazioni (il 7,8per cento del totale nazionale), 376 persone denunciate e 114 sequestri effettuati. Grandi numeri affatto lusinghieri anche sul fronte del ciclo illegale del cemento, dove la Lombardia risulta al primo posto tra le regioni del Nord con 341 persone denunciate e 265 infrazioni accertate.

I dati di Lodi, all’apparenza, sono minimali: nessuna infrazione contestata nel “ciclo del cemento”; due nel ciclo dei rifiuti, con tre indagati e un sequestro (a fronte di 21 infrazioni a Pavia, 63 a Cremona, 72 a Milano e 128 a Bergamo).

È vero che su questo fronte in passato la procura della Repubblica di Lodi è stata molto attiva, e va anche detto che da qualche tempo le ipotesi associative di traffico di rifiuti sono passate alla competenza della Dda di Milano. Ma va evidenziato che, comunque, nel 2014 la procura di Lodi risultava impegnata in inchieste per traffico illecito di ambito regionale e interregionale, stando ai dati raccolti da Legambiente.

Tra i casi citati, il sequestro di un’area collinare fra Sant’Angelo e Graffignana, per una discarica di rifiuti pericolosi, fra cui anche eternit. Ma anche l’operazione della Forestale a San Giuliano Milanese, con tre arresti e sei denunce, per un traffico illegale di cuccioli provenienti dall’Est Europa e svezzati precocemente con il rischio di malattie e disturbi comportamentali. Legambiente ricorda anche l’inchiesta sui costi della bonifica all’ex Sisas, che ha coinvolto un tecnico lodigiano.

Ma soprattutto richiama l’attenzione su un’indagine chiusa nel 2013 dei carabinieri del Noe di Milano, che sotto il coordinamento della Dda denunciarono traffici di terreni scavati da Milano e scaricati a camionate in cave di Romentino (Novara) e di San Rocco al Porto. Secondo l’accusa, il materiale non veniva analizzato come sarebbe stato obbligatorio, ma semplicemente riclassificato come “terre e rocce da scavo” con giri fittizi di bolle. Il 14 novembre del 2007, un Barbaro, cognome legato anche alla’ndrangheta, fu intercettato mentre telefonava a un imprenditore, che lo informava: «Per Casalpusterlengo,caricano in fiera, per Casalpusterlengo, tutti e due».

(fonte)

La merda nel lago

Un monitoraggio scientifico di Legambiente fornisce notizie non eccellenti per i laghi lombardi che non fanno una “limpida” figura. Le acque di 12 laghi italiani infatti non superano la prova inquinamento, secondo l’associaizone  scientifica i laghi Iseo, Lario, Varese, Ceresio Maggiore e Garda in Lombardia, la sponda del Maggiore in Piemonte e quella del Garda in Veneto, Bolsena, Bracciano, Albano e Vico nel Lazio e Trasimeno e Piediluco in Umbria hanno mostrato una concentrazione di batteri fecali superiori alla norma in misura tale da risultare fortemente inquinati.

Su 101 punti campionati complessivamente, ben 62 hanno mostrato una concentrazione di batteri fecali superiori alla norma, 39 in misura tale da risultare fortemente inquinati. Tra i più critici, i bacini della Lombardia, con 38 punti su 58 oltre i limiti di legge. Imputati principali delle situazioni di inquinamento si confermano le foci dei corsi d’acqua che raccolgono reflui nell’entroterra, oltre agli scarichi diretti a lago, in un quadro generale afflitto troppo spesso dall’inadeguatezza dei sistemi fognari e depurativi, senza contare la cementificazione delle coste, tra le minacce piu’ rilevanti per la qualita’ delle acque e dei territori.

Per far fronte alla situazione “urgono investimenti in infrastrutture fognarie e depurative”, osserva Legambiente. E ancora bisogna limitare l’impatto delle attivita’ agricole, come sul lago di Como, e quello delle attivita’ industriali per i quali e’ necessario un monitoraggio costante, come deve accadere per il lago Pertusillo in Basilicata. Ad aggravare la situazione, il diffuso disinteresse degli enti preposti, osserva Legambiente. Nel caso della Sicilia la mancata applicazione in oltre tredici anni delle norme a tutela delle acque interne e’ valsa alla Regione la consegna della Bandiera Nera.

(Fonte)

Se si mangia mafia

E’ in corso una vera aggressione al Made in Italy gastronomico. La denuncia del “nuovo fronte della criminalità ambientale” è di Legambiente in occasione di festambiente a Rispescia. I reati, secondo l’organizzazione ambientalista, sono 11 al giorno e oltre 3000 persone denunciate o arrestate. Bel oltre i 672 milioni di euro il valore dei beni finiti sotto sequestro per un affare gestito da 27 clan criminali. Le produzioni agroalimentari di qualità, l’olio extravergine d’oliva e il vino da contraffare con cui invadere i mercati: anche i simboli per eccellenza del made in Italy sono da sempre sotto attacco. Secondo il Rapporto Ecomafia di Legambiente nel 2012, grazie al lavoro svolto dal Comando carabinieri per la tutela della salute, dal Comando carabinieri politiche agricole, dal Corpo forestale dello stato, dalla guardia di finanza e dalle capitanerie di porto, sono state accertati lungo la filiere agroalimentari ben 4.173 reati penali, più di 11 al giorno, con 2.901 denunce, 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a oltre 78 milioni e 467.000 euro (e sanzioni penali e amministrative pari a più di 42,5 milioni di euro). Se si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti si superano i 672 milioni di euro. Con 27 clan censiti da Legambiente con le “mani in pasta”. A tavola, secondo gli ambientalisti, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo. La scalata mafiosa spesso approda nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove lavare denaro e continuare a fare affari”.

Sconcertanti (bipartisan) in Regione Lombardia

Il comunicato di Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. A voi i commenti:

“Sconcertante”. E’ questa l’unica parola che riesce a usare Legambiente per definire le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti politici – prima del nuovo presidente del Consiglio regionale, Cattaneo, poi del PD che annuncia addirittura il deposito di un proprio disegno di legge – che hanno chiesto di approvare un’ulteriore proroga, dopo l’ultima scaduta il 31 dicembre del 2012, per i comuni che non hanno ancora approvato il loro strumento urbanistico: il famoso PGT. “Siamo a 8 anni dall’approvazione della legge di disciplina urbanistica – dichiara Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia – e ancora centinaia di comuni lombardi, tra questi anche grandi città, non si sono ancora dotati del loro piano di governo del territorio. Bloccare l’attuazione di previsioni urbanistiche di strumenti ormai più che decotti ci pare il minimo che si potesse fare, anche per limitare i margini speculativi di spregiudicate operazioni di consumo di suolo. E’ semplicemente sconcertante questo coro di piagnoni, di destra e di sinistra, che chiedono di continuare a legittimare quella che da anni è un’ignavia urbanistica spesso colposa”. (ufficio stampa Legambiente Lombardia, 4 aprile)

Lombardia 2.0: siamo in tanti

Siamo in tanti ad avere un’idea possibile della prossima Lombardia possibile. Molti di più di quelli che stanno nelle liste dei partiti (o dei movimenti) e con molte più competenze di chi si ostina a fare campagna elettorale sul proprio nome e sulla propria faccia piuttosto che impegnarsi ad essere sintesi.
Legambiente in Lombardia sta costruendo in queste settimane una piattaforma che vale la pena leggere e adottare. Come scrivono loro: Lombardia 2.0 vuole essere un posto nella rete completamente VERDE. Un luogo dove parlare di “Ambiente” senza essere chiamati: i soliti noiosi ambientalisti. Un contenitore dove discutere dei temi che altri non affrontano ma anche un luogo dove proporre soluzioni ai problemi ambientali della Lombardia. Su questo sito proveremo a lanciare idee per una regione più bella e più sostenibile. Al centro però vogliamo mettere le opinioni e i commenti della rete stessa. Alla fine faremo una sintesi del lavoro svolto su questo sito e proveremo a elaborare un testo per una visione possibile per un futuro sostenibile.
La responsabilità di questa campagna sta tutta nel dovere di non disperdere i progetti: non scialacquare l’impegno. Ma davvero.

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Una legge contro l’abusivismo edilizio

L’ottimo lavoro di Legambiente:
abbattiamolostriscioneStop a mattone selvaggio

I numeri dell’abusivismo edilizio
e le proposte per il ripristino della legalità

Campagna di Legambiente contro l’edilizia illegale

Legambiente, 18 dicembre 2012

1. L’abusivismo edilizio in Italia

Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, che ha prosperato indisturbato per decenni, è un’autentica piaga del nostro Paese. Una ferita continuamente riaperta dalle promesse di condono edilizio. Ma a promuovere il nuovo cemento illegale è un altro “incentivo” micidiale: la quasi matematica certezza che l’immobile abusivo non verrà abbattuto.

Le ordinanze di demolizione effettivamente eseguite, anche quando sono previste da sentenze della magistratura diventate definitive, sono l’eccezione, non la regola. E il mattone fuorilegge continua a prosperare, devastando il paesaggio, alimentando una vera e propria filiera del cemento illegale (dalle cave agli impianti di calcestruzzo fino alle imprese edili), arricchendo in molti territori le casse dei clan Non basta. Nei cantieri del mattone illegale il lavoro nero è la regola, la sicurezza semplicemente non esiste, i materiali utilizzati sono di pessima qualità.

La legalità e il rispetto delle regole diventano, così un “fastidioso” problema, risolto con la rimozione delle responsabilità e la negazione delle caratteristiche ormai esclusivamente speculative del fenomeno dell’abusivismo edilizio. E nelle rare occasioni in cui qualche magistrato o qualche sindaco coraggioso decidono di dare corso all’obbligo, previsto per legge, della demolizione, la casa da abbattere è sempre abitata da qualche “bisognoso”, che merita proteste e manifestazioni di solidarietà da parte di rappresentati politici (spesso senza distinzioni di schieramento) o autorità ecclesiastiche.

In questo clima, inaccettabile per un Paese civile, solo nel 2011 l’industria del mattone illegale ha messo a segno 25.800 nuovi abusi, tra case ex novo e significativi ampliamenti di volumetria in immobili preesistenti. Una cifra che rappresenta il 13,4% del totale delle nuove costruzioni. Significa che oltre una nuova casa su dieci di quelle sorte nell’ultimo anno è fuorilegge. Il “processo di accumulazione” nel corso del tempo è micidiale. Tra il 2003, ultimo anno in cui era possibile presentare la domanda di condono edilizio, e il 2011, infatti, il Cresme ha censito la cifra record di 258 mila case abusive, per un giro di affari illegale, basato sui numeri e sui valori immobiliari medi, che Legambiente calcola in circa 18,3 miliardi di euro.

A questa colata di cemento fuorilegge si deve sommare il vecchio abusivismo, quello costruito prima del 2003 e non condonabile, che fa brutta mostra di se lungo la penisola, molto spesso sulle coste, nelle zone di maggiore pregio paesaggistico, nelle aree più fragili del territorio dove esistono vincoli precisi legati al dissesto idrogeologico. Dove non si può edificare perché la terra frana e i fiumi esondano, inghiottendo tutto quello che trovano sulla loro strada, case e abitanti compresi.

A fronte di questa realtà, le demolizioni effettivamente eseguite nei comuni capoluogo di provincia che hanno risposto al questionario di Legambiente (realizzato nell’ambito della ricerca Ecosistema urbano 2012) sono state, dal 2000 al 2011, appena 4.956, ovvero il 10,6% delle 46.760 ordinanze emesse. Il provvedimento, insomma, arriva ma la possibilità di farla franca è comunque elevatissima.

La città con il maggior numero di ordinanze di demolizione emesse negli ultimi undici anni è Napoli, con 16.837 provvedimenti, che però riesce a portarne a termine solo 710, pari al 4% delle ordinanze. Va ancora peggio a Reggio Calabria (2.989) e Palermo (1.943), dove secondo i dati forniti dalle amministrazioni comunali non risulta eseguito neppure un abbattimento. Tra i comuni virtuosi vale la pena segnalare Prato (957 demolizioni effettuate, +111,5% rispetto a quelle emesse nello stesso periodo per l’esecuzione di provvedimenti relativi ad anni precedenti) e Genova, con 498 abbattimenti (25,7%).

Accanto al “buco nero” delle demolizioni, i risultati della ricerca evidenziano l’esistenza di una vera e propria eredità avvelenata dei precedenti condoni edilizi, rappresentata da centinaia di migliaia di richieste inevase, presentate in occasione delle leggi 47/1985, 724/1994 e 326/2003. Complessivamente le domande presentate sono state 2.040.544, quelle respinte 27.859, quelle ancora in attesa di una risposta ben 844.097 pari al 41,37% del totale, il grosso delle quali risale addirittura al primo condono, quello del 1985. Il primo comune come numero di domande è di gran lunga quello di Roma, con oltre 596.000 richieste di cui circa 262.000 ancora senza risposta.

In perenne attesa che queste domande vengano esaminate, molti immobili restano nella disponibilità dei loro proprietari in virtù di una anomala classificazione, quella di case “sanabili”, per il solo fatto che è stata presentata la richiesta di condono, indifferentemente dal fatto che sia accoglibile o meno. In questo modo sono proposte sul mercato immobiliare, per essere affittate o, addirittura, vendute case che potrebbero, invece, essere destinate all’abbattimento.

E’ quanto rischia di accadere anche con un altro “fronte”, quello delle cosiddette “case fantasma”. Nel 2010 l’allora governo Berlusconi inserì nella Finanziaria bis una norma sull’emersione degli immobili sconosciuti al catasto, incaricando l’Agenzia del territorio di censire il patrimonio edilizio “fantasma”. Si tratta di oltre 1.200.000 immobili censiti e il governo Monti a marzo del 2012 ha dato alla stampa cifre significative circa le somme che tutte queste proprietà immobiliari porteranno nelle casse pubbliche: tra Stato e Comuni dovrebbero entrare quasi 500 milioni di euro. Fatta la stima degli introiti, come spesso accade, è iniziato un balletto di cifre, di distinguo e precisazioni. Ma il punto è un altro: dentro quel patrimonio immobiliare ci sono anche tutte le case abusive. Quindi illegali e non tassabili, tutt’al più da abbattere. Il governo ha stabilito che gli accertamenti di conformità urbanistica toccano ai Comuni entro tempi stabiliti. Un auspicio, più che un richiamo alle responsabilità, che rischia di restare lettera morta. L’attività di verifica, infatti, in larga parte è ancora in corso oppure non è stata nemmeno avviata, mentre le cartelle esattoriali sono già partite.

Quella sull’emersione fiscale degli immobili non accatastati, insomma, è una legge che suscita più di una perplessità. Poche spiegazioni per un censimento che è stato presentato come un provvedimento di natura sostanzialmente tributaria. Simile a un minicondono, la legge ha consentito la regolarizzazione fiscale degli edifici non accatastati con forti sconti sugli arretrati: a quanti sono emersi spontaneamente, le multe per mancati pagamenti sono state ridotte di un terzo. Ma come si può pensare che si paghino le tasse su immobili che dovranno essere confiscati e demoliti? Evidentemente non si può. A meno che tutte le case autodenunciate non vengano considerate d’ora in poi oltre che fiscalmente in regola, anche conformi dal punto di vista urbanistico, ipotesi che sembra francamente azzardata.

Non bisogna mai dimenticare, peraltro, che ad alimentare il fenomeno dell’abusivismo edilizio è anche la connivenza delle pubbliche amministrazioni con la criminalità organizzata.
L’analisi dei decreti di scioglimento delle amministrazioni locali condizionate dalla mafia restituisce un dato inequivocabile: l’81% dei Comuni sciolti in Campania dal 1991 ad oggi, vede, tra le motivazioni, un diffuso abusivismo edilizio, casi ripetuti di speculazione immobiliare, pratiche di demolizione inevase. Il record va alla provincia di Napoli, con l’83% di Comuni commissariati anche per il mattone illegale, percentuale che scende al 77% per quelli in provincia di Caserta. In altri termini, oltre un milione di cittadini almeno una volta sono stati amministrati dalla camorra del cemento: un impasto di complicità tra clan e compiacenza di costruttori, uffici tecnici e politici. A Caserta, si legge nella nota del prefetto del 1991, l’abusivismo edilizio ha assunto dimensioni e gravità preoccupanti, è uno dei modi di riciclaggio del denaro da parte delle locali organizzazioni camorristiche e le costruzioni realizzate abusivamente e non censite sono centinaia. Il Comune omette di esercitare qualsiasi compito di vigilanza, accertamento e repressione. Stesso discorso a Boscoreale (Na), sciolto per due volte, nel 1998 e nel 2006, dove nel settore edilizio, ampiamente permeabile alle illecite interferenze della criminalità organizzata, è stato rilevato un significativo incremento di opere abusive “ricollegabile all’inerzia dell’ente nell’intraprendere azione di contrasto”. Idem a San Giuseppe Vesuviano, nel 2009 (con 1.154 abusi accertati nel periodo 2000-2008) risulta tra i territori della regione Campania maggiormente colpiti dall’abusivismo edilizio, la Prefettura denuncia “Una vera e propria “acquiescenza” dell’amministrazione comunale”.

2. Il “buco nero” delle demolizioni

Ardea sul litorale della provincia di Roma, Carini e Marsala in Sicilia, L’Ogliastra in Sardegna e le isole dell’arcipelago napoletano. Sono solo questi i posti in cui, i sindaci o le procure, hanno abbattuto edifici abusivi nel corso del 2011. Un risultato davvero sconsolante, se si pensa che si tratta in tutto di qualche decina di edifici abusivi sulla spiaggia.

Possiamo aggiungere qualche altro intervento nel corso del 2012, come quello avviato in autunno per la demolizione delle ville di Quarto Caldo, a San Felice Circeo, in provincia di Latina. Qui, dopo quasi quarant’anni dal sequestro che ha di fatto fermato le ville panoramiche allo stato di scheletri di cemento armato, sono stati abbattuti i primi due edifici dei dieci che compongono la lottizzazione abusiva del promontorio all’interno del Parco nazionale. Ma si tratta sempre di pochi e sporadici casi. La maggior parte di questi, stante la latitanza dei Comuni, avviene per ordine e intervento delle Procure della Repubblica.

Per contro, non sono mancate le ordinanze e i sequestri. A decine se ne contano, soprattutto nelle località balneari durante i mesi della stagione estiva, soprattutto in Puglia, in Calabria, in Campania, in Sicilia, dove la procura di Agrigento ha consegnato ai sindaci della provincia la lista degli immobili abusivi sul loro territorio intimandone le demolizioni e dove dopo oltre vent’anni il Comune di Realmonte ha finalmente deciso che l’ecomostro che sfregia la famosa spiaggia della Scala dei Turchi deve essere abbattuto.

Tuttavia il rapporto tra ordinanze ed esecuzioni è bassissimo. Lo rappresenta il dato rispetto alle città capoluogo di provincia riportato in tabella (72 Comuni su 104 intervistati): le demolizioni superano di poco il 10%. “Tra il dire e il fare”, dunque, spesso passano anni, sempre che al “fare”, ossia ad abbattere effettivamente gli immobili, ci si arrivi.

Ordinanze di demolizione e abbattimenti
nei Comuni capoluogo di provincia dal 2000 al 2011

Ordinanze

Demolizioni

Rapporto tra ordinanze ed esecuzioni

46.760

4.956

10,6%

Nota: si tratta delle sole ordinanze e demolizioni disposte dalla Pubblica amministrazione.

Fonte: Elaborazione Legambiente su dati dei Comuni capoluogo di provincia

La città con il maggior numero di ordinanze di demolizione emesse è Napoli, con 16.837 provvedimenti, che però riesce a portarne a termine solo 710, pari al 4%. A Reggio Calabria e Palermo, rispettivamente con 2.989 e 1.943 ordinanze, non risulta effettuato neppure un abbattimento. Il Comune più virtuoso sembra essere quello di Prato, dove le ordinanze eseguite dal 2000 al 2011 sono state ben 957 (un dato che tiene conto anche delle ordinanze adottate in precedenza; quelle emesse nello stesso periodo sono state, infatti, 876). Significativo anche il dato di Genova, con 498 demolizioni effettuate, pari al 25,7% delle ordinanze emesse.

3. I condoni dimenticati

Le pratiche di condono giacenti negli uffici tecnici dei Comuni italiani sono milioni. Riguardano non solo l’ultimo condono, quello del 2003, ma anche quello del 1994 e, addirittura, quello del 1985. In molti casi non si è nemmeno valutata la loro ammissibilità, così un impressionante numero di case abusive sopravvive grazie all’etichetta di “condonabile”, i proprietari ne dispongono senza problemi per il solo fatto di aver presentato la domanda di sanatoria e aver versato l’oblazione corrispondente.

Una situazione gravissima, a cui gli enti locali inadempienti devono essere obbligati a mettere mano, avviando l’esame preliminare delle richieste che consente di fare una scrematura importante, eliminando subito le pratiche inammissibili. Devono dunque: 1) eliminare le domande con documentazione incompleta (che per la legge del 1994 doveva essere prodotta entro tre mesi di tempo); 2) eliminare tutte le pratiche di nuove costruzioni in aree vincolate (condono 2003); 3) eliminare tutte le pratiche relative a opere non residenziali (condono 2003). Fatti questi passaggi, in breve tempo si riduce la mole di richieste da esaminare.

L’inerzia dei Comuni – non sanzionata in alcun modo –su questo fronte non è ammissibile, se si vuole incidere in modo significativo sul tema dell’abusivismo (consentire che il vecchio abusivismo la faccia franca significa incentivare la realizzazione di nuovo abusivismo) e delle mancate demolizioni. I Comuni spesso, giudicato congruo l’ammontare delle oblazioni, danno l’ok all’ammissione al condono senza alcuna verifica materiale dell’abuso. Va ricordato che il versamento dell’oblazione non estingue in alcun modo il reato.

Nella tabella che segue, relativa ai soli capoluoghi di provincia (72 su 104 intervistati), appare chiaro il divario tra il numero di domande presentate e quelle sottoposte a valutazione, sia essa con esito positivo o negativo: sommando i tre condoni (1983, 1994 e 2003) nei capoluoghi di provincia italiani sono state depositate 2.040.544 domande di sanatoria. Di queste, il 41,3% risulta ancora oggi inevaso.

I condoni edilizi nei Comuni capoluogo di provincia

Condono

Richieste

Ammesse

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Respinte

page5image23080

In attesa di valutazione

L. 47/1985

1.513.165

930.443

15.626

page5image29592

567.096 (37,48%)

L. 724/94

312.663

167.720

6.901

138.042 (44,15%)

L.209/2003

214.716

70.425

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5.332

138.959 (64,72%)

Totale

2.040.544

1.168.588

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27.859

page5image46944

844.097 (41,37%)

Fonte: Elaborazione Legambiente su dati dei Comuni capoluogo di provincia

Le prime dieci città capoluogo per richieste di condono edilizio

Città

Domande di condono (85-94-03)

Ammesse

Respinte

In attesa

1

Roma

596.680

334.310

page6image15320 page6image15744

56

page6image16672 page6image17096

262.314

2

Milano

138.550

107.000

1.700

29.850

3

Firenze

88.400

75.920

12.480

4

Torino

84.931

56.229

649

28.053

5

Napoli

84.912

36.264

830

47.818

6

Venezia

71.376

57.861

3.402

10.113

7

Bologna

63.806

6.700*

1.106*

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56.000*

8

Palermo

60.527

5.827

973

53.727

9

Genova

48.641

43.309

page6image69832 page6image70256

2.294

3.038

10

Prato

39.038

19.048

page6image78736 page6image79160 page6image79320 page6image79912

2.101

17.889

*manca il dato rispetto alle domande accolte e respinte del condono del 1985

Fonte: Elaborazione Legambiente su dati dei Comuni capoluogo di provincia

Una classifica che richiede alcune spiegazioni. Non deve stupire la posizione di Napoli, città martoriata dall’abusivismo edilizio, così come quella di Palermo. E allo stesso modo non deve stupire l’assenza dalla top ten di città martoriate dall’abusivismo come Reggio Calabria, Cosenza, Catania, Bari, Latina. E’ utile infatti ricordare che chi avanza una richiesta di condono, di solito, ha ragionevoli aspettative di ottenerlo, di raggiungere un esito positivo e sistemare così i conti con la legge e mettere al sicuro la propria casa. Viceversa, se si tratta di provare a sanare un edificio costruito illegalmente in aree a vincolo di inedificabilità assoluta, è improbabile che la si presenti. Quindi, questi numeri rappresentano il patrimonio illegale costruito prima del 2003 nelle città italiane che hanno le caratteristiche necessarie per beneficiare del condono edilizio, le case insanabili restano fuori.

Allo stesso modo, si tenga presente che vengono avanzate richieste di condono più spesso per piccoli o medi interventi edilizi (ampliamenti di volumetrie esistenti, chiusure di terrazzi, abitabilità dei sottotetti, etc.) e non per costruzioni ex novo. Questo spiega il vertice della classifica occupato da alcune grandi città del nord Italia, centri densamente urbanizzati, dove difficilmente il reato riguarda immobili completamente illegali e quindi è più diffuso il piccolo abuso.

4. Le case fantasma e i tentativi di un quarto condono

Quello sull’emersione degli immobili non accatastati, come già detto in premessa, è un provvedimento basato in primo luogo sull’autodenuncia dei proprietari, che avevano tempo fino al 30 aprile 2011 per fornire gli aggiornamenti catastali dei propri immobili. Solo in seguito l’Agenzia del territorio ha avviato una mappatura aerea per rilevare gli edifici non denunciati e chiedere ai Comuni gli accertamenti urbanistici. Il risultato del “censimento” è impressionante: sono oltre 1.200.000 gli immobili “fantasma”, costruiti ma non accatastati. E c’è di tutto, dagli edifici pubblici ai capannoni industriali fino a case e palazzine.

Sul sito dell’Agenzia del territorio oggi è possibile consultare un data base e verificare lo status di valutazione di ogni singola particella “emersa” in ogni Comune d’Italia. Accanto a ogni edificio da regolarizzare compare una dicitura che ne definisce il grado di accertamento.

Scorrendo l’inventario dell’Agenzia del territorio, una parte consistente degli immobili in fase di accertamento compare con la postilla “concluso senza aggiornamento”, per moltissimi viene indicata l’attribuzione della rendita presunta, molti altri sono ancora in corso di valutazione.
Per uscire dall’impasse è indispensabile incrociare dati e mappe, così da mettere in evidenza il patrimonio abusivo finito nel conteggio degli immobili non accatastati; rifare gli elenchi e, quindi, i conti sull’extragettito fiscale. Una verifica che secondo Legambiente deve valere anche per quanto emerso dall’autodenuncia dei proprietari: solo dopo aver portato a termine tutti i controlli si potranno tirare le somme. Perché è evidente che solo l’ipotesi di accatastare un edificio abusivo mette in contraddizione il rispetto delle leggi fiscali con quelle urbanistiche. Più semplicemente, non si può fare. In mancanza di sanatoria edilizia deve intervenire la demolizione. Altrimenti saremmo di fronte a un condono mascherato, ossia il quarto della storia repubblicana.

Ben venga dunque la fotografia del patrimonio edilizio che porta a galla un pezzo importante dell’evasione fiscale nel nostro paese. Ma è fondamentale che nel novero delle case a cui fare arrivare le cartelle esattoriali il governo non metta anche quelle costruite illegalmente. Sarebbe, invece, un segnale importante se le entrate straordinarie determinate dall’emersione fiscale delle case non abusive venissero considerate una sorta di “tassa di scopo”. Andassero cioè a rimpinguare il fondo di rotazione della Cassa depositi e prestiti cui i Comuni possono attingere per pagare gli interventi di demolizione del “patrimonio” abusivo.

Accanto al problema dell’emersione fiscale delle case sconosciute al catasto, c’è poi l’incessante tentativo di alcuni parlamentari di fare passare un quarto condono edilizio. O meglio, di riaprire i termini del terzo condono, quello del 2003, per farci rientrare le case abusive della Campania che non hanno potuto beneficiarne perché escluse da una legge regionale, la n.16 del 2004.

E devono essere tante, queste case. Oppure sono di gente molto importante. Solo così si spiega la pervicacia con cui una pattuglia di senatori eletti in quella regione prova con ogni mezzo da quasi tre anni a fare votare il condono. Ultimo in ordine di tempo si è prestato alla causa il senatore Giovanardi, presentando un emendamento al decreto stabilità pressoché identico ai precedenti.

Ne abbiamo contati diciassette, comprendendo anche la sanatoria catastale del ministro Tremonti (ma potrebbe essercene sfuggito qualcuno). E, almeno per ora, sono tutti miseramente falliti.
Per contro, la petizione lanciata da Legambiente sulle pagine di repubblica.it a ottobre contro il ddl Palma ha totalizzato oltre 6.000 firme in solo 24 ore.

I tentativi di condono edilizio dal gennaio 2010 al dicembre 2012

Data

Strumento legislativo

Primi firmatari

Gennaio 2010

Emendamento al decreto Milleproroghe

Sen. Sarro, Nespoli (Pdl)

19 gennaio 2010

ddl

Sen. Villari (Mpa)

17 febbraio 2010

ddl

Sen. Sarro, Nespoli et alii (Pdl)

2 marzo 2010

ddl

On. Laboccetta (Pdl)

23 aprile 2010

Decreto “blocca ruspe”

31 maggio 2010

Sanatoria catastale

21 giugno 2010

Emendamento alla manovra economica correttiva

Sen. Tancredi, Latronico, Pichetto Fratin (Pdl)

28 giugno 2010

Emendamento alla manovra anticrisi

Sen, Sarro, Coronella (Pdl)

30 giugno

Consiglio regionale della Campania. Approvati 2 odg

Presidente della commissione urbanistica De Siano, capogruppo Pdl Martusciello

 

Giugno 2010

Emendamento alla manovra economica

Sen. Fleres, Alicata (Pdl)

1 luglio 2010

ddl

On. Stasi, Cesaro, Petrenga (Pdl)

Agosto 2011

Emendamento

Sen. Coronella (Pdl)

Febbraio 2012

Emendamento al decreto milleproroghe

Sen. Sarro, Coronella, Palma (Pdl)

Maggio 2012

3 odg in commissione Ambiente al Senato

Sen. Sarro, Coronella, Palma (Pdl)

Agosto 2012

Emendamenti al Decreto terremoto

Sen. Sarro, Coronella, Palma (Pdl)

Ottobre 2012

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ddl

Sen. Palma (Pdl)

Dicembre 2012

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Emendamento al Dl stabilità

Sen. Giovanardi (Pdl)

Fonte: Legambiente

5. La campagna “Abbatti l’abuso”

Nasce proprio dalle considerazioni raccolte in questo dossier la campagna “Abbatti l’abuso” lanciata da Legambiente, a cui ha aderito “Avviso pubblico”, l’associazione che raccoglie Comuni, Regioni ed enti locali impegnati contro la corruzione, le mafie e per la legalità (www avvisopubblico.it). Una campagna che ha un obiettivo concreto: dare il via alla demolizione degli immobili costruiti abusivamente nel nostro Paese, affrontando alla radice i problemi che finora hanno impedito l’affermazione della legalità.

A prima vista un’iniziativa che si propone di sostenere l’abbattimento delle case illegali, può sembrare impopolare, come dimostrano anche le manifestazioni di protesta che accompagnano quasi sempre le poche demolizioni effettuate. Ma ci sono situazioni in cui la necessità di demolire diventa socialmente accettabile, anzi. Pensiamo a quando l’abusivismo finisce sul banco degli imputati perché causa tragedie legate al dissesto del suolo o perché devasta gli angoli più belli del Paese. Oppure a quando assume la forma e la sostanza della villa del boss o dello scheletro di cemento armato piantato in riva al mare.

Sono tre, allora, le parole d’ordine che vanno rilanciate con forza:
a) Fare rispettare le leggi, perché le regole della convivenza, il rispetto per ciò che è pubblico, sono principi che vanno riaffermati se si vuole davvero provare a riscattare le sorti economiche, etiche e sociali del nostro Paese. Reprimere il reato di abusivismo edilizio è un passo indispensabile per evitare nuove colate di cemento fuori controllo e scongiurare nuovi condoni;
b) Liberare il paesaggio, naturale o urbanizzato che sia, dalla piaga del brutto, dalle speculazioni della criminalità o di chi semplicemente pensa di poter deturpare un patrimonio comune a proprio piacimento e interesse. Eliminare manufatti illegali significa aggiungere valore al principale prodotto turistico che abbiamo: la bellezza del nostro Paese.
c) Mettere in sicurezza il territorio e la popolazione che lo abita: quando l’Italia frana e i corsi d’acqua esondano, ormai con puntualità drammatica e con un sempre più pesante carico di danni e di vittime, la questione del “costruito dove non si doveva” torna alla ribalta. E sono tutti d’accordo, politici, media, cittadini sul fatto che una casa non vale la vita delle persone. Poi, passata la tragedia, ecco che tutto torna come prima e ci si dimentica, come in un incantesimo, che costruire nel letto di un fiume, sopra o sotto una collina a rischio, è pericoloso.
La campagna nasce anche dalla considerazione che tra il dire (la contrarietà al fenomeno dell’abusivismo) e il fare (il ripristino dei luoghi e della legalità) c’è di mezzo la realtà, ovvero l’inerzia delle istituzioni. Basti pensare al bassissimo rapporto tra sequestri e demolizioni che abbiamo riportato nelle pagine precedenti, tanto che i casi di procedimento avviato, molto spesso più per via giudiziaria che amministrativa, che si concludono con l’intervento delle ruspe si contano ogni anno sulle dita di una mano.

E’ necessario, allora, denunciare le omissioni, allargare il fronte dell’antiabusivismo, ma soprattutto dare mano forte a chi demolisce, facendo uscire dall’angolo quella manciata di sindaci e uomini dello Stato che fanno il proprio dovere, spesso nell’isolamento generale, se non sotto la minaccia della criminalità. Occorre promuovere e moltiplicare le esperienze positive, impegnarsi a trovare soluzioni, anche per le situazioni più difficili da affrontare, come quelle dell’abusivismo edilizio consolidato. Ma soprattutto rendere socialmente popolare la pratica delle demolizioni, innescare un meccanismo di evoluzione culturale, che riscatti gli italiani dall’inciviltà con cui si sono abituati a convivere.

Ecco perché Legambiente ha deciso di dare vita a una campagna nazionale che metta al centro la demolizione delle case illegali. Per restituire al Paese i luoghi violati, eliminando manufatti che molto spesso sono rimasti delle incompiute, desolanti scheletri in cemento che da decenni sfregiano il paesaggio agricolo, alberghi e villaggi turistici illegali a picco sul mare, decine di migliaia di villette che hanno cancellato le spiagge più belle. Sono otto le iniziative specifiche previste per rilanciare il tema della lotta al cemento illegale: un riconoscimento nazionale ai sindaci demolitori; il censimento degli abbattimenti; un manuale per i cittadini che vogliono attivarsi in difesa del proprio territorio; modifiche legislative in materia di antiabusivismo; blitz e campagne mediatiche; monitoraggio della questione delle “case fantasma” e iniziative per la chiusura delle sanatorie edilizie ancora aperte.

6. Un disegno di legge contro il mattone selvaggio

Scioglimento dei Comuni che non adottano il Piano comunale di demolizione degli immobili abusivi. Potenziamento del fondo di rotazione presso la Cassa depositi e prestiti, con 150 milioni di euro da destinare agli abbattimenti, alimentato dal pagamento delle spese di demolizione. Tempi certi per le ordinanze (20 giorni), e per il periodo massimo entro cui effettuare la demolizione o l’acquisizione a patrimonio comunale (60 giorni). Intervento diretto delle prefetture per gli abusi commessi in aree vincolate. Sono queste le principali novità contenute nel disegno di legge predisposto da Legambiente e presentato sia al Senato che alla Camera, primi firmatari i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta e gli onorevoli Ermete Realacci (Pd) e Fabio Granata (Fli).

Il ddl ha come obiettivo quello di integrare e potenziare le previsioni in materia di abusivismo e demolizioni della L.380/2001, accentuando le responsabilità degli enti locali e inasprendo le sanzioni, anche per i Comuni che non evadono le pratiche di condono edilizio giacenti nei loro uffici tecnici. E facilitare, al contempo, l’azione di contrasto da parte delle istituzioni, migliorando la collaborazione tra gli enti, potenziandone i poteri e aumentando le disponibilità finanziarie per fare fronte alle demolizioni. Tra le nuove norme sono previste, in particolare, l’istituzione di un Osservatorio nazionale sull’abusivismo edilizio, quella di un Albo speciale per le imprese di demolizione, con obbligo d’iscrizione, e una convenzione nazionale che regola l’intervento del Genio militare. Un’altra novità è rappresentata dalla destinazione, da parte dei Comuni, delle sanzioni amministrative per interventi di riqualificazione urbana.

Si tratta di evitare, sostanzialmente, che la mancata attuazione delle norme che prevedono la demolizione e/o l’acquisizione a patrimonio comunale degli immobili abusivi finisca per alimentare un clima di “rassegnata” accettazione del fenomeno, con tutte le conseguenze che ne derivano, a cominciare dall’assoluta perdita di credibilità dello Stato, incapace di far rispettare la legge. Il principio che deve essere ribadito e tradotto in azioni concrete è che demolire un immobile abusivo non è una facoltà, ma un preciso obbligo delle Amministrazioni comunali. Obbligo che deve essere accompagnato da strumenti e risorse adeguate per consentirne la concreta attuazione.

Va in questo senso, come già accennato, quanto previsto all’articolo 4, con la creazione di un Osservatorio nazionale sull’abusivismo edilizio, presieduto dal Ministro dell’Ambiente e composto da regioni, enti locali, forze dell’ordine, organi giudiziari e associazioni ambientaliste impegnate sul tema. Senza ulteriori oneri per lo Stato, dovrà, tra le altre cose, coordinare le attività sul fronte del contrasto all’abusivismo e verificare i piani comunali di demolizione e di ripristino dei luoghi.

Con l’articolo 5 si riducono i tempi perché l’amministrazione comunale possa entrare in possesso del bene immobile e procedere all’abbattimento in danno del proprietario, mentre con l’articolo 11 viene istituito presso il Ministero dello sviluppo economico l’albo speciale delle imprese abilitate alle demolizioni.

Sul fronte economico, l’articolo 12 stanzia 150 milioni di euro per la costituzione del Fondo per le demolizioni delle opere abusive a uso degli enti che provvedono agli abbattimenti. Le anticipazioni, comprensive della corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo, sono restituite al Fondo stesso in un periodo massimo di dieci anni, secondo modalità e condizioni stabilite con un decreto, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi. In caso di mancato pagamento spontaneo del credito, l’amministrazione comunale provvede alla riscossione mediante messa a ruolo. Gli introiti derivanti dal pagamento delle spese di demolizione e ripristino dei luoghi (articolo 13) confluiscono obbligatoriamente nel Fondo per le demolizioni delle opere abusive; le relative sanzioni amministrative confluiscono, invece, in un apposito fondo comunale e sono vincolate alla realizzazione di interventi di manutenzione stradale e del verde pubblico, creazione e manutenzione di piste ciclabili o aree pedonali e comunque per tutte quegli interventi atti a migliorare il decoro urbano.

Ma la novità probabilmente più rilevante, che introduce una sanzione esemplare per i comuni inadempienti, è quella prevista dall’articolo 7 e riguarda la chiusura delle pratiche di condono edilizio giacenti inevase negli uffici tecnici dei Comuni. La norma stabilisce che entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, le amministrazioni comunali devono inviare all’Osservatorio nazionale sull’abusivismo edilizio il quadro esatto delle domande di sanatoria e un piano con criteri e modalità per l’evasione, entro tre anni, di tutte le pratiche aperte. Il dirigente o il responsabile dell’ufficio tecnico che per inerzia o dolo non lo predisponga e non lo realizzi è sottoposto a procedimento disciplinare ed è passibile di sospensione dall’incarico. In caso di mancata attuazione del piano, il consiglio comunale del Comune inadempiente subisce lo scioglimento e l’Osservatorio subentra nell’incarico con le funzioni di struttura commissariale.

———————————- Fonti e riferimenti normativi.

“Abbatti l’abuso” , il manuale d’azione di Legambiente
“Mare Monstrum 2012”, dossier Legambiente
“Ecomafia 2012, le storie e i numeri della criminalità ambientale”, Legambiente, Edizioni ambiente www.lexambiente.it
www.normattiva.it
www.agenziaterritorio.it
– Legge n. 47/1985
– Legge n. 724/1994
– T.U 380/2001
– D.L. n. 269/2003
– Legge n. 326/2003
– D.L. n.78/2010