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molestie

La lezione di Antonella

Come si sente una giovane ricercatrice che riceve sgradite attenzioni sessuali dal suo capo: lo racconta con coraggio l’immunologa Antonella Viola

Uno dei più famosi genetisti del mondo, Pier Paolo Pandolfi, è stato cacciato da Harvard («sono io che me ne sono andato», dice lui) perché accusato di molestie da una giovane ricercatrice. Badate bene: Pandolfi non ha negato le attenzioni ma ha parlato di «uno scambio romantico che si è protratto per due, tre mesi». Che sia stato romantico ovviamente l’ha deciso, unilateralmente, lui. Chiaro.

Il Vimm di Padova (l’istituto veneto di medicina molecolare) decide di assumere Pandolfi ma il comitato scientifico dell’istituto decide di dimettersi in massa. Nessun riferimento alle molestie, ma chiedono di annullare la nomina per “evitare un grande scandalo” che potrebbe causare “un grave danno alla reputazione del Vimm ma anche dell’Università di Padova”.

Intanto Pandolfi parla di “sbandata romantica”, dice di essersi sbagliato e si scusa. L’immunologa Antonella Viola decide di prendere carta e penna e di scrivere al Corriere della Sera una lettera di grande coraggio perché c’è dentro un pezzo di vita, forte come sono forti tutte le esperienze autentiche. Scrive Antonella Viola:

«In una società civile un datore di lavoro non può concedersi una ‘sbandata’ per una dipendente e tempestarla di messaggi, seppur di natura romantica. Sembra incredibile doverlo spiegare, ma a quanto pare c’è chi è interessato a derubricare le molestie sessuali in sogno romantico non corrisposto. Proviamo quindi a immaginare come si possa sentire una giovane donna, fresca di studi, piena di entusiasmo per la ricerca, disposta a lasciare il suo Paese e i suoi affetti per inseguire il sogno della scienza in uno dei migliori laboratori al mondo, che comincia a ricevere le sgradite attenzioni sessuali da parte del suo capo. Non riuscite a immedesimarvi? Ve lo racconto io.
Prima di tutto parte un profondo senso di umiliazione per essere ridotta a uno stereotipo sessuale dalla persona a cui avevi affidato la tua crescita professionale. Il tuo mentore è colui al quale ti affidi completamente e il suo giudizio è la cosa più importante al mondo: lui ti sta dicendo che ti vede come una preda, non vede altro. Immediatamente dopo scatta la paura: tranne pochi casi di uomini davvero fisicamente molesti o pericolosi, la paura che ti assale non riguarda il tuo corpo ma il tuo futuro. Il pensiero ovvio in questi casi è: cosa sarà di me se dico di no? Sono libera di rifiutare le sue attenzioni? Come cambieranno da questo momento i nostri rapporti? Mi manderà via dal laboratorio? Mi affiderà un progetto scadente? Finisce qui la mia carriera? E sì, molte carriere finiscono proprio lì…
A volte perché il molestatore inizia a ricattare la vittima, altre perché davvero da quel momento la estromette dall’attività del laboratorio, o a volte perché il trauma subito è troppo forte per riprendersi e ritrovare l’entusiasmo necessario per fare il nostro lavoro. È un altro dei grandi problemi che noi donne affrontiamo e che minano regolarmente la nostra produttività e carriera.
Chi non l’ha vissuto non può immaginare il dolore, la vergogna, la paura, le notti insonni e le lacrime versate mentre ci si sente paralizzate e incapaci di trovare una via d’uscita. Non lo auguro a nessuno e, nel ruolo che adesso ho nella ricerca italiana, farò sempre di tutto per evitare che altre donne possano vivere una situazione così dolorosa. Non so come la ricercatrice in questione ne verrà fuori. Io ne sono uscita andando via, lasciando il laboratorio per ricominciare altrove, aggrappandomi a quella che per me non è mai stata una sbandata ma un vero amore: la scienza fatta di passione, integrità e rispetto delle regole».

Ed è una lezione limpida, cristallina di cui essere grati.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Scandalo molestie, respinta archiviazione per Tavecchio: “Una piccola vittoria”


Niente archiviazione per Carlo Tavecchio a seguito della denuncia dell’ex presidente della Lazio femminile per molestie sessuali. Il GIP di Roma oggi ha ordinato “l’effettuazione delle indagini indicate nell’opposizione di archiviazione”. «È una piccola vittoria – dice Elisabetta Cortani – ma soprattutto è uno spiraglio per un processo che stabilisca le reali responsabilità».
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Carlo Tavecchio ha molestato Elisabetta Cortani (ma lei è troppo “vecchia”, dice il PM) e non ne parla quasi nessuno

[Misteri del giornalismo italiano e (in fondo) naturale superficialità nell’approccio alle battaglie: quando alcuni mesi fa girò voce che Tavecchio avesse molestato una dirigente del calcio femminile (Tavecchio era presidente della FIGC) tutti i giornali si buttarono a capofitto, divisi come al solito tra chi urlavano “impossibile!” e chi invece si divertiva a entrare nei dettagli spinti per qualche pugno di clic. E in quei giorni che ho conosciuto lei, Elisabetta Cortani. In questi mesi ho vissuto la sua paura di non essere creduta, gli schizzi che le sono arrivati addosso e tutte quelle altre pessime pratiche che vengono utilizzate contro le donne quando denunciano gli uomini soprattutto se sono uomini di potere. Elisabetta ha preferito tacere e denunciare. Sì, denunciare (“denuncia! denuncia!” urlano sempre i giornali fallocrati: ecco, lei ha denunciato). Ora un tribunale dice che le molestie ci sono state. Eppure, non so se notate in giro, non ne parla quasi nessuno. Nel mondo escono il The Guardian e il New York Times ma qui poco o niente. Allora vale la pena rimettere in fila la storia dall’inizio. E lo faccio qui nel mio piccolo blog. Sul perché io lo faccia qui ognuno può fare le proprie considerazioni.]

Ci sono le prove. E c’è anche una denuncia, depositata al commissariato di Polizia di Roma il 24 novembre del 2017. La vicenda delle presunte molestie dell’ex presidente della FIGC Carlo Tavecchio è più di una semplice voce di corridoio e sta tutta scritta nell’esposto che Elisabetta Cortani, presidente della SS Lazio Calcio Femminile, ha inviato alla Procura di Roma. Dentro quelle carte c’è una storia che merita di essere raccontata, insieme al materiale video e audio che lei stessa ha registrato nell’ufficio di Tavecchio in occasione di uno dei loro incontri su suggerimento di un esponente delle forze dell’ordine.

Elisabetta Cortani è una dirigente molto conosciuta nel calcio femminile italiano: iscritta alla FIGC fin dal 2004 nell’anno successivo rileva la Lazio femminile che si trovava sull’orlo del fallimento. In quel periodo a presiedere la Lega Nazionale Dilettanti (che governa anche tutto il comparto del calcio femminile) c’era fin dal 1999 Carlo Tavecchio, che  poi l’undici agosto del 2014 diventerà presidente della FIGC. Un rapporto che, come racconta Elisabetta Cortani, sarebbe iniziato con un «atteggiamento molto distaccato» per diventare negli anni sempre «più cordiale» e sempre «meno improntato al rigido protocollo comportamentale in vigore all’interno della FIGC» fino a scivolare, nell’ultimo periodo, in «apprezzamenti» che sarebbero avvenuti «sempre – come racconta Cortani – nei momenti in cui non vi erano altre persone presenti». I temi degli incontri sono più o meno sempre gli stessi: le difficoltà del settore femminile, le iniziative da intraprendere e la cessione del titolo sportivo per il campionato di serie B femminile al presidente della Lazio Claudio Lotito, avvenuta nel 2015.

Cortani è un elemento vitale e attivo: nel maggio del 2015 il calcio femminile viene travolto dalle dichiarazioni del nuovo presidente della Lega Nazionale Dilettanti Felice Belloli (succeduto a Tavecchio dopo l’elezione di quest’ultimo a capo delle FIGC) che dichiarò pubblicamente di non voler dare ulteriori fondi al calcio femminile etichettando le giocatrici come «quattro lesbiche» e Cortani, lo racconta lei stessa, «indignata per tutto ciò e soprattutto per come venivano trattate dai vertici istituzionali le tesserate» decide di farsi portavoce di una gran numero di squadre del calcio femminile e chiede un incontro a Tavecchio per svincolare il settore femminile dalla Lega Nazionale Dilettanti.

Il primo incontro contestato risale proprio a quell’occasione. Il presidente Tavecchio l’avrebbe ricevuta nella sala d’aspetto al quinto piano della sede della FIGC a Roma in via Allegri perché, secondo il racconto della vittima, nel suo ufficio sarebbero state presenti altre persone. «Ha immediatamente chiuso la porta – denuncia Elisabetta – e, mentre continuava a parlare, passava davanti alle finestre chiudendo tutte le tende», poi si avvicinò e «mi mise le mani addosso toccandomi il seno dicendomi testualmente – ti trovo in forma, che belle tette che hai – e cercando di baciarmi sulle labbra». Elisabetta racconta di essere rimasta pietrificata, basita per quelle avances che seppur intuite nel tempo ora erano diventate così esplicite e violente; apre la porta della stanza e scappa. In auto, ad aspettarla, c’è il suo compagno. Lei scoppia in una crisi di pianto, lui sconcertato la invita a denunciare. Lei decide, per il momento, di non denunciare e nella sua deposizione ci sono poche parole che contengono tutto: «per mille problemi, ovvero, per paura».

Passano i mesi. Elisabetta decide di iscrivere la sua S. S. Lazio Calcio Femminile al campionato regionale per la stagione 2016-17 e proprio per questo nei primi giorni di agosto del 2016 deve rincontrare Tavecchio. Questa volta però decide di tutelarsi: consigliata da alcuni esponenti delle forze dell’ordine si munisce di un paio di occhiali in grado di videoregistrare l’incontro e in tasca ha un registratore. Per questo il loro dialogo è stato in parte registrato in video e totalmente registrato in audio.

Siamo al quinto piano della FIGC. Dopo l’ingresso della Cortani nel proprio ufficio Carlo Tavecchio comincia a raccontare della sua salute, della pressione mediatica e delle vicissitudini della nazionale maschile. Poi, improvvisamente, cambia tono: “sei in forma, scopi tanto!”. Elisabetta racconta: «talmente sono rimasta imbarazzata e interdetta da tale affermazione che non so per quale motivo ho risposto in modo secco. “Abbastanza”, ho detto». Il presidente non si scompone, allunga la mano per toccarle il seno e senza accorgersene disattiva la telecamera nascosta. Da qui in poi rimane comunque l’audio dell’incontro. «Ho cercato di respingere ogni avance con diplomazia – racconta Elisabetta Cortani – anche perché mi trovavo di fronte al Presidente della FIGC di cui sono tesserata ma nonostante i miei sforzi lui mi ha baciato velocemente e inaspettatamente per poi pulissi le sue labbra con le mani. Io gli ho detto (come si sente dall’audio nda) “non ho il rossetto”. E non solo. Quando Elisabetta fa per andarsene Tavecchio avrebbe cercato di spingerla sul divano vicino all’entrata dell’ufficio: «cercava con forza di spingermi sul dicano palpandomi contemporaneamente su tutto il corpo tanto che io cercavo di bloccarlo con una scusa, cercando di parlare di altre cose. Gli ho anche detto “Presidente ma è tutto aperto, smettila!” E lui mi ha risposto “…e chi se ne frega, non ci vede nessuno”. Elisabette si divincola e scende dal palazzo. In auto questa volta ad aspettarla oltre al compagno c’è anche la figlia: «sono scoppiata in una crisi di pianto. Mi sono vista umiliata e ferita profondamente come donna da un rappresentante istituzionale, dal mio Presidente, la persona che dovrebbe tutelarci».

È un fiume in piena mentre ripercorre quei momenti: Elisabetta Cortani è un misto altalenante di paura e indignazione. Sa bene che questa storia è un tormento di cui difficilmente riuscirà a liberarsene e, soprattutto, ha già vissuto la gogna: il 21 novembre scorso si è confidata con la giornalista Federica Seneghini del Corriere della Sera e la notizia di presunte molestie di Tavecchio (senza nessun riferimento all’identità della vittima) aveva già scatenato la solita, prevedibile orda difensiva. Qualcuno è anche risalito al suo nome ma lei aveva deciso di rimanere nell’ombra in attesa che si muovesse l’autorità giudiziaria: «un dirigente della FIGC nei giorni in cui uscì la notizia mi chiamò consigliandomi di smentire. Mi disse che “il presidente avrebbe sicuramente gradito”». Del resto all’uscita della notizia furono in molti a praticare un sinistro silenzio e il solito arroccamento difensivo: il presidente del CONI Malagò (che a Elisabetta Cortani non ha mai concesso un appuntamento per discutere di questa vicenda) il 22 novembre ha detto di avere chiamato Tavecchio “innanzitutto perché sono una persona educata – si legge in una nota di agenzia – e poi gli ho dato la mia solidarietà. Non do giudizi, ma senza elementi certi la componente umana prescinde dal ruolo che ricopre”; nessuna parola dal ministro Lotti e in più c’è il disinvolto tentativo di qualcuno (anche su questo punto le denunce sono in corso) di lucrare sulla vendita del materiale audio e video. La reazione alla denuncia di una donna molestata anche in questo caso assomiglia terribilmente allo scenario degli ultimi mesi, così è Elisabetta a temere di essere giudicata: «qualcuno potrebbe ritirare fuori la storia del mio ex marito (condannato per reati di droga) per cercare di screditarmi. Eppure con tutti i suoi problemi è un padre meraviglioso per i miei figli e sta pagando il suo conto con la giustizia», mi dice con un filo di voce. Qualcuno prova a raccontare che quella vecchia notizia del Corriere su Tavecchio (perché da noi invecchiano subito le notizie di cui si preferisce non parlare) fosse un bufala visto che non ci sono né prove né denuncia.

E invece ecco le prove. E la denuncia. Il 28 marzo il Pubblico Ministero della Procura di Roma Francesca Passaniti ha dichiarato chiuse le indagini preliminari riconoscendo le molestie e chiedendo al GIP l’archiviazione “ritenendo l’azione improcedibile per la tardività della querela” e non ravvisando nella figura dell’ex presidente Tavecchio la qualifica di pubblico ufficiale (come invece aveva chiesto l’avvocato di Elisabetta Cortani) che avrebbe permesso di rientrare nei termini. Secondo il PM infatti “è evidente che le ragioni dei due incontri […] seppur si siano svolti nell’ambito di vicende che riguardavano genericamente profili organizzativi o di promozione del calcio femminile, non rientrano nell’attività in senso stretto di «esercizio di pratica sportiva», e non tendevano direttamente allo scopo la cui attuazione può (eventualmente) determinare l’inserimento dell’attività svolta dalla Federazione nell’ambito della struttura pubblica del CONI”. E non è tutto: secondo il PM Elisabetta Cortani sarebbe troppo vecchia per essere intimidita. Sul punto l’avvocato della Cortani ha già annunciato opposizione al GIP e dichiara di intravedere a tutti gli effetti la possibilità di un’azione civile: il PM infatti riscontra nella registrazione dell’incontro tutti gli elementi contenuti nella denuncia.

Weinstein, il lupo cattivo e l’avvento del reale

Per evidenti motivi personali ho vissuto e vivo la vicenda del movimento #Metoo molto da vicino. Vicinissimo, direi, visto che per mesi ho raccolto la merda in giro per casa, convivendo con gli schizzi al mattino, al pomeriggio e la sera. Ho potuto assaggiare le reazioni (quelle buone e quelle cattive) con tutta l’amplificazione con cui sono arrivate addosso alle protagoniste, insieme alle reazioni scomposte di predatori parecchio preoccupati, alle inattese vicinanze di donne e uomini che hanno colto la fatica e il dolore e alle promesse più o meno disinteressate di certa politica.

Per tutto questo l’arresto di Weinstein oggi so quanto sia una liberazione. Per Asia, ovviamente, ma anche per Miriana, per Ambra e per tutte quelle che il nome non hanno nemmeno potuto dirlo, fragili come sono in una carriera che probabilmente non inizierà nemmeno, confuse come sono in mezzo agli aiuti promessi che poi non si sono realizzati, spaventate da una fallocrazia che se le è ingoiate con ferocia.

Weinstein di fronte alla polizia è l’avvento della realtà: i racconti escono dal gossip o dalle pagine unte di certa stampa e entrano nelle stanze della legge, dello Stato. So che sembra incredibile ma è rassicurante essere verificate dalle indagini quando per mesi si è state masticate da (pessimi) editorialisti.

Ed è il passo che, vedrete, arriverà anche qui. Ed è significativo come certi dolori possano essere rassicurati dalla giustizia, quella stessa che i predoni sventolano per zittire le vittime e di cui invece hanno una paura fottuta.

È un giorno buono. Sì.

 

Una multa da 90 a 350 euro per chi molesta le donne in strada: in Francia pronta la legge

La Francia pensa a una multa per le molestie di carattere “sessuale o sessista” in strada. Cinque mesi dopo essere stati incaricati dal governo di lavorare ad una possibile contravvenzione per “molestie di strada”, cinque parlamentari di diverso colore politico – dal partito di maggioranza La République En Marche fino a La Nouvelle gauche e i centristi dell’ Udi – hanno presentato un rapporto sul tema. “Permettere un cambiamento delle mentalità” e combattere quella sottile “zona grigia” tra corteggiamento e molestie: questo l’obiettivo del rapporto consegnato ai ministri Marlène Schiappa (Parità), Nicole Belloubet (Giustizia) e Gérard Collomb (Interni).

Tra le 23 raccomandazioni contenute nel testo, in particolare una multa dai 90 ai 350 euro per “ogni dichiarazione o comportamento o pressione di carattere sessista o sessuale” nello spazio pubblico che violi la dignità della persone a causa del carattere “degradante o umiliante”, o che crei un “contesto intimidatorio, ostile o offensivo”. Sulla delicata questione di dimostrare la flagranza di reato, il rapporto indica che gli agenti potranno, tra l’altro, consultare le telecamere di sorveglianza ma anche strumenti “innovativi di segnalazione dei fatti”, come ad esempio un semplice video realizzato con lo smartphone. Uno dei relatori, Erwan Balanant, propone l’idea di “un’applicazione per segnalare e geolocalizzare le aggressioni” oltre che una vasta campagna di sensibilizzazione dei cittadini.

“L’istruzione è la chiave del problema”, spiega Balanant, secondo cui la Francia ha un deficit in materia di istruzione sulla parità di genere”. Proposto anche un attestato scolastico per la prevenzione delle violenze come anche la creazione di un osservatorio in ogni scuola superiore. L’obiettivo, appunto è contrastare le cosiddette “zone grigie” che includono, tra l’altro, “gesti inopportuni, fischi, sguardi insistenti commenti osceni”, o seguire una persona in strada.

La multa anti-molestie potrebbe essere inclusa nel progetto di legge contro le violenze sessiste e sessuali che la ministra alla Parità, Marlene Schiappa, presenterà entro fine marzo in consiglio dei ministri per un voto in parlamento entro l’estate. Il testo prevede anche l’allungamento della prescrizione per crimini sessuali su minori da 20 a 30 anni e la definizione di una soglia minima di età per il consenso in una relazione sessuale con un adulto. Intanto, alla vigilia dei César, gli Oscar francesi, oltre cento personalità hanno firmato un appello sul quotidiano Le Monde per l’instaurazione di quote rosa nell’industria cinematografica.

(fonte)

Abbiamo un piano contro la violenza sulle donne

ActionAid ha predisposto un piano contro la violenza sulle donne che è un punto programmatico già pronto per la politica chiaro, semplice. Un gioiello.

Azzerare la violenza sulle donne è prima di tutto una battaglia culturale: probabilmente la più importante, capace di trasformare l’intera società. È possibile se la si assume come una priorità di tutti noi, a tutti i livelli, non solo relegata a una politica, a un dipartimento, a un Ministero, ma come sfida e impegno per tutto il Paese, in cui ciascuno di noi, a partire dai gesti più semplici che scandiscono la nostra quotidianità, può fare la differenza. Nessun candidato che ambisce a rappresentarci dovrebbe chiamarsi fuori da questo impegno, nessun partito può esimersi dall’identificare azioni chiave per perseguire questo ambizioso, ma realizzabile obiettivo. Un Ministero per le Pari Opportunità, con potere di spesa e coordinamento di azioni interministeriali è il minimo requisito per un Governo che dichiara di accettare la sfida per una società meno diseguale e meno discriminatoria.
Non può esserci vittoria nella battaglia alla violenza sulle donne senza una strategia ben chiara, definita nelle attività e programmata nel tempo. Per questo, ActionAid chiede l’attuazione del Piano Nazionale Antiviolenza 2017-2020, e che esso sia seguito da Piani successivi negli anni a venire, finanziati e monitorati, per assicurare stabilità in termini di azioni strutturali e finanziamenti. Il Piano attuale dovrebbe ispirare l’azione di istituzioni, cittadini, scuole, media per i prossimi 3 anni. I fondi sono stati annunciati e sono in aumento rispetto a quanto stanziato finora. È importante che il Piano e i finanziamenti procedano di pari passo, il più possibile in maniera integrata nella pianificazione degli interventi e nella loro valutazione. Il Piano dovrà essere conosciuto e al centro dell’azione coordinata tra i Ministeri, in uno sforzo di alto livello di impegno istituzionale.
Quote significative degli ultimi stanziamenti non sono state utilizzate. Inoltre è difficile ricostruire la filiera di spesa di larga parte delle risorse. Questa situazione fa perdere fiducia agli attori e alle attrici che lavorano contro la violenza nella capacità del sistema di usare a pieno le risorse disponibili. Affinché i fondi siano utilizzati efficacemente e le azioni tracciate e valutate, serve che entrambi questi elementi siano costantemente monitorati tramite un sistema che garantisca accesso ai dati amministrativi e finanziari, così come trasparenza e puntualità nella rendicontazione.
ActionAid chiede l’attivazione di nuove e più efficienti forme di assistenza e sostegno alle donne che subiscono violenza e ai/alle loro figli/figlie. A partire dal sostegno ai Servizi territoriali (sociali e di inserimento lavorativo) dei Centri antiviolenza e degli altri attori sociali (imprese, forze dell’ordine, sindacati) che entrano in gioco in queste circostanze, in particolare per facilitare l’empowerment economico delle donne. L’accesso al mondo del lavoro, il sostegno al reddito durante il percorso di uscita dalla violenza, strutture di accoglienza di secondo livello e il rafforzamento dei centri nella loro capacità di interpretare bisogni economici e fornire orientamento alle donne che hanno subito violenza sono azioni prioritarie sulle quali investire con determinazione.
La prima cosa di cui c’è bisogno dopo aver subito una violenza, è protezione. Per questo ActionAid chiede il rafforzamento delle reti che uniscono e mettono in collaborazione tra di loro tutte le istituzioni, le associazioni e gli organismi del privato sociale operanti nel sostegno e nell’aiuto alle donne che subiscono violenza e ai loro figli. Più sinergia, più coordinamento, più efficienza, in poche parole: più protezione.
Le nuove generazioni, i nostri figli, devono imparare fin da subito a relazionarsi in modo inclusivo, rispettoso e non discriminatorio nei confronti degli altri. Spetta alla scuola educare fin da piccoli gli adulti di domani, sensibilizzando e formando gli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere. Le scuole e gli attori del privato sociale possono essere incoraggiati nella promozione di percorsi educativi che coinvolgano bambini, adolescenti e ragazzi oltre al personale docente e alle famiglie. Finanziamenti adeguati a tal fine vanno previsti per non far sì che restino azioni isolate o lasciate alla buona volontà delle istituzioni scolastiche.
Rifiutare gli stereotipi e non tollerare sessismo anche nella politica è una condizione imprescindibile per costruire un dibattito pubblico rispettoso, inclusivo, che sia di esempio per il dialogo tra cittadini e cittadine.
Le mutilazioni genitali femminili devono tornare a essere una priorità dell’azione di contrasto alla violenza, in un’ottica di dialogo e di integrazione delle comunità migranti presenti in Italia. Si stima che diverse migliaia di donne e ragazze abbiano subito nei paesi d’origine la mutilazione degli organi genitali. Bambine e giovani donne possono essere a rischio di subire le suddette mutilazioni al loro rientro nei paesi d’origine: un’azione di prevenzione nei luoghi educativi e nei presidi della salute e dell’istruzione italiani è cruciale. Per continuare a combattere questa pratica, chiediamo al futuro Governo italiano di assicurare azioni strutturali e continuative nel tempo per prevenire le mutilazioni femminili, con risorse adeguate e certe, valorizzando in particolare le attività che mirano al coinvolgimento delle comunità provenienti da Paesi dove il fenomeno è ancora diffuso.

Trovate tutto il materiale della campagna qui.

Anche i ricchi molestano: i “manager” londinesi dalla mano lunga

(Traduzione di Anna Bissanti)
Copyright The Financial Times Limited 2018

LONDRA – Alle 22 di giovedì scorso, Jonny Gould è salito sul palco della sala da ballo del Dorchester Hotel di Londra e ha annunciato con voce tonante: «Benvenuti all’evento meno politically correct dell’anno!»

Il conduttore di trasmissioni sportive era lì per ospitare un’asta di beneficenza, il clou del riservatissimo evento serale annuale, il Presidents Club Charity Dinner.
Scopo ufficiale della serata era raccogliere fondi da destinare in beneficenza a cause importanti, come il Great Ormond Street Hospital, l’ospedale pediatrico famoso nel mondo che sorge nella zona di Bloomsbury a Londra.

All’asta, tra altre cose, figuravano un pranzo con Boris Johnson, il ministro britannico degli Esteri, e un tè pomeridiano con il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney. Eppure, quella raccolta di fondi per beneficenza è diversa da qualsiasi altra. È per soli uomini. È una serata in smoking. All’evento di giovedì hanno preso parte circa 360 personaggi di spicco del mondo degli affari, della politica, della finanza e dello spettacolo britannico, insieme a 130 hostess assunte apposta per l’occasione.

A tutte le ragazze è stato comunicato di indossare abiti neri succinti, biancheria dello stesso genere, e tacchi alti. A una festa che ha fatto seguito alla serata molte hostess – alcune delle quali studentesse che arrotondano, cercando di guadagnare qualcosa in più – sono state palpeggiate e molestate sessualmente e hanno ricevuto esplicite proposte sessuali.

L’evento è un appuntamento fisso nel calendario sociale londinese degli ultimi 33 anni, anche se le attività di tale serata erano rimaste finora per lo più segrete, cosa alquanto insolita – se si vuole – per un evento di raccolta fondi di beneficenza di tale portata. Le questioni sollevate sulla serata hanno assunto una luce tutta particolare a causa dell’atmosfera altrettanto particolare che si respira di questi tempi nel mondo degli affari, dove poco alla volta si stanno abbattendo i bastioni delle molestie sessuali e della mercificazione istituzionalizzata delle donne.

La settimana scorsa il Financial Times ha inviato a quell’evento serale due persone sotto copertura a lavorare in qualità di hostess. Alcuni giornalisti sono riusciti a entrare anche nella sala da pranzo e nei bar vicini. Per circa sei ore, molte hostess presenti hanno subito palpeggiamenti, espliciti commenti pesanti e inviti insistenti a unirsi a cena a qualcuno in una camera del Dorchester. Molte di loro hanno riferito di essere state palpeggiate sotto le gonne di continuo. Una ha detto che durante la serata uno dei presenti le ha addirittura mostrato il pene.

“A tutte le ragazze è stato comunicato di indossare abiti neri succinti, biancheria dello stesso genere, e tacchi alti”

Il WPP, il conglomerato del FTSE 100 che opera in campo pubblicitario, sponsorizzava un tavolo, quella sera, come ha fatto negli anni precedenti (il gruppo ha annunciato oggi il ritiro della sponsorizzazione, ndr). Martin Sorrell, il chief executive, quest’anno non era presente, anche se in passato lo è sempre stato. Andrew Scott, il suo chief operating officer in Europa, presiedeva il tavolo in sua assenza. Tra gli sponsor degli altri tavoli c’erano CMC Markets, la società di scommesse quotata alla Borsa del Regno Unito, e Frogmore, l’azienda di investimenti immobiliari con sede a Londra.

Il Financial Times ha potuto vedere lo schema dei tavoli e dei posti a sedere all’evento della settimana scorsa, e l’elenco delle persone che avrebbero dovuto parteciparvi comprendeva, tra altri, alcuni personaggi di spicco del mondo imprenditoriale britannico e ben conosciuti, come Philip Green di Arcadia Group, la star di Dragons Den, Peter Jones, e il capo di Ocado, Tim Steiner. Tra i finanzieri presenti nel prospetto dei posti a sedere figuravano Henry Gabay, fondatore dell’hedge fund Duet Group, e Makram Azar, capo della banca di investimenti per le imprese in Medio Oriente di Barclays.

Tra i personaggi del mondo della politica c’erano Nadhim Zahawi, sottosegretario di stato per la famiglia e i bambini di nomina recente, e Jonathan Mendelsohn, un laburista che raccoglie fondi per il partito. Non è chiaro se tutti coloro che erano presenti nell’elenco del prospetto dei posti a sedere abbiano preso effettivamente parte alla serata. Ospite dell’evento era il comico David Williams. In passato hanno preso parte a questa serata nomi del calibro di Michael Sherwood, ex vice-presidente di Goldman Sachs, e Poju Zabludowicz, un miliardario finlandese che opera nel settore immobiliare e che finanzia il partito conservatore.

“I sostenitori dell’evento sono rappresentativi della ricchezza e influenza del mondo degli affari in Gran Bretagna”

I sostenitori presenti e passati di questo evento sono quanto mai rappresentativi della ricchezza e dell’influenza del mondo degli affari in Gran Bretagna. Tra i proprietari d’azienda figurano Nick Candy, costruttore immobiliare di fascia alta; l’ex magnate del mondo della Formula 1 Bernie Ecclestone; e il presentatore televisivo Vernon Kay. Anche il fondatore di CMC Markets, Peter Cruddas, vi ha partecipato con regolarità.

L’evento ha il lodevole scopo di raccogliere fondi con pezzi di prestigio messi all’asta. Negli ultimi trent’anni dell’evento del President Club, sono stati raccolti per beneficenza oltre 20 milioni di sterline. E il solo evento di giovedì sera ha consentito di raccogliere oltre due milioni di sterline.
Il fondo di beneficenza dell’organizzazione ha due copresidenti: Bruce Ritchie, un imprenditore del settore immobiliare di Mayfair che ha fondato Residential Land, e David Meller, specialista del gruppo del lusso Meller Group, che siede anche al tavolo del Consiglio del Dipartimento della pubblica istruzione e a quello del Fondo del sindaco per Londra. Tuttavia, l’asta consente di approfondire l’aspetto più audace della serata.

Tra i lotti messi all’asta figuravano una notte al locale di spogliarello Windmill di Soho e un ciclo di interventi di chirurgia plastica accompagnati dall’invito a “aggiungere un po’ di pepe alla vostra vita”.

La brochure ricevuta includeva un avviso a tutta pagina: nessuno dei presenti e nessun componente dello staff sarebbe stato molestato sessualmente. L’elegante catalogo in carta patinata dell’asta distribuito ai presenti durante la serata comprendeva varie pose e immagini di Marilyn Monroe in abiti succinti e attillati.

La natura dell’evento si è intuita al momento dell’assunzione delle hostess. Il compito di reclutarle per la cena è stato assegnato a Caroline Dandridge, fondatrice di Artista, un’agenzia specializzata nel reclutare ospiti e hostess per quelli che alcuni definiscono «li eventi più prestigiosi del Regno Unito».
Questo è un lavoro che o si ama o si detesta. Alcune ragazze lo amano, mentre per altre è il peggiore della loro vita, qualcosa che non rifarebbero mai. Nel colloquio iniziale, Caroline Dandridge le ha avvisate che gli uomini presenti all’evento avrebbero potuto essere “fastidiosi” o “molesti” o addirittura farle “irritare molto”. A una hostess è stato consigliato di mentire al fidanzato sul fatto che la serata era per soli uomini: «Digli soltanto che si tratta di una cena di beneficenza», le è stato detto.

«Questo lavoro o lo ami o lo detesti», ha detto Dandridge alle hostess. Due giorni prima della serata, ha poi comunicato per email che i loro cellulari quella sera sarebbero stati «messi al sicuro da qualche parte» e che i rispettivi fidanzati o fidanzate non sarebbero stati i benvenuti alla serata.

“Le hostess con i tre requisiti «alta, magra e graziosa» sono state pagate con 150 sterline più 25 per il taxi fino a casa”

Tra i requisiti pretesi per la serata ce n’erano alcuni ben dettagliati: tutte le hostess avrebbero dovuto indossare “scarpe nere sexy a tacco alto”, biancheria intima nera, e truccarsi e pettinarsi come se avessero dovuto andare in un “posto elegante e sexy”. Vestiti e cinture sarebbero stati forniti il giorno stesso. Per le hostess che soddisfacevano tutti e tre i requisiti – “alta, magra e graziosa” –, il lavoro, retribuito con 150 sterline più altre 25 per il taxi per rientrare a casa, è iniziato intorno alle 16.

La provenienza delle decine di hostess che i giornalisti hanno incontrato è quanto mai varia: molte sono studentesse che sperano di dare presto inizio alla loro carriera di avvocate o dirigenti marketing; altre si destreggiano in vari lavoretti come attrici, ballerine o modelle e per arrivare a fine mese in qualche caso accettano di lavorare come hostess.

Una volta arrivate al Dorchester Hotel, per prima cosa le ragazze hanno dovuto firmare un contratto di cinque pagine sulla serata, nel quale si impegnavano a non riferire quanto sarebbe accaduto. Alle hostess non è stata data l’opportunità di leggere il contenuto di quello che firmavano, né di ottenerne una copia dopo aver firmato.

In un primo momento, le hostess sono state radunate nell’Orchard Room del Dorchester Hotel, dove un team di parrucchieri e truccatori le ha preparate per l’evento serale. Durante i preparativi, alcune delle ragazze che per la prima volta facevano le hostess hanno chiesto consigli a quelle con più esperienza. E le risposte ottenute sono state di vario genere.

Alcune sono parse entusiaste all’idea della serata imminente: hanno detto che sarebbe stata una serata divertente, soprattutto perché – a differenza della maggior parte degli eventi ai quali partecipano in qualità di hostess – avrebbero potuto bere durante il lavoro.

Una hostess particolarmente esperta ha ammesso che una certa percentuale di uomini si sarebbe comportata assai probabilmente da “testa di c**o”, mentre altri ospiti sarebbero stati “divertenti”. «Molto dipende dalla fortuna», ha aggiunto.

Altre ragazze erano maggiormente in preda all’ansia. Una di loro, che ha lavorato allo stesso evento cinque anni fa, ha fatto un sospirone e ha detto tra sé e sé: «Non riesco a credere di essere di nuovo qui!».

Verso le 19, durante una cena a buffet per lo staff, la signora Dandridge ha fatto il suo ingresso: indossava un elegante abito nero e ha fatto un discorsetto di riepilogo alle hostess, dicendo che se qualcuno le avesse “importunate troppo” avrebbero dovuto contattarla.

Sono state distribuite le uniformi da hostess: abiti neri succinti e attillati, scarpe nere a tacco alto, una cintura nera molto alta e più simile a un corsetto. Una volta vestite, alle hostess è stato offerto un bicchiere di vino bianco ed è iniziato il conto alla rovescia in vista del loro ingresso nella sala da ballo.

Arrivate le 20, alle hostess è stato detto di disporsi in due file, in ordine di altezza con le più alte davanti, e di fare il loro ingresso sul palcoscenico. La musica ha iniziato a rimbombare forte in tutto il locale, con il brano “Power” della band britannica femminile Little Mix.

Le hostess sono entrate due alla volta dalle estremità opposte del palcoscenico collocato di fronte alla sala da ballo, si sono presentate al pubblico maschile prima di dirigersi ai tavoli assegnati loro, accanto agli ospiti. Questa fase è andata avanti fino a quando tutte le 130 hostess si sono presentate e accomodate nei vari tavoli della sala.

Iniziata la cena vera e propria, il compito delle hostess era semplice: rallegrare quel mix di uomini d’affari britannici e stranieri, comprendente eccentrici lord, politici, oligarchi, magnati del settore immobiliare, produttori cinematografici e chief executive, e far arrivare da bere tutte le volte che era necessario.

In attesa del secondo – salmone affumicato – alcuni signori si sono intrattenuti a chiacchierare con le hostess accanto ai tavoli, mentre altri sono rimasti seduti, insistendo per tenere loro la mano.

Non è affatto chiaro perché alcuni uomini, seduti ai loro tavoli accanto alle hostess, abbiano sentito la necessità di tenere loro la mano, e molte ragazze hanno discusso proprio di questo durante la serata. Secondo alcune, quel gesto era una sorta di preludio al fatto di attirarle sulle loro ginocchia. Nel frattempo, hanno continuato a servire champagne, whiskey e vodka.

Sul palcoscenico gli intrattenitori entravano e uscivano. Subito dopo l’esibizione di un gruppo di ballerine di burlesque – vestite da Coldstream Guards (il reggimento di guardie a piedi di sua maestà, Ndt), con tanto di cappello di pelliccia e adesivi a forma di stella che coprivano i capezzoli – un signore sulla settantina ha chiesto esplicitamente a una hostess di diciannovenne anni se era una prostituta. Lei ha risposto di no, ha detto di non aver mai preso parte a eventi simili e che mai più l’avrebbe fatto. «È stato davvero terribile, e ho avuto molta paura», ha detto in seguito.

Secondo quanto hanno riferito le molte ragazze che hanno lavorato a quell’evento, tra i vari tavoli della sala si vedevano palpeggiamenti e molestie sessuali di vario tipo.

Un’altra hostess di 28 anni, che ha già esperienza in questo settore, osservando le smanie degli uomini scatenati tutto attorno, ha assicurato che quella serata era significativamente diversa da altri eventi in smoking ai quali ha preso parte. Nelle altre occasioni, ha riferito, gli uomini al massimo cercano di flirtare con le ragazze e lo fanno soltanto occasionalmente. Prima di quella serata, non si era mai sentita così a disagio o addirittura spaventata.

La ragazza ha riferito di essere stata ripetutamente palpeggiata sulle natiche, ai fianchi, sul ventre e le gambe. Un ospite ha cercato insistentemente di baciarla. Un altro l’ha invitata in camera sua.

Nel frattempo, Artista ha fatto entrare i rinforzi, un gruppo di uomini e donne in abiti normali che hanno fatto il giro della sala da ballo, incentivando le hostess meno attive a interagire con gli ospiti a cena.

Fuori dal bagno delle signore era stato predisposto un sistema di monitoraggio: le hostess che vi si trattenevano troppo a lungo erano chiamate fuori con insistenza e rispedite nella sala da ballo. All’ingresso una guardia di sicurezza teneva conto del tempo.

Alle 22 è iniziato l’evento più importante della serata, quello che consente di raccogliere la maggior parte dei fondi: l’asta di beneficenza. I lotti erano quanto mai diversi e andavano da una Land Rover superaccessoriata al diritto di dare il proprio nome al prossimo libro per bambini di Walliams.

Richard Caring, che ha fatto fortuna nel settore retail prima di rilevare un lungo elenco dei ristoranti più in voga a Londra, compresi The Ivy e Scott’s, ha raggiunto il massimo delle donazioni della serata offrendo 400mila sterline in cambio del diritto a dare il proprio nome al nuovo High Dependancy Unit dell’ospedale pediatrico Evelina di Londra.

Per le hostess, molte delle quali hanno avuto il permesso di rientrare nella Orchard room, è stato un momento di respiro. Alcune erano entusiaste per aver ricevuto dai signori presenti l’offerta di un posto di lavoro. Altre lo erano per aver ricevuto laute mance, che in ogni caso erano obbligate a non accettare. Una di loro faceva fatica a ritoccarsi l’eye liner: «Sono molto ubriaca», ha detto quasi scusandosi, e incolpando gli shottini di tequila al suo tavolo.
Alle 23 le ragazze sono rientrate nella sala da ballo per il gran finale dell’evento principale, al quale avrebbe fatto seguito un “after-party” altrove nello stesso albergo.

Alla maggior parte delle hostess era stato detto che la loro presenza era richiesta fino alle due di notte. Una di loro ha riferito che nella parte conclusiva della serata avrebbe avuto la possibilità di bere tutto quello che voleva e anche di cercare la compagnia degli uomini che riteneva “più attraenti”.

L’after-party si è svolto in una sala più piccola accanto alla lobby principale del Dorchester, affollata di ospiti e signore. Secondo l’hostess di 28 anni, mentre gli ospiti ballavano e bevevano con alcune hostess su un lato della sala, una sfilza di ragazze più giovani è rimasta a sedere dall’altro, su alcuni divanetti, apparentemente in stato confusionale. «Sembravano sconvolte e spaventate, esauste per la serata», ha detto.

Nel frattempo, al centro della sala Jimmy Lahoud, 67 anni, uomo d’affari e ristoratore libanese, ballava entusiasta con tre giovani donne in luccicanti abiti rossi.

A mezzanotte, un personaggio di spicco che il FT non è stato ancora in grado di contattare, si è rivolto a una hostess in particolare. «Mi sembri troppo sobria», le ha detto. Poi le ha riempito il bicchiere di champagne, l’ha afferrata per la vita, se l’è stretta forte a sé e ha detto: «Voglio che bevi tutto, ti strappi le mutandine e sali a ballare su quel tavolo».

Catherine Deneuve ha chiesto scusa alle donne vittime di molestie

Alla fine la Deneuve ci ha ripensato e ha corretto il tiro. C’era da aspettarselo dopo la pioggia di critiche ma soprattutto c’era da augurarselo visto che qui da noi la sua presa di posizione è stata cavalcata dai fallocrati di turno. E mi piacerebbe vedere la faccia di tutti i machi che hanno sperato di avere trovato una donna da poter sventolare per fortificare la propria miopia. Chissà se a forza di uscite sbagliate si riuscirà davvero a iniziare un discorso serio. Serio.

“Deneuve spiega anche di aver firmato la lettera per un motivo «ai miei occhi essenziale: il pericolo di censura nell’arte. Dovremo bruciare Pléiade di Sartre? Dipingere Leonardo da Vinci come un artista pedofilo e cancellare i suoi dipinti? Togliere i quadri di Gauguin dai musei? Distruggere i disegni di Egon Schiele? Vietare i dischi di Phil Spector? Questo clima di censura mi lascia senza parole e mi inquieta per la nostra società». Secondo Deneuve la soluzione sta nell’educazione delle nuove generazioni e in nuovi protocolli nelle aziende: «credo nella giustizia»·

Per finire ha anche risposto a chi ha messo in dubbio il suo femminismo, ricordando il suo impegno per migliorare i diritti delle donne. «Sono una donna libera e rimarrò tale. Saluto fraternamente tutte le vittime di atti odiosi che possano essersi sentite aggredite dalla lettere di Le Monde. È a loro e solo a loro che mando le mie scuse»”

(da Il Post)

Ilda Dominijanni: «Je ne suis pas Catherine Deneuve»

(di Ilda Dominijanni da Internazionale)

La scoperta delle molestie e dei ricatti sessuali in uso a Hollywood e in tutto il mondo del lavoro americano dimostra che questi non sono tempi buoni né per il desiderio né per l’esercizio della sessualità fra donne e uomini. Com’era già accaduto in Italia con gli scandali sessuali d’epoca berlusconiana, quello che viene alla luce non è solo la tentazione maschile perenne all’abuso di potere, che riduce le donne a oggetto da possedere e la libertà femminile a disponibilità di concedersi. È anche, forse soprattutto, una diffusa miseria della sessualità maschile, che scambia potere, favori, assunzioni in cambio di briciole come un massaggio sotto un accappatoio, una masturbazione a cielo aperto, un assoggettamento a una virilità incerta. Una miseria sessuale che è parente stretta di una miseria relazionale, ovvero di una altrettanto diffusa incapacità maschile di relazionarsi all’altra, al suo desiderio e ai suoi dinieghi, alla sua forza e alla sua vulnerabilità, alla sua libertà e alle sue necessità.

Precisamente il cinema hollywoodiano, a ben guardare, ci aveva lentamente abituato, nell’ultimo decennio, a questo progressivo immiserimento, per non dire scomparsa, della sessualità nelle relazioni fra uomini e donne, con un sottile ma percettibile scivolamento dalle scene di sesso passionale degli anni novanta a quelle quasi sempre giocate successivamente su un ambiguo confine fra sesso e violenza, sesso e possesso, sesso e performance. E del resto basterebbe il successo sorprendente, e non a caso contemporaneo al #metoo, di un racconto come Cat person per farsi un’idea dello stato delle cose: in questo caso non c’è ombra di violenza né di molestie, ma la miseria sentimentale è la stessa, l’alfabeto della seduzione è precipitato nel dimenticatoio e ogni passione è spenta.

Quello che sta saltando con il #metoo e il Time’s up è il tappo di silenzio-assenso femminile che copriva questa situazione. A un primo sguardo, certo, si tratta di movimenti contro le molestie e i ricatti sessuali, e contro l’abuso di potere maschile che c’è dietro. Ma com’era già avvenuto in Italia pochi anni fa, la presa di parola femminile ha l’effetto di svelare qualcosa di più profondo, un “dispositivo di sessualità”, per dirlo con l’espressione di Foucault, in cui il desiderio non ha più posto e il sesso è ridotto a contrattazione, ricatto, performance. E da cui è urgente uscire, se i destini della sessualità come espressione libera e creativa della specie umana ci stanno a cuore.

La Francia è la Francia, e pretende sempre di avere l’ultima parola, a costo di far diventare la libertà “libertà di importunare”

Perciò è del tutto fuori campo e fuori fuoco la reazione, finora prevalentemente maschile nonché prevalentemente italiana, di chi ulula che all’esito del #metoo ci sarebbe l’oscurantismo politically correct di un totalitarismo (sic!) proibizionista e sessuofobico. È vero l’esatto contrario: il #metoo, e in generale la presa di parola femminile contro l’andazzo corrente della miseria del maschile, nasce in una situazione che ha già mandato a morte la sessualità, e forse più farla risorgere, una volta liberata dal dispositivo di cui sopra. Non stupisce che a non capirlo sia, in Italia, lo stesso fronte mediatico, il Foglio in testa, che agitò gli stessi fantasmi liberticidi, sessuofobici e proibizionisti a tutela della “libertà” e della “seduzione” che circolava nelle “cene eleganti” di Berlusconi, già allora paventando e minacciando la fine dell’ars amatoria, la censura della passione, l’inibizione del corteggiamento, e impugnando l’inscindibilità del sesso da una certa dose (quale, esattamente?) di prevaricazione, o l’indecidibilità fra molestia e avance.

Stupisce di più – ma in fondo neanche tanto – che a usare gli stessi argomenti sia adesso un gruppo di donne francesi – intellettuali, artiste, attrici, psicoanaliste, giornaliste, fra le altre una campionessa riconosciuta della seduzione doc come Catherine Deneuve – le quali si lanciano nella difesa della “libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale”, come se il #metoo avesse già instaurato un regime del divieto dove nessuno può sporgersi sull’altra e nessuna sull’altro, il nemico delle donne sono gli uomini nella loro totalità, la parola femminile, altro che liberarsi, si autoimprigiona in un codice politically correct autoinibitorio, e le donne, altro che guadagnarci qualcosa, si auto-segregano nel ruolo di “eterne vittime dominate da demoni fallocrati”. Potenza dei fantasmi maschili interiorizzati anche dalla mente femminile, o “differenza culturale” francese vs egemonia “puritana” americana? L’una e l’altra cosa, probabilmente, e la seconda non meno influente della prima.

Non c’è donna al mondo che non sappia distinguere un “corteggiamento insistente e maldestro” da uno stupro, come le firmatarie dell’appello francese temono: esse stesse non possono non saperlo. Non c’è persona sana di mente che non possa aver registrato, seguendo le vicende del #metoo o più semplicemente la recente cerimonia dei Golden Globe sotto il segno del Time’s up, che tutto circola fra le silence breakersamericane tranne un’autovittimizzazione inerziale e passiva: tutta la faccenda sembra al contrario parecchio empowering, e parecchio liberatoria anche per quegli uomini che la guardano con curiosità e fiducia invece che attaccarsi come Francesca Bertini alle tende di una virilità decadente. E anche questo le consorelle francesi non possono non averlo notato. Ma si sa che la Francia è la Francia, e quand’è in gioco la sacra triade della modernità pretende sempre di avere l’ultima parola, a costo di far diventare la libertà “libertà di importunare”, o, come ai tempi di Charlie Hebdo, liberté d’impertinence, sottospecie opinabile della libertà d’espressione. Ma il politically correct gioca brutti scherzi . Allora fu molto politically correct, e conformista, lo slogan “Je suis Charlie Hebdo”, e molto politically uncorrect, e anticonformista, arrogarsi il diritto di dire “Je ne suis pas Charlie Hebdo”: negli Stati Uniti lo rivendicarono in molti, anche nella stampa mainstream, in nome di una libertà di religione che non poteva essere conculcata dalla libertà di satira. Questione di punti di vista. Del resto, anche i simboli della seduzione non sono eterni e risentono dell’usura del tempo. A dispetto di uno slogan che ha fatto scuola per generazioni di donne, oggi la palma della seduttività passa a chi può permettersi allegramente di dire “Je ne suis pas Catherine Deneuve”.

«Ci estingueremo per femminismo»: sulle molestie l’arroccamento patetico degli omuncoli continua

Su Il Giornale di oggi Pier Luigi del Viscovo impugna l’alabarda e corre in soccorso degli uomini che, poveretti, hanno paura di finire nello scandalo delle molestie e temono di dover rispondere a un atteggiamento che, nonostante sia storicizzato, un pezzo di mondo non è più disposto ad accettare. “Senza più molestie ci estingueremo – scrive la fine penna del difensore dei maschietti spaventati -, avances vietate ci estingueremo per femminismo”: del resto a questi non entra proprio in testa a questi piccoli intellettuali da medioevo che il consenso da entrambe le parti sia condizione necessaria della relazione tra uomo e donna, insistendo nel giochetto di chiamare molestie e atteggiamenti indesiderati come “avances” per sminuire la discussione.

Sembrerebbe una difesa fuori tempo massimo su un dibattito che, nonostante campeggi in prima pagina sul Time,  qui da noi qualcuno crede di essere riuscito ad affossare utilizzando Brizzi come sineddoche di tutti gli italici molestatori e fingendo di non sapere che sotto la brace sta covando (per fortuna) una sequela di denunce, episodi, nomi, ulteriori testimonianze su nomi già scritti, che presto diventeranno fiamma.

“In effetti, se lasciamo fare ai moralisti chic – scrive Il Giornale – quelli che la-donna-non-si-tocca-neppure-con-lo-sguardo, finiremo per estinguerci come specie. Mettere alla gogna un uomo perché ci ha provato (di questo si tratta, per parlar semplice), ma proviamo a essere coerenti e conclusivi. A volte l’uomo riesce, a volte meno. Chi più, chi meno”. Fingono di non capire che le decine di storie che sono uscite (e le decine che usciranno, purtroppo per loro) raccontano piuttosto di donne in condizione di inferiorità e bisogno di fronte a uomini di potere che non ricevono “approcci” ma piuttosto si trovano di fronte allo scambio sessuale come ineludibile merce di scambio per accedere a opportunità di lavoro (o, in alcuni casi, semplicemente per mantenerlo, il proprio lavoro) e che proprio in questo abuso di potere e di posizione stia il nodo che è necessario sciogliere: che poi l’abuso del potere di certi piccoli omuncoli passi sempre e per forza dal loro pisellino è la perfetta fotografia del loro spessore, che poi sia quasi sempre l’uomo ad essere il “potente” tra i due è la perfetta fotografia di un’epoca che si fatica a sradicare.

Così ancora una volta l’Italia, il suo giornalismo e i suoi maschietti riescono a segnare la distanza con il resto del mondo per vilipendio di un dibattito che altrove è già diventato cultura sociale. Ma tranquilli, succede sempre così: l’eccesso di difesa è la prima, inconsapevole, reazione dei colpevoli. Sempre.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2017/12/08/ci-estingueremo-per-femminismo-sulle-molestie-larroccamento-patetico-degli-omuncoli-continua/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.