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nando dalla chiesa

Le bugie sul nuovo 41 bis (di Nando Dalla Chiesa)

(di Nando Dalla Chiesa, da il Fatto Quotidiano, 13 Ottobre 2017)

Ho stima e considerazione del ministro Orlando, con il quale ho anche collaborato sulle mafie al Nord. Ma la libertà di giudizio è irrinunciabile. Specie nei tornanti in cui il vento è a sfavore. La vicenda della “riforma” del 41-bis è una di queste. Alla mafia il carcere non è mai piaciuto, se non come residenza temporanea in cui accumulare potere e prestigio; luogo da cui dare ordini di morte, per brindare poi al loro successo. Figurarsi se poteva piacerle il carcere speciale.

E infatti per 25 anni non ha fatto altro che lavorare ai fianchi questa “eresia”. Basta ricordare le centinaia di 41-bis revocati dal ministro della Giustizia Giovanni Conso nel 1993. E poi l’ abolizione delle carceri speciali di Pianosa e dell’ Asinara con il governo dell’ Ulivo. Di cui i mafiosi detenuti in regime di isolamento furono informati prima ancora del parlamento. E poi le minacce ai parlamentari-avvocati inadempienti verso Cosa Nostra.

Finché nei primi anni duemila Ilda Boccassini notò che di fatto il 41-bis non esisteva più, tanto era stato annacquato. Sapemmo più di recente che nell’ ora d’ aria i capimafia al 41-bis riuscivano addirittura a tenere veri e propri summit: boss di camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra a consesso, a discutere di strategie di affari e di organizzazione.

Ricordo bene quando la Camera approvò la legge. Ricordo il ministro della Giustizia Claudio Martelli entrare in aula ancora terreo per le stragi delle settimane precedenti. E alcuni parlamentari spendere come certa l’ opposizione di Magistratura democratica. Vinse la rivolta morale di chi pensava che se qualcosa si doveva a Paolo Borsellino, il minimo era votare la legge che lui aveva voluto. Non per suo tic personale, ma perché, diversamente da tanti giuristi che ne discettano, lui conosceva bene la mafia, e il suo rapporto con il carcere.

I boss non dovevano più comandare, non dovevano più essere in condizione di comunicare con l’ esterno. Fu un trauma, che per altro produsse una eccezionale fioritura di collaboratori di giustizia. Uomini d’ onore ma non partigiani.

Ebbene, il destino sa apparecchiare i suoi scherzi. Così proprio nel venticinquesimo anniversario della morte di Falcone e Borsellino, quella legge viene irrisa, smontata. Senza particolari sensi di colpa. È la commemorazione senza memoria. Solo che gli eroi dell’ antimafia non sono morti per ricevere medaglie e commemorazioni; sono morti per cambiare questo Paese.

Che invece li commemora e poi torna indietro, come un pendolo implacabile. Obbedendo alle celebri convergenze di interessi, le stesse teorizzate nel maxi-processo istruito dai due giudici. Interessi nobili e ignobili, ignoranze e consapevolezze, suggeritori sopraffini e assassini impazienti; tutti all’opera mentre per mesi si giura che non si sta toccando niente. Ha ben ragione Luigi Manconi, che (illudendosi) rivendica a sé questo risultato, a ricordare che il 41-bis non prevede un di più di afflizione ma un di più (il massimo, vorrei dire) di sorveglianza.

Un carcere non duro, ma speciale. Non afflittivo gratuitamente, ma capace di evitare i collegamenti con l’ esterno. Sicché non ha senso limitare i giornali. Ma ha molto senso non concedere, come si era incredibilmente arrivati a ipotizzare, i collegamenti Skype. E avrebbe, ha molto senso, non concedere liberi contatti con folle di personaggi di nomina politica. O i contatti fisici tra i detenuti e i loro familiari. La proposta di abolire i vetri divisori, almeno con coniuge e figli, era già stata avanzata durante la legislatura 2001-2006. E mi aveva persuaso, per puro istinto umanitario. Giuseppe Ayala, che era con me in commissione Giustizia, ci mise un minuto a gelarmi. E i mafiosi che danno ordini di morte non solo alla moglie ma anche al figlio bambino, sussurrandogli in un orecchio il messaggio che lo zio decodificherà al volo? Ci pensi? Combattere la mafia senza conoscere la mafia, appunto.

Nella richiesta di custodia cautelare nei confronti di Giusy Vitale (era il 1998) la Procura di Palermo rimarcò come il fratello Vito Vitale, profittando della possibilità concessagli di abbracciare i figli minori in carcere, “non ha esitato a sfruttarla a fondo, passando, oralmente, al figlio poco più che decenne, messaggi di fondamentale importanza per l’ associazione mafiosa”. Strategie, estorsioni, soldi. Basta rileggersi quell’ atto per capire che Borsellino non aveva i tic. E che se non siamo un Paese di Pulcinella la circolare della “riforma” dovrebbe essere ritirata con pudore.

Chi può intervenire intervenga. E magari commissioni un bel monitoraggio sulle incredibili perizie mediche e psichiatriche che tengono lontano dal carcere decine di boss mafiosi. Un bel bagno di realtà, occorrerebbe. Tipo quello che è toccato fare alle vittime e a chi se le è piante. Mentre i boss brindavano in carcere a champagne.

 

L’antimafia senza protagonismo? Semplice: toglietele i soldi.

pecunia_non_olet-600x450Ha ragione il Presidente del Senato (per presunti meriti antimafiosi) Pietro Grasso quando dice che l’antimafia ha bisogno di scrollarsi di dosso il protagonismo. Togliete i soldi. Fate in modo che non ci siano contributi per un’attività che deve essere un dovere costituzionale per i buoni cittadini. Fate in modo che gli amministratori siano bravi amministratori e magari anche antimafiosi, fate in modo che chiunque nel proprio mestiere abbia il piacere e la soddisfazione di prendere posizione sul tema senza contributi aggiunti. Vedrete come sarebbe bello (Gratteri in Calabria lo dice da anni). E vedreste chi rimarrebbe. Ma soprattutto chi no.

Buonanotte.

Expo 2015: Nando Dalla Chiesa illustra i “buchi” d’ingresso delle mafie

(dal blog del sempre attento Roberto Galullo):

UpkPfA5XLjgQ4tF9fgMfrD7r4B9WJIqintARxUP+Z5s=--expo_milanoIl 24 febbraio Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, è stato nuovamente audito dalla Commissione parlamentare antimafia.

In quell’occasione ha presentato il secondo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, nell’ambito di un incarico della Commissione relativo a un’analisi sulle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico delle regioni del nord Italia.

Dalla Chiesa, ad un certo punto, descrive la situazione di Expo 2015, che tra un batter d’occhio aprirà i battenti e illuminerà il mondo della scienza italica.

Bene. La ricerca dipinge delle tappe di avvicinamento alla Esposizione mondiale che non sono propriamente costellate di petali di fiori così come le veline istituzionali puntano costantemente a farci credere.

Ci sono delle volte in cui il cronista non ha nulla da aggiungere rispetto a quanto plasticamente descritto da una ricerca (su questo umile e umido blog mi concentrerò, anche la prossima settimana, su diversi aspetti interessanti).

Leggete, quindi, cosa dichiara testualmente Dalla Chiesa di fronte ai commissari: «È interessante vedere con quali modalità e meccanismi concreti le organizzazioni mafiose sono riuscite a entrare nei lavori di Expo. Mi sembra particolarmente interessante sottolinearlo perché i lavori di Expo sono stati accompagnati da una grande attenzione a evitare l’ingresso delle organizzazioni mafiose, con riflettori che sono stati puntati dalla stampa per anni su quei lavori, la nascita di una commissione consiliare e di un comitato antimafia di esperti da parte del sindaco, un prefetto che ha svolto attività di controllo con decine e decine di interdittive nei confronti di imprese in odore di mafia.
Insomma, non si può dire che ci sia stata una disattenzione del sistema nei confronti del fenomeno mafioso. Eppure, stiamo rilevando ancora oggi, alla vigilia di Expo, delle presenze che abbiamo segnalato nella relazione dell’ultimo comitato antimafia del sindaco Pisapia e che chiedono di proporre alla Commissione parlamentare questi meccanismi che abbiamo cercato di isolare in questo modo.
Come abbiamo detto, entrano in punto di fatto, non di diritto, quindi non perché ricevono degli appalti o dei subappalti. È particolarmente interessante vedere questi meccanismi. Innanzitutto, i controlli che vengono annunciati e che sembrano tutelare pienamente lo svolgimento di quei lavori a volte non sono realizzati o non lo sono per molto tempo.
Per esempio, c’è stata un’estrema episodicità dei controlli interforze per tutta la fase degli sbancamenti, quella in cui c’è stato il movimento terra, che è verosimilmente quella della più forte presenza e attività di imprese di natura mafiosa. Ecco, la fase degli sbancamenti ha visto una presenza bassissima dei controlli interforze (solo 3 controlli nei primi sei mesi).
Vi è stata, poi, una prolungata inesistenza dei controlli elettronici agli ingressi, che erano stati annunciati dalle autorità, ma che per due anni non hanno funzionato. Ciò vuol dire che per due anni i camion sono entrati e sono usciti senza essere rilevati, con un uso parziale dei famosi Gps per seguire i percorsi fino ai luoghi di consegna del materiale. Anche in questo caso, soltanto una parte dei camion e solo da un certo punto in poi è stata seguita attraverso il sistema Gps.
Abbiamo identificato un’inefficacia dei controlli effettuati, cioè carenza di controlli notturni o sulle imprese operanti sul terreno. Anche le modalità di svolgimento dei controlli Arpa sono stati deficitari. Non ci sono state verifiche sulle cave di conferimento dei rifiuti tossici, un paio delle quali sono particolarmente a rischio. C’è un’infedeltà dei controlli praticati. Ci sono, cioè, indicazioni discrezionali del peso dei materiali in ingresso e in uscita perché le pese erano inattive o inaccessibili, quindi quanto entrasse e uscisse non era misurato da nessuno strumento di rilevazione attendibile, così come c’era una valutazione a occhio della qualità del materiale trasportato dentro e fuori dai cantieri. Come sappiamo e come è dimostrato anche dal caso Perego, spesso la terra che sta sopra il carico che viene trasportato nasconde altro.
Vi è stata, per giunta, un’insofferenza delle strutture Expo rispetto ai controlli, con il diniego anche nei riguardi del comitato Pisapia e delle richieste dei settimanali di cantiere. Questo è stato inserito nell’ambito dell’ostruzionismo burocratico, con la difficoltà per gli stessi consiglieri comunali di entrare, lo scoraggiamento delle visite della polizia locale, le domande di sbrigafaccende per le emergenze operative. Ecco, i meccanismi veri sono stati questi
».

Ora, a vostro giudizio, rispetto a questa plastica chiarezza testimoniale sulla inefficienza e scarsità dei controlli, di fronte alla limpida esposizione sulla insofferenza dei taluni apparati perfino all’ingresso di commissioni comunali (alla faccia della trasparenza e della casa di vetro), di fronte alla denuncia sulle carenze, un giornalista può aggiungere altro? Non credo.

Ma Dalla Chiesa (ergo il gruppo di ricerca che ha sapientemente tirato su e a loro va il mio grazie anche per le citazioni a miei articoli fatte nel rapporto) va oltre e fa anche degli esempi.

«Rispetto al modo in cui sono entrati, faccio soltanto due esempi che sono stati rilevati ultimamente – spiegherà infatti il professore di fronte ai commissari –. Fatti dei controlli di notte (proprio perché abbiamo imparato che bisogna controllare di notte), si è presentata sui lavori che venivano svolti un’impresa che risultava regolarmente titolare di un subappalto; gli operai avevano la targhetta dell’impresa regolarmente titolare del subappalto sulle loro tute, ma quegli operai non erano dipendenti dell’impresa regolarmente vincitrice del subappalto. Appartenevano, invece, a un’impresa che aveva nel suo consiglio di amministrazione dei pregiudicati che provenivano dai luoghi classici di provenienza delle imprese di ’ndrangheta. Come avevano fatto a essere presenti ? Ecco, questo è significativo. Avevano subaffittato il ramo d’azienda, ma questo subaffitto non era stato comunicato, quindi operavano a nome dell’azienda, ma non erano l’azienda».

Già: come avevano fatto a essere presenti? Chissà se almeno le Forze dell’ordine sono in grado di dare una risposta. Ma andiamo avanti con il racconto di Dalla Chiesa.
«Un altro caso più recente ha dimostrato, invece – ha proseguito il professore –  che l’azienda è stata acquistata dopo aver vinto l’appalto, ma naturalmente ha mantenuto la sua ragione sociale, anche se dentro c’era l’impresa di mafia. Per questo, l’orientamento a vedere nei fatti che cosa accade ci sembra più importante. In questo rapporto diciamo che c’è una realtà terrena che è fatta dai mestieri, dall’economia, dai modus operandi delle organizzazioni mafiose. Lo stesso vale per la zona grigia. A questo proposito, vi presenterei uno schema classico della corruzione perché «zona grigia» è un’espressione che viene impiegata per indicare un’area della società in cui professioni e ruoli contribuiscono al successo delle strategie delle organizzazioni mafiose in modo inconsapevole o esterno, cioè danno un proprio contributo senza far parte di questa logica».

Non c’è nulla da aggiungere se non meditare, sperare e darsi appuntamento alla prossima settimana su questo umile e umido blog con altri approfondimenti sulla ricerca dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, partendo proprio dalla cosiddetta zona grigia (che per me non è mai esistita perché o si sta da una parte o si sta dall’altra, visto che per quanto i riguarda valori e principi di legalità non si possono contrattare).

Le parole chiare del Comitato Antimafia del Comune di Milano

shanghai_expo_01Vale la pena leggere la Quinta Relazione Semestrale del “Comitato antimafia” del Comune di Milano. Chiaro, leale e a schiena diritta come avremmo bisogno a tutti i livelli della nostra classe dirigente. A loro va il ringraziamento dei cittadini che vogliono continuare ad essere curiosi (in pdf qui):

 

COMITATO PER LO STUDIO E LA PROMOZIONE DI ATTIVITA’ FINALIZZATE AL CONTRASTO DEI FENOMENI DI STAMPO MAFIOSO E DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA SUL TERRITORIO MILANESE ANCHE IN FUNZIONE DELLA MANIFESTAZIONE EXPO 2015

Quinta Relazione Semestrale Agosto 2014

Il problema delle pressioni mafiose. E alcune proposte del Comitato per aumentare l’incisività dei controlli pubblici e ridurre la permeabilità del sistema economico e amministrativo milanese.

a cura dei membri del Comitato: Luca Beltrami Gadola, Nando dalla Chiesa (Presidente), Maurizio Grigo, Ombretta Ingrascì, Giuliano Turone

e con la collaborazione di: Merinunzia Loporchio (supporto tecnico e coordinamento interno) e Hermes Mariani (ricercatore, stagista)

 

INDICE

PREMESSA.L ’urgenza di questa Relazione……………………………….

PARTE PRIMA: sui cantieri e sulle opere funzionali

1.Sul problema delle infiltrazioni di mafia nei cantieri Expo………………… 2.Sul problema dei controlli ambientali……………………………………….

PARTE SECONDA: sul contrasto di corruzione e criminalità organizzata in generale

1.L’affidamento dei lavori pubblici: la partecipazione civica come risorsa per aumentare la trasparenza e l’accountability…………………………………… 2.Le società partecipate: una proposta per valorizzare i controllori………….. 3.La Polizia Annonaria: proposta di istituzione di un nucleo antiriciclaggio……………………………………………………………….. 4.Sulle regole per gli appalti………………………………………………..

NOTE CONCLUSIVE……………………………………………………….

PREMESSA. L’urgenza di questa relazione

Questa Quinta Relazione semestrale viene proposta in tempi molto ravvicinati a quelli in cui (aprile u.s.) è stata consegnata al Sindaco la Relazione precedente. Essa è dunque originata da una ragione di urgenza. Se il Comitato ha ritenuto di investirne il Sindaco e di lanciare in questo modo un meditato allarme alla opinione pubblica cittadina è perché è venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio di fatti che disegnano una situazione per molti aspetti inquietante. Una situazione abbastanza diversa da quella ripetutamente rappresentata in ritratti rassicuranti, secondo i quali l’unico problema di Milano Expo 2015 sarebbe quello di realizzare in tempo i padiglioni previsti sull’area espositiva.

E’ accaduto che nel corso degli ultimi mesi si sono manifestati i segni concreti dell’incombenza di interessi di ambienti mafiosi, più particolarmente ‘ndranghetisti, sui lavori che riguardano e accompagnano la preparazione dell’evento Expo 2015.

Nel capitolo 1 viene ricordato come il Comitato stesso, a fine gennaio, abbia dovuto convertire la sua Terza relazione in esposto alla Direzione Distrettuale Antimafia, e apporvi un vincolo di riservatezza. Si aggiunge come nell’occasione fosse stata riscontrata una significativa presenza di padroncini calabresi nello svolgimento di lavori che pur si realizzano a forte distanza dai comuni di loro residenza o di residenza delle loro ditte e per somme singolarmente modeste. Come comparissero ai controlli effettuati dagli agenti della Polizia Locale i nomi di comuni calabresi noti per essere centri storici di organizzazione e irradiazione di interessi e attività ’ndranghetiste; o di comuni lombardi noti per essere luoghi di gravitazione di quegli stessi interessi quando non sedi di “locali” di ‘ndrangheta. E come si potessero cogliere legami societari tra alcune ditte e famiglie di persone calabresi pregiudicate.

Come il Capitolo 1 ribadisce con forza, questo Comitato insiste ormai da due anni con l’indicare il rischio che le imprese dei clan affermino la propria presenza in assoluta indifferenza alle norme stabilite nei protocolli antimafia e alle sanzioni in essi previste. E questo per la loro comprovata capacità di imporre una presenza de facto, fondata sulla certezza delle omissioni altrui e sulla efficacia della propria forza persuasiva nei confronti dei soggetti eventualmente resistenti. Ebbene, i controlli realizzati hanno consentito di verificare appunto la legittimità di questa tesi. Sono stati individuati sul terreno esponenti calabresi di imprese che, appalti e subappalti alla mano, mai avrebbero potuto giustificare la loro presenza in quel posto, a conferma di un copione dei lavori diverso da quello ufficiale, soprattutto quando si tratti di alcuni rami di attività, dal celebre movimento terra con le attività connesse fino ai trasporti.

Non solo. I controlli hanno portato a un certo punto a imbattersi anche, sempre sul terreno, in personaggi calabresi i cui cognomi o le cui località di origine o residenza ricorrono influentemente nella fittissima rete di relazioni su cui si costruiscono i legami di “lealtà” (di parentela e di compaesanità) che alimentano le ‘ndrine, e il cui affacciarsi può essere ricondotto al caso o alla coincidenza (o all’omonimia) solo dall’ignoranza del fenomeno. Tali cognomi e/o località figuravano non solo in punto di fatto ma anche in punto di diritto in opere funzionali alla realizzazione dell’evento. E non per importi modesti. Talora risultavano titolari di subappalti direttamente, talora grazie ad artifici societari che li mettevano al riparo da verifiche formali che fossero state condotte in omaggio, appunto, ai protocolli antimafia.

Insomma, la realizzazione di controlli puntuali porta ripetutamente ad avvertire la presenza di mondi che l’esperienza storica e giudiziaria associa al fenomeno ‘ndranghetista o ai suoi dintorni. I fatti richiamati giocoforza in termini estremamente generali sono stati consegnati all’autorità giudiziaria per le opportune indagini. Ma sotto il profilo politico-amministrativo (ne l cui ambito agisce questo Comitato) è doveroso registrare quanto segue: da un lato si rappresenta la situazione milanese come estranea a rischi di presenza mafiosa (“al massimo un po’ di corruzione”), dall’altro lato i fatti raccontano di una presenza che sa imporsi con disinvoltura a dispetto di norme speciali e di pubbliche promesse.

Fra l’altro vi è una considerazione che va pur posta. Ed è che se è vero che la presenza di personaggi e ditte calabresi, pur lontano dalla madrepatria e per importi spesso modesti, può spiegarsi con le sollecitazioni incalzanti della crisi economica, tale argomentazione dovrebbe valere a maggior ragione per le imprese locali. Occorrerebbe cioè chiedersi perché i morsi della crisi non spingano imprese locali a proporsi diffusamente in un settore a bassa soglia di ingresso e ad altrettanto non spingano energie imprenditoriali giovanili. La risposta purtroppo, e verosimilmente, sembra stare nel successo ottenuto dalla ‘ndrangheta nel monopolizzare in modo “convincente” un intero settore dell’economia, fidando, vale la pena ripeterlo, in comportamenti per se stessa funzionali da parte della pubblica autorità. Come viene spiegato nel Capitolo 1 ricordando la recente sentenza della Corte di Cassazione, essa ha ben operato come struttura unitaria, ossia come struttura di governo di un settore (“150 famiglie calabresi da mantenere”, questo è il compito dell’impresa Perego, come viene ricordato sempre nel Capitolo 1). Ed è questa sua caratteristica che sembra tornare anche nella vicenda, l’Expo, che più dovrebbe raccontare al mondo le qualità del Paese; e di cui più di ogni altro evento, specie dopo le grandi operazioni giudiziarie del 2009 e 2010, era stata garantita l’impermeabilità nei confronti di questi meccanismi di prepotere e di abuso.

Da qui l’urgenza. Perché non è vero che “ormai tutti giochi sono stati fatti”. Perché molti sono ancora i lavori da realizzare, e di molti si scoprirà l’indifferibile utilità nei prossimi mesi. E molti sono i servizi ancora da garantire a espositori e turisti. Da qui, talora, per lo stesso Comitato, anche una specie di coazione a ripetere cose già dichiarate. Per lo scrupolo di non essere stato ben inteso. Per la speranza che i fatti nuovi diano alle parole già spese un valore superiore. Perché nessuno possa in futuro dire che certi avvenimenti si sono realizzati senza che una struttura “dedicata” come questo Comitato abbia sentito il bisogno di svolgere per intero il suo dovere. Quello di avvertire, di denunciare.

PARTE PRIMA. Sui cantieri e sulle opere funzionali

1. Sul problema delle infiltrazioni di mafia nei cantieri Expo.

1.1 A distanza di due anni esatti dalla sua Prima Relazione, questo Comitato si propone, con il presente quinto elaborato,

  1. di tracciare un consuntivo su quanto è stato fatto e quanto non è stato fatto per prevenire e ostacolare le infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri Expo;
  2. di formulare suggerimenti e proposte circa possibili interventi di buona amministrazione atti a scongiurare e/o rimuovere – nei mesi che ancora mancano all’apertura di Expo 2015 – le infiltrazioni suddette.Va premesso che, in un apposito capitolo della sua Prima Relazione (luglio

2012), il Comitato ha esaminato con un certo approfondimento i modi operandi delle infiltrazioni di ‘ndrangheta impiegati in anni recenti sui cantieri edili di Milano e dintorni, modi operandi che erano stati ricostruiti precisamente nelle varie inchieste giudiziarie della DDA milanese dell’ultimo decennio in materia di pubblici appalti.

Particolarmente significativi erano stati gli elementi tratti dagli atti del maxiprocesso Crimine-Infinito-Tenacia, nato a seguito di una grande operazione di polizia giudiziaria coordinata congiuntamente dalle DDA di Milano e Reggio Calabria nel maggio 2010. Conclusa la fase delle indagini, la fase del giudizio si era sdoppiata: circa due terzi degli imputati avevano optato per il rito abbreviato, un terzo per il rito ordinario.

Nel momento in cui veniva redatta la Prima Relazione di questo Comitato era intervenuta, con numerosissime statuizioni di condanna, soltanto la sentenza di primo grado del rito abbreviato (Gip Milano, 19 novembre 2011), mentre per lo spezzone di rito ordinario il dibattimento di primo grado era ancora in corso.

Cionondimeno, da tutte quelle risultanze processuali apparivano già molto evidenti i recenti modi operandi di ‘ndrangheta e, in particolare, le modalità specifiche di intrusione “fattuale” delle ‘ndrine nelle attività di cantiere. Sia nei capi d’imputazione che negli atti processuali si parlava spessissimo di commesse subappaltate formalmente o in via di fatto alle ditte mafiose, ma si trattava di una sorta di eufemismo, perché andando a leggere con attenzione gli atti processuali e la motivazione di quella prima sentenza, già si poteva constatare che di commesse subappaltate formalmente alle ditte di ‘ndrangheta non vi era traccia: i lavori venivano acquisiti in via di fatto, frazionati in via di fatto e affidati in via di fatto a una pluralità di soggetti (“padroncini”) individuati e prescelti di prepotenza e ad arbitrio dei vari capimafia, in una sorta di caos strumentale indotto sui cantieri dai capi-ndrina e che spesso solo loro riuscivano a governare.

Va quindi anzitutto richiamata qui l’esposizione svolta da questo Comitato alle pagine 38-71 della Prima Relazione a proposito di quei modi operandi, le cui caratteristiche sono state sintetizzate come segue:

  • –  Intrusione nel cantiere da parte del gruppo mafioso, operata in via di fatto in virtù della forza di intimidazione del vincolo associativo, qua e là alimentata – all’occorrenza – da episodi di minaccia e violenza a persone e cose;
  • –  Presenza capillare in cantiere degli uomini di mafia, che svolgono per lo più in punto di fatto la loro attività, coordinati ufficiosamente da uno dei capi-cosca;
  • –  Esercizio di un’autorità di fatto sul cantiere da parte del capo-cosca, che stabilisce a sua discrezione chi debba lavorare in quel cantiere;
  • –  Affidamento formale di un lavoro a una ditta ‘pulita’, cui formalmente viene liquidato il compenso, salvo far sì che i lavori siano eseguiti dagli uomini di mafia e che il compenso arrivi poi a loro;
  • –  Scelta sistematica delle ore notturne per le operazioni maggiormente rischiose, quali gli scarichi di grandi quantitativi di terra inquinata nelle aree pubbliche comunali;
  • –  Utilizzo di sistemi di camuffamento e mimetizzazione delle titolarità reali (in virtù di intestazioni artificiose e stratagemmi di vario genere), in modo da rendere innocua l’eventuale informazione che arrivasse alle autorità;
  • –  Utilizzazione di “scudi”, per proteggere e rendere occulte le attività mafiose sul cantiere, costituiti da personaggi e/o imprese-schermo assolutamente non ricollegabili alla famiglia mafiosa;
  • –  Creazione di una situazione di “caos strumentale” nella gestione del cantiere, in modo tale che la situazione sia governabile e venga governata solo dal capo-cosca e diventi invece pressoché inestricabile da parte dei titolari formali del cantiere.Sulla base di quanto sopra, la Prima Relazione di questo Comitato (luglio 2012) raccomandava, tra l’altro, la seguente iniziativa:

    adottare un meccanismo transitorio (dal 1° agosto 2012 al 1° agosto 2015), che prevedesse un cospicuo contingente di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria selezionati con criteri di affidabilità e competenza, e che potesse affiancare quotidianamente il Gruppo Interforze della Prefettura ed effettuare accessi e controlli nei cantieri, sia diurni che notturni, con apprezzabile frequenza.

Negli accessi sui cantieri, si raccomandava di affiancare agli uomini delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale) un Ispettore del Lavoro, un Ispettore ARPA e un Ispettore ASL. Si raccomandava altresì di non consentire alcuna prevedibilità circa l’orario di realizzazione degli accessi, i quali era bene che coprissero le 24 ore, visto che molti dei reati contestati o sanzionati in sede giudiziaria venivano consumati di notte (trasporto abusivo di terra e di materiale da discarica).

Queste raccomandazioni, peraltro, rimanevano lettera morta. Infatti, nei sei mesi successivi alla Prima Relazione, si verificò un solo controllo sui cantieri Expo, in data 24 ottobre 2012 (Cfr. Seconda Relazione di questo Comitato, maggio 2013, pp.1-20).

1.2 Oggi, a due anni di distanza dalla Prima Relazione, la situazione processuale relativa ai processi milanesi di ‘ndrangheta degli anni 2000 si è evoluta ulteriormente raggiungendo quei margini di certezza che sono insiti nel giudicato penale.

In particolare, il processo Infinito-Crimine-Tenacia celebrato con il rito abbreviato ha esaurito i suoi tre gradi di giudizio e le numerosi statuizioni di condanna – per associazione mafiosa e per altri delitti – sono divenute definitive (Corte di Cassazione, sez. VI, sentenza 6 giugno 2014). Inoltre, il processo parallelo celebrato con rito ordinario si è risolto anch’esso con numerose condanne analoghe, che hanno superato i due gradi di giudizio di merito e sono state confermate in secondo grado (Corte d’Appello di Milano, sentenza 28 giugno 2014).

Va sottolineato, tra l’altro, che la sentenza 6 giugno 2014 della Corte di Cassazione sul primo troncone Infinito segna una svolta storica, perché per la prima volta, in via definitiva, vi si afferma l’unitarietà dell’organizzazione mafiosa ‘ndrangheta, con tanto di organismo di vertice rappresentato da cariche elettive e temporanee, stabilite dalle tre “Province” della Piana, della Ionica e di Reggio, con il compito di custodire le regole che legittimano gli associati, ovunque essi siano (a Locri, a Milano, a Sidney o a Montreal), a dirimere controversie e ad assumere decisioni.

 

Inoltre la sentenza Infinito riconosce definitivamente la delocalizzazione di questo modello di ‘ndrangheta fuori dalla Calabria sin nel cuore del Nord, dove l’associazione mafiosa “La Lombardia” coordina le “locali” di Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno.

È passata quindi in giudicato l’idea di una ‘ndrangheta non più da leggere nella frammentarietà di una parcellizzazione localista dei vari clan, ma da riconoscere come una struttura tendenzialmente unitaria, governata da un coordinamento di vertice che opera in equilibrio tra centralismo dei rituali delle cosche e decentramento delle loro quotidiane attività illecite. Qualcosa di assimilabile a una specie di “franchising” – scrivono i giudici – dove «la casa madre è proprietaria del marchio ‘ndrangheta e ne ha nel tempo incoraggiato l’esportazione oltre i confini regionali, ma sempre riaffermando l’esigenza che le filiazioni esterne rispondano a determinati standard, in assenza dei quali cessa il riconoscimento».

1.3 Alla luce di questa importantissima evoluzione dei livelli di certezza riguardanti le conoscenze giudiziarie in materia di struttura e di modi operandi di ‘ndrangheta, sembra opportuno riconsiderare – e rivalutare come maggiormente significative – certe circostanze di fatto del processo Infinito già illustrate nella Prima Relazione, e che già due anni fa erano apparse non poco allarmanti.

Riconsideriamo, per esempio, le posizioni dei tre imputati Strangio Salvatore, Perego Ivano e Pavone Andrea (cfr. Prima Relazione, pp. 57-60), il primo condannato con sentenza definitiva nel troncone Infinito di rito abbreviato, il secondo e il terzo condannati con sentenza confermata in appello nel troncone di rito ordinario.

Il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 1) era contestato a costoro nei termini seguenti:

“[P]er aver fatto parte […] dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante da anni sul territorio di Milano e province limitrofe, [… c]on il ruolo di seguito specificato:

Strangio Salvatore in qualità di capo e organizzatore, perché acquisiva per conto della ‘ndrangheta, in particolare delle ‘ndrine di Platì e Natile di Careri, la gestione e comunque il controllo delle attività economiche della Perego Strade s.r.l., poi divenuta Perego General Contractor, una delle maggiori società operanti in Lombardia nel settore del movimento terra, garantendo con la propria presenza la equa spartizione dei lavori tra le ‘ndrine’ calabresi e le corrispondenti “locali” della Lombardia […]; Perego Ivano in qualità di partecipe, quale amministratore delle società del Gruppo Perego, perché acconsentiva e favoriva l’ingresso in società di Strangio Salvatore; richiedeva l’intervento di quest’ultimo per indurre imprenditori concorrenti a ritirare le offerte; intratteneva rapporti privilegiati sia con esponenti politici che con pubblici dipendenti, al fine di ottenere, anche a mezzo di regalie ed elargizioni di somme di denaro, l’aggiudicazione di commesse pubbliche, affinché la Perego fosse favorita nei rapporti con la pubblica amministrazione; dava direttive ai dipendenti ed organizzava lo smaltimento illecito di rifiuti, anche tossici, derivanti da bonifiche e demolizioni di edifici in discariche abusive;

Pavone Andrea in qualità di partecipe, perché favoriva l’ingresso in Perego General Contractor di Strangio Salvatore; inoltre, quale suo diretto referente, ne diveniva amministratore di fatto, occupandosi direttamente della gestione delle operazioni finanziarie, poi non andate a buon fine, relative all’acquisizione di partecipazioni societarie in altre importanti aziende nel settore delle opere pubbliche […]”.

Ebbene, dalla sentenza definitiva del maxiprocesso Infinito risultano accertati al di là di ogni ragionevole dubbio alcuni spunti importanti circa i modi operandi di ‘ndrangheta per l’infiltrazione nel settore degli appalti. Anzitutto si è acclarato con certezza che Perego deteneva il 51% del capitale della società Perego Strade, ma che Strangio e il suo referente Pavone ne controllavano – attraverso una società fiduciaria e attraverso un prestanome – il 49% delle quote. Vale a dire che «la più importante società del gruppo Perego, leader nel campo dell’edilizia in Lombardia, era una società nella quale la mafia partecipava direttamente al capitale sociale con una minoranza qualificata».

Risulta altresì accertato al di là di ogni ragionevole dubbio che il controllo della Perego Strade da parte di Strangio (che all’interno della Società aveva addirittura assunto l’incarico di facciata di addetto alla sicurezza dei cantieri ) si presentava come «fondamentale per controllare il movimento terra, tradizionale terreno d’interventi della ‘ndrangheta in Lombardia, anche dirottando subappalti a società direttamente controllate dall’organizzazione criminosa ed all’uopo costituite, e così gestire in prima persona una rilevante sigla imprenditoriale per partecipare agli appalti pubblici senza destare sospetti».

Ancora, risulta accertato al di là di ogni ragionevole dubbio – sulla base delle conversazioni intercettate – che Strangio «affermava essere il Gruppo Perego deputato a mantenere ben centocinquanta famiglie calabresi, anche attraverso l’aggiudicazione di appalti Expo».

1.4 Il fatto che Strangio Salvatore, Perego Ivano e il loro referente Andrea Pavone siano stati arrestati, incriminati, processati, condannati, e quindi messi in condizione di non nuocere, non significa certamente che un’organizzazione agguerrita, organizzata, capillare ed efficiente come la ‘ndrangheta unitaria descritta dalla sentenza definitiva Infinito abbia supinamente rinunciato alle proprie ambizioni e abbia, in particolare, rinunciato ai suoi progetti di trarre profitti delittuosi dallo sfruttamento dell’occasione Expo.

Al contrario, gli esiti degli accertamenti di polizia amministrativa condotti dalla Polizia Locale di Milano a partire da febbraio 2013 – a seguito del Protocollo d’intesa tra il Comune di Milano e i Comuni di Rho, Pero e Baranzate – consentivano di raccogliere elementi significativi (formulari di conferimento rifiuti, targhe di camion impiegati e dati identificativi delle relative imprese intestatarie e dei relativi conducenti) da cui si poteva desumere la probabile presenza sui cantieri Expo di imprese calabresi di movimento terra provenienti da aree della Calabria a forte presenza mafiosa ovvero da zone ricomprese in aree di influenza dell’una o dell’altra tra le sedici “locali” di ‘ndrangheta de “La Lombardia”, identificate e descritte nelle sentenze del processo Infinito.

Questo Comitato ha tentato invano di poter visionare i cosiddetti “Settimanali di cantiere” previsti dalle Linee-guida Ccasgo del 2011, onde verificare la regolarità o meno delle presenze sui cantieri delle suddette imprese, dei loro camion e dei rispettivi conducenti, ma non ha mai ricevuto risposta.

Di qui la Terza Relazione del Comitato (29 gennaio 2014), riservata e trasmessa alla DDA di Milano per quanto di eventuale competenza, che riguarda appunto gli esiti di quegli accertamenti.

1.5 A proposito delle direttive e delle linee-guida del Ccasgo – Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere – questo Comitato ritiene di dover manifestare le sue perplessità circa la reale efficacia delle strategie delineate in tali documenti allo scopo di ostacolare le infiltrazioni di mafia sui cantieri delle grandi opere, strategie fondate appunto sui compiti demandati ai cosiddetti Gruppi Interforze creati presso le Prefetture e alla previsione dei cosiddetti “Settimanali di cantiere” (cfr. Prima Relazione, §§ 4.2, 4.5 e 4.6).

Anzitutto, secondo le direttive del Ccasgo (Cfr. Decreto del Ministro dell’Interno 14 marzo 2003, art. 5, e Direttiva Ccasgo 2005, pp. 37-38), ai sette alti funzionari e alti ufficiali componenti il cosiddetto “Gruppo Interforze” sono attribuiti solo compiti burocratici, senza che essi possano operare ispezioni di sorta. Essi devono semplicemente «costruire, anche graficamente, una mappa aggiornata dei cantieri, che consenta di percepire con immediatezza l’incidenza di eventuali elementi di sospetto meritevoli di approfondimento». Dopo di che, se percepiscono “elementi di sospetto”, essi devono riferirli al Prefetto. Allora il Prefetto valuterà la situazione prospettatagli, dopo di che «potrà autorizzare, cognita causa, l’intervento degli organismi territoriali delle Forze di Polizia». Ma dopo l’eventuale decisione prefettizia i sette funzionari e ufficiali devono provvedere «alla messa a punto del dispositivo d’intervento, fissandone tempi e modalità» e solo a quel punto potrà esserci l’accesso ai cantieri.

Si tratta evidentemente di un meccanismo meramente burocratico che non a caso è rimasto sostanzialmente lettera morta e ha prodotto – nell’intero arco del 2012 – solo tre accessi (appunto burocratici) rispettivamente il 23 maggio, il 18 luglio e il 24 ottobre, sul cui esito manca qualsiasi informazione. E questa situazione di macchinosa inefficienza non è stata minimamente scalfita da quanto segnalato e suggerito dalla Prima Relazione di questo Comitato.

In secondo luogo le Linee-guida Ccasgo del 2011, approvate dal Cipe con delibera 3 agosto 2011, hanno previsto al punto 4 (evidentemente sul presupposto che così facendo si sarebbero tenute lontane le mafie) di attribuire all’appaltatore l’obbligo di individuare un Referente di cantiere che trasmettesse con cadenza settimanale alla Prefettura il cosiddetto Settimanale di cantiere, cioè l’elenco settimanale delle attività previste in cantiere per la settimana successiva, con tutte le indicazioni inerenti alle ditte che agiranno, i mezzi che si impiegheranno, i nomi di coloro che accederanno al cantiere.

Come si è già accennato, questo Comitato ha chiesto ripetutamente di vedere questi “settimanali di cantiere”, onde capire se e quanto fossero regolari i movimenti di mezzi e persone osservati sui cantieri Expo dalla Polizia Locale nel corso dei suoi accessi, ma non ha mai ricevuto risposta.

Ebbene, a questo punto è lecito sospettare che anche il prospettato meccanismo di controllo basato sul Referente di cantiere e sul Settimanale di cantiere sia rimasto lettera morta. Anche perché è pressoché impossibile prevedere settimanalmente, e descrivere in maniera particolareggiata, ciò che succederà in un cantiere la settimana successiva. Tanto più nell’ipotesi che, su quel cantiere, vi siano infiltrazioni tipo quelle descritte nei processi di mafia della DDA milanese degli anni 2000.

1.6 Il fatto di avere trasmesso alla DDA, per quanto di eventuale competenza, gli esiti degli accertamenti ammnistrativi condotti dalla Polizia Locale non esime questo Comitato dall’obbligo di ribadire il suggerimento, già rappresentato agli organi amministrativi e contenuto nella Prima Relazione, che a suo tempo non è stato preso in considerazione e che il Comitato ritiene oggi di dover riformulare – in termini ormai di estrema urgenza – nel modo seguente:

adottare un adeguato ed efficace meccanismo transitorio della durata di un anno (da applicare dal 1° agosto 2014 al 1° agosto 2015), che preveda un cospicuo contingente di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria selezionati con criteri di affidabilità e competenza, e che possa affiancare quotidianamente il Gruppo Interforze della Prefettura ed effettuare accessi e controlli nei cantieri, sia diurni che notturni, con frequenza, appunto, pressoché quotidiana. Affiancare agli uomini delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale) un Ispettore del Lavoro, un Ispettore ARPA e un Ispettore ASL. Non consentire alcuna prevedibilità circa l’orario di realizzazione degli accessi, i quali è bene che coprano le 24 ore, vista l’elevata possibilità, già accertata in sede giudiziaria, di operazioni illecite svolte in ore notturne. Prevedere infine la possibilità di situazioni emergenziali che eventualmente suggeriscano l’eccezionale impiego di personale e mezzi di trasporto delle Forze Armate.

Occorre sottolineare a questo punto come un capitolo di norma decisivo per una corretta gestione e regolazione delle opere pubbliche, oltre che per la loro preservazione dall’ingresso di interessi e imprese mafiosi, sia quello del “governo” delle terre e dei rifiuti utilizzate o prodotti nell’ambito dell’attività produttiva. Il Comitato si è più volte posto il problema delle modalità di gestione del ciclo in entrata e in uscita. E ne ha investito il nucleo ambiente della Polizia Locale, che ha svolto gli accertamenti che era titolato a compiere direttamente, quelli cioè ricompresi nel perimetro stabilito dal Protocollo di intesa.

2. Sul problema dei controlli ambientali.

Al di là di ulteriori, prossimi rilievi, è però doveroso segnalare che il governo, indubbiamente complesso, di terre e rifiuti ha presentato e presenta più di una ragione di preoccupazione. Anzitutto già nelle sue modalità di funzionamento più elementari. Funzionari pubblici hanno ad esempio raccontato che le pese destinate alla verifica “quantitativa” del materiale in ingresso e in uscita erano di fatto inaccessibili ai camion o perché circondate da paletti o perché il terreno circostante era adibito a parcheggio di auto.

Nel corso di un sopralluogo effettuato successivamente da parte della Polizia Locale è emerso che effettivamente almeno una pesa era inaccessibile per le ragioni indicate. E c’è naturalmente da interrogarsi sulla attendibilità dei criteri con cui il materiale trasportato è stato pesato, con successiva trascrizione della “stima” sulle bolle di accompagnamento o sulla documentazione di cantiere. Oltre all’aspetto quantitativo, si impone però anche l’aspetto qualitativo: da più parti si solleva infatti l’esigenza di effettuare controlli analitici (e non solo “visivi” secondo la normale prassi della Polizia Provinciale) dei materiali da scavo – ossia terre e riporti – in uscita e in entrata per verificare la coerenza tra documento di trasporto e l’effettivo contenuto.

Risulta al Comitato che la rendicontazione di Expo 2015 SpA rispetto alla gestione di terre e rifiuti sia stato oggetto, anche recentemente, di numerose contestazioni da parte della Regione Lombardia, con riferimento alla attualità o meno della presenza sui siti di importanti quantitativi di terra e anche sulla loro composizione e trattazione. Sembra cioè che si sia realizzato un sistema ad alto tasso di confusione che, di fronte all’imminente urgenza del “fare”, non potrà che avvantaggiare quelle imprese che si sono conquistate sul campo in almeno due decenni di attività una solida reputazione di “sbrigafaccende”: ossia esattamente quelle che dall’inizio si era proclamato di volere tenere lontane dai cantieri e dall’evento.

Eppure su altri cantieri, è stato spiegato al Comitato da un tecnico esperto, seguire il movimento delle terre non è particolarmente difficile, sebbene occorrano attenzioni e competenze adeguate: “basta un buon topografo che segna le coordinate cartografiche dei punti di scavo e un foglio excel dove annotare, come in un banale sistema di contabilità, cosa esce e dove va. Devono essere distinte le terre dai rifiuti e dalle bonifiche. Tutto qui”.

Le perplessità sulla gestione del ciclo sono poi aumentate dal fatto che tre dei siti di destinazione dei rifiuti sono anche, contemporaneamente, siti di fornitura. Si tratta della Cava Allara di Romentino (Novara), del sito EGS-AteG14 presso Paderno

Dugnano e Nova Milanese, e della cava di Bulgarograsso (Como), Sinergia Uno srl.

La doppia funzione di una cava è ammessa dalla legge. Ma certo nella situazione descritta l’esistenza di ben tre siti con queste caratteristiche (e tutti e tre in località che al presente segnano o in passato hanno segnato significative presenze di criminalità organizzata) suscita se non altro allarme circa la delicata questione del “circolo delle terre”, motivando un supplemento di attenzione da parte degli enti di controllo.

Tra l’altro la cava di Romentino ha avuto dalla Regione Piemonte l’abilitazione a ricevere “rifiuti” della categoria “terre da scavo”. E’ stato spiegato al Comitato che una tale abilitazione prevede in genere anche altri passaggi di valutazioni, ad esempio la richiesta di abilitazione a svolgere attività di discarica, cosa che nel caso in questione non si è verificata.

Il tema delle cave va dunque seguito con la più rigorosa attenzione. Dove finisce il materiale e di che tipo, come può “mescolarsi” con quello in uscita, i metodi di trattazione e classificazione, chi gestisce effettivamente il ciclo: tutto questo diventa parte importante dell’impegno di Expo 2015 contro la presenza di imprese mafiose. Certo non è incoraggiante che ancora nella scorsa primavera i camion impegnati nelle attività di trasporto dotati del celebre sistema GPS fossero meno di un terzo del totale stimato.

PARTE SECONDA. Sul contrasto di corruzione e criminalità organizzata in generale 

1. L’affidamento dei lavori pubblici. La partecipazione civica come risorsa per aumentare la trasparenza e l’accountability 

Alla luce del dibattito pubblico, delle evidenze prospettate dalle ultime importanti inchieste giudiziarie, e dell’analisi delle potenzialità racchiuse sia nella amministrazione pubblica milanese sia nelle larghe aree di cittadinanza attiva, il Comitato ha ritenuto di sviluppare in questa Quinta Relazione alcune proposte innovative che, se attuate, possono giocare un ruolo importante e talora di avanguardia nel garantire superiori livelli di efficacia nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Pur muovendosi su piani diversi, vanno in questa direzione le proposte contenute nel presente paragrafo e nei due paragrafi successivi.

Si partirà dunque da quella relativa ai criteri e alle forme di affidamento dei lavori pubblici. La premessa è che per conseguire il fondamentale obiettivo di contrastare la corruzione e di arginare l’offensiva della criminalità organizzata occorre garantire un alto livello di trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione e incoraggiare forme innovative e avanzate di partecipazione civica basate sull’utilizzo del patrimonio informativo pubblico.

L’economista Michele Polo e il sociologo Alberto Vannucci in un articolo comparso sul sito lavoce.info, commentando le vicende giudiziarie che hanno interessato i lavori di Expo 2015, hanno sottolineato che occorre “una piena trasparenza riguardo a procedure, costi, eventuali modifiche e integrazioni, tempi e risultati conseguiti dall’ attività contrattuale” sia come “supporto necessario all’attività di controllo amministrativo e giudiziario, certo” ma, soprattutto “come strumento conoscitivo indispensabile per riattivare il più importante canale di controllo dal basso, indebolito col tempo proprio dalla sfiducia generata dagli scandali: la partecipazione, lo scrutinio e il giudizio critico dei cittadini sull’operato dei propri rappresentanti istituzionali.”

Più un’amministrazione è trasparente, più dimostra di non temere il controllo e il giudizio dei cittadini, bensì di accoglierli come elementi propulsivi del proprio fare quotidiano. Per questo, oltre alla trasparenza, sarebbe opportuno che l’amministrazione stimolasse la partecipazione dei cittadini, così da mantenere vivo il controllo democratico.

Le potenzialità economiche e sociali dell’utilizzo del patrimonio

informativo pubblico sono sempre più oggetto di studi e analisi a livello europeo e

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internazionale . É ampiamente riconosciuto che il ri-uso dei cosiddetti “open data” , i

dati aperti, ovvero “liberamente utilizzati, riutilizzati e ridistribuiti da chiunque,

soggetti eventualmente alla necessità di citarne la fonte e di condividerli
tipo di licenza con cui sono stati originariamente (http://opendatahandbook.org/it/what-is-open-data/) ha un impatto
positivo, così come sembra averlo, pur essendo un campo di indagine
esplorato, sul piano della prevenzione e del contrasto della corruzione o
situazioni che a questa fanno da corollario o da incubatore, come cattiva amministrazione, clientelismo, conflitto di interesse (è attualmente in corso una ricerca europea sulle potenzialità degli open data nella lotta alla corruzione

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Per realizzare le potenzialità degli open data è essenziale costruire tempestivamente un ecosistema favorevole che includa attori diversi, pubblici privati e del settore no profit, consentendo così di cogliere al meglio le opportunità che la condivisione del patrimonio informativo pubblico offre in termini di trasparenza e accountability.

con lo stesso rilasciati” economico ancora poco di pratiche o

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coordinata dal centro di ricerca RiSSC).

Come è risaputo, il ritardo nei lavori per la realizzazione di Expo 2015 ha prodotto una condizione di urgenza che ha giustificato la prassi delle deroghe rispetto al codice dei contratti pubblici, rendendo più opache le procedure di assegnazione, abbassando il livello dei controlli e, conseguentemente, aumentando il rischio di pratiche di corruzione e di infiltrazioni mafiose. Si è giunti, dunque, a una situazione di emergenza sul piano della legalità. Per affrontare tale emergenza una strategia sicuramente utile sarebbe quella di incrementare la trasparenza delle procedure di spesa della società Expo 2015 SpA che andrebbe aumentata in modo direttamente proporzionale alla prassi di affidare i lavori mediante bandi con procedure chiuse. Dal momento che è negli affidamenti diretti che si annida maggiormente il rischio di clientelismi e pratiche di corruzione, è necessario che società aggiudicatrice e società aggiudicanti siano disposte a operare il più possibile in chiaro, aprendo i propri dati alla consultazione pubblica.

Da tempo esiste una richiesta di visibilità delle informazioni sui lavori di Expo 2015: si vedano, ad esempio, le richieste d’accesso agli atti del consigliere comunale Marco Cappato in risposta alle richieste di alcuni comitati di cittadini; il progetto “Expo Leaks”, piattaforma online realizzata da giornalisti investigativi e sviluppatori informatici con l’obiettivo di offrire uno strumento di comunicazione anonimizzata a chi fosse a conoscenza di notizie su irregolarità o illeciti nei lavori per la realizzazione di Expo 2015 (https://www.expoleaks.it/it/).

Le informazioni pubblicate nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito di Expo 2015 SpA non sembrano essere sufficienti a soddisfare tale domanda. Il principio della trasparenza andrebbe applicato in tutto il ciclo del contratto pubblico, a partire dalle fasi chiamate “interne”, ovvero relative alla elaborazione dei bandi, passando per la fase di esecuzione dei lavori, a quella in cui si decidono eventuali varianti in corso d’opera, fino a quella conclusiva dei collaudi.

La fase in cui il rischio di infiltrazioni mafiose è maggiore riguarda l’esecuzione dei lavori . Per questo il Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e la sicurezza nei cantieri, istituito presso la Regione Lombardia dall’art. 10 della legge regionale n. 9 del 2011 “Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità” con la funzione di vigilare sulla trasparenza degli appalti e sulla sicurezza dei cantieri, anche con particolare riferimento a EXPO 2015, monitorando la trasparenza e il rispetto della normativa vigente in materia di contratti di lavori, servizi e forniture e degli investimenti pubblici, ha proposto delle linee guida di trasparenza e tracciabilità proprio relative alla fase esecutiva dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che offrono dei suggerimenti pratici molto preziosi che faciliterebbero l’adempimento della normativa sulla trasparenza e tracciabilità, già molto esaustiva sugli obblighi di comunicazione delle informazioni necessarie per permettere all’autorità pubblica e alla cittadinanza di controllare, e che sarebbero “in linea con quanto suggeriscono le direttive europee, già entrate in vigore, e che le norme nazionali dovranno recepire”.

I lavori e i servizi che verranno affidati da qui alla conclusione di Expo 2015 sono ancora molti e pertanto occorre trovare il modo per rendere più pubblico ed evidente l’intero ciclo dei contratti pubblici. In particolar modo, si segnalano i rischi intorno ai lavori di smaltimento delle strutture temporanee a fine esposizione, che apriranno opportunità ai mercati in cui le mafie si sono specializzate.

Le norme sulla trasparenza esistono, tuttavia è necessario migliorare:

  • −  l’effettiva raccolta delle informazioni e la precisa e corretta rendicontazione dei lavori eseguiti e dei servizi forniti all’amministrazione pubblica al fine di potenziare l’azione di controllo da parte dell’autorità pubblica;
  • −  la pubblicità e la circolazione delle informazioni e la partecipazione attraverso il monitoraggio civico dei lavori eseguiti e dei servizi forniti all’amministrazione pubblica al fine di potenziare l’azione di scrutinio pubblico.Ciò favorirebbe la sinergia tra autorità pubblica e società civile in un’ottica di sicurezza partecipata.

    Considerate queste premesse, il Comitato suggerisce che l’amministrazione comunale si impegni a collaborare alla realizzazione dei suggerimenti posti nelle linee guida del Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e la sicurezza nei cantieri relativamente alla pubblicazione online di tutte le informazioni concernenti tutte le fasi dei contratti pubblici.

    Uno strumento particolarmente utile a favorire la visibilità delle procedure dei contratti pubblici relativi a Expo 2015 potrà essere senz’altro la piattaforma “Open Expo”, prevista dal progetto lanciato dal commissario Raffaele Cantone e dall’amministratore delegato di Expo 2015 SpA Giuseppe Sala e presentato a Venezia nel corso dell’evento Digital Venice l’8 luglio scorso. Il progetto sarà coordinato dall’associazione Wikitalia nella persona del giornalista Riccardo Luna con la collaborazione di un team di esperti, sviluppatori, giornalisti e giuristi.

La convenzione tra la società Expo 2015 Spa e Wikitalia prevede che EXPO si impegni “al fine di garantire la disponibilità e l’accessibilità dei dati relativi alla gestione finanziaria e ai lavori e, più in generale, alle informazioni relative al progetto dell’iniziativa e alla sua evoluzione, in modo da consentirne la fruizione e la utilizzazione da parte dei cittadini, delle imprese e delle altre pubbliche amministrazioni (http://luna.blogautore.repubblica.it/2014/07/09/open-expo-cose- cosa-comporta-e-perche-e-finalmente-ripartita-la-trasparenza-di-expo-2015/).

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Data l’esperienza del precedente progetto Open Expo, che era stato annunciato in conferenza stampa nel 2012, ma che poi era rimasto lettera morta, il Comitato ritiene fondamentale che l’opinione pubblica e l’amministrazione comunale sostengano il progetto, assicurando che la società Expo 2015 SpA rilasci i dati necessari a una seria e attenta attività di monitoraggio civico.

Più precisamente, affinché il progetto Open Expo possa avere un impatto positivo ed efficace in termini di prevenzione e contrasto di fenomeni di illegalità, il Comitato intende porre l’attenzione sulle seguenti questioni, avanzando alcuni suggerimenti:

1) Selezione e qualità dei dati da pubblicare

É importante che i dati pubblicati siano utili a uno scrutinio pubblico e a permettere di individuare eventuali anomalie. I dati dovrebbero comprendere sia quelli della società Expo 2015 SpA relativi alla elaborazione dei bandi degli appalti (ad esempio anche nominativi e cv dei membri delle commissioni aggiudicatrici, del RUP, i nomi dei collaudatori e i verbali da loro redatti, etc..), ma anche quelli delle imprese, degli enti e dei soggetti beneficiari (sia gli aggiudicatari sia le aziende subappaltatrici). La trasmissione di tali dati è prevista per legge, come sottolineato ampiamente nelle linee guida del Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e la sicurezza nei cantieri, ma è opportuno ribadire l’importanza di un’effettiva raccolta e ripubblicazione con alti standard di qualità che permetta di utilizzarli effettivamente mediante la combinazione con altre banche dati.

Al riguardo il Comitato riprende alcuni preziosi riferimenti normativi sulla questione della pubblicità dei dati richiamati nelle linee guida del Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e la sicurezza nei cantieri in riferimento alla trasparenza della filiera dei subappalti:

“La pubblicazione delle informazioni sulle filiere dei subcontratti dovrà altresì essere conforme anche in riferimento alla accessibilità, alla pubblicazione in formato di tipo aperto ai sensi dell’articolo 68 del Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e alla riutilizzabilità ai sensi del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità (come stabilito dall’art. 7 del Dlgs 33/2013). Come già sottolineato pur in assenza di un obbligo esplicito alla pubblicazione dei dati sulla filiera dei subcontratti e dei subcontraenti, le norme in vigore consentono e sollecitano l’adozione di quanto proposto dalle linee guida.”

Suggerimento:

Per quanto riguarda la raccolta dei dati utile al lavoro delle autorità pubbliche si rimanda alle linee guida del Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e la sicurezza nei cantieri. In relazione invece ai dati utili allo scrutinio pubblico, si raccomanda che vengano selezionati e sistematizzati alcuni specifici dati, evitando il rilascio di una mole eccessiva di dati che porterebbe a un’inflazione delle informazioni, rendendone difficoltosa la fruizione.

A tal fine sarebbe utile creare dei gruppi di lavoro composti da esperti dei settori più a rischio e da esperti di partecipazione e monitoraggio civico che si occupino di selezionare i dati più utili da pubblicare. Il Comitato si rende disponibile a indicare dei soggetti che potrebbero svolgere questo ruolo.

2) Legislazione sulla privacy

L’importante diritto alla privacy talvolta può divenire una barriera di fronte alla necessità di realizzare operazioni di trasparenza. Il difficile equilibrio tra garanzia della privacy e garanzia della trasparenza è al centro di dibattiti giuridici: “Oggi la scommessa è la ricerca di un corretto bilanciamento (di un ragionevole equilibrio) fra attuazione del principio di trasparenza e tutela della riservatezza in funzione di garanzia”, mette in luce la Prof.ssa Licia Califano, Componente del Garante per la protezione dei dati personali, presentando al Forum PA del 2014 le nuove Linee guida del Garante privacy sulla trasparenza nella PA.

(http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb- display/docweb/3236215)

Suggerimento:

Il Comitato ritiene che, laddove il rischio di illegalità nei contratti pubblici sia particolarmente elevato, occorra trovare delle soluzioni che pongano delle deroghe alla legislazione sulla privacy (ad esempio relativamente ai nomi delle ditte individuali), così come vi sono state delle deroghe alla legislazione relativa ai contratti pubblici per motivi di urgenza.

3) Rendicontazione

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La cittadinanza ha il diritto di sapere se i soldi gestiti da Expo 2015 SpA, società privata, ma a partecipazione pubblica, siano stati spesi correttamente e in modo proficuo. Per questo occorre che possano essere sottoposti a scrutinio critico dell’opinione pubblica anche i risultati dei lavori e delle consulenze assegnate a soggetti e società private. In questo modo è possibile anche capire se si è trattato di assegnazioni dettate da ragioni non legate al merito dell’offerta, soprattutto nei casi di bandi a procedura chiusa.

Fare chiarezza sull’esito (realizzazione, costi e qualità) dei lavori e servizi appaltati è nell’interesse pubblico, ma anche del management della società Expo 2015, in quanto permetterebbe di rispondere ed eventualmente confutare alcuni sospetti sollevati dalla stampa (si veda ad esempio l’articolo di Marco Maroni sul “Fatto Quotidiano” del 23 maggio 2014: “Desta stupore poi il fatto che la ‘Realizzazione di Piattaforma Gestionale finalizzata ad adempiere alle richieste delle Linee Guida Antimafia per protocollo di legalità’, sia stata affidata, sempre senza gara, nel 2012 in due tranche a due società diverse, prima alla Bentley System Italia (200mila euro) e poi alla Opera 21 Spa (541.500 euro). Quest’ultima doveva già essere in condizioni economiche critiche visto che nel luglio scorso è stata dichiarata insolvente. Ma alla scelta della società potrebbe non essere estranea la circostanza che presidente e azionista era un imprenditore di area ciellina, già assessore della Provincia di Milano nella Giunta di Ombretta Colli, il forzista Daniele Carboni”).

Suggerimento

Obbligo dei soggetti e delle imprese appaltatrici e subappaltatrici di rendicontare pubblicamente il proprio lavoro attraverso il proprio sito, pena la cessazione del contratto. Al proposito occorre trovare delle soluzioni, affinché l’obbligo non si traduca in un adempimento troppo impegnativo, tale da divenire un indebito aggravio del contratto di appalto, e che non venga violato il diritto alla segretezza sulle informazioni a tutela della concorrenza.

4) Riuso dei dati

La pubblicazione dei dati non è sufficiente, se questi non vengono letti, interpretati e combinati tra di loro al fine di individuare eventuali anomalie e indicatori di pratiche di clientelismo, corruzione o di infiltrazioni mafiose. Non esistono ancora casi di iniziative di ri-utilizzo di open data da parte di associazioni o cittadini con questo

La domanda di open data è ancora scarsa. L’analisi dei dati non dovrebbe essere affidata solamente alle autorità competenti. La carenza di controlli andrebbe colmata non solo potenziando le forze dell’ordine a questi predisposte e migliorando la loro organizzazione, ma anche in parte responsabilizzando la cittadinanza a esercitare il proprio diritto/dovere di controllo.

In particolar modo andrebbero incoraggiati quei soggetti che per le loro competenze informatiche e la capacità di analizzare i dati e tradurli in contenuti comprensibili e fruibili da un ampio pubblico, potrebbero svolgere un importante ruolo di mediazione tra i dati e i cittadini.

Suggerimento

Il Comune, la Provincia e la Regione, assieme alla società Expo 2015 SpA, potrebbero favorire e creare delle forme di incentivazione al riuso dei dati, stimolando i soggetti intermediari o i cittadini stessi a ri-utilizzare i dati, ad esempio proponendo forme di partecipazione particolarmente innovative basate sulla tecnologia informatica, come le attività che in linguaggio specialistico sono chiamate hackathon e monithon, o incentivi a realizzare inchieste giornalistiche basate sui dati (cosiddetto data journalism). Si tratta di pratiche di riuso di dati ancora poco conosciute e diffuse in Italia, ma che stanno aumentando sempre più, nonostante la persistenza di barriere tecnologiche, economiche e culturali, dovute al fatto che si tratta di attività che necessitano di alte competenze digitali e disponibilità di tempo e di fondi per acquisire e analizzare i dati.

L’amministrazione comunale, provinciale e regionale, assieme alla società Expo 2015 SpA, potrebbero avviare percorsi in questa direzione, promuovendo:

− campagne di informazione sulla disponibilità di dati aperti che possono essere riutilizzati per far circolare la conoscenza dell’esistenza degli open data;

6 Un valido esempio di combinazione di open data per individuare casi di conflitti di interesse e di forme di clientelismo/ corruzione negli appalti aggiudicati mediante procedura diretta è il lavoro condotto da Transparency International in Georgia, che ha realizzato un interessante studio incrociando i dati dei finanziamenti ai partiti e i dati delle aggiudicazioni dirette di lavori pubblici, Transparency International Georgia, Simplified Procurement. Corruption Risks in Non-competitive Government Contracts, 2013.

obiettivo.

− riunioni o competizioni tra programmatori informatici, basate sui dati pubblicati nella piattaforma Open Expo, volti a creare prodotti digitali utili a individuare anomalie o indicatori di corruzione negli appalti pubblici, ad esempio applications che permettano di calcolare rapidamente la differenza tra preventivo (che ha permesso all’impresa di vincere la gara al massimo ribasso) e consuntivo (che spesso arriva a superare la stessa base d’asta), e di metterli in relazione ai tempi di esecuzione dei lavori e confrontarli alla media regionale, nazionale ed europea di spesa e di tempi per eseguire la stessa tipologia di opera. (Gli hackathon sono sempre più diffusi: si veda ad esempio la competizione lanciata dal Centro di ricerca Nexa del Politecnico di Torino il 23 luglio scorso sulla trasparenza dell’uso delle risorse pubbliche);

− maratone di monitoraggio civico, prendendo spunto da buone pratiche come quella del progetto Monithon, iniziativa di monitoraggio civico delle politiche pubbliche per la coesione finanziate prevalentemente con i fondi strutturali europei, i cui dati sono messi a disposizione nella piattaforma Opencoesione lanciata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica. Come si legge sul sito di Monithon “L’idea, nata in occasione del primo raduno degli iscritti alla mailing list “Spaghetti Open Data”, è che un esperto interessato, un cittadino curioso, un giornalista o un ricercatore possa essere incoraggiato a raccogliere informazioni ed evidenze sullo stato di avanzamento dei progetti e sui risultati prodotti, tramite visite in loco, interviste o analisi e raccolta di dati sul web”

7 http://www.monithon.it/page/index/1 ;

− premi per inchieste di giornalismo investigativo o civico basate sugli open data;
− attività di formazione volte a insegnare ad analizzare i dati, a narrare e visualizzare mediante infografiche le informazioni che emergono dall’analisi dei dati.

Favorire una progettualità in questa direzione, avviando un processo di conoscenza del valore del patrimonio informativo pubblico e di formazione al suo riutilizzo, come parte di un programma innovativo di responsabilizzazione civica, permetterebbe di aggiungere un significativo tassello alla potenziale eredità positiva dell’evento Expo Milano 2015, che si auspica possa lasciare un segno positivo non solo in materia di alimentazione, tema dell’Esposizione, e in termini economici, ma anche sul piano dell’avvio e della valorizzazione di pratiche di controllo partecipato sulle risorse pubbliche, perché siano effettivamente investite nell’interesse collettivo piuttosto che in quello di una cerchia ristretta di soggetti privati.

L’urgenza-emergenza di Expo 2015 non deve portare a trascurare gli altri cantieri aperti nella città sui quali andrebbe sviluppato un progetto simile a Open Expo. L’amministrazione comunale potrebbe lanciare una piattaforma “Open cantieri” con l’obiettivo di pubblicare i dati in formato aperto di tutte le procedure di affidamento degli appalti del Comune di Milano. Lo sviluppo di un simile progetto richiederebbe un investimento economico non particolarmente oneroso, dato che l’Amministrazione comunale da un lato ha già intrapreso ed è in una fase avanzata di un percorso di digitalizzazione e di pubblicazione dei propri dati in adempimento al decreto legislativo 33/2013, dall’altro lato potrebbe avvalersi del contributo di giovani sviluppatori che, spinti da motivazioni sociali e civili e dai principi che muovono il movimento dell’ Open government (cosiddetti hacker civici), potrebbero essere disponibili a mettere a disposizione le proprie competenze in modo gratuito in nome dell’interesse pubblico e della promozione della cultura della condivisione dei dati e delle informazioni.

Senza dubbio la promozione di questo tipo di attività è un modo per dimostrare apertura e rinnovare il rapporto di fiducia tra amministrazione pubblica e cittadinanza.

2. Le società partecipate: una proposta per valorizzare i controllori.

Sul piano dell’impegno per la trasparenza e per l’accountability si colloca anche la proposta di una maggiore responsabilizzazione civica degli organismi di controllo delle società partecipate, le quali talora sono apparse silenti o defilate (e in qualche caso in evidente distonia) rispetto agli obiettivi fissati dall’Amministrazione su questi piani.

Va detto che la proposta di un maggiore coinvolgimento di tali organismi di controllo è giunta al Comitato proprio da parte di alcuni loro esponenti, a dimostrazione che esistono nella struttura amministrativa “allargata” qualificate energie e disponibilità a cooperare al raggiungimento degli obiettivi di una superiore trasparenza della cosa pubblica.

Le dimensioni del tema possono in effetti essere meglio comprese se si pensa che il Comune di Milano controlla 8 importanti società, alcune delle quali costituiscono veri e propri gruppi: si tratta di una parte rilevantissima dell’economia e dell’amministrazione cittadina riconducibile al primato dell’interesse pubblico e a una titolarità decisionale “ultima” in capo al Sindaco di Milano. Se ne ricorda qui di seguito l’articolazione:

– AMAT srl – ATM spa – SEA spa
– MM spa

– SOGEMI spa
– MILANO SPORT spa
– MIR Milano Immobili e reti srl – Milano Ristorazione spa

Lo stesso Comune di Milano detiene poi quote di partecipazione in altre importanti società, in percentuali differenziate per ciascuna di esse:

– A2A spa 8
– Expo 2015 spa
– Arexpo spa
– AFM spa
– Milano Serravalle Tangenziali spa – Navigli scarl
– Amiacque srl
– Cap Holding spa

Ad avviso del Comitato l’urgenza di assegnare anche alle società partecipate un ruolo primario nella costruzione di un nuovo spirito pubblico è sollecitata dagli stessi recenti fatti di cronaca. In questa Relazione ci si limita a segnalare come purtroppo le recenti indagini della magistratura su Expo 2015 e Mose abbiano rafforzato in larghi settori dell’opinione pubblica l’idea di una corruzione larga e quasi “organica” al settore pubblico.

8 Si precisa, per completezza di informazione, che la società A2A spa è una società quotata sul mercato regolamentato della quale il Comune di Milano detiene il 27,668% del capitale sociale.

Nei fatti la strumentazione per esercitare l’azione di contrasto è pur prevista dalla normativa più recente: con l’approvazione della legge 190/2012 (Anticorruzione) e del D.Lgs. 33/2013 (Trasparenza), che prevedono tra l’altro, rispettivamente, la redazione dei piani anticorruzione e dei piani per la trasparenza nonché la nomina dei Responsabili per la Prevenzione della Corruzione e dei Responsabili per la Trasparenza, la Pubblica Amministrazione e il settore pubblico hanno avviato sul piano legislativo una politica di contrasto alla corruzione. I due tipi di provvedimenti sono peraltro strettamente legati in quanto, come ha ricordato il presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone, la corruzione si sviluppa proprio nell’opacità e nella mancanza di trasparenza.

Per ottenere un contrasto efficace della corruzione, sia attiva che passiva, e favorire comportamenti esemplari da parte della Pubblica Amministrazione, occorre dunque istituire e sviluppare concretamente il complesso di questa strumentazione.

Le società partecipate dal Comune di Milano hanno provveduto in tutto o in parte a farlo e si sono dotate di un Codice Etico. Inoltre alcune di esse hanno anche provveduto all’adozione del D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese e per la prevenzione della corruzione attiva, con la prevista realizzazione del Modello Organizzativo, la nomina di un Organo di Vigilanza e l’adozione di un regolamento sanzionatorio.

E tuttavia l’applicazione di strumenti di contrasto così importanti, specie nel contesto attuale, si scontra con ritardi e inadeguatezze. Da un lato la nomina dei responsabili per la prevenzione della corruzione e dei responsabili per la trasparenza nelle società pubbliche viene a volte vissuta come un obbligo burocratico, e parimenti la realizzazione dei piani viene percepita come un ulteriore fardello per aziende che hanno già adottato il D.Lgs. 231/2001. Dall’altro lato la mancanza di esperienza e di riferimenti crea una vera difficoltà nell’adempimento del ruolo. Di più: la condizione di separatezza in cui le varie figure responsabili si muovono crea un oggettivo indebolimento della azione anti-corruzione, dal momento che ogni organismo agisce solo per la sua parte senza cercare forme di collaborazione e al di fuori di una visione comune. Da qui una percezione di “solitudine” o di isolamento in coloro che sono stati investiti di queste responsabilità di controllo.

Il suggerimento del Comitato è dunque che l’Amministrazione comunale avvii la creazione di un coordinamento di tutti coloro che, a vario titolo, come dirigenti delle aziende e come professionisti, ricoprono i ruoli di Responsabile per la Prevenzione della Corruzione, Responsabile della Trasparenza, Componente degli Organismi di Vigilanza 231/2001 nelle società controllate e nei loro gruppi.

Gli obiettivi di un tale coordinamento potrebbero essere i seguenti:

 

  • –  consolidare il ruolo proattivo del Socio di maggioranza nel contrasto della corruzione e nello sviluppo di una moderna cultura della legalità,
  • –  creare rapporti diretti tra le varie figure impegnate nelle varie aziende e tra queste e il Comune di Milano,
  • –  realizzare uno scambio di esperienze concrete e azioni formative su come promuovere e realizzare gli adempimenti di legge, anche alla luce del necessario coordinamento tra il Piano per la Prevenzione della Corruzione del Comune di Milano e quelli delle Società in questione (tra l’altro con risparmi di fondi oggi spesi dalle società in corsi di dubbia utilità),
  • –  stabilire piani e tempi comuni di lavoro,
  • –  evidenziare le best practices.Tale coordinamento potrebbe realizzarsi senza appesantimenti burocratici attraverso seminari periodici di analisi e aggiornamento rivolti, almeno due volte all’anno, alla figure di cui sopra, alla presenza del sindaco o di un suo delegato e con la partecipazione di esperti e dirigenti comunali, e nella parallela o successiva diffusione di pareri e istruzioni di lavoro. Esso potrebbe fare riferimento al Responsabile per la prevenzione della corruzione nonché responsabile per la trasparenza del Comune di Milano. La partecipazione dovrebbe essere intesa come volontaria ma la sola nascita di questa struttura produrrebbe certo un positivo effetto di mobilitazione verso chi è impegnato su questo fronte e ne avverte la responsabilità morale.

    3. La Polizia Annonaria: proposta di istituzione di un nucleo antiriciclaggio.

    Nella Quarta Relazione il Comitato ha sottolineato una serie di questioni e criticità legate alle vulnerabilità del settore del commercio di fronte alla disponibilità finanziaria delle mafie. Oltre a inquinare l’economia, infatti, l’acquisto, la gestione o la disponibilità di esercizi pubblici da parte della criminalità mafiosa facilita uno dei suoi principali fattori di forza, il controllo del territorio.

    Tra le forze dell’ordine che presidiano il territorio la Polizia Annonaria si occupa specificamente di controllare il settore commerciale. Così come le Polizie Locali dei Comuni su cui insiste il Polo Fieristico dell’EXPO si sono rivelate fondamentali, a seguito del Protocollo di intesa, per aumentare i controlli e quindi

    diminuire i rischi di penetrazione mafiosa nei lavori pubblici, così il Comitato ritiene

che anche la Polizia Annonaria, parte integrante e importante della Polizia Locale milanese, possa dare uno specifico e incisivo contributo per arginare la penetrazione dei capitali illeciti delle mafie nell’economia pulita della città.

La Polizia Annonaria opera infatti in condizioni che le permettono di percepire in tempo reale situazioni sospette dietro le quali possono nascondersi l’afflusso di capitali illeciti o la presenza operativa di criminalità mafiosa. Osservando il territorio direttamente, gli agenti della Polizia Annonaria riescono cioè a vedere, e addirittura a intuire, quel che non è possibile rilevare attraverso una semplice analisi dei dati.

Sia per l’urgenza e la gravità del problema sia per la indisponibilità di strutture e programmi informatici in grado di segnalare automaticamente l’insorgenza di situazioni “a rischio”, il Comitato propone dunque di valorizzare lo speciale know- how acquisito da questo reparto nel campo dei controlli e delle indagini nel settore del commercio, e di inserirlo programmaticamente in una organica (ossia: dedicata) strategia antiriciclaggio predisposta dal Comune.

Attualmente la Polizia Annonaria consta di 81 unità tra personale interno (amministrativo) ed esterno. Quest’ultimo è suddiviso in sottogruppi che si occupano di vari settori del commercio (commercio su area pubblica, commercio in sede fissa e tutela del consumatore).

Il Comitato suggerisce al Sindaco, e, suo tramite, all’Assessorato alla Sicurezza e Coesione sociale e al Comando di Polizia Locale, che più volte hanno dimostrato sensibilità per questo tema, la creazione di un nucleo della Polizia Annonaria appositamente dedicato alle attività antiriciclaggio. Date le peculiarità del compito, è anche possibile immaginare l’istituzione di un progetto pilota che (magari passando per una fase sperimentale) possa svolgere una funzione di orientamento e riferimento per altre esperienze urbane; e che da subito possa concretarsi nell’allestimento di uno specifico database delle situazioni “anomale” o “a rischio”.

Il nucleo antiriciclaggio, agile e composto da personale dotato di alta professionalità, e con competenze in materia commerciale e in diritto societario, andrebbe, ad avviso del Comitato, prevalentemente indirizzato allo svolgimento di una duplice attività, del cui potenziamento si avverte fortemente l’esigenza (vedi appunto la Quarta Relazione):

– osservazione e monitoraggio delle dinamiche “anomale” che caratterizzano il settore commerciale operante sul territorio

– conduzione di indagini mirate su tali dinamiche attraverso analisi di banche dati 29

Diretti interlocutori del nucleo e destinatari “naturali” della sua attività ricognitiva e informativa sarebbero, oltre all’Amministrazione Comunale, sia la U.I.F sia la Procura della Repubblica, che la possibilità di sviluppare le indagini fino a un certo livello consentirebbe di non ingolfare con generiche segnalazioni. Questa attività, fra l’altro, bene integrerebbe, grazie alla propria specialità, il lavoro già svolto con efficacia dall’Ufficio Entrate e Lotta all’evasione del Comune, che ha recentemente portato frutti significativi con due importanti segnalazioni di operazioni sospette alla U.I.F, con la quale il Comune ha siglato un Protocollo d’Intesa (http://www.compliancenet.it/comune-milano-segnala-uif-operazione-sospetta- riciclaggio-il-sole-24-ore-20-febbraio-2014).

Avendo già verificato lungo tutta la prima fase dei controlli Expo le difficoltà incontrate dalla Polizia Locale ad avere accesso a fondamentali banche dati, il Comitato ritiene infine doveroso segnalare l’importanza che tale nucleo disponga delle seguenti risorse informatiche:

  • –  computer con processori e memoria non sottoposti al firewall del Comune, così da potere svolgere nel modo più tempestivo la propria attività di ricerca e indagine;
  • –  accesso a queste altre banche dati, oltre a quelle del Settore Attività Produttive del Comune di Milano e della Camera di Commercio: Anagrafe, Motorizzazione, Ancitel, Telemaco, Siatel (Agenzia delle entrate), Sives (Agenzia del territorio); e questo allo scopo di potere lavorare con il necessario grado di approfondimento alla valutazione degli indicatori di sospetto emersi sul territorio.4.Sulle regole per gli appalti.

    In tema di contratti di appalti pubblici il Comitato, dopo essersi confrontato con i funzionari competenti in materia dell’Amministrazione, e sulla scorta della documentazione e delle ulteriori informazioni acquisite, propone le seguenti considerazioni, a compendio di quanto esplicitato nelle precedenti relazioni.

    Occorre innanzitutto rilevare come non sia vero che l’attuale legislazione, se fedelmente intesa e applicata, non consenta o non avrebbe consentito un contrasto della corruzione o della malavita organizzata; è vero invece che essa è divenuta nella sua deteriore applicazione il veicolo principe per la diffusione di atteggiamenti criminosi. Questo Comitato ha più volte sottolineato come la scelta del contraente secondo il procedimento della “offerta economicamente più conveniente”, pur derivando ideologicamente dalla necessità di contrastare i ribassi anomali del sistema di aggiudicazione “al miglior offerente”, non solo non ha risolto il problema ma ha per converso aumentato i fenomeni di corruzione.

Basta rilevare la contraddizione insita nella legge stessa (Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/ce e 2004/18/ce) tra l’ Art. 93 (Livelli della progettazione per gli appalti e per le concessioni di lavori; art. 16, L. n. 109/1994) e l’Art. 81 (Criteri per la scelta della migliore offerta), l’ Art. 82 (Criterio del prezzo più basso), l’ Art. 83 (Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) e infine l’Art. 84 (Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

All’Art. 93 si definiscono: “ … tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva, in modo da assicurare: a) la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative; b) la conformità alle norme ambientali e urbanistiche; c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario”. Le declaratorie che riguardano i tre livelli rispondono a tre distinte fasi del processo edilizio: a) la sommaria individuazione dell’oggetto necessaria alle prime delibere dell’amministrazione e all’inserimento dell’opera nel piano triennale: b) la definizione dell’onere economico e delle eventuali operazioni preliminari per l’indizione della gara d’appalto; c) la definizione di tutte le componenti del progetto e la loro verifica sotto tutti gli aspetti, compresa descrizione dettagliata e computo metrico estimativo. Questo livello di progettazione e di descrizione annulla totalmente, ad avviso del Comitato, la necessità di ricorrere alla scelta del contraente con la procedura dell’offerta economicamente più vantaggiosa, permettendo invece di ricorrere all’offerta al massimo ribasso purché in presenza di una direzione lavori competente ed “impenetrabile”.

Infatti in caso di offerta economicamente più vantaggiosa i criteri di aggiudicazione si basano sulle seguenti valutazioni:

a) il prezzo;
b) la qualità;
c) il pregio tecnico;
d) le caratteristiche estetiche e funzionali;
e) le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto;
f) il costo di utilizzazione e manutenzione;
g) la redditività;

h) il servizio successivo alla vendita;
i) l’assistenza tecnica;
l) la data di consegna ovvero il termine di consegna o di esecuzione;
m) l’impegno in materia di pezzi di ricambio;
n) la sicurezza di approvvigionamento e l’origine produttiva;
o) in caso di concessioni, altresì la durata del contratto, le modalità di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento delle tariffe da praticare agli utenti.

Escludendo la lettera a) che comporta una valutazione assolutamente oggettiva, dalla lettera b) alla lettera n) si tratta, come già sottolineato nella Quarta Relazione, di valutazioni soggettive (valutazioni dunque assegnate a una commissione) ma soprattutto pletoriche nel momento in cui tutti questi aspetti sono già stati esaminati e risolti in sede di progettazione esecutiva e fanno dunque parte dei documenti in base ai quali l’impresa ha formulato la sua offerta. Il ricorso a questo tipo di aggiudicazione in presenza di progetto esecutivo appare perciò meramente pretestuoso, legittimando inutili criteri di discrezionalità che, sul piano del contrasto della criminalità, producono le conseguenze meno indicate.

Spesso le amministrazioni si indirizzano verso criteri di offerta e quindi di aggiudicazione con progettazione esecutiva a carico dell’impresa. Visto il livello di definizione della progettazione definitiva, meno penetrante di quella esecutiva, anche questa modalità rende inutile il giudizio di una commissione che utilizzi i parametri indicati.

Nella fase di aggiudicazione, al di là dei criteri adottati – quello dell’offerta di solo prezzo o dell’offerta più economicamente vantaggiosa – l’Amministrazione deve piuttosto, ad avviso del Comitato, manifestare la volontà di esercitare un effettivo controllo, estensibile alla successiva fase esecutiva (la più esposta al rischio di condizionamento da parte delle mafie), per assicurare la necessaria trasparenza; non può cioè limitarsi a una formale applicazione di questo o quel criterio dimenticando che obbiettivo principale della legge è comunque la regolazione del mercato dei lavori pubblici per garantire la benefica concorrenza tra i soggetti economici.

Tanto più questa volontà di controllo effettivo va esercitata di fronte al profilarsi di un pericolo ulteriore rispetto alla corruzione, quale è l’infiltrazione della malavita organizzata. Si é accennato al pericolo di più agevole infiltrazione di quest’ultima nella fase esecutiva del pubblico contratto, caratterizzata dal sistema della sub contrattazione. In quel contesto, oltre all’operatore aggiudicatario, intervengono altri soggetti economici, subcontraenti della prestazione.

 

E’ noto, anche, che i subcontratti più appetiti dalle organizzazioni mafiose sono quelli di “nolo” e di “forniture” e tra questi, quelli di “movimento terra” per i quali non é prevista un’adeguata informazione e certificazione antimafia.

Da più e autorevoli parti si è inteso imputare all’attuale legislazione antimafia, indicata come carente e frammentaria, l’impossibilità di rendere trasparente il complessivo corso procedurale. In termini più specifici, si é rappresentato che, rebus sic stantibus, il monitoraggio e i relativi controlli non possono mai tradursi in un’informazione che renda trasparente la filiera della sub contrattazione.

E tuttavia, se é auspicabile che la legislazione antimafia venga al più presto complessivamente rivisitata, non sembra contestabile che, pur nella sua incompletezza, essa già prevede strumenti di controllo che consentono, a chi lo voglia, di sviluppare un’adeguata reazione all’invadenza e alle pressioni delle varie forme di criminalità organizzata.

S’intende alludere, nel presente contesto, all’articolo del D. Lgs. 163/2006 che impone all’affidatario di comunicare alla “stazione appaltante”, per tutti i subcontratti, il nome del subcontrente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, dei servizi e delle forniture. Quasi mai, in effetti, le Amministrazioni provvedono ai controlli sugli assetti societari degli operatori economici aggiudicatari e sulle filiere dei subcontratti.

Parimenti incisive si appalesano le norme antimafia, introdotte con la Legge 236/2010, in tema di tracciabilità dei flussi finanziari nei contratti pubblici. Si consideri per di più che per i “grandi eventi”, come è appunto Expo 2015, sono state istituite “norme guida”, “protocolli di legalità”, e le cosiddette “White list”, espressioni di un sistema che, anche allo stato, può offrire le garanzie opportune. Dunque il problema cogente, nell’immediatezza, appare quello di utilizzare, con il maggiore senso di responsabilità da parte degli addetti a vario titolo, le risorse normative esistenti senza trincerarsi dietro rappresentazioni di mero comodo delle situazioni operative e rigettando il principio che “si é sempre fatto così”. Un principio del tutto incompatibile con lo svolgimento di una così delicata funzione di garanzia nell’interesse della collettività.

NOTE CONCLUSIVE

Il Comitato ha inteso con questa Quinta Relazione sollevare con urgenza il tema della presenza di fatto delle imprese e degli interessi gravitanti intorno alle organizzazioni mafiose nei lavori di Expo 2015, nonché nei lavori pubblici riconducibili alla preparazione dell’evento. Ha inteso richiamare una volta di più l’attenzione sul modus operandi dei clan, fra l’altro ben illustrato allo stesso Comitato dai funzionari della Regione Piemonte che si erano dovuti misurare con lo stesso problema in occasione delle Olimpiadi invernali torinesi del 2006. E ha ritenuto, inoltre, di segnalare che tale presenza si manifesta ormai purtroppo non solo di fatto, ma anche per formale concessione di lavori pur in assenza della prevista documentazione antimafia.

Da qui le proposte, che non possono che essere coerenti con quanto detto sin dalla Prima Relazione (che si era infatti fondata su uno studio meticoloso del modus operandi delle imprese di ‘ndrangheta, condotto sui più rilevanti atti giudiziari riguardanti Milano e provincia nei dieci anni precedenti). Il controllo del territorio anzitutto. Anche di notte. Volendo usare un’immagine sintetica e provocatoria (ma non troppo), si potrebbe dire che le istituzioni dovrebbero privilegiare “la terra” ai “protocolli”, ponendosi in una strategia simmetrica a quella dei gruppi mafiosi. Tale controllo, va aggiunto, implica la piena mobilitazione di tutte le risorse disponibili, Arpa e strutture regionali comprese, evitando di realizzare quello che rischia di configurarsi oggettivamente come un meccanismo di scaricabarile: gli organismi e gli uffici amministrativi verso Expo, Expo verso gli appaltatori e poi verso le forze dell’ordine.

Vi sono pertanto in queste raccomandazioni aspetti che riguardano direttamente l’Amministrazione del Comune di Milano, che già molto sta facendo con la Polizia Locale, e altre Amministrazioni verso le quali occorre svolgere, anche da parte dell’opinione pubblica, una attività di sensibilizzazione e di responsabilizzazione.

Tra queste, oltre a Expo, vi sono anche le società partecipate, a maggior ragione visto che nei lavori realizzati da una di esse già tempo fa è stata rintracciata una presenza imprenditoriale dei clan. Perciò si è voluto in questa sede raccogliere e valorizzare la disponibilità a impegnarsi nel processo di moralizzazione giunta da alcuni componenti degli organismi di vigilanza di tali società, e sposare la proposta di un loro coordinamento, di cui l’Amministrazione Comunale ha i titoli per farsi promotrice.

Sempre all’Amministrazione Comunale possono essere direttamente indirizzate le altre proposte contenute nella Relazione. Esse riguardano dimensioni della vita pubblica più generali rispetto a quella, comunque specifica e temporanea, dell’evento Expo 2015. E tuttavia possono svolgere, se attuate, una funzione importante anche in vista della realizzazione del progetto Expo e dello sviluppo dei suoi molteplici indotti.

Si vuole qui rimarcare la portata altamente innovativa della proposta (si veda il primo paragrafo della Parte Seconda) di un controllo partecipato, fondato su una piena trasparenza degli atti e della loro leggibilità. L’idea porterebbe di fatto l’esperienza amministrativa verso i modelli più avanzati di democrazia partecipata, dando spazio alla cittadinanza attiva e alle sue espressioni tecniche e professionali in un sistema di responsabilizzazione diffuso. Bisogna dire che la ricomparsa nella vita pubblica, in qualità di riconosciuti vertici politico-imprenditoriali, di personaggi già abbondantemente screditati agli occhi del Paese, e anzi la loro ricomparsa proprio nella vicenda Expo, spinge in ogni caso verso innovazioni radicali nel circuito informativo-decisionale, peraltro in linea con una recente e intensa produzione legislativa.

Sulla questione dell’affidamento dei lavori pubblici il Comitato ha voluto sottolineare inoltre (quarto paragrafo della Parte Seconda) come, alla luce dei fatti, sia da evitare una contrapposizione formale tra i criteri dell’offerta al massimo ribasso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In realtà i due criteri sembrano favorire in maggior misura, rispettivamente, le imprese mafiose e le associazioni a delinquere tra i colletti bianchi. Il che avviene per una serie di fattori intuibili, che in queste Note non è il caso di richiamare. Quel che davvero conta, in entrambe le soluzioni, è l’atteggiamento dell’ente pubblico: ovvero la capacità di far valere i principi di indipendenza, responsabilità e competenza in tutta la filiera che va dalle commissioni aggiudicatrici (e dalla loro composizione) ai controlli nella fase esecutiva, fino alla serietà o alla compiacenza verso le richieste di revisione dei costi in corso d’opera. Nell’Amministrazione Comunale si colgono già importanti segnali di cambiamento di approccio e di metodo. Ma, come si è cercato di sottolineare, di fronte al pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata i tempi del cambiamento non possono ormai che essere i più veloci possibile.

Restano infine le questioni legate al settore del commercio. La proposta di istituire un nucleo antiriciclaggio nella Polizia Annonaria è lo sviluppo coerente delle osservazioni contenute nella parte finale della Quarta Relazione. E’ bene che non si assista più passivamente, in attesa di indagini della magistratura su questo o quel clan (indagini che peraltro scaturiscono spesso da situazioni affatto diverse), al manifestarsi dei fattori di rischio criminale in questo comparto fondamentale dell’economia milanese. Vedere, monitorare, capire, raccogliere e valutare dati, interagire con le istituzioni investigative preposte: questa è la filiera virtuosa da costruire al servizio della città e della sua economia sana.

Sempre con riferimento al commercio, infine, il Comitato ritiene opportuno richiamare in particolare l’importanza di tre temi trattati nella Quarta Relazione. Il primo è quello del turismo “in nero” che i clan stanno organizzando in vista dell’Expo ma che, se non viene adeguatamente contrastato, è poi destinato a diventare realtà permanente cittadina. Al Comitato sono infatti giunte nuove informazioni in materia. L’affitto di locali da subaffittare in vista dell’evento del 2015 sarebbe attività non solo perseguita dai clan ma anche intesa (dagli stessi) come “riservata”, con conseguenti strategie di scoraggiamento nei confronti di chi abbia avuto la stessa idea e operi nella stessa direzione, un po’ secondo il modello di espulsione che si è realizzato nel movimento terra.

Al turismo “in nero” si collega, come si è appunto visto nella Quarta Relazione, anche l’insieme dei rischi che si addensa sull’industria del divertimento, dove la penetrazione dei clan è in crescita (in proposito il Comitato sottolinea la necessità che vengano offerte adeguate garanzie – e vengano esercitati controlli – sui servizi di sicurezza utilizzati da parte degli organizzatori di eventi che si svolgono negli spazi comunali). Proprio tenendo conto di questo contesto, nel corso dell’ultima audizione tenuta dal Comitato presso la Commissione consiliare antimafia è stata avanzata l’idea che l’Amministrazione Comunale non abbandoni a se stessi i turisti che arriveranno a Milano durante l’Expo; non li lasci cioè ineluttabilmente incontrare con le offerte di servizi (da quelli ricettivi a quelli ricreativi) gestiti dalla criminalità organizzata. Ma offra loro attraverso una struttura dedicata informazioni e suggerimenti per un turismo “piacevole e civile”. Magari segnalando i bed & breakfast convenzionati o riconosciuti dal Comune, le società o le associazioni organizzatrici di eventi affidabili, ecc. Creando insomma un mondo di riferimenti sicuri per il turista.

L’ultima notazione riguarda le “feste di via”, le cui modalità organizzative sono spesso ritenute in diversi ambienti una sia pur mediocre “normalità”. Le molte reazioni prodotte su questo punto dalla Quarta Relazione, anche a livello di stampa nazionale, dimostrano invece che si tratta di una profonda anomalia. Per questo il Comitato, avendo verificato il consenso di diversi consiglieri comunali e di zona, ribadisce le proprie proposte di intervento. Convinto che anche questi segnali aiutino a contrastare l’illegalità.

Poi dici la mafia al nord

131929401-77430361-ab32-4a22-859f-083642c0d8c4Mentre fioccano i convegni e le iniziative (e per fortuna) sulla presenza della mafia al nord si gioca ancora a non considerare fondamentale per il tema la latitanza di Dell’Utri che di questo nord è figlio politico. Ha ragione Nando Dalla Chiesa quando scrive:

Purtroppo sono amici anche Silvio e Marcello. Bisogna ammettere che non stanno facendo una bella fine. Ma peggio sta l’Italia, rovinata dai loro progetti e interessi. Pensate: vent’anni in cui il compito principale del parlamento è stato quello di far leggi per salvarli dai giudici. Non ci sono riusciti e questo qualche speranza la dà. Ci sono voluti vent’anni e questo qualche speranza la uccide. Colpa del Senato? No, il Senato non c’entra un piffero, anzi dal 2001 al 2006 è stato il luogo di massima resistenza alla frenesia dell’impunità (io c’ero…). Colpa, invece, dei partiti senz’anima e anche degli italiani che con il loro libero voto li hanno mandati ripetutamente al governo. Chiedo a tutti una cosa: ma ve lo ricordate, sì o no, che Dell’Utri è stato liberamente eletto nel centro di Milano? E che di lui si sapeva già tutto e mancava solo la sentenza dei tribunali? E perché stupirsi allora se in Lombardia dilaga la ‘ndrangheta?

Perché ho la sensazione che convenga a molti farci credere che la storia di Dell’Utri sia una storia siciliana?

Anche basta

Sono stato ospite della bellissima tre giorni di Legalmente organizzata dall’Associazione Legalità e Giustizia. Tre giorni belli. Intensi. Con poca partecipazione politica (a Firenze, eh) ma tante associazioni e presenze. Mi spiace che sia successo che all’organizzazione il direttivo provinciale di Libera abbia sconsigliato di invitare Giulio Cavalli e Marisa Garofalo: mi dicono che la sorella di Lea stia facendo troppe polemiche per non avere potuto partecipare al funerale della sorella e che Cavalli non vada invitato per il suo “alterco” con il Presidente Onorario, alterco  cui non ho partecipato rimanendo in religioso silenzio come suggeritomi da esponenti di Libera (ingarbugliato, eh?).

Mi chiama Salvatore Borsellino e mi dice di avere ricevuto una telefonata da un “alto” esponente di Libera in cui veniva invitato a “non dare credito” a me per un mio accordo con un pentito (sempre lui, eh, Bonaventura).

In Libera ho tanti amici e riconosco in Don Ciotti una forza vitale per questo Paese. E’ un’associazione che ha scritto le pagine migliori dell’antimafia e che coinvolge migliaia di giovani. Ha i suoi difetti, certo, come li abbiamo tutti, le sue debolezze. Ma chi si occupa (oppure “occupa”) di legalità se ha qualche informazione può denunciare con calma il tutto alla magistratura (tra l’altro le indagini proseguono, eh) e parlare chiaro. E’ il nostro pane. Per il resto anche basta. Abbiamo cose importanti di cui occuparci.

Mutolo e l’importanza di tenere alta l’attenzione

In un’intervista il pentito Gaspare Mutolo rispondendo a Silvia Truzzi de Il Fatto Quotidiano ancora una volta ci ricorda quanto “tenere alta l’attenzione” sia un fastidioso problema per le mafie. La risposta non è scontata non solo per il giudizio sull’azione politica (c’erano dubbi?) ma soprattutto perché investe i famigliari di vittime di mafia (e quelli che amplificano la loro voce) di una responsabilità pubblica oltre il dolore privato che per fortuna ha funzionato meglio della politica e continua a funzionare.

Mutolo, che cosa pensa delle intercettazioni di Riina?
Le aspettative di Riina, ma non solo le sue, sono state tradite: si capisce da come parla con Lorusso, quel compagno di sventura suo. Dopo tanti anni di collusione tra mafia, politica e affari, tutti questi grossi personaggi come Riina sono finiti in galera. Secondo la loro mentalità storta è perché sono stati traditi. La realtà è che i politici sono stati incalzati, in questi anni, dalle associazioni, dai familiari delle vittime della mafia. Penso a Maria Falcone, a Salvatore Borsellino, ai figli di Dalla Chiesa, alla moglie di Rocco Chinnici: persone che hanno continuato a mantenere alta l’attenzione sulle cose della mafia. Sono loro gli unici che lottano alla mafia, la volontà politica non c’è. Non vedo nessuna volontà di tagliare questi cordoni ombelicali tra le istituzioni e Cosa Nostra.

La cosa importante

Ci sono discussioni: tante, troppe, molte interessanti e moltissime ancora di più inutili. Ci sono diversi modi di rispondere: non rispondere è il modo per ritenere inaccettabile il senso, i protagonisti e l’atmosfera tutto intorno. Ho imparato qualcosa nella vita, facendo il possibile, e quello che ho imparato, e viva dio quanto ancora ho da imparare, me lo tengo stretto. Ci sono cose su cui sono un inetto puro, ad esempio: la gratitudine, la fiducia, per dirne qualcuna. Poi ci sono pochi concetti (pochi) che mi tengo a mente. Ecco.

La differenza vera è tra chi attacca le persone portatrici di qualche azione e chi invece decide di combattere le azioni e non le persone. In questo senso sono tra i secondi e in questo vortice di personalismi, prime donne (io: egocentrico come sono) mi viene il dubbio di essere addirittura un pacifista.

Nando ci mette il dito

In questo gran parlare di mafie, antimafia, Lombardia, nord e ‘ndrangheta esce un articolo coraggioso (sì, coraggioso) di Nando Dalla Chiesa sui giudici e l’antimafia al nord. Alzare il grado di discussione prendendosi la responsabilità di sollevare osservazioni sulle interpretazioni del 416 bis  e le sue diverse emersioni in questo quadro evoluto (o forse, involuto) lombardo: Nando dice quello che in molti hanno pensato ma non hanno voluto dire. Alcuni sviluppi giudiziari “su” in Lombardia indicano un “federalismo del 416 bis” che chiede attenzione e discussione.

Ci sono procure e direzioni distrettuali antimafia che funzionano bene, e alle quali dobbiamo essere grati per avere tutelato la convivenza civile rimediando agli oceani di ignavia della politica e delle classi dirigenti.

Ma poi, quando si cerca di seguire lo svolgimento dei processi, quando si mette bene la lente di ingrandimento sul lavoro di piemme e giudici di vario ordine e grado, si compie la sgradevole scoperta. Anche il potere giudiziario dà la sua robusta mano a diffondere l’idea che in fondo al nord la mafia non ci sia.

Sono ormai molte le occasioni in cui si è costretti a constatare che per applicare il 416 bis (ossia per imputare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso) la magistratura del nord richiede un tasso di mafiosità superiore, a volte molto superiore, a quello sufficiente per applicarlo al sud.

Sembra quasi che per essere considerati mafiosi in pianura padana o in Liguria si debba risultare affiliati a tutti gli effetti a un clan con tanto di rito di iniziazione, si debba appartenere a famiglie considerate mafiose da generazioni e si debba già essere stati condannati per mafia in altri processi, possibilmente in Calabria o in Sicilia.

Da qui le assoluzioni incredibili, la rinuncia aprioristica a contestare l’associazione mafiosa (sono “solo” trafficanti o usurai), la costruzione di una giurisprudenza arbitraria e assolutamente contra legem.

L’articolo da leggere è qui.

Ma pensa

I protocolli antimafia servono solo se vengono rispettati e fatti rispettare oltre che essere presentati in conferenza stampa. I controlli di EXPO stanno nella lingua molto lunga di una politica che è oratoria pura e sparisce nei fatti. La chiusura degli uffici della DIA di Malpensa è uno schiaffo in faccia all’antimafia e EXPO e gli incendi dell’ultimo anno non hanno bisogno di professionisti per risultare allarmanti.

L’abbiamo ripetuto per mesi dappertutto. Ora lo scrivono anche i “saggi” della Commissione Antimafia del Comune di Milano. E vale la pena ripeterlo.