Vai al contenuto

possibile

Caro Laterza, la cultura qui da noi è un chiodo fisso

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Oggi Giuseppe Laterza, presidente della storica casa editrice fondata da suo padre Vito, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano lamenta che “ci sono 5000 cellulari in perenne contatto tra loro per gestire un potere sempre più distante e arrecato” lamentando l’assenza di una politica che sappia “definire i propri valori di riferimento”, che si affidi alla cultura come “dubbio metodico” e chiedendosi dove possano trovare casa (politica) i “2-3 milioni di persone che si informano, vanno a teatro e alle mostre”.

È un’intervista densa, quella di Laterza, che al solito rimarrà confinata nel cassetto delle barbose discussioni intorno alla cultura mentre la politica preferisce avvitarsi sui “rimpatri in pochi giorni” promessi da Salvini o sulle multe di Grillo contro l’autonomia di pensiero dei suoi eletti. Noi siamo un Paese così: piangiamo Bauman da morto, ma da vivo lo leggiamo pochissimo e soprattutto lo citiamo senza praticarlo nell’esperienza politica.

Forse Laterza però ha un limite di visione: in questo Paese sono in molti a esercitare studio e pensiero complesso alla politica e già ci sono comunità politiche che credono nella cultura come metodo ancor più di un dovuto punto di programma. Quando abbiamo pensato a come fare crescere questa nostra piccola comunità che è Possibile, abbiamo convenuto tutti che la capacità di elaborare cultura (anche politica) sia l’elemento fondante per uscire dal pantano del populismo da una parte e del bieco realismo dall’altra. Ma decidere di prendere la politica terribilmente sul serio e di studiare le cause prima di confezionare le soluzioni è un percorso impervio e tortuoso. Forse Laterza non sa che quel “mondo della cultura” che invoca come parte attiva in politica spesso è già attivo ma difficilmente raccontato.

Per essere ospiti di una trasmissione televisiva o per comparire sulle pagine di un quotidiano nazionale è richiesta una spendibilità che è più nazionalpopolare e d’immediata indignazione piuttosto che costruttiva e ragionata. Forse non è un caso che molti dei temi di Possibile siano diventati libri proprio perché “scavalcati” da un’informazione terribilmente innamorata dello spot e dalla provocazione. E sono d’accordo con lei che avremmo solo da guadagnarci. Tutti.

Non si muore di freddo. Si muore di povertà.

Ci pensavo già da ieri ma quello anche avrei voluto scrivere l’ha detto meglio di me Leonardo Palmisano:

«Il freddo? No, la povertà. La povertà di diritti, di case, di lavoro, di calore umano e istituzionale. Viviamo in un Paese che concentra la ricchezza nelle mani di pochissimi strati parassitari della popolazione, che non agisce efficacemente nel contrasto all’evasione fiscale, che non tassa i grandi patrimoni e che, soprattutto, non procede a rinnovare ed aumentare le risorse per l’occupazione e le politiche sociali. Se non ci fossero le reti associative laiche e cattoliche, i senza fissa dimora a morire sarebbero molti di più.

Esseri umani trattati come scarto o sottoprodotto da un governo che investe in armi e relazioni privilegiate con le peggiori dittature mediterranee: Erdogan e Al Sisi. Un governo che dovrebbe subito mettere in campo un piano per il lavoro e che si accontenta di portare tende ai terremotati e di aprire le stazioni per i senzatetto. Non può essere la carità la risposta della politica

(Il suo post è qui sui Quaderni di Possibile. Leonardo è una ricchezza della nostra piccola comunità. Se volete unirvi vi basta andare qui.)

Organizzare l’eresia, tesserandosi

(Scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Ma perché bisognerebbe iscriversi a un partito politico nei primi giorni di un anno in cui potrebbe accadere di tutto? Ma perché bisognerebbe dare credito ai partiti, alla politica, in un tempo in cui la politica (e i partiti) dovrebbero essere ai minimi storici? E perché non ci si dovrebbe accomodare tra chi aspetta “la sinistra che verrà” o peggio tra chi “tanto non verrà niente”? Per essere eretici, intanto: perché il “non c’è alternativa” (così come il più sottile “aspettiamo l’alternativa”) sono le migliori garanzie dell’esistente, sono il siero prodotto in gran quantità per garantire l’autopreservazione della classe dirigente. Questo, intanto. Ma non solo.

Mentre gli altri esultano perché hanno una banca o una giuria popolare noi siamo una comunità. Una comunità lunga come tutta l’Italia e larga quanto sono larghe le declinazioni dei talenti e delle intelligenze. Possibile è un “ufficio del cambiamento” aperto dal pubblico tutti i giorni tutto il giorno. Possibile è il perimetro in cui si studia, si propone, si scrive, si considerano le posizioni e le soluzioni: si fa politica, insomma. E non la si fa aspettando il big bang; si fa per partecipare al big bang e dargli i colori che riteniamo indispensabili per un Paese più giusto.

Possibile è già un’organizzazione. Un’organizzazione fallibile, come tutte le organizzazioni umane, con un cuore grande e in mare aperto. Un’organizzazione che si traduce concretamente in una “cassetta degli attrezzi” per fare politica: per organizzare una lista alle prossime elezioni della vostra città, per trovare le competenze specifiche su un tema, per avere una spalla in campagna elettorale e per organizzare il coraggio, che ne serve moltissimo. Qui non si discute di processi fondativi: ci si ingegna sul programma di governo dell’Italia che vorremo, ci si confronta su come rendere migliori le città, le regioni. Noi, in fondo.

Possibile non è una tessera del tifoso. In Possibile ogni comitato è autonomo (entro il naturale spazio del Patto Repubblicano da cui Possibile nasce) e di comitati ce ne sono già quasi 200. Se siete una decina di persone con la voglia di applicare la Costituzione siete un comitato Possibile. La politica si commenta, si critica ma soprattutto si pratica. E, credetemi, ne vale la pena.
Nei primi giorni di gennaio abbiamo ricevuto un importante numero di rinnovi e soprattutto di iscrizioni nuovissime. Pensateci. Noi vi aspettiamo.
[ISCRIVITI O RINNOVA L’ISCRIZIONE A POSSIBILE]

#LaFrattura: come si sono spezzati Sud e Nord

Ne scrive Leonardo Palmisano per i Quaderni di Possibile:

Mai come prima nella storia del secondo novecento il Sud è stato tenuto così distante dal Nord. Una distanza che aumenta anno dopo anno e che ci consegna la fotografia di una Italia ferma a due velocità: un Nord statico e un Sud in dinamica negativa. Lo dice il dato recente sul Pil, che vede il Sud attestarsi sui 17mila euro a testa, il Nord sui 33mila. Un divario di quasi il 50 per cento che tradotto in termini metaforici indica che un bambino meridionale ha la metà delle opportunità economiche di un coetaneo settentrionale.

Questa differenza è aggravata dalla lontananza storica tra i servizi presenti al Nord (i trasporti in testa) e quelli del Sud. Una distanza che nessuna inaugurazione autostradale può compensare, perché quel che manca in Calabria, per restare sul territorio della celebre autostrada, sono le strade per raggiungere gli ospedali, sono i treni per raggiungere gli altri Sud così vicini e così lontani. Quando parliamo di ritardo del Meridione, commettiamo l’errore di pensare a questa porzione d’Italia come a un tutt’uno. La verità è un’altra: noi meridionali siamo dei separati in casa.

(continua qui)

Una brigata di talenti e intelligenze verso #giornimigliori (e, ancora, sulla “sinistra unita”)

E ora? Assisto a scene indimenticabili. E ora? mi chiede qualcuno, altri me lo scrivono. E ora? Ora ci si arrampica sulla cima più bella e ossigenata della politica: il programma. Che, se ci pensate bene, il programma è andato fuori moda in contemporanea all’abitudine dell’uomo solo al comando. Si vota Grillo, si vota Renzi, si vota la Meloni, si vota Silvio; provate a sperimentare quanta gente conosce il nome del partito che rappresentano e rimarrete esterrefatti. Il programma invece va letto e soprattutto va scritto. E rimane. Nessuna delega in bianco all’uomo della provvidenza: è lo streaming definitivo, il programma politico.

E quindi a chi mi chiede “e ora?” posso raccontare cosa ci siamo messi in testa di fare noi che alla provvidenza ci crediamo davvero poco ma che siamo convinti che sia arrivato il tempo di prendere il biglietto verso #giornimigliori. Come abbiamo scritto qui:

«Scriverlo, sembra banale, ma i programmi di governo, con i numeri a fianco, non li scrive più nessuno. Sono riusciti a fare addirittura tre governi in una sola legislatura, senza esplicitare se non a grandi linee (e a larghe intese) cosa avrebbero fatto e come. Anche Gentiloni non si sottrae alla regola, in un racconto fumoso, in cui in tono gentile si dicono le stesse cose che prima si dicevano in tono monumentale.

Invece, come diceva quella canzone, «bisogna solo scrivere e lottare».

Possibile prosegue il proprio lavoro, alla ricerca del testo più preciso e condiviso possibile, appunto.

Lo farà a partire da un’anagrafe delle competenze, a cui potete partecipare immediatamente, segnalandoci la vostra qualifica (non solo il titolo di studio, ciò che avete imparato a fare) e segnalando soprattutto la vostra disponibilità a partecipare al nostro progetto

Una ricognizione di talenti e di intelligenze. Ecco. Una cosa così. E basta andare qui per rendersi disponibili.

E poi c’è la questione della sinistra unita. Insieme a quelli che chiedono “e ora?” ci sono quelli che insistono con il “con chi?”. Tra l’altro l’inverno sembra promettere un’ondata di convegnite senza pari (ne scrive Paolo qui). Lo continuiamo a dire (qui, qui, solo per fare un esempio): ci si allea con chi condivide la stessa idea di Paese possibile. Mi pare così semplice. E la nostra idea di Paese possibile è incompatibile con gli atti di questo governo (sul lavoro, sulla scuola, sulle disuguaglianze) e con chi aspira a esserne la stampella a sinistra. Questione di scelte: c’è chi (con tutto il nostro rispetto, eh) cerca di cambiare il PD e chi cerca di cambiare il Paese: in questo momento ci sono processi politici, anche a sinistra, che stanno sciogliendo questo nodo. E noi non abbiamo tempo di aspettare. È chiaro così?

Alleanze chiare, amicizie lunghe

“Unite la sinistra”, mi scrivono. E io ogni volta a spiegare che la sinistra si fa, non si dice e che molti di quelli che ce l’hanno sempre in bocca spesso poi hanno fatto cose di destra. Parlare di alleanze senza politica è un fallo di simulazione (ne avevo già scritto qui) e forse varrebbe la pena allearsi con le idee chiare:

Ci vogliamo alleare con tutti coloro che vogliono cambiare completamente l’impostazione del Jobs Act, della Buona Scuola, dello Sblocca Italia. Quindi, non con chi li ha votati. Semplice.

Non è questione di sigle, ma di sostanza. Di scelte, non di posizionamenti. Di sincerità, non di tattica.

Ci vogliamo alleare con le persone che hanno un’idea meno pervasiva del potere, all’insegna di una politica che non si risolve in esso, che è cultura e partecipazione. E trasparenza.

Ci vogliamo alleare con chi vuole applicare la Costituzione e la legge (già in vigore) sulla vendita di armi ai paesi in guerra.

Ci vogliamo alleare con chi vuole dare una misura di civiltà e di efficienza all’accoglienza, nella gestione più consapevole dei flussi migratori.

(continua qui)

#SaveAleppo: cosa possiamo fare (e il senso della politica)

La tragedia di Aleppo è sotto gli occhi del mondo, anche se il mondo sembra preferire parlarne poco e male. Un città distrutta e civili che fuggono sono l’immagine di una sconfitta umana prima che politica. La politica, appunto: ieri con Pippo, Stefano e gli altri ci siamo interrogati a lungo su cosa avremmo potuto fare e come intervenire. Shady Hamadi (che è uno dei bei incontri che la vita mi ha regalato in questo ultimo anno) ne ha scritto qui. Ma noi? Concretamente?

Oltre alle pressioni politiche al governo abbiamo aperto due sottoscrizioni (le trovate qui): una serve, tramite ONSUR, a finanziare l’acquisto di una ambulanza (il costo preventivato è di 3.000 euro) che opererà, non appena possibile, nelle zone più critiche di Aleppo e l’altra per finanziare l’accoglienza in Italia di rifugiati siriani al momento presenti a Beirut, attraverso i canali umanitari già attivati da Mediterranean Hope (si tratta di profughi in situazione di particolare fragilità, portati in Italia in sicurezza e introdotti a percorsi di inclusione).

È poco, lo sappiamo, e terribilmente in controtendenza rispetto a chi ci vorrebbe convincere che restare umani sia debole, stupido e addirittura pericoloso; eppure in poco tempo siamo già vicinissimi all’obbiettivo. Ed è confortante sentirsi parte di una comunità che ci assomiglia, credetemi. Se volete dare un mano lo potete fare qui, se volete partecipare alla nostra comunità qui trovate tutti i modi per esserci. Buona giornata, intanto.

Non bastava un sì. E non basta un no. Si riparte.

(dopo un Tour ricostituente lunghissimo e straordinario, dopo una notte che s’è fatta giorno e dopo avere scritto il mio editoriale per Fanpage qui e il mio buongiorno stamattina per Left qui, ecco il pezzo per i Quaderni di Possibile, insostituibili compagni di viaggio. E grazie a tutti quelli che mi hanno ascoltato, domandato, letto e criticato.)

Altro che post-verità. Qui siamo alla post-politica, inondati dall’arroganza di chi nonostante abbia perso non riesce a disinstallarsi la propaganda e rimane arrogante più di prima: mentre Renzi esce di scena (ma è un intervallo, mica la fine) curiosamente nel Paese è rimasta accesa la folta accolita di scherani di chi ha dovuto svegliarsi senza il capo e senza le cavallette, senza voti sul filo di lana e senza crolli di borsa. Lui è uscito ma si è dimenticato di spegnere i suoi, evidentemente.

Non bastava un sì per cambiare l’Italia e non basta un no. Nonostante qualcuno ancora sembra non aver capito la differenza tra un fronte referendario e un fronte politico noi abbiamo passato mesi (e chilometri) a ripetere che il nostro “no” è pieno di sì, di progetti, di contenuti e di idee per un Paese Possibile. Abbiamo rimbalzato le risse entrando nel merito di ciò che non ci piaceva e abbiamo scritto e ripetuto come l’avremmo fatto; abbiamo raccontato quanto fosse indigeribile questa sinistra travestita da destra; abbiamo ascoltato e risposto.

Ora continuiamo. Così. Ripartiamo subito, dal no al noi, per passare dalla difesa della Costituzione alla crescita di una comunità che è viva e che si è cementata in mesi di campagna serratissima. Ripartiamo dall’impegno di seminare un progetto che, nonostante in molti si siano impegnati (e lo faranno ancora) a banalizzare, sta tutto nelle politiche dei nostri comitati, negli studi dei nostri scritti, nelle proposte dei nostri parlamentari e in tutto quello che c’è da fare e che faremo.

Facciamo politica, insomma. La nostra politica, che la Costituzione ha una voglia matta di applicarla piuttosto che revisionarla. E continuiamo a farlo seriamente. Il Tour Ricostituente ora si fa più ricco: c’è da costruire, oltre che difendere. Ed è la parte che preferiamo.

Contro le mafie dobbiamo tornare a fare rete sociale, come dice art.4 costituzione

Nel corso del Tour Ricostituente lo scorso 27 ottobre a Firenze abbiamo allargato la discussione in un bel panel organizzato dal Comitato Possibile di Firenze intitolato “Da Rosarno alla Toscana, come la criminalità organizzata sfrutta le comunità di migranti.” Con me c’era anche Salvatore Calleri della Fondazione Antonino Caponnetto. La discussione è stata vivace e, come ogni tanto mi succede, alla fine mi ha aperto considerazioni a cui forse da troppo tempo mi stavo dedicando troppo poco. Gli amici di Radio Cora hanno riproposto il mio intervento in podcast. Se avete voglia e tempo, eccolo qui:

 

La migliore risposta (politica) per Goro e Gorino

Oggi mi arriva da un messaggio di Andrea Maestri, parlamentare di Possibile, che mi scrive:

«Con 370 voti favorevoli e 28 contrari la Camera dei Deputati ha approvato il nostro emendamento in tema di rimpatrio dei minori stranieri non accompagnati. Introdotti criteri per il Tribunale per i Minorenni che potrà disporre il rimpatrio solo se il ricongiungimento coi familiari corrisponde al superiore interesse del minore, previa audizione del minore stesso e del tutore e tenuto conto delle indagini familiari e della relazione dei servizi sociali. Emendamento suggerito da ASGI (associazione studi giuridici sull’immigrazione), che sottolinea l’importanza di non lasciare un margine di discrezionalità troppo ampio al Tribunale. Dunque, maggiore protezione e più garanzie per il minore di cui si intenda disporre il rimpatrio. Finalmente ho potuto incidere concretamente su una legge e su una materia a me cara, i diritti dei bambini.»

Provare a fare le cose sul serio. Dove serve. Noi lo facciamo così.