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referendum costituzionale

Le ossa rotte di Salvini in Toscana e Veneto: il declino del leader leghista

Bacioni, Salvini. Il leader leghista continua il suo filotto di sconfitte che rivende come vittorie e esce con le ossa rotte dalle elezioni regionali. Torniamo indietro di qualche ora: Matteo Salvini non riesce a non smargiassare e per mesi continua a urlacciare dappertutto che queste elezioni sarebbero state quelle che avrebbero “mandato a casa Conte e il suo governo” e che avrebbero dimostrato che la gente non ne poteva più del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Rendere delle elezioni regionali come cartina di tornasole del quadro nazionale è sempre un rischio ma il leader leghista ha questa grande, invidiabile caratteristica: le sbaglia tutte.

Così nonostante i suoi soliti messaggi che solleticano i soliti stomaci (riuscire a parlare solo di migranti in occasione di elezioni locali è una banalità da fuoriclasse) Salvini riesce a uscirne male in Toscana (dove la candidata Ceccardi era una “sua” creatura) e riesce a farsi sconfiggere perfino dal legista Zaia che in Veneto con la sua lista personale prende il triplo dei voti della lista ufficiale della Lega.

Dalle parti della Lega minimizzano ma proprio in Veneto Salvini pretese che tutti gli assessori uscenti fossero capilista della lista del partito e proprio in Veneto Salvini scrisse ai 400 segretari locali del Carroccio per invitarli a votare la lista ufficiale del partito e non quella di Zaia: missione fallita, evidentemente, lo dicono i numeri. “La lista del presidente intercetta il consenso che non va al partito”, ha detto ieri Zaia in conferenza stampa: chi ha orecchie per intendere intenda. I numeri, si sa, non mentono e i numeri dicono che i consensi della Lega sono in calo in tutti i territori e solo l’enorme ascesa di Giorgia Meloni è riuscita a tamponare una sconfitta di proporzioni maggiori.

Matteo Salvini politicamente negli ultimi 13 mesi, dal famoso pomeriggio del Papeete, è riuscito a sbagliarle tutte e se serve una fotografia di queste sue elezioni basta andare a Lesina, provincia di Foggia dove l’unico candidato sindaco era proprio un leghista: “Un sindaco pugliese lo abbiamo già eletto ancor prima del confronto elettorale”, disse Salvini il 23 agosto. Sbagliata anche questa: il candidato sindaco è riuscito nella mirabile impresa di non raggiungere nemmeno il quorum. Niente da fare.

Se, come diceva Salvini, queste elezioni sarebbero state la spallata definitiva del governo Conte e il primo passo per il suo ritorno al governo…Beh, Conte può dormire sonni tranquilli. Bacioni, Salvini.

TUTTO SULLE ELEZIONI REGIONALI 2020

TAGLIO DEI PARLAMENTARI: TUTTO SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Leggi anche:
– Regionali, 3 scenari per il dopo-elezioni (di Luca Telese)
– Referendum, perché votare Sì contro l’establishment e la monarchia editoriale (di Alessandro Di Battista)
– Referendum, Francesco Merlo a TPI: “Votare no per fermare i progetti eversivi del M5s e della destra”
– Giovani per il No, over 50 per il Sì: il paradosso generazionale sul referendum

L’articolo proviene da TPI.it qui

E insomma galleggiano

I partiti e i leader dopo le elezioni regionali. E i cittadini italiani dopo il referendum costituzionale, in attesa delle riforme che sono state promesse

Primo dato, appariscente e importante: questo refrain che gli italiani non vedessero l’ora di andare a votare per prendere a calci i partiti del governo e per incoronare la destra di Salvini e di Meloni è una bufala pazzesca. Nei giorni scorsi qualcuno, Salvini in testa, sognava e sparlava di una vittoria clamorosa e invece quel turbine sovranista che latra sui social, sui giornali e in televisione è solo un ruttino. Matteo Salvini ha voluto trasformare questo voto in un voto nazionale e ha sbagliato. A proposito: la Lega stravince in Veneto ma la lista di Zaia stravince relegando la lista ufficiale del partito a percentuali per niente eclatanti. Per intendersi: ha stravinto Zaia, più della Lega e presto farà valere il suo peso politico anche sul resto del partito. Il centrodestra galleggia.

Il Partito Democratico tiene, vince in Toscana e si afferma come partito, vince in Puglia con candidato che non voleva nessuno (Emiliano) e stravince in Campania con De Luca (ma quella è una vittoria di De Luca). Zingaretti ha rischiato ma è riuscito a rimanere in piedi. C’è da dire che nessuno dei candidati è un “suo” uomo. Ora chissà se riuscirà a fare il segretario e a governare con decisionismo il partito. Si rimane in attesa, come sempre. Una notazione: Zingaretti in conferenza stampa è riuscito a proporsi come rappresentante di chi ha votato Sì e anche di chi ha votato No al referendum, come se con un po’ di retorica si potesse tenere i piedi in tutte le scarpe. Il Pd galleggia.

Il Movimento 5 Stelle si sa che avrebbe deluso e infatti Di Maio corre in conferenza stampa intestandosi la vittoria del referendum e poi lascia agli altri l’incombenza di analizzare i deludenti risultati delle regionali. Ora si giocherà la battaglia interna nei prossimi Stati Generali e lì si capirà di più. Insomma il M5S galleggia.

Matteo Renzi si è tolto la soddisfazione di esistere solo per fare perdere il centrosinistra e non ci è riuscito. Incassa un risultato patetico ma non se ne renderà conto. Sono anni che non riesce a fare i conti con la realtà. E quindi galleggerà continuando a pestare i piedi.

Intanto per il taglio dei parlamentari stravince il Sì ma verrebbe da chiedersi chi rappresenti quel 30% di No. Ora tutti ci promettono che faranno le riforme. Restiamo in attesa di sapere quali siano le idee. Insomma, galleggiamo anche noi.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Renzi e Treu che sguazzano nella palude

Dice Renzi che la legge sulla “legittima difesa” (perché la trovo sbagliata culturalmente oltre che politicamente l’ho scritto qui per il mio buongiorno sul Left) «per fortuna verrà rivista in Senato» e così, in un secondo, crolla un’ala del castello di bugie che ci propinavano quelli per cui il Senato era solo un inutile peso, Renzi in testa e volevano abolirlo con una riforma costituzionale (per fortuna) sonoramente bocciata dal referendum dello scorso 4 dicembre.

Al Cnel intanto viene nominato presidente l’ex ministro Tiziano Treu, una delle firme prestigiose dell’appello che avrebbe voluto abolire il Cnel, sempre con quella famosa pessima riforma.

Dicevano che l’eventuale vittoria del No al referendum avrebbe lasciato l’Italia nella palude. E ora nella palude ci sguazzano con il costumino da bauscia.

Nel merito. Giorgio Galli: «il sì è una toppa al sistema»

Al referendum del 4 dicembre votare sul governo «sarà inevitabile», spiega Giorgio Galli, decano della politologia italiana, docente di dottrine politiche all’Università degli Studi di Milano, studioso del «bipartitismo imperfetto» della Prima Repubblica quando Dc e Pci si confrontavano senza che questo producesse alternanza. Negli ultimi anni, fra l’altro, ha analizzato le riforme di Renzi (in L’urna di Pandora delle riforme, con l’avvocato Felice Besostri). Dunque si voterà su Renzi «innanzitutto perché lui stesso ha intrecciato la riforma e il suo futuro di presidente del consiglio. Per questo gli italiani voteranno più su sui mille giorni del governo che sulla riforma».

Il suo giudizio sui mille giorni di Renzi qual è? 
Non molto positivo. È riuscito a fare molto meno di quello che aveva promesso. L’economia resta stagnante. Oggi sfida l’Europa come un euroscettico ma è un’oscillazione notevole rispetto al forte investimento di credibilità che aveva fatto sull’Europa.
 
Dal famoso semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione oggi siamo allo sbianchettamento delle bandiere europee. 
Nella prima parte della campagna referendaria ha sostenuto che a differenza dei suoi predecessori aveva ottenuto importanti risultati in Europa. Ora invece rinuncia a questo aspetto e mette in evidenza la forza con cui avanza le richieste.

Renzi dice: il Sì è cambiamento, il No è conservazione. 
È il contrario. Il Sì è la continuità del sistema politico. Il capitalismo non garantisce più lo sviluppo, quello italiano è ormai sinonimo di stagnazione permanente. In questa stagnazione si cercano di porre continuamente delle pezze a un sistema politico al capolinea. Si è cominciato con la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale: una toppa per tenere in piedi un sistema. Poi le prime larghe intese con tutto il centrodestra, le seconde con una parte del centrodestra. Tutti tentativi di rappezzare un sistema in grave difficoltà. L’ultimo di questi tentativi è il governo Renzi. Rafforzarlo significa rafforzare la continuità di questi rammendi. Il No, al contrario, renderà difficile mettere nuove toppe.

La vittoria del No rappresenta la possibilità di rompere la continuità?
Il No è la possibilità che i giochi si riaprano. Con un trauma, ma piccolo. Del resto ormai in tutti i paesi europei si esprime, in diversi modi, esigenze di cambiamento molto radicali.

Renzi invece oggi si presenta come una forza antisistema. Dice: «Il sistema è tutto schierato per il No». È singolare che un governo si presenti antisistema. E comunque è evidente il contrario: dalla Confindustria alle banche fino all’ambasciatore americano, il sistema è pesantemente schierato dalla parte di Renzi.

Però non tutto il No è «antisistema». Il No di Berlusconi, ammesso che alla fine voti No, è chiaramente di altra natura. 

Berlusconi sa, e dal suo punto di vista è giusto, che una vittoria del No lo metterebbe in una posizione di forza quando si ricostituirà un qualche tipo di Patto del Nazareno, cosa che accadrà in ogni caso. Ma la vittoria del No va al di là del contingente interesse tattico di ciascun protagonista. Sarebbe un’altra prova nella sfida al potere economico, abbastanza in linea con quello che succede in Europa, anche se con caratteristiche diverse.

Brexit è considerata una vittoria del vituperato populismo. 
La democrazia rappresentativa è in crisi ovunque, in Europa e non solo. E non a causa di alcuni anni di populismo ma a causa di decenni di svuotamento del potere politico da parte del potere economico. Oggi il problema delle democrazie occidentali sono le 500 multinazionali che governano il mondo, non i populismi. E il piccolo trauma sarebbe prenderne atto. Finché il potere politico sarà quasi impotente di fronte al potere economico la continuità è garantita. Il No è la critica alla continuità. Una possibile sfida al sistema.  

Negli Usa Trump è una sfida al sistema? 
Al di là dei protagonisti, negli Usa come nella Brexit si è espresso il voto degli svantaggiati della globalizzazione. E a questa crisi c’è una declinazione italiana. Ne ho appena scritto in Scacco alla superclass (Mimesis Edizioni, ndr), ovvero scacco a quel mondo che si riunisce a Davos non per decidere i destini del mondo – lo fa in altri luoghi – ma per celebrare il proprio ruolo. Nella postdemocrazia il potere economico ha preso la supremazia su quello politico. O la democrazia rappresentativa affronta il potere economico o è destinata a decadere.

In Italia comanda la finanza, non il governo Renzi?
Nella stessa misura dei governi che lo hanno preceduto. La crescita del populismo è l’espressione di questa crisi. Che si affronta solo se il controllo dei cittadini si estende dall’area della politica a quella dell’economia.

È l’elogio della cittadinanza a 5 stelle? 
I 5 stelle sopravvalutano la democrazia elettronica. Il sogno di Casaleggio in fondo era una democrazia diretta fatta di tecnologia informatica. Invece fare in modo che i cittadini si riapproprino della loro condizione è molto più complicato.

(Il Manifesto, 17 novembre 2016)

Vari Renzi e Nardella: è ignobile sfasciare la verità

Ma davvero il sindaco di Firenze Nardella crede che vietando una manifestazione non sia il modo migliore per surriscaldare gli animi di una città presa in prestito per celebrare il potere e i suoi convitati? Ma davvero a Nardella non è venuto in mente che legare l’inizio di un’iniziativa politica (di governo, tra l’altro) alle commemorazioni per l’alluvione potesse essere poco apprezzato dai suoi concittadini? Ma davvero Nardella crede che basti urlare che “i violenti hanno sfasciato Firenze” e incassare l’applauso della sua bomboniera endogamica di partito per legittimarsi? Ma davvero Nardella crede che la gente gli creda?

Sfogliare in internet le home page di alcuni quotidiani in questi minuti riporta le lancette indietro di decenni: Repubblica pubblica un video intitolandolo “poliziotto picchiato con un cartello stradale” e non c’è nessun poliziotto picchiato. E solo di sguincio un cartello. Il giochetto di agitare violenza per accrescere il proprio consenso (un trucco antico insegnato nei nostri tempi più bui) non ha funzionato perché i manifestanti alla fine hanno deciso di disperdersi per non prestare il fianco a una strumentalizzazione che è già in atto.

Che tristezza il potere quando ha bisogno di mostrare i muscoli e di ingigantire i pochi violenti per smuovere solidarietà.
Che tristezza.

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Decisamente No. Una guida informata e ragionata. #TourRicostituente #IovotoNO

Noi continuiamo a prendere il prossimo referendum terribilmente sul serio. Sui nostri canali, e in particolare sul sito iovoto.no, trovate le infografiche, le faq, il materiale #nelmerito e le tappe del tour #RiCostituente (in costante aggiornamento). Il 19 novembre ci troviamo a Bologna per un importante evento del Tour Ricostituente in cui ci saremo tutti, nel prossimo mese sarò in giro per l’Italia quasi tutti i giorni per incontri e dibattiti, qui trovate le date in continuo aggiornamento. Se c’è una cosa di cui sono fiero è che noi nel nostro piccolo non ci siamo risparmiati. Mai. Con tutte le difficoltà del caso.

La guida la potete scaricare anche qui, la potete stampare, inviare ai vostri contatti, portarvela in ufficio per discuterne, mandare le vostre osservazioni e contestazioni. Al contrario dei profeti delle cavallette (e dei santi profeti dei terremoti) il Paese non finirà il 5 dicembre ma rimango convinto che i sensi riattivati da questa campagna elettorale debbano essere l’occasione per mantenere questo Paese vivo. Al contrario di qualcuno io vorrei molti politici. Anzi, vorrei vivere in un Paese in cui tutti i cittadini sono politici. Addirittura. Pensa te.

decisamente-no

 

La nostra proposta subito dopo il NO

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Alla fine il sito è online. Iovoto.no contiene tutti i documenti, gli appuntamenti e i materiali perché ognuno si faccia comitato elettorale. Basta iscriversi per rimanere informati, partecipare, proporre, discutere. Fare politica insomma.

E insieme a tutte le ragione del no abbiamo anche voluto mettere le nostre proposte perché sarebbe ora di finirla con questo giochetto di convincerci che non c’è alternativa. Eccole qui:

  1. Una legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti (come col Mattarellum): l’opposto dell’Italicum.
  1. Costi della politica: diminuzione di deputati e senatori; significativa riduzione delle indennità.
  1. Superamento del bicameralismo perfetto: il governo riceve la fiducia dalla sola Camera, la quale legifera nella generalità degli ambiti.
  1. Un nuovo Senato (elettivo): competenze sulla legislazione di maggiore rilievo; importanti funzioni di controllo, a partire da quelle sulle nomine governative; funzione di raccordo tra legislazione statale e regionale, con una quota minoritaria di eletti da parte delle Regioni al loro interno.
  1. Democrazia diretta: possibilità di firma elettronicariduzione del quorum per il referendum abrogativo; rafforzamento dell’iniziativa legislativa popolare, con la possibilità per i cittadini stessi di pronunciarsi sulle proposte che essi hanno presentato se non esaminate entro un certo termine.
  1. Salvaguardia delle autonomie: la forza dei cittadini sta anche nella possibilità di avere istituzioni più prossime sulle quali incidere più facilmenteEliminazione delle Province senza infingimenti, ridefinendo con cura – e partendo dai territori stessi – l’assetto degli enti territoriali.
  1. Eliminazione del CNEL.

 

LA NOSTRA PROPOSTA SULLA COSTITUZIONE: SEMPLICE, CHIARA E APERTA A TUTTI

Il cattivo funzionamento delle istituzioni non è da imputare alla Costituzione, ma spesso alla sua forzatura o alla sua mancata attuazione, quando non alle sue violazioni. Basti pensare alla scellerata scelta di approvare, alla fine del 2005, in tutta fretta, una legge elettorale (con cui abbiamo poi votato ben tre volte), di cui la Consulta ha accertato la palese illegittimità costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014.

Le istituzioni attraversano una crisi che è in realtà la crisi dei partiti politici, che da tempo hanno perso la capacità di svolgere il ruolo, previsto nella Costituzione, di strumenti di partecipazione democratica dei cittadini alla determinazione della politica nazionale.

Per questo non riteniamo affatto che l’Italia richieda quella “verticalizzazione” del potere alla quale le revisioni costituzionali proposte ormai da una trentina d’anni mirano incessantemente come alibi per governi lagnosi, in realtà poco abili nel risolvere i problemi; al contrario riteniamo che sia necessario che le istituzioni recuperino credibilità attraverso un migliore funzionamento ma soprattutto attraverso un aumento del peso che i cittadini possono giocare nelle loro scelte.

Per questo più che una revisione costituzionale serve – con urgenza – una legge elettorale capace di restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti (come avveniva con il Mattarellum), proprio all’opposto di quanto faccia l’Italicum. Per questo, rispetto alla Costituzione riteniamo che sia necessaria la revisione mirata di alcune norme, a partire da quelle sugli istituti di partecipazione popolare, per riavvicinare i cittadini alla politica.

Su queste vasi abbiamo avanzato ad un anno dall’inizio della legislatura una proposta di revisione costituzionale (AC 2227) che potesse rispondere a questa nostra profonda convinzione ma anche che potesse costituire un terreno di dialogo con le proposte che erano state tratteggiate nel corso della discussione che sin dall’inizio della legislatura era stata avviata in materia.

In questa logica si prevede la significativa diminuzione di deputati e senatori, che dovrà essere accompagnata da una congrua riduzione delle indennità (alla quale provvederà una nuova legge di attuazione dell’articolo 69).

Le due Camere – ridimensionate – vedono attribuirsi in gran parte funzioni differenti, con il superamento del bicameralismo perfetto. In particolare alla sola Camera rimane il rapporto di fiducia con il Governo e la legislazione nella generalità degli ambiti, con mantenimento ad un Senato – che rimane elettivo – dell’intervento sulla legislazione di maggiore rilievo. Al Senato, autorevole e slegato dal rapporto di fiducia con l’esecutivo, sono affidate anche importanti funzioni di controllo, a partire da quelle sulle nomine governative. Allo stesso è affidata anche la funzione di raccordare meglio la legislazione statale con quella regionale, considerato il ruolo legislativo delle Regioni che la revisione del 2001 ha attribuito loro, e ciò è reso possibile attraverso la integrazione della composizione dello stesso con una quota (minoritaria) di eletti da parte delle Regioni al loro interno, secondo il modello che era stato previsto anche nella Commissione dei settantacinque alla Costituente.

Ulteriore aspetto è il potenziamento degli istituti di democrazia diretta, attraverso la possibilità – inserita anche in Costituzione per rafforzarne la previsione – della firma elettronica; la riduzione del quorum di validità del referendum abrogativo e il definitivo rafforzamento dell’iniziativa legislativa popolare, con la possibilità per i cittadini stessi di pronunciarsi sulle proposte che essi hanno presentato alle Camere, se queste non le hanno esaminate entro un certo termine.

Circa l’assetto delle autonomie, la proposta intende salvaguardarle, nella convinzione che la forza dei cittadini stia anche nella possibilità di avere istituzioni più prossime sulle quali incidere più facilmente. Si propongono quindi limitate modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione, che vanno a eliminare le Province senza infingimenti e nella consapevolezza che questo renderà necessario ridefinire con cura – e partendo dai territori stessi – l’assetto degli enti territoriali, escludono la possibilità di ulteriori forme di autonomia speciale, provvedono ad un parziale riassetto delle materie di competenza statale e regionale e richiamando l’unità giuridica ed economica della Repubblica quale principio che deve essere garantito con leggi dello Stato.

Naturalmente anche la nostra proposta provvede ad eliminare il CNEL, in quanto organo che si è rivelato – a differenza di quanto avessero ritenuto i Costituenti – capace di inserirsi proficuamente nelle dinamiche istituzionali della Repubblica.

Come si vede si tratta di una proposta che presenta molte linee sulle quali anche altri, a partire dal Governo, si sono voluti cimentare; ma gli obiettivi risultano nel nostro caso più contenuti e più chiari. Si individuano alcuni problemi e si cerca di dare alcune risposte. Anche tenendo conto – nel nostro caso – che le riforme costituzionali non si fanno da soli: per questo già il nostro testo contiene alcune tendenze che ci sono sembrate prevalenti e per lo stesso motivo eravamo e siamo disponibili a lavorare ancora sulla nostra proposta con il contributo di tutti. Cosa che invece a noi è stata negata dalla maggioranza, sempre sorda rispetto a qualunque nostra proposta. È così che si è arrivati a un testo che rispetto all’iniziale proposta governativa ha subito poche modifiche, nessuna delle quali apportata per rispondere meglio a esigenze di buon funzionamento e di partecipazione dei cittadini.