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ROMA

A Roma il vigliacco non è Marino: è il PD

Il sempre lucido Marco Damilano scrive perfettamente quello che in molti pensano. Solo che lui trova le parole giuste:

Era da anni che non si vedeva uno spettacolo del genere. Un sindaco scelto con le primarie e poi eletto dai cittadini viene sbugiardato da una segreteria di partito che vorrebbe imporgli i nomi degli assessori. Dettano legge ras e capetti di corrente che non sono stati votati da nessuno (anzi, molti di loro hanno perso le primarie per cui hanno gareggiato) o hanno conquistato un posto con la riffa delle preferenze. Non per cambiare la città, sia chiaro, o per rovesciare il sindaco ma ammettendo le loro responsabilità. No, si chiede il commissariamento, togliere potere al sindaco incontrollabile e restituirli al partito, anzi, al Partito, cone se esistesse ancora quello con la maiuscola. Dimenticando che Marino fu scelto da Goffredo Bettini e poi eletto sindaco in un momento in cui l’intera segreteria cittadina era dimissionaria, la dirigenza si era volatilizzata e nessuno voleva metterci la faccia. Era la primavera del 2013, Grillo era ancora fortissimo e faceva paura, Alfio Marchini stava macinando voti, all’epoca i coraggiosissimi dirigenti del Pd romano che oggi reclamano le dimissioni si nascosero dietro la figura del chirurgo. Quello che oggi gli viene imputato, di essere un alieno estraneo alla città, un anno e mezzo fa sembrò essere il suo punto di forza. Se Marino avesse vinto, avrebbe trascinato anche il Pd. Se avesse perso, sarebbe stata unicamente colpa sua.

La dignità nelle parole

Condivido questo video perché nonostante il clamore e la polvere su Tor Sapienza e sulle periferie e nonostante la continua legittimazione sotto traccia del razzismo, le parole di Carlotta Sama hanno un suono che riporta a fare pace con il mondo e nonostante la delicatezza del tono impongono principi costituzionali che hanno bisogno di essere ricordati:

(Grazie a Laura Caputo per la segnalazione)

#TorSapienza

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(Per inciso, io la conosco proprio bene Tor Sapienza, sì, e conosco romani con il cuore negro di bile e romani emigrati già da un pezzo dall’isola dell’etica. Tor Sapienza è quel posto dove i consumatori di droga, appena passa l’effetto, manifestano contro lo spaccio. Per dire. Non tutti, certo, prima che si inizi con la solita solfa.)

Vicino a Lirio Abbate

Non sempre sono d’accordo con lui e nemmeno lui con me, credo. Ma di giornalisti così se ne sente tanto bisogno, soprattutto quando mettono le mani in pasta in una criminalità così difficilmente decifrabile come quella romana. L’ultimo episodio è preoccupante, davvero.

Tra i manganelli non vede contraddizioni

Angelino Alfano ha riferito al parlamento di non vedere contraddizioni tra la sua versione (falsa) dei fatti accaduti a Roma e le riprese trasmesse dalla trasmissione Gazebo. Cioè continua a vedere un’attacco premeditato da parte della FIOM contro le forze dell’ordine.

In un Paese normale sarebbe da prendere a calci nel culo. Anzi no: a manganellate.

Le colpe a Ostia: non solo mafia.

Un importante articolo di Mauro Cifelli:

Un “sistema corruttivo” attuato con “metodo mafioso” finalizzato a pilotare la gestione dei pubblici appalti e la concessione di alcuni stabilimenti balneari di Ostia. A gestirlo esponenti di spicco del Clan Spada e l’ex direttore dell’Ufficio Tecnico dell’allora Municipio XIII (ora X) lidense l’ingegnere Aldo Papalini, con la connivenza di imprenditori del territorio. Questa la strategia criminale smascherata al termine di una complessa operazione cominciata dall’affidamento della gestione dello stabilimento ‘Orsa Maggiore’ che nell’estate del 2012 venne revocata al Cral dell’Ente Poste che lo gestiva, con l’asssegnazione alla società ‘Bluedream srl’ costituita ad hoc tre giorni prima della revoca della concessione.

BLITZ ALL’ALBA – Nei confronti dei promotori di questo ‘sistema’ è scattato alle prime ore di stamattina una operazione condotta in sinergia dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia Costiera, coordinata dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, nel corso della quale sono stati eseguiti nove provvedimenti restrittivi a carico di altrettanti indagati, tra esponenti della criminalità lidense, imprenditori e pubblici ufficiali che avevano messo in atto un ben oliato impianto corruttivo.

I REATI CONTESTATI – Le nove persone indagate sono ritenute a vario titolo resposanbili dei reati di “abuso di ufficio”, “turbata libertà degli incanti”, “falsità ideologica”, “concussione”, “corruzione” e “reati finanziari” con l’aggravante del “metodo mafioso” in quanto finalizzati ad agevolare il Clan Spada, federato ai Fasciani, ed egemone nel territorio di Ostia.

GLI INDAGATI – Nove gli indagati, tre destinatari della misura della custodia cautelare in carcere (Aldo Papalini, Armando Spada e Cosimo Appeso) e sei alla misura degli arresti domiciliari (Giovanni RecchiaAntonio AmoreDamiano Falcioni, Ferdinando CollocaMatilde Magni e Angelo Salzano). In particolare le investigazioni della DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Roma hanno avuto origine a partire dal 2012 e si sono focalizzate sulla figura dell’ingegner Aldo Papalini, all’epoca direttore dell’Ufficio Tecnico del Municipio Mare, intorno alla quale hanno ruotato tutte le ipotesi delittuose oggetto dell’indagine portata a conclusione quest’oggi.

PROVVEDIMENTI EMESSI – Oltre alle nove ordinanze di custodia cautelare sono state effettuate 26 perquisizioni ad Ostia, FiumicinoCivitavecchia e Gaeta. I provvedimenti sono stati attuati su richiesta della DDA ed emessi dal Gip di Roma Alessandra Boffi. Come ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino nel corso di una conferenza stampa di presentazione dei risultati delle investigazioni: “Al centro dell’inchiesta c’è l’illecito affidamento, proprio con metodi mafiosi, dello stabilimento balneare ‘Orsa Maggiore’, già in carico al Cral dell’Ente Poste, a una società denominata ‘Bludream Srl’ finita sotto il controllo”, secondo gli investigatori “di esponenti della famiglia Spada”.

STABILIMENTO ORSA MAGGIORE – Nello specifico, è stato monitorato dagli organi investigativi l’affidamento della gestione del Lido Orsa Maggiore, storico stabilimento balneare di Ostia, assegnato alla società “Bluedream srl” con “l’interessamento diretto del Clan Spada.

FALSE FATTURAZIONI – Secondo quanto constatato dalla Procura di Roma il metodo utilizzato da alcuni degli indagati raggiunti questa mattina da un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Roma, per comprare i favori dell’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico di Ostia, Aldo Papalini, avveniva mediante “un sistema di false fatturazioni verso una società con sede a Latina“. “Le mazzette”, con importi variabili dai 40mila ai 60mila euro, finivano sul conto corrente della società legata a Papalini e poi “ritirate” personalmente da un uomo di fiducia dello stesso dirigente, che non risulta indagato nell’inchiesta.

REVOCA DELL’APPALTO – In sintesi, violando le più elementari norme che conformano il procedimento amministrativo, in assenza di alcuna effettiva istruttoria e contradditorio, Aldo Papalini “aveva dapprima disposto la revoca e la decadenza delal concessione al Cral, per poi riaffidarla immediatamente ad un altro operatore attraverso una procedura ad asserita evidenza pubblica (consumatasi in un arco temporale di soli 5 giorni) alla società “Bluedream”, come detto, costituta ad hoc pochi giorni prima.

ASSEGNAZIONE A BLUEDREAM – Sempre secondo quanto appurato dalle indagini “tale assegnazione è stata condotta da Aldo Papalini in concorso con Damiano Facioni, Ferdinando Colloca (fratello dell’allora consigliere Salvatore Colloca) e Matilde Magni, questi ultimi nelle qualità di soci formali, nonché da Cosimo Appeso, Luogotenente della Marina Militare e Armando Spada, “soci di fatto” della “Bluedream” costituita appositamente per lo scopo”.

CONTESTO CRIMINALE – Una vicenda emblematica, poiché si inserisce in un più ampio contesto che vede il territorio lidense oggetto di appettiti criminali da parte delle “locali consorterie mafiose dedite specialmente all’accaparramento di aree demaniali e stabilimenti balneari ivi esistenti, con contestuale corruzione di pubblici ufficiali a favore di alcuni imprenditori che potevano giovarsi del nome degli Spada”.

OPERAZIONE NUOVA ALBA – Il clan Spada erà già finito sulle cronache locali nel maggio dello scorso anno quando Carmine Spada ed Emiliano Belletti furono arrestati in seguito ad un tentativo di estorsione di denaro nei confronti di un commerciante ripreso in un video che inchiodò i due esponenti del Clan lidense. “Il Clan Spada il cui prestigio criminale ha segnato una progressiva crescita proprio in forza dell’alleanza con il Clan Fasciani, capeggiato dal capostipite Carmine, tratto in arresto nel luglio del 2013 durante l’Operazione Nuova Alba“.

RISULTANZE INVESTIGATIVE – Le risultanza investigative della operaizone dell’estate del 2013 sono poi state recepite dal Gup che ha riconosciuto, con sentenza del 13 giugno 2014, “l’associazione a delinquere di stampo mafioso a carico dell’affiliato, che aveva optato per il rito abbreviato, mentre il procedimento principale col rito ordinario è in via di conclusione avendo l’Ufficio di Procura già rassegnato ler proprie conclusioni con la requisitoria finale”.

RIMOZIONE INCARICO PAPALINI – Proprio l‘esecuzione delle 51 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di capi ed affiliati ai “sodalizi mafiosi Fasciani e Triassi, tra loro contrapposti, ed il conseguente clamore mediatico, hanno determinato l’Ente Roma Capitale all’adozione di una misura di autotutela amministrativa di rimozione dell’incarico ad Aldo Papalini, del quale emergevano gli stretti legami con gli Spada”.

AIUTO E CONTRIBUTO – Sempre secondo quanto appurato nel corso della complessa indagine “Prima di allora l’interessato “aiuto e contributo” del Papalini ha permesso ad alcuni imprenditori, tra gli altri Recchia, Amore e Salzano, di gestire i più lucrosi appalti pubblici sul territorio del litorale, per lavori di ogni tipo, grazie al ricorso di procedure negoziate ristrette senza pubblicazione del bando di gara in palese violazione della normativa ed in assenza di presupposti di legge”.

ORSA MAGGIORE ACQUISITA CON L’INTIMIDAZIONE – Un ‘sistema’ messo in atto anche nel caso dello stabilimento Orsa Maggiore, con l’acquisizione dello stesso attuata a “mezzo intimidazione e con la compiacenza di pubblici funzionari infedeli”, che trova “valenza paradigmatica dell’attività criminosa degli Spada, coerente con l’attività parallela dei Fasciani”.

Stefano Cucchi: cosa è successo nella caserma di Tor Sapienza?

Tor Sapienza è un quartiere periferico di Roma, frenetica zona di gare notturne clandestine e di cocaina nonostante le ripetute rimostranze di alcuni cittadini che hanno segnalato le piazze di spaccio, Piazza Giuseppe Raggio. Alcune fonti parlano di un’ampia indagine antidroga che riguarderebbe anche molti “intoccabili”, stimabili professionisti e insospettabili. La caserma dei carabinieri di Tor Sapienza è uno degli interrogativi da sciogliere obbligatoriamente nella vicenda di Stefano Cucchi:

“Procederemo a una rilettura di tutte le carte dell’inchiesta con riferimento alle posizioni che non sono state oggetto di indagine”: non potendo fare molto di più, in attesa della Cassazione e in virtù del principio giuridico del ne bis in idem (non si giudica una persona due volte per lo stesso reato), il procuratore capo di Roma ha annunciato di voler andare a spulciare gli atti che riguardano persone non toccate dall’inchiesta. In sei giorni 140 persone hanno avuto a che fare con lui. Per esempio i carabinieri. Già la sentenza di primo grado andava in questa direzione: “Non è certamente compito della Corte – prosegue – indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui”. Proviamo allora a ripercorrere quei terribili giorni. Cominciamo dalla notte dell’arresto.

“Il giorno 16/10/2009 ricevevo una telefonata alle ore 00.00 da personale del Gruppo di Roma che preannunciava l’accompagnamento presso le nostre celle di un detenuto poi identificato con Stefano Cucchi”. A parlare è il carabiniere scelto Gianluca Colicchio, impiegato presso la stazione di Tor Sapienza. Stefano era appena stato fermato all’uscita del Parco degli Acquedotti. Accanto a lui, su un’altra vettura, il suo amico Emanuele Mancini: “A entrambi due carabinieri chiedevano se avevamo droga. Io rispondevo che ero pulito ma non so se Stefano abbia risposto lo stesso. All’esito della perquisizione sulla macchina di Stefano i carabinieri trovavano hashish e altre pillole che loro pensavano fosse stupefacente, mentre invece Stefano gli diceva che erano pillole di ‘rivotril’ e lassativi. Sono a conoscenza che Stefano, che conosco da 11 anni, soffriva di epilessia”.

I due ragazzi vennero condotti nella stazione Appia. Ancora Emanuele: “I carabinieri in borghese mi dicevano che avrei dovuto firmare una dichiarazione che avevo acquistato lo stupefacente da Stefano, pur non essendo vero, in modo tale da uscire pulito da questa storia”. Così fu: Emanuele tornò a casa, Stefano rimase in camera di sicurezza. “Al momento dell’arresto – scrisse il carabiniere Francesco Tedesco – il Cucchi, di corporatura molto magra, camminava bene e non presentava alcun segno particolare sul volto se non delle occhiaie verosimilmente dovute all’eccessiva magrezza”.

Alle 3,20 del 16 ottobre Cucchi venne “tradotto” dalla stazione Appia a quella di Tor Sapienza. “Durante l’accompagnamento – mise a verbale il maresciallo Davide Antonio Speranza – il prevenuto non lamentava nessun malore, né faceva alcuna rimostranza in merito”. E invece poco dopo l’arrivo a Tor Sapienza, fu necessario chiamare il 118. “Trascorsi 20 minuti circa – riferì ancora Colicchio – il Cucchi suonava al campanello di servizio e dichiarava di avere forti dolori al capogiramenti di testatremore e di soffrire di epilessia”.

Stefano però si rifiutò di farsi visitare e si mostrò “poco collaborativo”. Erano le 4,50 del mattino. Alle 9:05, il carabiniere scelto Francesco Di Sano aprì la cella: “Il Cucchi riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare”. L’arrivo nelle celle di sicurezza del Tribunale di piazzale Clodio, quando il ragazzo fu preso in consegna dagli agenti penitenziari, avvenne alle 9,30. Il padre Giovanni lo vide per l’udienza di convalida, e lo trovò col viso gonfio, i lividi sotto gli occhi. Nel verbale d’arresto i militari scrissero che Cucchi era “nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora”.

L’assistente capo della penitenziaria Bruno Mastrogiacomo, in servizio presso Regina Coeli, dichiarò ai pm: “Io ho fatto spogliare il Cucchi, ho visto che aveva segni sul viso, sugli zigomi, rossi, tipo livido, e quando gli ho detto di piegarsi lui mi ha detto che non riusciva a fare la flessione perché gli faceva male all’altezza dell’osso sacro. Gli ho chiesto che cosa era successo e il Cucchi mi ha detto che era stato malmenato dai carabinieri quando è stato arrestato”. Un altro poliziotto, Fabio Tomei, mise a verbale che il detenuto Mario Torrenti, “che non è mai stato in cella insieme a Cucchi” riferì alla collaboratrice dell’onorevole Pedica, durante una sua ispezione, che “dovevano indagare sui carabinieri, che Cucchi era stato picchiato a Tor Sapienza”. I pm Barba e Loy hanno ritenuto, però, di non doverlo fare.

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A Roma la Dia si prende il Caffè Fiume

Caffe-FiumeTra i beni confiscati definitivamente anche il famoso Caffè Fiume a Roma, a fare compagnia agli altri beni mobili e immobili sequestrati a maggio di quest’anno e tutti riconducibili all’imprenditore Saverio R., considerato elemento di vertice della cosca di ‘Ndrangheta Fiarè-Razionale e condannato per mafia.

Gli uomini del Centro Operativo DIA di Roma hanno infatti eseguito questa mattina, presso la capitale e nella provincia calabrese di Vibo Valentia, il decreto di definitiva confisca, emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro, su richiesta della Procura Generale di Vibo.

Il totale del patrimonio confiscato ammonta a sette milioni di euro e comprende, oltre al famosissimo Caffè Fiume di via Salaria, a pochi passi da Via Veneto, e alla società omonima, anche un bar-ricevitoria e un appartamento a Vibo Valentia.

Quest’ultimo era curiosamente intestato alla famiglia dell’attuale Sindaco del Comune, Michele Pannia, che lo aveva venduto alla famiglia dell’imprenditore mafioso negli anni 80 senza mai effettuare il passaggio di proprietà, favorendo quindi l’aggiramento della normativa antimafia.

Quattro le società edili confiscate: le prime tre a Roma, ovvero la Roma Services srl, la Edil Consul Services srl e la Studiogi Edil & Money di Giuseppe Scriva srl, e l’ultima a Vibo Valentia, chiamata Gisa Costruzioni di Francolino Maria Grazia.

La confisca si estende anche ad un concessionario di auto, a due appartamenti, un magazzino e un terreno nella capitale, a dieci appartamenti nella provincia di Vibo Valentia, tre conti correnti bancari e per chiudere in bellezza, cinque auto tra cui una Porsche.

(fonte)