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romanzo

‘Per i diritti umani’ su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(L’articolo originale è qui)

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Uscito per Rizzoli l’ultimo lavoro letterario di Giulio Cavalli scrittore e attore, da sempre impegnato sui temi civili e sulla legalità, Mio padre in una scatola da scarpe è un romanzo che parla, forse, anche un po’ dell’autore stesso, capace sempre di dire No alla cultura mafiosa, in grado di pagare un prezzo alto per i valori della giustizia e della vita.
“Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani”.
Tornano, nel libro, le parole degli spettacoli teatrali che Cavalli porta in scena: omertà, paura, ribellione, violenza, rispetto, verità”: parole e concetti da approfondire; alcuni da cancellare, altri da insegnare, con l’esempio e la Cultura.

L’Associazione per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande a Giulio Cavalli e lo ringrazia per la disponibilità.

E’ la storia di un uomo comune, diventato eroe, e della sua famiglia: quanto è importante raccontare storie (a teatro, in letteratura) a sfondo civile?

Io credo che sia importante raccontare storie credibili e scrivo credibili nel senso più ampio del termine ovvero abbiamo bisogno di storie che insegnino l’eroismo che sta nei tanti piccoli gesti quotidiani che sono famigliari a molti. Questo romanzo non vuole celebrare Michele Landa, che altro non è che un uomo vicino alla pensione con la cura della propria famiglia, ma prova a fare intendere quanti “profughi stanziali” si ritrovano a combattere in ambienti non facili. Ognuno secondo le proprie capacità, le proprie possibilità e le proprie attitudini. Credo che ultimamente abbiamo commesso l’errore di cercare l’iperbole mentre sotto gli occhi, tutti i giorni, abbiamo quotidiani esempi di resistenza

Qual è l’Italia che lei racconta?

L’Italia dove la prevaricazione è sistematica, il bullismo è considerato un dovere per condire la credibilità dei potenti e dove un continuo logorio della democrazia ha portato a farci credere che alcuni nostri diritti siano dei privilegi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un graduale disfacimento del pieno significato dell’essere buoni, tanto che oggi è considerato un difetto, una debolezza. In realtà spesso essere buoni significa avere la forza di stare ostinatamente controcorrente e Michele, con i suoi figli, è la personificazione di questo sforzo strenuo e continuo.

Ci parla del progetto legato al suo libro?

Andando in giro per scuole e librerie abbiamo scoperto che il romanzo risulta molto utile anche per discutere di bullismo e prepotenza. In realtà il progetto con le scuole è tutto merito di Ivano Zoppi e la sua ONLUS Pepita che hanno avuto il merito di trasformare il libro in un’occasione per chiedere di alzare la voce contro i soprusi. Un libro, appena uscito in libreria, smette di essere del suo autore e anche questa iniziativa l’ho vissuta con l’emozione di uno spettatore privilegiato. Sono molto contento che finalmente si riesca a dare una declinazione quotidiana ad un fenomeno (quello mafioso) che troppo spesso ha bisogno di eroi per poter essere raccontato.

Spesso le persone oneste vengono lasciate sole dalle istituzioni e, per questo, molte di loro hanno perso la vita, seguendo l’etica e la legge…Oggi in che direzione si sta muovendo lo Stato italiano in termini di lotta alle mafie?

Si da sempre molto poco. L’Italia è il Paese più evoluto sul fronte antimafia perché è anche il laboratorio più estremo delle mafie ma sono convinto che al netto della retorica ancora oggi si faccia troppo poco e troppo spesso male. Pensiamo, solo per citare un esempio, ai testimoni di giustizia che non sono altro che normali, semplici cittadini a cui “è capitata l’occasione di essere giusti”. dovrebbero essere trattati dallo Stato con tutta la cautela e la gratitudine per chi decide di alzare la testa e invece sono pressoché quotidiane le notizie di difficoltà ambientali, economiche e di sicurezza di chi ha deciso di denunciare. La strada è lunga e in più il movimento antimafia sembra vivere anche un pericoloso periodo di appannamento.

Come possiamo educare i giovani alla cultura della legalità?

Primo: facendo in modo che essere corretti e rispettare la legge sia conveniente. E questo è un dovere della politica. Poi abbiamo bisogno di riportare il senso di legalità al senso di solidarietà, cittadinanza attiva, responsabilità e giustizia. Qui non si tratta solo di insegnare le leggi ma riuscire a far cogliere il senso alto che sta dietro alle basi della democrazia. E finché non riusciremo a raccontare la legge come un’opportunità piuttosto che un limite credo che faremo molta fatica a trovare un vocabolario che funzioni.

“Legalità contro omertà da Mondragone a Milano”: una recensione di ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(recensione da la Provincia di Cremona)

Schermata 2015-11-29 alle 09.44.19«Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani». Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta. Una vita dura, con pochi compromessi, che si riflette nel suo ultimo libro: ‘Mio padre in una scatola da scarpe – Capita a tutti l’occasione di essere giusti’. Cavalli sa cosa vuol dire pagare per un’idea. Quella che non si deve cedere mai, perché un passo dopo l’altro dalla comodità di una posizione un pò sonnolente si passa al compromesso irreversibile. Lui, invece, prima a teatro, poi sulle pagine dei suoi due libri, infine dai banchi del consiglio regionale, ha tenuto il punto. Anche quando nell’agosto 2013 il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura ha raccontato il progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ’ndranghetista De Stefano-Tegano.

Da allora la sua vita è irrimediabilmente cambiata, sorretta anche dalla sua compagna, Miriana Trevisan. ‘Mio padre in una scatola di scarpe’ non è solo un romanzo, è un progetto: «Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale (…) Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui». Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli. Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, quando non senza del tutto, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business ‘calabrese’ del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati, ai comuni sciolti per mafia, alle operazioni ‘Infinito’ e ‘Insubria’. ‘Non è un libro poliziesco. È un libro sulla cultura dell’illegalità, sull’abbandono delle tante persone perbene.

‘Mio padre in una scatola da scarpe’: la recensione de ‘L’indifferenziato’

(di Umberto Zimarri, qui)

Schermata 2015-11-26 alle 15.00.36Cos’è il coraggio in quei territori in cui ci “sono le guardie e i ladri”, il bianco e il nero ed abitare in mezzo non è possibile? Probabilmente può succedere anche che tu non te ne accorga ma sei già sporco di bianco o di nero, ma cosa significa vivere a Mondragone e desiderare semplicemente di coltivare un orto e godersi la famiglia essendo persone oneste, rifiutando compromessi, soprusi ed omertà? A queste e ad altre domande risponde il primo romanzo di Giulio Cavalli, Mio Padre in una Scatola di Scarpe, che racconta la storia dimenticata di Michele Landa, metronotte ucciso e bruciato vivo nelle campagne del casertano nella notte tra il 5 e 6 dicembre del 2006.

Il libro è intenso, coinvolgente, non lascia spazio alla stucchevole retorica perché vuole raccontare l’Italia delle minacce, della malavita, dei diritti negati ma anche quella delle persone con la schiena dritta che vogliono vivere con dignità che vogliono guardarsi allo specchio e vedere persone pulite. “Io non ci voglio entrare nel marcio di questo posto. Ma non ci voglio entrare mica fregandomene come hanno fatto tutti i nostri genitori, i nonni o gli zii: io non ci voglio entrare perché ancora so quello che è giusto e quello che è sbagliato, ancora so cos’è una prepotenza, e quindi mi difendo ma so. Si può vivere da onesti senza essere impauriti quiCosì Michele si rivolge alla sua amata, Rosalba la silenziosa. Il loro amore non è quello sdolcinato dei film, è quello della concretezza, dell’unità, del supporto ed è permeato di un sapore antico che lo rende speciale. Si sono amati fino all’ultimo momento, a quel maledetto turno di notte nella cooperativa Lavoro & Giustizia. Nessun funerale di Stato, nessun rappresentante delle Istituzioni presente, nessuna inchiesta, soltanto un vergognoso silenzio assordante spezzato dall’abilità letteraria di Cavalli, e dalla dignità di una famiglia che rappresenta l’essenza stessa di Michele, la sua vittoria netta nella sfida con il mondo. Anzi per dire la verità il comportamento nella fase di ricerca e post mortem riservato alla famiglia è stato a dir poco vergognoso ed ignobile. La figlia Angela, ricorda -“Quando ho sporto denuncia, un carabiniere mi ha detto che non dovevo preoccuparmi che sicuramente mio padre stava bevendo con qualche prostituta da qualche parte e che sarebbe tornato a casa”, mentre Michele racconta come con i fratelli al deposito giudiziario abbiano trovato un femore, la fibbia della cintura del padre, le chiavi di casa e altre ossa, così se lo sono portati via in una scatola di scarpe

Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco io avrei scritto questo – dice l’autore ed in effetti anche quando abbiamo avuto il piacere di ospitarlo è emerso chiaramente il suo pensiero: non servono eroi, servono persone con la schiena dritta che non siano indifferenti, che non chiudano i battenti delle finestre davanti alle azioni criminali o che più semplicemente si impegnino ad educare i figli alla bellezza ed alla dignità. La chiave per il riscatto è tutta lì, in quella richiesta di uguaglianza di tutti di fronte alle regole, che non possono essere cambiate dai potenti per i potenti, nel testo e nella realtà. Così nell’opera letteraria diventano amici e complici dei Torre ( il fittizio clan del libro) il brigadiere, il prete ma soprattutto una larga parte della cittadinanza che preferisce non guardare. Così facendo diventa eroe chi eroe non dovrebbe esserlo come il semplice e genuino Massimiliano, l’amico del cuore di Michele, trucidato per uno sguardo al giovane boss, Tore dei Torre. Anche la sua morte, non ha colpevoli per la legge, ma ha sentenze solamente nei bar del Paese.

Un libro che contiene diverse tematiche (amore, famiglia, amicizia, diritti e legalità) e che per questo ci costringe a guardarci dentro per riflettere sulle realtà che viviamo e sui rapporti con le persone a noi più care. Ci porta, insomma, ad analizzare il nostro modo di stare al mondo, perché se c’è una cosa che “Mio Padre in una scatola di Scarpe” ci insegna è che sono le persone che fanno i luoghi e sta a loro e ad i loro comportamenti combattere il deserto morale della nostra epoca seminando con costanza speranza, educazione, sogni, libertà: a forza di fare tante piccole cose si compiono le rivoluzioni e così arriva quella tanto agognata pioggia di due anni che finalmente lavi via tutto.

Non un poliziesco ma un’orazione civile (Gazzetta del Sud su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’)

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«Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani». Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta, dopo la scoperta d’un progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano.

«Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale. Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui». Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli.

«Quando Angela mi ha raccontato la storia di suo padre, che è poi anche la sua – ha spiegato l’autore – io che la storia l’avevo già ascoltata da un giornalista e un amico, Sergio Nazzaro, mentre l’ascoltavo in diretta, così, ho avuto la sensazione che colasse. Non c’era niente di più da estrarre o da spulciare, sarebbe bastato un contenitore. Ecco, questo libro è la pinta di quella storia».

Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business “calabrese” del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati. (f.c.)

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo l’ANSA (Fabrizio Cassinelli)

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GIULIO CAVALLI, MIO PADRE IN UNA SCATOLA DA SCARPE (RIZZOLI, pp.288, Euro 19)

(ANSA, l’articolo originale è qui, di Fabrizio Cassinelli) – MILANO, 13 NOV – “Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani”. Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta. Una vita dura, con pochi compromessi, che si riflette nel suo ultimo libro: ‘Mio padre in una scatola da scarpe – Capita a tutti l’occasione di essere giusti’.

Cavalli sa cosa vuol dire pagare per un’idea. Quella che non si deve cedere mai, perché un passo dopo l’altro dalla comodità di una posizione un po’ sonnolente si passa al compromesso irreversibile. Lui, invece, prima a teatro, poi sulle pagine dei suoi due libri (‘Nomi, cognomi e infami’, Edizioni Ambiente, 2010 e ‘L’innocenza di Giulio: Andreotti e la mafia, Chiarelettere, 2012) infine dai banchi del consiglio regionale (con Idv, poi passa a Sel e sostiene Ambrosoli sindaco ma non viene eletto alle regionali del 2013, ndR) ha tenuto il punto.

Anche quando nell’agosto 2013 il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura ha raccontato il progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano. Da allora la sua vita è irrimediabilmente cambiata, sorretta anche dalla sua compagna, Miriana Trevisan. ‘Mio padre in una scatola di scarpe’ non è solo un romanzo, è un progetto: “Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale (…) Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui”. Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli.

“Quando Angela mi ha raccontato la storia di suo padre, che è poi anche la sua – ha spiegato l’autore – io che la storia l’avevo già ascoltata da un giornalista e un amico, Sergio Nazzaro, mentre l’ascoltavo in diretta, così, al tavolo come quando ci si siede al tavolo con gli assicuratori, ho avuto la sensazione che colasse. Non c’era niente di più da estrarre o da spulciare, sarebbe bastato un contenitore. Ecco, forse questo libro è la pinta di quella storia. Che vi giuro aveva già tutti i sapori”.

Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, quando non senza del tutto, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business ‘calabrese’ del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati, ai comuni sciolti per mafia, alle operazioni ‘Infinito’ e ‘Insubria’. ‘Mio padre in una scatola di scarpe’ però non è un libro poliziesco. E’ un libro sulla cultura dell’illegalità, sull’ abbandono delle tante persone perbene. Il cui primo confronto non è con la paura ma con se stessi.

(il libro lo potete comprare a chilometro zero qui)

Come sgorga un libro: “Ciò che rimaneva di mio padre era una scatola da scarpe” (parla Angela Landa, figlia di Michele)

Schermata 2015-11-02 alle 12.09.33In questo video parla Angela Landa, la figlia di Michele, ucciso e bruciato nella sua auto. In questa intervista c’è il cuore pulsante che ho provato, e spero di averlo fatto bene, a mettere a fette e delle fette farne pagine del mio libro ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. Se c’è qualcosa di cui sono fiero, se c’è qualcosa che mi assomiglia e che parla (anche di me) è la fortuna di avere potuto scrivere questo romanzo. Per questo sorrido quando lo so letto, regalato o piaciuto.

Ecco il video:

Il libro lo potete anche comprare (a chilometro zero) qui.

Piccoli eroi della normalità

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Li chiama così, Marco Boschini, i protagonisti di ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. E scrive:

“Il libro di Giulio Cavalli fa piangere, per la storia.

Indignare, per il silenzio ottuso di un’intera comunità.

Sperare, per il coraggio di tanti piccoli eroi quotidiani, che manifestano la loro grandezza nella normalità.

Leggetelo, davvero.”

(fonte)