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romanzo

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo LINKIESTA

(Recensione di Paola Bisconti, la fonte è qui)

Schermata 2015-10-29 alle 15.04.55Il coraggio lo si può misurare in vari modi. Chi è davvero coraggioso non ostenta mai la sua più grande virtù e lo fa con grande buon senso. Niente azioni rivoluzionarie, il titano si arma solo ed esclusivamente di parole. Ma badate bene, ci sono quelle da non pronunciare e altre da urlare. Pochi ne conoscono il giusto equilibrio. Michele Landa e Giulio Cavalli hanno un’assonanza sebbene non si siano mai conosciuti e le loro esistenze sono decisamente differenti.

Giulio Cavalli ha conosciuto Michele Landa attraverso il ricordo e la testimonianza dei figli che hanno perso il loro padre la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006. La famiglia viveva a Mondragone, in provincia di Caserta, dove Michele lavorava come guardia giurata presso la Cooperativa Lavoro&Giustizia e quella sera avrebbe dovuto controllare una grande antenna sita in una zona non molto raccomandabile.

Mancavano pochi giorni al traguardo della pensione e al desiderio di dedicarsi esclusivamente ai nipoti e al suo orto, ma quella notte Michele Landa è stato ucciso e il suo corpo poi bruciato. Con lui è morta anche la verità. Nessuna indagine, nessun indizio, tutto è ancora avvolto nel mistero.

Se non fosse stato per l’arguta coerenza letteraria e realistica di Giulio Cavalli non saremmo mai venuti a conoscenza di questa storia. La memoria è una delle più nobili azioni che può compiere l’essere umano e il libro “Mio padre in una scatola di scarpe” edito da Rizzoli è un grande tributo a Michele Landa e alla sua famiglia.

Raccontare una storia d’omertà è una scelta che scardina i sistemi di una società basata sul falso, abituata a camuffare piuttosto che a scoperchiare le malefatte di una parte di popolo che padroneggia su tutto il resto. A Giulio Cavalli, attore teatrale, ex consigliere regionale in Lombardia che vive sotto scorta a causa delle pesanti minacce ricevute in seguito ai suoi spettacoli di denuncia antimafia, dovremmo essergli riconoscenti per aver saputo sfidare ancora una volta quel velo di indifferenza che ci costringe ad essere invisibili.

Michele Landa non ha mai voluto vivere da invisibile sebbene a Mondragone la gente onesta fosse costretta ad esserlo perché schiacciati dall’arrogante prepotenza della famiglia camorristica dei Torre che controllava e gestiva le attività economiche del paese. Glielo diceva sempre suo nonno, a Michele, di stare lontano dai mafiosi e di non osare sfidarli perché ogni reazione avrebbe messo a rischio l’incolumità dei propri cari. Ed è difficile accettare questo consiglio quando l’anima dentro arde di giustizia.

Nell’apparente quiete di Michele c’era un fuoco che bruciava e solo la dolcezza e prudenza di Rosalba era in grado di placare. Il loro era un amore “che cerca conforto e pace”. Dopo un’infanzia e un’adolescenza cresciuto da orfano, Michele ritrova nella realizzazione della sua famiglia, la tanto attesa e meritata felicità. Ma se dentro al nucleo familiare la quotidianità scorre serena, al di fuori di quel cerchio magico c’è l’inferno. E si sopravvive accettando compromessi “in una terra paralizzata dalla paura”.

Nella seconda parte del libro si fa un salto temporale di quarant’anni durante i quali Michele fa pace con il presente e con il passato, con i suoi più grandi dispiaceri, lutti e fragilità. Accetta il decesso del nonno, ormai anziano morto una settimana dopo il giorno del matrimonio con Rosalba, soffre ancora per la morte ingiusta del suo migliore amico Massimiliano che osò sfidare i suoi assassini con “uno sguardo che aveva assunto i toni del mito”.

In tutta questa storia emerge però la bellezza della dignità di una famiglia che ha affidato alle parole di Giulio Cavalli, una storia preziosa e singolare malgrado il tragico epilogo. Una bellezza celata, da cogliere dietro alle brutture di un mondo sempre più insozzato dalla cattiveria, un incanto da scorgere come faceva Michele Landa quando insieme alla sua nipotina si dirigeva a coltivare i suoi terreni agricoli e le diceva: “Mondragone verso gli orti diventa quasi irlandese: verde, umida, più forte dello scirocco”.

Sogniamolo insieme, anche per lui, un vento di tramontana in grado di spazzare via tutto il lerciume che ci sta intorno.

E se comprassi ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ a chilometro zero?

CAVALLINon avete tempo di passare in libreria. Non avete voglia di passare in libreria. Non volete comprarlo in quella o quell’altra libreria per non arricchire questo o quel gruppo. Non vi fidate di lasciare carta di credito o indirizzo agli sconosciuti. Non trovate parcheggio oppure non vi ricordate più l’indirizzo del sito. Vi rode, semplicemente.

Allora il mio romanzo potete comprarlo qui, nella nostra piccola libreria, direttamente dall’autore al lettore. Un romanzo a chilometro zero.

L’antimafia di un uomo semplice, la svolta narrativa di Giulio Cavalli (da Il Cittadino)

Schermata 2015-10-16 alle 18.56.21

Una storia che «doveva essere solo spillata». Quella di quattro fratelli che vanno a riprendersi il padre, o quel che ne resta, in un deposito giudiziario. Forzando la legge e ingoiando il dolore, riponendo quel che trovano in una scatola da scarpe, per portarlo via con loro. Uno spunto da romanzo «perfetto», che in realtà sono frammenti di vita, vera, di quelle che ti rimangono addosso e hanno la forza di cambiarne altre. In primis quella di Giulio Cavalli, autore e attore lodigiano, che oggi vive a Roma e si è imbattuto poco dopo aver lasciato Lodi nella vicenda di Michele Landa, guardia giurata di Mondragone, ucciso ancora oggi senza un perchè ufficiale, ma si pensa vittima alla criminalità organizzata. Attraverso le parole delle figlia Angela e un lungo pranzo con la famiglia, nell’agro aversano. È qui che Cavalli ha respirato il dolore diventato testimonianza antimafia «fieramente fragile e decisamente umana» della famiglia Landa e l’umiltà di chi ha sempre perseguito l’ideale di una vita semplice e onesta, come Michele. Ed è nata l’idea di un libro sulla vita di Michele Landa e della sua famiglia, Mio padre in una scatola da scarpe, edito da Rizzoli, presentato mercoledì sera al Caffè Letterario di via Fanfulla, con la regia di Libreria Sommaruga per la rassegna Conversazioni d’autore del Comune di Lodi. Per Cavalli è un esordio nelle vesti da romanziere, vissuto dopo una gestazione lunga e difficile dal punto di vista umano, in cui si è allontanato dal palco e dalla politica e ha conosciuto la depressione, come ha rivelato mercoledì, nel dialogo con Marco Ostoni, caposervizio della sezione Cultura e Spettacoli de «il Cittadino». Un’esperienza che prende a modello Stajano – e il suo Eroe Borghese – e mira a raccontare la normalità di chi sognava di fare il nonno e di coltivare l’orto, a Mondragone, «ma poteva essere Aosta o Lodi», stando lontano dalla mafia, «come forma di protezione nei confronti della propria famiglia, con un atteggiamento che oggi sarebbe considerato omertà e che vent’anni fa non lo era». Nelle pagine, in un crescen- do che diventa dirompente negli ultimi capitoli, ci sono il dolore cupo e denso di chi viene privato di un pezzo di vita, il riflesso di una città «che uccide nel silenzio», il muro costruito dall’assoluta mancanza di empatia di pezzi delle istituzioni. «Qualcosa che capisco benissimo anche io – ha raccontato l’autore – perché nella mia vita ho avuto più paura di certi prefetti e di alcuni comandanti delle forze dell’ordine che dei boss. Perché spesso manca lo spessore umano necessario a gestire determinate vicende. La frase «Cavalli fa finta», io l’ho sentita, l’ho vissuta. E mentre ho passato gli ultimi 5 anni a cercare di essere sempre più cattivo, sono stato conquistato dai buoni. Perché che essere buoni sia una debolezza, è una cosa che ci siamo fatti solo raccontare».

(Rossella Mungiello)

Librerie.it su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(l’articolo originale è qui)

Schermata 2015-10-16 alle 09.57.58Mio padre in una scatola di scarpe”: Giulio Cavalli racconta una storia vera di un uomo coraggioso e che non deve essere dimenticata

Il grande impegno dal punto di vista sociale e civile di Giulio Cavalli è tutto raccontato nelle opere teatrali e nelle sue pubblicazioni editoriali.

“Mio padre in una scatola di scarpe” vede al centro la storia di Michele Landa, metronotte di Mondragone ucciso nel 2006 nei pressi di Pescopagano e che non ha mai ricevuto giustizia.

Michele Landa

Chi è Michele? E’ semplicemente un uomo onesto, un uomo che vuole vivere in modo tranquillo. Lavora come metronotte, al suo fianco ha Rosalba – la donna con cui ha condiviso tutto la sua vita – e i suoi figli.

Michele, però, vive in un luogo del nostro Paese dove il senso stesso della vita sembra aver perduto valore, dove tutto è dominato solo dalla corruzione, dal degrado e, soprattutto, dove tutti abbassano la testa e restano in silenzio di fronte ai soprusi, perché in un luogo del genere è questo e non altro il modo di affrontare il quotidiano.

Una storia che non va dimenticata

Michele viene aggredito e ucciso in una notte del settembre 2006. I suoi aggressori, mai identificati, ne bruceranno il corpo e i suoi resti verranno consegnati alla famiglia dopo essere stati sistemati in una scatola di scarpe.

Giulio Cavalli ha preso la penna per far conoscere la storia di un uomo dignitoso, di un uomo onesto, di un uomo che per tutta la sua vita si è sacrificato lavorando per la famiglia e che avrebbe dovuto andare in pensione solo un mese dopo il suo omicidio.

Mio padre in una scatola di scarpe

Il titolo del romanzo fa riferimento ad una frase realmente pronunciata da uno dei figli di Michele e tutto quello che viene narrato, sia pure in modo romanzato, fa riferimento ad una realtà che deve essere conosciuta, portata alla luce, denunciata.

La storia di Michele deve essere ricordata, perché, al contrario si tende a dimenticarla. E perché è proprio l’omertà, la paura, la passività, che regnano sovrane in alcuni luoghi del nostro Paese, a generare e a dare forza a quella mostruosità che possiamo chiamare in tanti modi diversi, mafia, camorra, ma che deve essere combattuta con coraggio e con quella dignità che Landa ha pagato con la vita.

Dal teatro civile al romanzo civile: Marco Ostoni su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(L’articolo originale è qui):

Schermata 2015-10-13 alle 18.27.26Leggi e ti sembra di vederlo, anzi di ascoltarlo. Lì, sul palco impegnato in uno dei suoi affabulanti e avvolgenti monologhi in cui il ritmo è dettato dal sapiente alternarsi di pause e recitativi, con la voce un po’ impastata e lo sguardo pensoso, con le iridi verdemare che illuminano un gesticolare lento e compassato. Quei tratti, insomma, che lo hanno fatto conoscere e apprezzare al pubblico lodigiano le cui ribalte ha calcato per anni da protagonista. C’è tutto Giulio Cavalli in questo Mio padre in una scatola da scarpe, romanzo d’esordio dell’attore, regista, autore e saggista di Lodi (con una breve pausa anche in veste di consigliere regionale), da pochi anni trapiantato a Roma, ma là come qua costretto a vivere sotto scorta per le ripetute minacce ricevute dalle cosche in risposta ai molti strali da lui lanciati al loro indirizzo. Cosche che indubbiamente non molleranno la presa dopo aver letto questo libro, un j’accuse ancora più forte dei precedenti (anche del volume-denuncia, nonché pièce teatrale, Nomi, cognomi e infami) perché forgiato di quel metallo prezioso che si chiama letteratura, con la capacità unica che ha la letteratura di scuotere, emozionandoli, i lettori e di smuoverne così, dal profondo, le coscienze.
E ci si emoziona non poco leggendo le quasi 300 pagine del romanzo che racconta la storia (vera) di Michele Landa, uomo per bene di Mondragone, nel Casertano, vissuto con la schiena dritta in una terra dove i più la piegano – la schiena – per paura, per quieto vivere o per convenienza, ma alla fine spezzato da quella Camorra di cui non ha mai accettato i codici di comportamento.
Ci si arrabbia, ci si indigna e si piange accompagnando Michele dagli anni dell’adolescenza – dopo un’infanzia segnata dalla morte precoce della madre e da quella del padre, alcolista e violento – all’età adulta. Un lungo tragitto cadenzato dall’amicizia inossidabile con Massimiliano, lo “scemo del paese” in realtà più acuto e saggio di molti presunti “sani”; dal fidanzamento e quindi dal matrimonio con Rosalba “la silenziosa”; dalle gioie (e dalle fatiche) della paternità, fino ad arrivare al drammatico e straziante epilogo. Cavalli, se pure qua e là carica di qualche eccesso verboso il linguaggio, pagando dazio all’inesperienza da una parte e all’oralità del cantastorie dall’altra, riesce a ricreare con buona mimesi il clima di omertà e paura insieme che impasta la vita dei Mondragone, i cui abitanti sono soggiogati dalla prepotenza dei Torre, che rende tutti (o quasi) muti, ciechi, sordi ma soprattutto servi. Mentre lui, Michele, si rifiuta – ignorando i consigli del nonno – di vivere «in punta di piedi», di abitare la sua terra in silenzio, diventando invisibile per difendere se stesso e la famiglia.
«Voglio abitare in un luogo – dirà a Rosalba il giorno in cui la chiederà in sposa – dove Massimiliano può essere felice e mio nonno invecchiare sereno. E voglio figli che sanno scegliere il bene e il male».
Proprio come ha saputo fare lui, pagando quella scelta di coraggio con la morte.
(Cavalli presenterà il suo libro ai lodigiani mercoledì 14 ottobre, alle 21, al Caffè Letterario)

Giulio Cavalli, Mio padre in una scatola da scarpe
Rizzoli Editore, Milano 2015, pp. 276, 19 euro

“dentro questa scatola ce n’è lo spirito”: ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo GQ

(recensione di Alex Pietrogiacomi, l’originale è qui)

Schermata 2015-10-06 alle 11.42.44La scatola di scarpe in cui ci fa entrare la scrittura sicura e delicata di Giulio Cavalli non è soltanto metaforica ma anche reale. Questo romanzo racconta una storia vera, racconta una vita spezzata e come sempre dimenticata se non da chi quella vita se l’è vista portare via. Una scatola di scarpe può essere soffocante, può essere aperta e chiusa, lasciata in disparte oppure continuamente rigirata tra le mani. Come i ricordi, come il dolore, come l’ingiustizia, come l’impossibilità di fare se non attraverso le proprie forze, che troppe volte vacillano e hanno bisogno di un sostegno. Qui arriva il romanzo, qui arriva la narrazione, a porgere un braccio, a rassicurare sul fatto che non tutto è perduto, non tutto è dimenticato e che gli animi si possono riaccendere, le menti aprire di nuovo, gli occhi far brillare ancora.
La scatola di scarpe allora lascia ogni tipo di immaginazione letteraria e mistificatrice dei propri sentimenti,  per entrare nella crudeltà della pagina chiusa, in quella distonia chiamata realtà, chiamata storia. E non raccoglie oggetti dei desideri, memorie infantili da voler rivedere ma le ossa carbonizzate di un padre, il cui unico dramma è stato quello di vivere nel posto sbagliato (che poi sbagliato perché?) e avere lo sguardo sempre alto, la testa mai china, nonostante ogni giorno che passi diventi più invisibile. Quel padre che si chiamava Michele Landa. Se ne stava a Mondragone a pensare alla sua dignità di uomo libero e a quella della famiglia, per poi ritrovarsi a scontrarsi con il silenzio nella propria terra, con i Torre a minacciare, intimidire… ferire a morte. Solo tra i concittadini eppure in mezzo a loro, solo su quella terra che lo disconosce che volge lo sguardo altrove. Che lo dimentica.
Cavalli però non ha una memoria a breve termine, non ha memoria collettiva, ha memoria civile e scrive, li trova i familiari, ci parla, non racconta solamente, entra a farne parte e queste pagine intrise di una forza indomita colmano ogni lacuna, ogni dimenticanza piccolo borghese che troppe volte ci attanaglia, ci piega e plagia, rendendoci distanti anche da i nostri simili.
Una forza che conosciamo bene quella cui attinge questa scrittura, ma che utilizziamo in un senso solo… la forza dell’amore, per la propria vita e per chi si incrocia con essa; per il proprio riflesso in uno specchio e negli occhi di chi ci ama. Nonostante le lacrime dei propri diritti piegati sgorghino in silenzio.
Per essere uomini si devono conoscere uomini, di quelli che ne rappresentano la schiera più nobile e qui dentro, dentro questa scatola ce n’è lo spirito.

“andrebbe antologizzato e studiato a scuola”: ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ secondo Pupottina

(la recensione originale è qui)

Schermata 2015-10-05 alle 18.06.38GIULIO CAVALLI, scrittore e autore teatrale, da tempo impegnato nella lotta contro le mafie, ha scritto un romanzo importante, di grande impegno civile, di altissimo valore morale e di denuncia, che andrebbe antologizzato e studiato a scuola, come punto di partenza, testimonianza per capire e approfondire il discorso sulla legalità.

Il romanzo è ispirato alla storia vera della famiglia Landa. La vicenda è ambientata a Mondragone, che è un paese per gente di poche parole, ma che a occhiate sa farsi capire eccome.

Lì vive Michele Landa, il quale non è un eroe e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e vivere felicemente con la sua famiglia, costituita da moglie e quattro figli.

Ma la vicenda inizia molto prima, quando Michele, orfano, vive con il nonno che è il suo punto di riferimento, colui che gli insegna come vivere o sopravvivere a Mondragone.

Qui non esistono carabinieri o polizia; qui a Mondragone ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero e tutto in mezzo gli altri che sono altri per il tempo che serve a decidere se nella vita vuoi essere bianco o nero, guardia o ladro: abitare tutta la vita semplicemente lì in mezzo è possibile. Può essere che tu non te ne accorga, ma sei già o sporco di bianco o sporco di nero.

A Mondragone, inoltre, serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani.

Michele impara molto dal nonno: la saggezza per riuscire a vivere con dignità ed onestà senza scontrarsi con i Torre. Bravo, Michele! Vedete? Michele ha imparato come si vive a Mondragone.

Michele, infatti, ha imparato davvero quali sono le regole e i compromessi per poter sopravvivere ed altro non chiede di fare con l’amata Rosalba, i figli e la nipotina, Michelina, mentre rapidamente scorre il tempo che lo porta a poche settimane dalla pensione. Qui le brave persone per difendersi diventano invisibili. È così che si vive in una terra paralizzata dalla paura.

Come anticipato dal titolo, MIO PADRE IN UNA SCATOLA DA SCARPE, il finale è dolorosamente tragico, ma durante la lettura lo si dimentica, tanto si vorrebbe la storia avesse un epilogo diverso.

Con una scrittura coinvolgente, sintetica, dinamica, incisiva, lo scrittore GIULIO CAVALLI ha il coraggio di raccontare un’Italia di cui non si parla abbastanza, quella dimenticata e indifesa, di chi cerca di sopravvivere dove la legalità è soltanto un concetto astratto non preso in considerazione da nessuno, nemmeno da chi dovrebbe tutelare i più deboli. I morti meriterebbero di essere presi in considerazione.