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salvatore riina

Riina fiero di non pentirsi e la moglie Ninetta a gestire il tesoretto

Bravissimo Felice Cavallaro:

Negli anni Settanta, quando sposò in segreto Totò Riina, per i giornali era solo «la maestrina di Corleone». Poi sparì col capo dei capi per una dorata latitanza fra Mazara del Vallo e Palermo ricomparendo solo dopo l’arresto nel paesino da dove era partita, in via Scorsone. Ma, al contrario di quanto ha lasciato credere, Ninetta Bagarella, 14 anni meno del suo uomo, sorella di un altro boss da 41 bis, non s’è dedicata solo alla crescita dei suoi quattro rampolli, due maschi perduti via via, in carcere o «in esilio» a Padova. Perché ha conservato un ruolo strategico nella gestione di un consistente patrimonio pur eroso da controlli, sequestri e confische.

Com’è accaduto ieri mattina quando il Ros del generale Giuseppe Governale ha messo le mani sul tesoretto che lei governava. Con sigilli a tre società, alla villa della latitanza di Mazara del Vallo, a 38 rapporti bancari e, soprattutto, su 84 ettari di terreni ufficialmente intestati alla Mensa arcivescovile di Monreale e alla Parrocchia Santa Maria del Rosario. Con sorpresa di monsignor Michele Pennisi, il vescovo di Monreale totalmente estraneo alla vicenda, nominato da Papa Francesco nella commissione per la scomunica di mafiosi e corrotti dopo che l’anno scorso aveva impedito le processioni con «inchino» davanti alla casa di Ninetta Bagarella. Ma senza poter immaginare che sui terreni della chiesa, quando i boss locali litigavano sul pascolo delle greggi, per l’ultima parola, come fosse il sommo giudice del circondario, si rivolgevano proprio alla signora Ninetta.

È la scoperta del generale Governale che con i suoi uomini ha setacciato i conti di «famiglia» scoprendo «una evidente sperequazione tra i redditi dichiarati negli anni dai Riina e i beni di loro proprietà». Con una sorta di «cabina di regia» affidata proprio alla signora di via Scorsone che, pur risultando nullatenente, tra il 2007 e il 2013 ha firmato assegni per un valore di oltre 42 mila euro in favore del marito e dei figli detenuti.

Sempre con piglio deciso. Anche con il cognato, Gaetano Riina, rimasto nella villa di via degli Sportivi, a Mazara del Vallo, dopo che Ninetta e il suo Totò si erano trasferiti nella villa bunker di via Bernini a Palermo. L’ultima residenza dello «zio Totò», arrestato nel gennaio 1993, quando Ninetta se ne tornò a Corleone con i figli. Passati alcuni anni, ecco la «maestrina» richiedere un affitto al cognato, a sua volta stupito, ma costretto a cedere quando il fratello dal carcere fece sapere di dovere pagare almeno «un affiuticeddu», un piccolo affitto. Concordato in 620 euro a semestre. Tutto sommato, generosa in questo caso la signora Ninetta. Pronta a cercare redditi più consistenti da altri rami. Anche utilizzando i beni formalmente intestati al genero, Antonino Ciavarello, sposato con la figlia Maria Concetta, a capo di tre società piazzate in Puglia per la compravendita di macchine, ma con provviste contabili in nero, con 480 mila euro immessi per lo più in contanti nei patrimoni sociali.

Frutto di malloppi forse ben celati, anche se la «maestrina» si lamentava in carcere con il figlio Salvatore: «Soldi non ce ne portano come prima…». Bacchettando qualche anno fa il cugino Giuseppe Grizzafi: «Ha fatto tutte cose all’insaputa nostra… p’ammuccarisi (per prendersi tutto)». Cronaca di una, diciamo così, appropriazione indebita contestata dalla cabina di regia e commentata sprezzante: «Sono “vastasaggini” (comportamenti “vastasi”, incivili)». Un affronto. Redarguito dalla «maestrina». Costretta adesso a ridimensionare il suo ruolo nel giorno in cui ha capito che in via Scorsone il marito, da malato, non tornerà.

(fonte)

Riina ci ripensa. Non parla.

Sta male, dice. O forse non vuole finire come Provenzano, chissà. Riporta l’Ansa:

A sorpresa il boss Totò Riina , imputato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ha revocato il consenso a farsi interrogare dal pm anticipato, alla scorsa udienza, informalmente attraverso il suo legale, l’avvocato Giovanni Anania. “Sto male, ho un problema”, ha detto Riina in video collegamento dal carcere di Parma. Un dietrofront, il suo, dopo l’inconsueta volontà di sottoporsi a interrogatorio comunicata al difensore.

 

Che poi

Stupirsi e rilanciare in prima pagina la notizia di Totò Riina che conferma il pagamento regolare del pizzo a Cosa Nostra da parte di Silvio Berlusconi (con Vittorio Mangano come utile intermediario) significa non avere compreso, letto e nemmeno mai discusso con nessuno della sentenza di condanna infilitta a Marcello Dell’Utri. In quella sentenza c’è scritto questo e molto altro ma evidentemente è sfuggita. Guarda il caso, a volte, come si dice.

(E guarda il caso è proprio ciò su cui stiamo lavorando noi qui).

Lo chiamavano Marcello

Marcello_Dell_Utri_3Un consiglio a chi chiede perché sia poi impossibile un “governo di responsabilità” con il PDL: leggete gli atti del processo Dell’Utri condannato oggi:

“Marcello Dell’Utri, permettendo a Cosa nostra di ‘agganciare’ Silvio Berlusconi, ha permesso alla mafia di rafforzarsi economicamente, di ampliare i suoi interessi, il suo raggio d’azione, di tentare di condizionare scelte politiche governative in relazione al successivo ruolo politico assunto da Berlusconi”, ha detto Patronaggio nel corso della replica. “Questa condotta – ha ribadito – è stata perpetrata dall’imputato coscientemente, conoscendo e condividendo il metodo mafiosodell’organizzazione, perseguendo il fine personale del rafforzamento della sua posizione all’interno delle varie aziende e iniziative di Silvio Berlusconi”.

E ancora: “Occorre richiamare, proprio per la complessità di lettura dei rapporti tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Come emerge dalle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sentiti, l’imputato “mediò la rinnovata richiesta estorsiva di Salvatore Riina, che facendo pressioni e violenze sull’imprenditore milanese, intendeva ‘agganciare’ l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi“. 

Secondo l’accusa, Dell’Utri per 30 anni avrebbe avuto rapporti con Cosa nostra. In particolare avrebbe fatto un ‘patto’ per la protezione dell’ex premier Silvio Berlusconi. La sua lunga vicenda giudiziaria è iniziata quasi vent’anni fa, nel 1994 con la sua iscrizione nel registro degli indagati. Il 26 novembre del 1996 l’udienza preliminare, quando il gup ha rinviato a giudizio il politico. Il 5 novembre 1997 ha avuto inizio il processo di primo grado, presieduto da Leonardo Guarnotta, che si è concluso a fine 2004 con la condanna di Dell’Utri a 9 anni di carcere. Nel 2006 si è aperto il processo d’appello terminato nel 2010 con una nuova sentenza di condanna, questa volta a 7 anni di carcere.

Dell’Utri, secondo i giudici d’appello, è colpevole ma solo per le condotte antecedenti al 1992, anno a partire dal quale non risulterebbero più provati, per la corte, i suoi rapporti con la mafia. La sentenza della Cassazione, invece, arrivata il 9 marzo del 2012, ha in parte ribaltato il verdetto. I giudici annullano la sentenza con rinvio. Perchè sono ritenute provate le sue collusioni con Cosa nostra al 1977. Confermata, invece, l’assoluzione per le accuse successive al 1992 per le quali la sentenza è definitiva. Il18 luglio del 2012 ha avuto inizio il nuovo processo d’appello. E alla fine della requisitoria il pg Patronaggio ha chiesto la conferma della condanna a 7 anni del primo processo d’appello. Oggi la Camera di consiglio e la sentenza.