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solidarietà

Il reato di umanità

Profughi

Una petizione interessante:

Siamo singoli cittadini, attivisti, associazioni e realtà che sostengono la lotta per l’ accoglienza dignitosa dei richiedenti asilo a Udine, in Friuli Venezia Giulia, a Ventimiglia, a Roma e in tutta Italia.

Nelle nostre città vediamo decine di persone, e tra loro molti minori, vivere per mesi accampate nei parchi, in edifici abbandonati e fatiscenti, nelle stazioni, sulle pericolose rive dei fiumi, in attesa di poter accedere all’accoglienza cui hanno diritto.
A Udine, il nutrito gruppo di volontari che ogni sera assiste gratuitamente i richiedenti asilo fuori accoglienza, rende la città un luogo più umano da quasi due anni. Laddove le istituzioni -seppure sollecitate a più riprese – latitano, tentennano o fingono di non vedere, Ospiti in Arrivo è presente, tamponando la cronica inefficienza di un sistema che pare incapace di pianificare a lungo termine.
Leggiamo con sgomento e preoccupazione la notizia della chiusura delle indagini nei confronti di alcuni volontari dell’associazione, con accuse molto gravi che sembrano mirare a stravolgere il senso ultimo dell’attività dell’associazione: provvedere ad aiutare gratuitamente coloro che le istituzioni hanno lasciato soli.
Riteniamo che in questa operazione di criminalizzazione del volontariato e della società civile vi sia un chiaro disegno politico che a Udine – come in molte altre parti d’Italia – mira ad attaccare le attività di coloro che, con la propria quotidiana, volontaria e gratuita attività, mettono in risalto le inefficienze delle istituzioni.
Le pesantissime accuse nei confronti dei volontari udinesi, cosi come i fogli di via agli attivisti di Ventimiglia, i continui sgomberi ai danni dei migranti fuori accoglienza in tutto il Paese e la militarizzazione dei luoghi di transito, sono il sintomo di una gestione perennemente emergenziale e apertamente ostile da parte delle istituzioni, che riduce il fenomeno migratorio ad una mera questione di ordine pubblico.
L’atteggiamento persecutorio nei confronti di chi, gratuitamente, sopperisce quotidianamente alle mancanze delle istituzioni, è un attacco diretto al cuore pulsante della società civile.

Esprimiamo massima solidarietà e sostegno a tutta l’associazione e ai suoi soci: come persone e organizzazioni coinvolte nell’accoglienza e nella tutela dei diritti fondamentali di quanti approdano nel nostro Paese ci sentiamo colpiti e coinvolti direttamente da questa indagine.

Se donare soccorso, vestiti, scarpe, coperte e cibo a persone abbandonate per strada dalle istituzioni -che sembrano ricordarsi di loro solo quando viene il momento di sgomberarle dai luoghi in cui hanno trovato rifugio- è un reato, allora noi tutti ci dichiariamo pubblicamente colpevoli . Arrestateci tutti!

Se accogliere e accompagnare alla Caritas i richiedenti asilo è un reato, allora siamo tutti complici. Arrestateci tutti!

Se fornire “precise indicazioni sulla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato” è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina allora tutti noi avvocati, mediatori, giuristi, attivisti, giornalisti, operatori delle varie organizzazioni e associazioni di volontariato siamo colpevoli. Arrestateci tutti!

Se la solidarietà, dovere inderogabile imposto dall’art. 2 della nostra Costituzione, è da considerarsi un crimine, allora arrestateci tutti, noi che a quel precetto costituzionale abbiamo obbedito consapevoli che “la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato”.

Arrestateci, arrestateci tutti!

(la potete firmare qui)

Dove vanno i buoni quando non sono in stazione?

085635719-7673187f-9df7-4cc6-80e2-27bfa8e1f8d4Sono rimasto incagliato in un paio di inchieste e ho avuto poco tempo per scrivere. Ma ci sono. E la notizia che mi porto in tasca di questi giorni è la grande (quasi ingestibile) solidarietà vista a Milano e Roma per aiutare i migranti arrivati in Italia. Cibo, pannolini, vestiti, giocattoli e accoglienza in tutte le sue forme. Sarà che il nostro giornalismo ha disimparato il vocabolario della tenerezza ma molti articoli che hanno raccontato questa rivoluzione gentile sembrano quasi cigolare d’imbarazzo, come se i sinonimi dell’umanità fossero stati chiusi a chiave convinti di non doverli mai più usare.

Ecco allora io mi chiedo: dove sono tutte queste meravigliose persone? Dove sono state? Chiuse in casa non credo, non avrebbero potuto sopportare il putridume diventato talk-show. Cosa pensano di questa muscolosità lessicale che ha conquistato tutti i “leader” politici? Perché tacciono di fronte a questo razzismo ignorante e proprio perché ignorante ancora più pericoloso? Come rispondono ai luoghi comuni che strisciano negli uffici, sull’autobus, tra la gente? Ma soprattutto: cosa votano?

Perché io sono sicuro che se ci fosse una forza politica che riuscisse a rappresentare quella bontà che abbiamo incrociato fuori dalle stazioni questo sarebbe un Paese migliore. Io voglio iscrivermi al movimento di quelli lì.

Elogio della gentilezza (Left: cosa ci abbiamo messo dentro questa settimana)

1Gli affezionati che seguono questo piccolo blog sanno come da qualche settimana io abbia in testa il tarlo del “quando abbiamo smesso di essere buoni”. Ne ho scritto qui e qui e anche in redazione abbiamo avuto modo di interrogarci.

Per questo penso che il numero di Left in edicola da oggi sorprenderà i miei lettori per il tema in copertina: “elogio della gentilezza”.

Ho avuto modo di parlarne per la storia di copertina con Cecilia Strada, presidente di Emergency, e mentre parlavamo di buoni e buonisti abbiamo finito anche per riflettere sulla sinistra. Nello stesso numero ho intervistato anche Fabio Rustico, ex giocatore dell’Atalanta, ex assessore al Comune di Bergamo e calciatore “atipico” per cultura, istruzione e prese di posizioni. Oggi è finito a gestire un’azienda agricola che si occupa di biodinamica a Pantelleria

Per il resto trovate tutto qui

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Che splendore il coraggio di essere buoni (e gentili)

10903292_582351018575768_1196153856_nQuando ne avevo scritto ieri (qui) era già qualche giorno che pensavo a com’è triste un Paese che trova fuori moda essere buoni e, giustamente mi hanno fatto notare, anche essere gentili. L’esplosione di risposte nei commenti e che mi sono arrivate via mail conferma comunque che ci vuole coraggio oggi ad essere buoni perché significa essere controcorrente. E questa corrente (quindi cattiva) noi l’abbiamo lasciata scavare per anni senza nemmeno accorgerci che si ingrossava ogni anno di più, ad ogni alzata di tono dei politici, ad ogni sparata di pseudointelletuali e dopo ogni risultato di pubblico per la rivisitazione (culturalmente pericolosissima) di eroi negativi, sì, ma meravigliosamente negativi. E come mi scriveva qualcuno di voi non stupisce vedere quanto alcuni temi (come l’immigrazione ma non solo) risultino comodi a chi piuttosto che preoccuparsi della propria inumanità si è impegnato a scovare una buona scusa che ovviamente gli è stata servita su un vassoio d’argento da politici avvoltoi.

Eppure la forza delle persone buone (che come giustamente mi hanno  segnalato vengono scambiate per “sprovvedute”) è la vera rivoluzione culturale e politica (nel senso più ampio) che potrebbe segnare un significativo cambio di passo per questo Paese.

Ma come hanno seminato il culto della cattiveria? Certamente lavorandoci ai fianchi per renderci il più possibile acritici e quindi malleabili (e la scuola, la scuola, la scuola ha un ruolo fondamentale in questo percorso); inoltre una qualità che sempre più spesso è valutata solo sui risultati (e quindi quantità e qualità diventano solo confuse sorelle omozigoti) ha trasformato la meritocrazia in “quanticrazia”, in produttività a tutti i costi: è stato quindi facile incensare gli eticamente “spericolati” e duri che spremono risultati migliori.

E hanno ragione quelli che mi scrivono che oggi alla fine buono è un sinonimo di buonista. Anzi: difficilmente si scrive dell’essere buono quanto piuttosto ci si accusa di “fare” i buoni. Essere buoni non è un opzione praticabile. E l’argomento secondo me è ricco, ricchissimo e per questo vi sto leggendo tutti e ad uno ad uno sto rispondendo alle vostre mail. Potete rispondere nei commenti o scrivendomi qui.

Chissà che non ne venga fuori qualcosa. Credo proprio di sì.

PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.

La solidarietà impossibile per Nino Di Matteo

si-muore-quando-si-e-lasciati-soliPino Maniaci è arrivata la telefonata di Matteo Renzi in persona: “Pino vienimi a trovare a Roma”, ha detto il premier manifestando solidarietà al giornalista, minacciato per l’ennesima volta, con il macabro atto dei cani impiccati. Una telefonata simile a quella fatta dal premier pochi giorni fa, quando sotto minaccia era finita il pm di Latina Lucia Aielli: anche in quel caso dal centralino di Palazzo Chigi era partita la chiamata di solidarietà di Renzi. Pochi mesi fa, invece, a squillare era stato il telefono di don Luigi Ciotti: “Farà la fine di Don Puglisi“, aveva sentenziato Totò Riina, intercettato dalla Dia nel carcere milanese di Opera mentre chiacchierava col compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso. A stringersi giustamente attorno al fondatore di Libera erano arrivati i messaggi di solidarietà di tutta la classe politica, dal Nuovo Centro Destra a Sel, passando dai Cinque Stelle. Poi, dopo l’ormai classica chiamata di solidarietà di Renzi, era arrivata la telefonata di Giorgio Napolitano in persona.

Uno solo è il numero di telefono che i centralini di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale non hanno mai composto: quello di Nino Di Matteo, il pm della Trattativa Stato mafia. “Gli farei fare la fine del tonno, lo faccio finire peggio del giudice Falcone” aveva detto Riina, emettendo la sua sentenza di morte. Un ordine che, come ha svelato il neo pentito Vito Galatolo, è in fase esecutiva dal dicembre del 2012. Il piano di  un attentato al tritolo svelato nei dettagli dall’ex picciotto dell’Acquasanta è stato preso sul serio dalla procura di Caltanissetta e dal prefetto di Palermo Francesca Cannizzo: messo al corrente del racconto di Galatolo, il ministro Angelino Alfano si è affrettato a convocare una riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza.  E anche il governo ha agito di conseguenza inserendo proprio ieri un emendamento alla legge di Stabilità che prevede lo stanziamento di sei milioni di euro per realizzare misurestraordinarie di sicurezza al Palazzo di giustizia di Palermo. Palazzo Chigi, dunque, ritiene credibile il progetto di strage annunciato dal pentito, al punto da mettere a disposizione una cifra considerevole (in tempi di spending review) per fare del Palazzo di Giustizia un vero e proprio fortino, ma il telefono del pm condannato a morte è rimasto muto: nessun messaggio da Renzi, nessun cenno, neppure minimo, di solidarietà da parte del Quirinale.

E se da Roma i messaggi di vicinanza per Di Matteo o sono generici oppure semplicemente non esistono, a Palermo non va certo meglio: a parte il sindaco Leoluca Orlando, e qualche esponente del Pd o del Movimento Cinque Stelle, per la classe dirigente cittadina il pm della Trattativa semplicemente non esiste. Nessun messaggio da parte della Palermo dei professionisti, neppure quelli dell’antimafia, sempre impegnati in continui convegni per ragionare sul problema Cosa Nostra, sordi e ciechi di fronte al piano dettagliato di un attentato, con il tritolo già pronto per essere piazzato nel centro della città.

E se la solitudine di Di Matteo si percepisce anche soltanto avvicinandosi al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo, ancora irrisolta è la questione sicurezza.”Mi risulta che Di Matteo sia protetto nel migliore dei modi”, assicura il presidente del Senato Piero Grasso, sulla stessa lunghezza d’onda del procuratore antimafia Franco Roberti: “A Di Matteo sono state assicurate misure di altissimo livello di protezione. Bisogna tenere sempre alta la guardia, in questo momento il collega è particolarmente esposto per le cose che ha fatto e per quelle che fa, quindi va tutelato e sostenuto”. Di segno opposto il parere degli uomini della scorta del pm: “L’unico strumento che ci può salvare la vita è il bomb jammer” dicono, riferendosi al congegno elettronico capace di neutralizzare i telecomandi che attivano gli ordigni esplosivi.  “Il bomb jammer per Di Matteo? E’ già stato messo a disposizione” assicurava Alfano dopo le minacce di Riina. Era il dicembre del 2013: da allora sono passati dodici mesi, è arrivata la confessione di Galatolo sul progetto attentato da mettere in pratica con un’autobomba, ma il bomb jammer per Di Matteo non è mai arrivato. Anzi è arrivata quasi una mezza marcia indietro del Ministro dell’Interno. “Si è parlato con troppa superficialità di bomb jammer: ci sono state riunioni in questi giorni e lo Stato sta mettendo a punto tutti i dispositivi necessari per proteggerlo da congegni elettronici di attivazione dei telecomandi delle bombe senza però creare danno alle apparecchiature elettroniche che possono trovarsi vicino al suo passaggio”.

Riunioni e studi che sarebbero, si presume, ancora in corso. E mentre a Palermo si aspetta il bomb jammer, Di Matteo continua a lavorare ogni giorno per servire lo Stato: lo stesso Stato che sembra lasciarlo ogni giorno più solo.

(fonte)

(Per firmare la petizione e il mailbombing potete andare qui)

Come siamo cambiati. Male.

Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è divenuto organico nei rapporti col prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i cancelli dei nostri recinti.

(Don Tonino Bello)

Dove sono tutti? (Di Matteo)

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Ma c’è un altro ringraziamento che invece elaboro più col cervello ed in tanti anni di indagini di questo tipo. 
Ed è il grazie di chi sa che l’attenzione dell’opinione pubblica, della parte più informata e sensibile, costituisce per noi tutti da una parte uno scudo vero e reale e dall’altra un ulteriore sostegno per andare avanti nel nostro lavoro. È confortante vedere e sapere che una parte bella della nostra città si mobilita quando non c’è stato ancora nessun evento luttuoso. E questo probabilmente nella storia italiana era accaduto poche volte. Siete un segno di una mentalità che cambia. Siete il segno di una città, di una terra, di un Paese che vuole lottare contro la mafia e vuole anche cambiare quella mentalità mafiosa che si è insinuata troppo nell’esercizio del potere, anche del potere ufficiale.
Io credo che noi vi possiamo solo ringraziare, sopratutto perchè ci ricordate la cosa essenziale del nostro lavoro e del nostro ruolo: che non è un ruolo di potere ma di servizio nei confronti della collettività. E questo credo sia il segnale più bello che potevate darci.

Sono le parole di Nino Di Matteo al sit in di solidarietà organizzato per lui a Palermo. E sono parole importanti che forse avrebbero meritato qualche riga in più sugli organi di informazione e qualche momenti di riflessione politica. Forse. In un Paese più equilibrato nelle sue priorità.

La farmacia dei poveri

La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane  (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.

Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.

E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.

E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.

Se si minaccia a Magenta

Sarà che costa fatica innamorarsi delle storie più piccole, quelle che non hanno boati nei nomi e nelle cose, quelle notizie che scivolano per qualche minuto nell’indignazione del dopo pranzo e tutti guardano la foto a tavola – la conosci?- è la figlia di? – e tutte quelle altre cose lì.

C’è anche un “giornalino”: li chiamano così i fogli di provincia, con un certo sgarbo, quelli che annaspano pronti a qualsiasi coltellata per una mezza colonna sui quotidiani nazionali.

E poi c’è il luogo, piccolo, periferico e con un nome pure cacofonico: Magenta.

Schermata 2012-12-22 alle 13.10.58Insomma, arriva un proiettile in busta gialla alla redazione del settimanale “L’Altomilanese” (destinatari: Ersilio Mattioni, direttore del settimanale Altomilanese e Giampiero Sebri, promotore della Carovana Antimafiadell’Ovest Milanese) e qualcuno in queste ore mi vorrebbe convincere che è una questione locale, roba da quattro righe, buona per cucinarci un’indignazione à la carte passeggera come un raffreddore che ti aspettavi. E invece no. No perché in Lombardia i quotidiani locali hanno alzato la testa sul tema delle mafie molto prima che ne scattasse la moda e perché nelle realtà lontane dagli schermi e gli scranni si rischia di concimare la solitudine e l’isolamento che è il migliore regalo alle mafie.

Come scrive Il Fatto Quotidiano (così bistrattato eppure sempre così presente su questi temi):

Altomilanese dà fastidio a destra e a sinistra. Ma soprattutto alla ‘ndrangheta, ben radicata nell’hinterland e a cui ogni settimana Mattioni e la sua redazione dedicano intere pagine di approfondimento. La cronista Ester Castano, per esempio, diffidata e accusata del reato di diffamazione pluriaggravata dal sindaco Pdl e professore di religione Alfredo Celeste, intercettato mentre parlava al telefono con presunti ‘ndranghetisti, per aver condotto un’inchiesta sul territorio.Una denuncia presentata da un sindaco agli arresti domiciliari per corruzione dal 10 ottobre 2012, stesso giorno in cui a Sedriano furono arrestati marito e padre di due consigliere della giunta Celeste: il medico del pavese Silvio Marco Scalambra accusato dalla magistratura di essere il collettore di voti della ‘ndrangheta e l’imprenditore dell’oro Eugenio Costantino legato alle coscheDi Grillo-Mancuso. Da parte di Silvia Stella Fagnani e Teresa Costantino, rispettivamente moglie e figlia dei due imputati detenuti al carcere San Vittore, l’intenzione di dimettersi chiesta a gran voce dalla cittadinanza è pressoché nulla.

Un’esigenza urlata ai megafoni e portata in piazza dalla Carovana Antimafia dell’Ovest di Milano di cui Giampiero Sebri, co-intestatario dell’augurio natalizio con bossolo, è fondatore ed esponente di spicco. Mattioni e Sebri si incontrano a Sedriano, all’indomani degli arresti di Celeste, Costantino e Scalambra. Nel frattempo la situazione di Ester Castano, cui Mattioni e Sebri restano vicini, è finita anche nelle relazioni di Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio sui giornalisti minacciati.

Per questo, oltre alla solidarietà scontata, è il caso di alzare il tiro anche noi. Per quello che possiamo e cercando di tenere salda la “rete”. E per questo abbiamo ritenuto di scrivere al Prefetto per accendere una luce, in tutto questo buio. Ecco qui:

Magenta, 23/12/2012

 spett. PREFETTO DI MILANO

dott. Gian Valerio Lombardi

Corso Monforte, 31 – 20122 MILANO

 

RICHIESTA DI INCONTRO: sospetti tentativi di infiltrazione mafiosa nel comune di Sedriano

Spett.le sig Prefetto, i sottoscritti Rappresentanti istituzionali chiedono un incontro di carattere urgente con la S.v. al fine di poter esprimere le più vive preoccupazioni in merito alle vicende giudiziarie inerenti il Sindaco Alfredo Celeste e l’Amministrazione comunale di Sedriano (MI), della quale siamo a chiedere un intervento rapido di scioglimento.

PREMESSA

Il sindaco di Sedriano si trova agli arresti domiciliari dal 10 ottobre 2012, arresti confermati dal Tribunale del Riesame in data 6 novembre 2012, con l’accusa di corruzione.

Il reato di corruzione del quale è imputato è aggravato dal fatto che i corruttori sarebbero due esponenti dell’imprenditoria locale, Eugenio Costantino e Marco Silvio Scalambra, a loro volta imputati, sottoposti a custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di stampo mafioso (416bis).

Gli stessi Costantino e Scalambra, secondo l’Ordinanza di custodia cautelare, avrebbero legami con cosche della ‘ndrangheta e che avrebbero compravenduto voti delle famiglie mafiose all’ex assessore regionale Domenico Zambetti.

La moglie di Scalambra, Silvia Stella Fagnani, e la figlia di Costantino, Teresa, siedono tuttora tra i banchi della maggioranza in Consiglio comunale a Sedriano.

Dalle intercettazioni si possono evincere gli interessi particolari dei due presunti boss in merito a piani urbanistici proposti dalla Giunta sedrianese e in merito ad appalti per opere e srevizi.

Sempre dalle intercettazioni si è potuto constatare il grado di confidenza e di famigliarità del sindaco Celeste con i due soggetti, ad esempio quando lo stesso sindaco chiese aiuto al Costantino al fine di fronteggiare presunte contestazioni ad una cerimonia che avrebbe visto protagonista la consigliera regionale Nicole Minetti.

RITENUTO CHE

più volte i Carabinieri e la GDF hanno perquisito gli uffici comunali e requisito documentazione, anche dopo gli arresti del sindaco e l’indagine è tuttora in corso;

nella stessa inchiesta che vede imputato Celeste sono stati arrestati, con l’accusa di associazione mafiosa, diversi esponenti della ‘ndrangheta nella zona del magentino;

l’amministrazione comunale non ha alcun intenzione di dimettersi;

chiari avvertimenti e intimidazioni di stampo mafioso stanno giungendo a chi si è esposto negli ultimi mesi a denunciare il pericoloso connubio mafia-politica a Sedriano, per ultimo l’invio di una busta contenente un proiettile alla redazione del periodico locale L’Altomilanese avvenuto il 20 dicembre 2012;

CONSIDERATO CHE

fermo restando il principio di presunzione di innocenza degli imputati sino al terzo grado, è più che giustificato il sospetto che la malavita organizzata stia entrando nella vita e nelle scelte dell’Amministrazione comunale;

è fondamentale dare un segnale di fermezza e ridare dignità all’istituzione più vicina ai cittadini, i quali non possono essere più rappresentati da soggetti sopra i quali aleggiano sospetto tanto preoccupanti;

CONSAPEVOLI DEL FATTO

che i tentativi di infiltrazione mafiosa riguardano gran parte della provincia di Milano e che il fenomeno della presenza mafiosa riguardi tutto il Nord Italia, ma a Sedriano vi è l’espressione più palese di questi tentativi;

che il sig. Prefetto detiene tutti i poteri in ambito di prevenzione alle infiltrazioni mafiose e di scioglimento di consigli comunali in via preventiva e cautelativa;

SIAMO A CHIEDERE

che il sig. Prefetto ci conceda udienza il prima possibile;

che voglia intervenire in maniera urgente sciogliendo il consiglio comunale di Sedriano e la sua Giunta.

 

Ringraziando per l’attenzione

siamo ad augurarLe buone festività natalizie

firmato

GIULIO CAVALLI, Consigliere regionale Lombardia, MASSIMO GATTI, Consigliere provinciale Milano, SERGIO MAESTRONI, Sindaco di Pregnana Milanese, ALFIO COLOMBO, Vice sindaco di Arluno, IGOR BONAZZOLI, Consigliere comunale di Arluno, LUIGINA MILANESE, Consigliera comunale di Corbetta, MANUEL VULCANO, Consigliere comunale di Magenta