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Agosto 2011

Londra nel caffè di Ilaria

Perché le parole sono importanti. E perché leggerle dalla penna di una concittadina (di questa provincia già morta e moritura ancora) è come sentire il profumo di caffè. Aspettando il prossimo libro di Ilaria che, mica per niente, di titolo fa Happy Italy.

Già un’ora di ferragosto

L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.
(Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane)

Poche idee ma confuse

Antonio Di Pietro sulla manovra. Nel giro di poche ore.
Prima: Si dissocia in parte l’Idv. “Finalmente il Governo – ha detto Antonio Di Pietro – ha mostrato le carte. Carte piene sia di ombre sia di luci. Vista la situazione disastrosa in cui versa il sistema economico-finanziario del nostro paese, l’Italia dei Valori ha il dovere di fare la sua parte, affrontando il provvedimento nel merito. Siamo consapevoli che non possiamo comportarci come l’asino di Buridano che, continuando a dire sempre no, alla fine è morto di fame”.
Dopo: Dopo una giornata di risse all’interno della maggioranza il governo ha partorito una manovra che per il 90% pesa sulle spalle dei cittadini e della povera gente, dei ceti medi e medio bassi. […] Quanto al fare cassa, a pagare sono i soliti noti e da questo punto di vista la manovra è di insopportabile iniquità.

Le prime due vittime della manovra bis

Sono la chimera del ‘federalismo’ e la credibilità di mister B. che è sceso (e rimasto) in campo al grido ‘meno tasse per tutti’ fino a qualche giorno fa. Il funerale del cosiddetto ‘federalismo’ l’ha celebrato (per uno scherzo del destino) proprio il lombardissimo Formigoni che ha perso il suo abituale aplomb e dichiarato guerra al governo centrale (ma si sa, le guerre da quelle parti durano il tempo delle prossime prebende). La fine di B. La racconta bene Sergio Rizzo sul Corriere: non più tardi del 3 agosto, davanti ai deputati, il Cavaliere prometteva «un regime di tassazione più favorevole alle famiglie, al lavoro e all’impresa». Promessa sempre più pallida e sbiadita, ora mandata in frantumi dalla lettera della Banca centrale europea. Che ha consegnato Silvio Berlusconi alla legge del contrappasso: quella per cui l’uomo che ha vinto tre elezioni dichiarando guerra alle tasse garantendo che non avrebbe mai messo «le mani nelle tasche degli italiani», ora in quelle tasche dovrà rovistarci a fondo.
maligni diranno adesso che almeno poteva risparmiarselo. Ieri lo attaccava perfino Libero , quotidiano berlusconiano a quattro ruote motrici. La parola «Tradimento» campeggiava sul titolo in prima pagina. E dentro, la pugnalata: un manifesto del Cavaliere sorridente (era la campagna elettorale del 2001) a fianco della scritta «Meno tasse per tutti».
ià, il mitico 2001. Ricordate il contratto con gli italiani firmato a Porta a Porta? «Abbattimento della pressione fiscale», c’era scritto testualmente, «con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui; con la riduzione al 23% per i redditi fino a 200 milioni di lire annui; con la riduzione al 33% per i redditi sopra i 200 milioni di lire annui». Sette anni prima aveva sbaragliato la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto garantendo la rivoluzione dell’aliquota unica al 33% sognata da Antonio Martino. Ma il suo governo era durato troppo poco. Senza perdersi d’animo, dall’opposizione aveva continuato a martellare
.

La rivolta di Londra e le parole sbagliate

Più di tutto è un imbarbarimento: imbarbarimento di linguaggio, imbarbarimento di analisi, imbarbarimento di disponibilità di parole. Ogni notizia, ogni fatto, ogni opinione diventa una rincorsa al comunicato stampa e alla personale classificazione. Vista da dentro (anche dal punto di vista letterario) l’arte (minuscola) della politica (minuscola) è come giocare a bandiera: tutti più o meno in linea (anche se c’è sempre il furbo che bara di mezza scarpa) per arrivare prima a incellofanare il proprio comunicato stampa. Una serie di scatti zigzagando su tutto per esserci e dire ognuno la sua. Tanti piccoli lemming in ordine sparso che rincorrono il bonus per fare punti come in un videogioco degli anni ottanta. E così gli eventi di Londra diventano tutto e finiscono per non essere più o meno niente. Solo un’altra rivolta.

Dice bene Malvino: È per questo che una rivolta ha sempre una parola d’ordine che mira a reclutare forze, anche quando è solo implicita nei simboli che produce. Anche quando è velleitaria, la rivolta si dà come mezzo. Anche quando degenera in follia collettiva e si esaurisce nella drammatizzazione di basse pulsioni istintuali, la rivolta non perde mai di vista, o almeno mai del tutto, l’interlocuzione col potere costituito (o una sua componente).
Tutto questo non è accaduto nel Regno Unito, anzi, tutto ciò che ha sembrato giustificare l’uso del termine rivolta – la protesta contro un presunto abuso delle forze dell’ordine – si è da subito rivelato inconsistente, buono tutt’al più a offrirsi come pretesto. Nel Regno Unito non è accaduto altro che quanto abbiamo visto a New York, col black out del 1977.
E anche stavolta è stato fatto lo stesso errore di analisi, per fretta, pigrizia intellettuale, cedevolezza a suggestioni di comodo, secondo questo o quel comodo. Così abbiamo sentito madornali paragoni con le rivolte di Tunisia, Egitto, Libia e Siria, perfino con gli indignados di Madrid.

Eppure le piaghe di una paese che ha sfilacciato la trama sociale e affossato il sistema pubblico sono un monito o (nell’ipotesi più pessimista) il nostro prossimo capitolo possibile. Lo scrive su L’Unità Marco Simoni: Chi deve crescere dei figli a Londra, nel resto del paese la situazione è meno critica, impara presto che la scuola pubblica non è uguale per tutti. Dopo il terzo compleanno del primogenito bisogna “scegliere” a quale scuola elementare mandarlo. Le scuole ammettono i bambini sulla base della distanza fisica dalla porta di casa all’edificio scolastico, si tratta pertanto di una scelta solo teorica. In pratica, le poche scuole pubbliche di qualità pur ricevendo centinaia di domande possono offrire un posto solo ai bambini che abitano nel raggio di cinquecento metri. Ognuno pertanto va alla scuola che capita, o a quella che si può permettere.
Il sistema pubblico era stato affossato nel ventennio della destra Thatcheriana, e i pur massicci investimenti del Labour hanno lasciato ancora molta strada da compiere. Mancano le risorse alle scuole e sono insufficienti i servizi di comunità per contribuire a tessere una trama sociale degna di questo nome. Di conseguenza, nella maggior parte dei quartieri poveri di Londra, sterminate periferie di case basse che distano ore sui mezzi pubblici dal centro, le scuole elementari continuano ad avere risultati disastrosi, con anche il 40 per cento dei bambini che non supera l’equivalente del nostro esame di quinta.
In Inghilterra non c’è una discussione sulla precarietà, per due ragioni opposte. Per la corposa classe media con accesso – sia pur faticoso – all’istruzione di buona qualità, i lavori precari sono comunque accompagnati da tutele minime sconosciute ai nostri e sono normale gavetta di un futuro più stabile. Invece, per le masse, minoritarie ma nutrite, di lavoratori non qualificati, la precarietà occupazionale è l’unica forma esistente. Certo in presenza di diritti fondamentali, ma con limitatissime prospettive di crescita economica intergenerazionale, e persino di stabilità economica individuale.
Questo non vale solo per le comunità di origine Afro-Caraibica, protagoniste dei saccheggi delle scorse notti, ed è l’evidente conseguenza di un sistema formativo molto classista che accentua le problematiche economico-sociali. In tempi di crisi economica, il destino di un limbo da lavoratore povero senza prospettive diventa ancora più realistico, e i desideri consumistici e commerciali sempre più irrealistici.

Perché barbari si diventa con un lungo e silenzioso lavoro alle radici. E quando ci si sveglia c’è sempre almeno un’era da recuperare.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/12/la-rivolta-di-londra-e-le-parole-sbagliate

L’ultimo anno del secolo

È troppo presto (e l’ora troppo tarda) per analizzare la manovra. Che, c’era da starne certi, non tocca le banche e il mondo dei soldi che si fanno sui soldi. Ma oggi finisce un’epoca. Su capitalismo, concezione di crescita, sviluppo e liberismo si sta di qua o di là. Sono i due fronti per disegnare i prossimi anni. Non ce ne siamo ancora accorti per bene ma adesso non si può più fare politica galleggiando. E sarà il TFR di qualche leader e di qualche partito.

12 agosto 1944: Sant’Anna di Stazzema nel ricordo di Lina

[Testimonianze]

Lina Antonucci
Scampata a 9 anni

Io a Sant’Anna, quel giorno del ’44, ho perso la mia nonna, che l’avevo a braccetto, scappò, e gli tirarono una revolverata, ed io rimasi nel fondo, sotto i morti. Non mi ricordo altro.

M’han preso l’ero al letto i tedeschi. Mi trovavo dalla nonna, all’Argentiera di sotto.
Mi presero, l’ero a letto, e ci misero per fila, e ci portarono in un posto detto la Vaccareccia.

Buttaron via le mucche da un fondo e ci misero noi. Noi mi ricordo quanti eravamo, c’era anche la mia nonna. Io ero per mano con la mia nonna e mi ritrovai in cima a questo fondo, invece che alla porta, mi ritrovai in fondo alla mangiatoia, la mi nonna era scappata, e l’ammazzarono lì fori, che me l’ha detto il mio zio. Mio zio era scappato il mattino presto, perché, avevan detto, gli omini li prendano, e le bambine e le donne un gli fanno niente, io l’ero a letto.

E poi ci misero i bengala, non so che, e saltò tutto e mi vennero i morti addosso. Io son ferita alle gambe, ma il corpo no.
E dopo c’era questi ragazzi, Mauro, Milena Bernabò e Enio. Mi salvarono, perché c’era la mangiatoia della mucca, mi fecero salire e si andò sopra.

Io ero sotto i morti, mi riprese Mauro, mi ritirò per i capelli, vedeva che non mi muovevo, ci prese Mauro e ci disse “bisogna andare su nel bosco”, perché c’erano i tedeschi.
Mi sentii chiamare e l’era una che era scappata nel mentre il tedesco sulla porta mitragliava.

Le’ andò dentro a un forno, siccome io c’ho la voce molto forte, mi riconobbe e mi disse “Lina, Lina, vieni qui, vieni qui”. Era dentro al forno e andetti anch’io, mentre quegli altri andarono dentro al bosco. Noi si stiete lì fino alla sei del pomeriggio, poi vennero delle genti che erano scappate al mattino, degli omini, e noi si sentì le voci nostre, si sortì fori da questo forno e ci portarono via, ad una casa che non era bruciata e lì si fecero dei polli che c’erano lì fuori e si mangiò un po’ di questa roba qui. E poi il mi babbo mi venne a riprendere e mi portò a casa, tutta in queste condizioni.
L’era di Agosto. C’era un caldo si crepava.

Son stata tanto che non camminavo, perché la pallottola mi aveva passato, mi stirarono bene la gamba con dei cenci sbrindellati…..e sono qui.

Tutti questi delle SS mi fanno impressione se li vedo io nelle fotografie, quando si vedono alla televisione, un posso io….non posso vedere la roba, dove ci sono questi SS, mi fa impressione.

Da sputargli nel viso…no, io non perdono. Non me ne sento di parlare. Son troppo emozionata.

A rivedere questi posti, che non sono rivenuta più, sono proprio giù giù giù, sto male.
Tutto un batticuore, sto male.

Poi non mi ricordo più di niente, perché ho avuto il marito malato, la morte, non mi ricordo più di niente.

Il perdono…. ora hanno tutti quegli anni, ma per fanne che. Avevano da fare prima questa roba, mia ora. Hanno novant’anni, ottant’anni.

Chi ha fatto del male deve pagare, ma mia a novant’anni. Che vole che gli facciano a quell’età lì, sicchè perdonarli, ma io un sarei. Perché no. Le su famiglie sappiano almeno il che hanno fatto loro.

Figlioli piccini, in fasce, ma che siamo pazzi.

Fonte: I bambini ricordano – Oliviero toscani – Ed. Feltrinelli
http://www.santannadistazzema.org/sezioni/LA%20MEMORIA/pagine.asp?idn=1039

Morire d’agosto

Quello che più mi colpisce è l’apatia. Ma un’apatia frenetica come un ossimoro che non può essere altro che così. Questa bulimia di esserci senza starci, tra spiagge, montagne o balli di gruppo, in cui il gioco è quello di concedersi il lusso di essere irresponsabili. Questo Agosto è come tutti gli altri agosti troppo appiccicaticcio sulla pelle per vestire comodo. E il sorriso di amido e gelatina è la convenzione di una pausa a cui non crede nessuno. Come quando si gridava arimo e magari intorno non si fermava nessuno. Era un mio brutto sogno da bambino. Sarà anche per questo che sono affogato leggendo le parole e le sensazioni di Riccardo Luna e di un agosto che quest’anno non ha proprio il fisico per fingersi felice provando a fare il bagno