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Marzo 2012

Dignità e cultura per il teatro campano

Una petizione sacrosanta per Napoli, la Campania, e la cultura.

Una Comunità veramente democratica deve affermare rapporti sani e trasparenti fra pubbliche amministrazioni e cittadini, e quindi tra istituzioni e mondo della cultura e dello spettacolo, nel rispetto delle leggi nazionali e dei trattati internazionali, adeguando costantemente la normativa verso il miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini.
Il sistema Italia consolida invece, in particolare nel Meridione, un divario abissale fra principi e pratiche, legalità e quotidianità, diritti e accesso agli stessi, norme e comportamenti, attività legislative e diritto costituzionale, nello specifico, manifestando un legame di sudditanza della Cultura verso Potere.

La Fondazione Campania dei Festival è un esempio eclatante di quest’anomalia europea: calata dall’alto dalle amministrazioni regionali degli ultimi dieci anni, ha reso le altre amministrazioni locali e gli organismi di controllo complici passivi di un sistema di progettazione culturale autoreferenziale e non partecipato. Dalla sua costituzione ad oggi la Fondazione si è aggiudicata, in regime di sospensione della concorrenza, notevoli fondi ministeriali, 41Mln euro di fondi europei, l’uso gratuito di strutture pubbliche e la supremazia nel settore delle arti sceniche in Campania, accumulando, al tempo stesso, debiti o insolvenze che minano la credibilità sua e di Napoli.
E infine, con il nuovo Statuto (approvato in giunta regionale il 30 dicembre 2011), la Fondazione diventa uno “strumento operativo regionale sottoposto alla dipendenza economica e funzionale della Regione Campania”.
È una veste più consona agli affidi diretti della Regione, ma le finalità e le attività si confermano di natura estranea ad una pubblica amministrazione e duttili agli interessi di singoli fiduciari. Il nuovo Statuto nasce da osservazioni inerenti il progetto “La Campania dei Festival verso il Forum Universale delle Culture” (Dgr 645/11) e tenta di legittimarlo.
Ma è qui che la Regione Campania, tramite la Fondazione, viola palesemente le regole normative.

Chi ha deciso TAV?

Dedicato a chi ancora non ha capito che cos’è lo “stile Tav-Val di Susa, modello di democrazia e legalità all’italiana. Il Fatto Quotidiano on-line, 13 marzo 2012, di Ivan Cicconi

Se ne sentono di tutti i colori sulla bocca dei sostenitori della Tav Torino-Lione. Il luogo comune più gettonato è il richiamo alle decisioni democraticamente assunte che non possono essere bloccate da una minoranza (per di più violenta). Bene, parliamone, guardando agli atti.

Chi e come ha deciso la realizzazione del “cunicolo esplorativo” per il quale a Chiomonte si sta procedendo manu militari alla occupazione dei terreni sui quali aprire il cantiere per la sua realizzazione?

Nell’avviso pubblico del 2010 con il quale si è avviato il procedimento, LTF dichiara testualmente: “Che il cunicolo esplorativo de La Maddalena è progettualmente necessario ai fini della realizzazione del collegamento ferroviario Torino-Lione che rientra nell’ambito del primo Programma delle Infrastrutture Strategiche di cui alla Deliberazione del 21 dicembre 2001, n. 121/2001 (Legge Obbiettivo) del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE)”.

Il procedimento è stato avviato ai sensi dell’art.165 e 166 del D.Lgs 163/2006 e cioè grazie a “norme speciali”, in deroga a quanto stabilito dalle direttive europee e le norme nazionali di recepimento in materia di opere pubbliche, applicabili alle opere incluse nel “Programma delle Infrastrutture Strategiche” definito con la delibera Cipe 121/2001 e dalle successive modifiche ed integrazioni.

In particolare il comma 9 dell’art. 165 consente di realizzare opere propedeutiche, cunicoli esplorativi, in quanto utili per la definizione del progetto delle opere incluse nella legge obbiettivo. A parte il fatto di considerare una galleria di oltre sette chilometri e del diametro di oltre sette metri un cunicolo esplorativo, la norma (che non ha riscontri in nessun altro paese europeo) affida al Ministro delle Infrastrutture “la decisione ed il rilascio delle autorizzazioni per lo svolgimento delle attività relative, ivi inclusa l’installazione dei cantieri e l’individuazione di siti di deposito”.

Il Ministro in carica nel 2010 era Altero Matteoli, ma pare che la decisione sia in realtà precedente. Infatti questo millantato nuovo progetto (altro ritornello dei pasdaran sitav) non è altro che quello stesso per il quale l’impresa della legacoop, la CMC di Ravenna, tentò l’apertura del cantiere a Venaus nel dicembre del 2005. La nuova galleria della Maddelana che oggi prevede l’imbocco a Chiomonte (guarda caso uno dei pochissimi comuni della valle favorevole alla TAV) anziché a Venaus (contrario alla TAV come la stragrande maggioranza dei comuni) è definita nei documenti depositati da LTF come “Variante della galleria di Venaus”. E che il cantiere che nei prossimi giorni si tenterà di aprire sia lo stesso di 6 anni fa è confermato anche dal fatto che ad aprirlo sarà la stessa impresa alla quale era stato affidato l’appalto per la galleria di Venaus, la CMC di Ravenna.

Chi ha deciso ed autorizzato la realizzazione di questa opera propedeutica per la progettazione della Torino-Lione è stato il Ministro in carica nel 2005, Pietro Lunardi, quello che consigliava la convivenza con la mafia, nessun altro.

A Chiomonte la CMC ancora non si è vista perchè quello presidiato dalle forze dell’ordine è un semplice insediamento militare. Il cantiere forse si tenterà di aprirlo nei prossimi giorni e dunque, forse, arriverà anche la CMC. La Comunità Montana valsusina aveva denunciato alle Autorità competenti anche questa anomalia. LTF dovrà spiegare alla Comunità Montana, e sarebbe il caso alle Autorità competenti, le ragioni per le quali quello che oggi viene millantato come un nuovo progetto viene realizzato dallo stesso appaltatore del vecchio progetto senza alcuna nuova gara e con un prezzo quasi doppio.

I paladini della democrazia la smettano di cianciare di decisioni assunte dalla maggioranza dei cittadini. L’opposizione a quel cantiere, formalmente contestato dalla Comunità Montana, fino a prova contraria, è l’opposizione dei rappresentanti democraticamente eletti dai Valsusini contro un cantiere deciso ed autorizzato da Pietro Lunardi, un ministro tecnico, non votato dai cittadini, scelto e nominato da Silvio Berlusconi.

La svastica e il volantino

A Trezzano sul Naviglio stampano un volantino per illustrare i servizi e le bellezze della città e stampano una svastica in bella vista. Scrivono giustamente i membri del circolo corsicheseLe alternative per spiegare per questo gesto sono due, entrambe estremamente gravi: L’amministrazione, o parte di essa, si riconosce nei valori del nazismo. In questo caso l’atto compiuto è una chiara presa di posizione, un gesto di disprezzo verso tutte le forze politiche e sociali che si rifanno ai valori di democrazia e operano nel pieno rispetto della nostra Costituzione. L’amministrazione non si è resa conto della foto utilizzata. Stante che alcune persone palesemente di estrema destra, quella destra che si richiama a valori anti-costituzionali, apertamente xenofobi e razzisti, hanno scelto consapevolmente tale foto, la nostra Amministrazione non si è accorta dell’immagine. Se questo fosse il caso, il risultato sarebbe forse ancora più grave. Constata la presenza di beceri individui, così agendo Tomasino e Assessori vari hanno dimostrato ancora una volta un totale disinteresse per ciò che accade a Trezzano. Una dabbenaggine e un menefreghismo totale, che spaziano in ogni campo fino ad arrivare a permettere che su una pubblicazione come questa appaiano simboli nazisti. Contando che nel giornalino appaiono le parole dello stesso Sindaco, si palesa esattamente la sua incapacità di gestione e la sua incoerenza negli atti. Un gesto che, oltretutto, coinvolge loro malgrado le alte cariche dello Stato, inconsapevoli patrocinanti di un tale scempio.

Poi c’è una terza ipotesi: capire che forse è il caso, una volte per tutte, di chiarire il reato di apologia del fascismo.

Formigoni, consegnati agli elettori

scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

L’indagine che riguarda il consigliere regionale Angelo Giammario non è inaspettata. Giammario compare già in altre indagini e la sua inopportuna vicinanza con alcuni esponenti delle cosche è stata oggetto di diversi dibattiti. Certo le perquisizioni al Pirellone che riguardano esponenti del governo lombardo sono all’ordine del giorno, le notizie a cui non possiamo (e non dobbiamo) abituarci arrivano con cadenza praticamente quotidiana ma il punto è etico, morale e strettamente politico.

Infilarsi nell’analisi scollegata dell’indagato di turno (che sia Giammario, il presidente del Consiglio Davide Boni, la Minetti e sarebbe troppo lungo l’elenco per includerli tutti) finisce per salvare il responsabile di questo sfascio istituzionale e democratico: Roberto Formigoni.

Proprio poche ore prima della notizia d’indagine su Davide Boni la stampa nazionale pubblicava la lettera con cui Formigoni si giustificava con Don Verzè sul dissesto finanziario del San Raffaele ma la notizia è scomparsa sotto la polvere delle indagini sull’esponente leghista. Come sempre in questi ultimi anni ci si dimentica di analizzare la sistematica serie di indagati, arrestati e rinviati a giudizio in Regione Lombardia come gli inevitabili anelli di un sistematico controllo del potere che per privatizzare le regole (oltre alle scuole e alla sanità) ha bisogno di servitori al soldo. Perché il modello Formigoni funzioni è necessario che alcune figure chiave (tra i funzionari, le corporazioni e nei partiti) si prestino all’asta incessante dei diritti rivenduti come privilegi e regalie. In un sistema lombardo dove evidentemente chi ha disponibilità finanziaria riesce a comprare anche gli strumenti democratici servono “svenditori” disponibili a farsi comprare. Che oggi sia Giammario, che ieri sia stato Ponzoni e che domani sarà qualsiasi altro, è il punto politicamente meno interessante.

Per questo le analisi circoscritte non valgono più: il Consiglio Regionale della Lombardia ha poco meno di due anni ed è in pieno disfacimento morale, etico e rappresentativo. Dopo due anni si ritrova già una credibilità logorata e sconfitta. Formigoni dimostra di avere frequentazioni, amici, assessori, ex assessori e compagni di partito scelti con una chirurgica precisione negativa, il centrosinistra ha il portabandiera della scorsa battaglia elettorale (Filippo Penati) che ha dimostrato predisposizioni “sistemistiche” che non hanno certo avuto il sapore dell’alternativa e che sono finite nello stesso rivolo giudiziario e di inopportunità politiche.

Formigoni si consegni. Agli elettori. E ad una regione che ha bisogno il prima possibile di recuperare il valore dell’opportunità politica e dell’intolleranza verso ladri e ladrocini (l’unica intolleranza che servirebbe, impellente).

Gli altri propongano temi e modi (senza segreta ammirazione per il modello lombardo esistente, possibilmente).

Paccate di fardelli

Matteo, 23, 2-6: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe»

Nel CIE di Milano il pericolo pubblico è il giornalista

Nel Cie di via Corelli a Milano la situazione è talmente tesa e drammatica che nessuno può visitarlo. È la Prefettura ad ammetterlo, tanto da metterlo nero su bianco nella risposta inviata a Ilaria Sesana, giornalista freelance, che per Terre di mezzo – street magazine ha chiesto più volte di entrare nella struttura. “A seguito di disordini avvenuti di recente, presenta alcune parti inagibili, che hanno reso necessario l’avvio di lavori di ristrutturazione”, premette la Prefettura, che poi nega alla giornalista l’accesso al Cie per ragioni di sicurezza: “Il Ministero dell’Interno, interessato al riguardo da questa Prefettura, ha perciò espresso parere che, per prevenire il ripetersi di nuovi episodi, per il momento non possa essere consentito l’ingresso nella struttura ad estranei”. Questo vizio per cui l’informazione possa creare disordini (là dove il caos sta nei diritti) ha il retrogusto di altri tempi. E la cappa del “governo tecnico” sembra potersi permettere di svicolare da questi temi in nome di altre priorità in nome di uno sviluppo che deve correre veloce non potendosi permettere di includere tutti. Oggi chiederemo di visitare (come già abbiamo fatto) il CIE di Milano per capire se nella civilissima città di questo civilissimo stato esistono isole di sospensione di diritto e di umanità, se davvero vogliamo accettare recinti fatti per custodire persone come percolato umano a causa di una legge che andrebbe cancellata dall’ONU, se  ci siamo dimenticati che sarebbe il caso di restare umani. Anche qui.

Quello che penso sulle indagini

L’ho raccontato oggi agli amici di Radio Onda D’Urto. Almeno per non correre il rischio di fare un favore a Formigoni incastrandosi sull’indagato di turno perdendo la visione complessiva. Qui il video dell’intervista.

Berlinguer in piazza

Milano dedica un pezzo di città a Enrico Berlinguer. Sarà una nuova piazza, creata all’incrocio tra via Savona e via Tolstoi, a prendere il nome dell’uomo che per tanti anni ha guidato il Pci. L’intitolazione arriva a novant’anni dalla nascita di Berlinguer. A deciderlo è stata la giunta comunale su proposta dell’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris. Il segnale è importante ma non può essere un alibi: oltre ad una ‘piazza Berlinguer’ sarebbe urgente (e buona cosa) mettere Berlinguer in piazza. Esporlo e soprattutto devlinarlo nelle idee e nell’azione politica, praticarne l’integrità e la barra dritta, ispirarsi alla coerenza e raccoglierne l’eredità della visione sociale. Magari cominciando a non prestare orecchio agli strenui difensori di corrotti e corruttori di quel tempo e alle eventuali uscite in scia di qualcuno nel centrosinistra. Altrimenti è solo toponomastica, mica buon vento.

Con Daniele Biacchessi, Andrea Riscassi e Paolo Bolognesi per interrogarsi sulla bomba della stazione di Bologna

Conoscere il passato per acquisire le chiavi di lettura sul presente. Vi aspetto

Il Teatro di Tavazzano (Lo) per la seconda serata del ciclo di incontri ad ingresso gratuito del “Cento di Documentazione per il Teatro Civile”, in programma venerdì 16 MARZO 2012 alle ore 21:00, si concentra sul più grave attentato mai compiuto in Italia e lo fa con Paolo Bolognesi, presidente dell’ “ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980”. Partecipano alla serata, Giulio Cavalli direttore del Nebiolo e i giornalisti Andrea Riscassi (Rai) e Daniele Biacchessi (Radio 24).


E’ il 2 agosto 1980, è mattina e la stazione centrale di Bologna è piena di gente e di treni in arrivo e in partenza. Alle 10,25 una bomba di eccezionale potenza scoppia nella sala d’attesa di seconda classe. L’esplosione, che investe anche alcuni vagoni fermi sotto la pensilina, provoca una strage: 85 morti e 200 feriti.

Nell’immediatezza dell’attentato, la posizione ufficiale del Governo italiano fu quella dell’attribuzione dello scoppio a cause fortuite, ovvero all’esplosione di una vecchia caldaia; tuttavia, a seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte, apparve chiara la natura dolosa dell’esplosione, rendendo palese una matrice terrorista. Cominciò così una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana.

L’1 Giugno 1981 si costituisce l’”Associazione Tra I Familiari Delle Vittime Della Strage Alla Stazione Di Bologna Del 2 Agosto 1980″ con lo scopo statutario di : “OTTENERE CON TUTTE LE INIZIATIVE POSSIBILI LA GIUSTIZIA DOVUTA”. (Statuto della Associazione, art. 3).
Tra depistaggi e disinformazione, lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell’Associazione, si giunse ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Ma a causa del protrarsi negli anni delle vicende giudiziarie e dei numerosi comprovati depistaggi, intorno ai veri esecutori e ai mandanti dell’attentato si sono sempre sviluppate numerose ipotesi e strumentalizzazioni politiche divergenti dai fatti processuali che hanno portato alle condanne definitive dei presunti esecutori materiali della strage.

Di quanto accaduto e delle vicende processuali ne parlerà il presidente Bolognesi durante l’incontro che verrà coordinato da Giulio Cavalli e che vede la straordinaria partecipazione dei due giornalisti ANDREA RISCASSI della Rai di Milano (caposervizio alla Tgr Lombardia) e DANIELE BIACCHESSI DI Radio 24 (Vicecaporedattore di Radio24-Il Sole24ore).

TEATRO NEBIOLO, VENERDÌ 16 marzo ORE 21:00 CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PER UN TEATRO CIVILE INCONTRO CON PAOLO BOLOGNESI “LA STRAGE DI BOLOGNA, 2 AGOSTO 1980” INGRESSO LIBERO E GRATUITO

I bambini invisibili, nella rete

Joseph Kony è un nome sconosciuto ai più. Attualmente, nella lista della Corte Penale Internazionale dell’Aia che elenca i ricercati per crimini contro l’umanità, è al numero uno. Un bel primato, che si è guadagnato con 20 anni di persecuzioni, rapimenti, stragi, schiavitù sessuale e stupri. Francesco racconta sul sito di Non Mi Fermo di KONY2012 per mantenere alta l’attenzione su quello che è attualmente il criminale di guerra con più capi d’imputazione al mondo. E un impegno: farsene carico.

C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri. (Bruno Munari)