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Giulio Cavalli

La brutta aria di ‘ndrangheta e politica dalle parti di Lecco

Finalmente a processo:

La Procura di Milano ha chiesto il processo con rito immediato per 10 persone, tra cui il presunto boss Mario Trovato, fratello dello storico ‘patriarca’ della ‘ndrangheta lombarda Franco Coco Trovato, l’ex consigliere comunale di Lecco, Ernesto Palermo, e l’ex sindaco di Valmadrera (Lecco), Marco Rusconi. Tutte persone arrestate lo scorso aprile in un’inchiesta che ha fatto emergere presunti contatti tra la mafia calabrese e rappresentanti delle istituzioni nella zona del Lago di Como.

Nell’ambito delle indagini, coordinate dai pm Claudio Gittardi e Bruna Albertini e condotte dal Nucleo di polizia tributaria e dal Gico della Gdf, lo scorso 2 aprile erano finiti in carcere, tra gli altri, l’allora consigliere comunale e l’allora sindaco. Il primo, Ernesto Palermo, eletto con il Pd e poi dal 2011 passato al gruppo misto, è accusato non solo di corruzione e turbativa d’asta, ma anche di estorsione e associazione mafiosa. Palermo, infatti, secondo l’accusa, faceva parte della cosca dei Trovato ed era uno degli “uomini nuovi” del clan e ne curava gli “interessi” nell’ambito dei suoi rapporti con altri “esponenti politici” e della pubblica amministrazione. E si sarebbe adoperato direttamente per far ottenere al clan la concessione dell’area comunale ‘Lido di Paré’ sul lago di Como, già oggetto in passato di una serie di attentati incendiari.

Per l’acquisizione della concessione, che doveva essere effettuata da una società dei Trovato in cui aveva investito anche Palermo, secondo l’inchiesta, sarebbe arrivata una mazzetta da 5 mila euro all’allora sindaco di Valmadrera, Rusconi (eletto con una lista civica appoggiata dal Pd), arrestato per corruzione e turbativa d’asta e molto attivo, prima di finire in carcere, in iniziative antimafia sul territorio. Ora la parola passa al gip di Milano Alfonsa Maria Ferraro che dovrà decidere se accogliere o meno l’istanza della Procura.

(Ansa)

L’uomo ha bisogno di simboli. I tanti perché di una piazza dedicata ad Enzo Baldoni

Da Articolo 21:

“Mi riempe di gioia la petizione lanciata da Articolo21 affinché il Comune di Milano intitoli una piazza a Enzo Baldoni”, dice oggi Giusi Bonsignore, vedova del giornalista ucciso nel 2004 in Iraq. “Ringrazio i promotori dell’iniziativa e quanti parteciperanno apponendovi la loro firma”, continua, sperando di “avere presto un riscontro da parte delle istituzioni”. Una piazza, una via, oppure semplicemente un giardino, che ha iter amministrativi meno complessi, in nome di Enzo. Un modo per riannodare fatti e verità.

Così come è accaduto per il giardino pubblico dedicato a Lea Garofalo dalla città di Milano, in via Montello. Ci costringe a sbattere continuamente contro il ricordo di Lea, uccisa per avere avuto il coraggio di testimoniare – al Nord, per la prima volta – contro la ‘ndrangheta. Assume un enorme significato per la città, quello spicchio di verde intitolato a lei, a pochi metri da dove la testimone di giustizia fu prelevata, torturata e poi strangolata dall’ex compagno, boss del clan Cosco, infine fatta a pezzi per poter bruciare meglio i suoi resti.
Sarebbe doveroso per questa città – che ha ripreso la tradizione civile di dare memoria – ricordare allo stesso modo Enzo Baldoni, a dieci anni dalla sua morte, in un momento geopolitico così complesso, in cui trovare verità, mai come ora, richiede presenza, occhi puliti, scevri da condizionamenti ideologici.Esattamente i motivi per cui Baldoni è stato ammazzato. Enzo ha dato la vita per raccontare, per testimoniare la realtà fuori da ogni ideologia, lontano da estremismi di sorta e contro ogni oscurantismo. Morto dopo aver portato acqua e cibo nella città assediata di Najaf.
Firmare la petizione lanciata da Articolo21 sulla piattaforma di Change.org significa, per tutti, non perdere ciò che ha rappresentato quest’uomo curioso, fuori dalle corporazioni, dalle logiche di parte; un uomo libero che voleva andare oltre l’informazione di regime, credeva che si dovesse prima vedere per poi poter capire e raccontare. Un uomo non amato da chi riteneva che quella guerra fosse necessaria, così come dai Signori del terrore che lo hanno ammazzato.
Evitare il silenzio, cercare i fatti che in questi anni sono stati avvolti dall’ambiguità. In un’intervista a Repubblica la vedova di Baldoni ha raccontato risvolti finora sconosciuti; di come, dopo lo scoppio della mina sotto l’auto di Enzo, nessun convoglio della Croce Rossa si fermò a raccogliere lui e il suo interprete iracheno Ghareeb. “Furono abbandonati”, dice a distanza di un decennio. Per la vedova Baldoni, Maurizio Scelli, allora commissario straordinario per la Croce Rossa, “diffuse notizie false, dicendo che Enzo andava in giro alla ricerca di interviste impossibili. Tacere a noi dell’esplosione della mina fu un’omissione molto grave”. Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano in questi giorni ha ricostruito gli eventi, riportando le parole che lo stesso Scelli affidò all’Ansa dal Meeting di Rimini, tre giorni dopo il rapimento, quando già il corpo di Ghareeb era stato ritrovato: “Il fatto che non ci fosse il corpo di Baldoni, induce a pensare che Baldoni sia da un’altra parte. Auguriamoci che sia in giro a fare quegli scoop che tanto ama” (Ansa, 23 agosto, ore 17,37).
Oggi l’ex commissario della Protezione Civile minaccia querela per l’affermazione di Giusi Bonsignore, che, sempre nell’intervista a Repubblica, rimarca come Enzo non ricevette il sostegno che, invece, in Francia, fu dato a Chesnot e Malbrunot, giornalisti sequestrati in contemporanea e poi rilasciati. Afferma che a “contribuire ad armare la mano dei suoi assassini è stata la denigrazione e lo scherno di giornali come Libero. Impossibile dimenticare, durante la prigionia di Enzo – continua – la ferocia di due articoli di Vittorio Feltri e Renato Farina, intitolati ‘Vacanze intelligenti’ e ‘Il pacifista col kalashnikov’”.
“Più che memoria, la piazza dedicata a Enzo mi sembrerebbe un ripristino”, dice Giulio Cavalli, scrittore, attore, ex consigliere comunale in Lombardia, diversi anni passati sotto scorta per il suo impegno contro le mafie, e che da tempo tempo lavora con il figlio di Enzo, Guido Baldoni. “Condivido l’iniziativa – dice – perché non credo che questo paese possa permettersi di svendere una delle menti più raffinate del mondo pubblicitario italiano e del giornalismo del Terzo Settore come un ‘turista per caso’; quindi, una via, oppure una piazza, sarebbe un bel segno col pennarello rosso sulle bugie che mi sembra non si sia ancora smesso di costruire su di lui”.
Oggi è un dovere civile cercare di riempiere i vuoti lasciati. Così come accade nel giardino di Lea: lì, è come se Milano risorgesse, in un luogo che è stato di mafia e di morte e che oggi invece è diventato simbolo di legalità. Quel frammento di verde, strappato alla speculazione e all’ennesimo progetto di parcheggio in città voluto dalla giunta Albertini, anche grazie a Libera di don Ciotti, è diventato bene comune. Qui gli abitanti del quartiere – designer, architetti, insegnanti, cuochi – progettano le semine per l’orto, curano gli alberi, aprono e chiudono il cancello, organizzano eventi. “Lea, qui, vive”, ci raccontano sotto il cartello con la foto di lei e le parole “Vedo, sento, parlo”.
“L’homme y passe à travers des forêts de symboles”, scriveva Baudelaire. E continuiamo ad aver bisogno di simboli, di luoghi della memoria. Abbiamo bisogno di dare un senso ai vuoti. Abbiamo bisogno, ogni giorno, di sbattere contro quel che è stato – e deve continuare a essere – Enzo Baldoni: il coraggio di testimoniare, al di là degli steccati, delle parti politiche, delle lobby di potere, sempre.

31 agosto 2014

Una via o una piazza per Enzo Baldoni

Un’ottima idea e un’ottima petizione non solo per fare memoria ma soprattutto per evitare che venga sporcata, perché il fango a volte riesce ad essere peggiore dell’oscurantismo. La trovate qui.

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Il pizzo sul set

A proposito anche del recente caso della fiction Gomorra andata in onda su Sky (ne scrivevo giusto qui) quello che mi lascia più perplesso sulla questione del pizzo dovuto mentre si girano film in alcune zone è (anche qui, come sempre) che ci si stupisca di un fenomeno negato ma frequente. Basterebbe ascoltare cosa dice il magistrato della DDA di Palermo Francesco Del Bene:

“Ci siamo veramente liberati del condizionamento del pizzo nel cinema? Da magistrato sono pessimista. Sarebbe opportuna una rivoluzione copernicana, denunciare ogni pressione e smettere di fare i sudditi”

Il magistrato ha ricostruito il racket sui set cinematografici, dall’imposizione di comparse e operai fino all’inchiesta che ha portato all’arresto di 41 affiliati al clan della Noce per aver chiesto il pizzo ai produttori di Magnolia fiction, durante le riprese a Palermo della serie televisiva “Il segreto dell’acqua”, con Riccardo Scamarcio. “Ho scoperto che prima dei casi più recenti come con la produzione Magnolia – ha aggiunto Del Bene – avevano chiesto il pizzo anche a Francis Ford Coppola durante le riprese de ‘Il padrino’, al punto da costringere la produzione a spostarsi da Palermo nel Messinese. Era tanto tempo fa, ma le cose non sono molto diverse oggi”. All’incontro erano presenti anche Pina Maisano Grassi e Pif, regista de “La mafia uccide solo d’estate”. “Spero che Pif sia il futuro – ha proseguito il magistrato Del Bene – ma credo anche che a Pif non abbiano chiesto il pizzo proprio perché è lui e se ne conosce l’orientamento, mi chiedo se a una società sconosciuta del Nord sarebbe successo lo stesso”.

Che poi

Stupirsi e rilanciare in prima pagina la notizia di Totò Riina che conferma il pagamento regolare del pizzo a Cosa Nostra da parte di Silvio Berlusconi (con Vittorio Mangano come utile intermediario) significa non avere compreso, letto e nemmeno mai discusso con nessuno della sentenza di condanna infilitta a Marcello Dell’Utri. In quella sentenza c’è scritto questo e molto altro ma evidentemente è sfuggita. Guarda il caso, a volte, come si dice.

(E guarda il caso è proprio ciò su cui stiamo lavorando noi qui).

Con chi va il Pd

A Taranto?

“Verificare le condizioni per la più ampia convergenza di forze politiche disponibili e per il più qualificato ruolo protagonista del Pd ionico”. È il mandato che la direzione del Partito democratico della provincia di Taranto ha conferito al segretario Walter Musillo in vista delle prossime elezioni provinciali di fine settembre. Che significa? Nei fatti vuol dire che il Pd tarantino, nelle consultazioni per eleggere l’amministrazione di “secondo livello” della provincia ionica, è pronto a sostenere un candidato proveniente anche da Forza Italia.

La notizia è giunta al termine di una riunione del direttivo tarantino in cui è passata a maggioranza la mozione dei democratici che fanno capo al deputato Michele Pelillo. E se ufficialmente l’alleanza con i berlusconiani non è menzionata, ufficiosamente il patto sarebbe già stato sancito con Martino Tamburrano, sindaco forzista di Massafra, piccolo comune alle porte di Taranto. Al Pd, in cambio, andrebbe la vice presidenza. Il Pd quindi ha escluso a priori l’ipotesi di votare Ippazio Stefànoil sindaco ex vendoliano del comune ionico con cui insieme governano da anni la città dei due mari e che si è autocandidato alla guida della Provincia. L’ipotesi Tamburrano, quindi, è più che concreta e ha creato un certo scompiglio negli stessi iscritti al Pd: i dissidenti hanno presentato una mozione per costringere il direttivo a puntare su un candidato democratico, ma senza successo.

Non vedo guerra. Vedo diverse possibilità.

La mia intervista per narcissus.me:

Forse conoscete già Giulio Cavalli, nelle vesti di attore, scrittore, regista e politico italiano particolarmente impegnato nel sociale. Impegno il suo che emerge spesso anche nelle sue produzioni teatrali e letterarie, in cui tratta temi pesanti, come i soprusi e le ingiustizie legati al contatto con la malavita organizzata, i rapporti tra mafia e politica, il dramma del turismo sessuale infantile. (La biografia completa di Giulio Cavalli è consultabile sul suo sito ufficiale).

Oggi vi presentiamo Giulio Cavalli in una veste ulteriore, ossia quella di selfpublisher, lieti di aggiungere che la piattaforma che ha scelto per autopubblicare due delle sue opere è Narcissus.

I titoli degli ebook che Giulio Cavalli ha pubblicato tramite la nostra piattaforma sono Bambini a dondolo, dramma teatrale sul turismo sessuale infantile presentato nel settembre del 2007 al Teatro dell’Elfo di Milano e Corro perché scivolo, racconto su Dorando Pietri, celebre atleta italiano dei primi del ’900, passato alla storia per aver tagliato per primo il traguardo alla maratona delle Olimpiadi di Londra del 190, 8 sorretto dai giudici che l’avevano aiutato perché stremato dalla fatica e per questo squalificato.

In questa intervista che ci ha gentilmente concesso, Giulio Cavalli ci racconta qualcosa delle sue opere e ci spiega il perché della scelta di autopubblicarsi con Narcissus.

Grazie Giulio!

(NdR: nell’intervista si parla maggiormente di Bambini a dondolo, perché è stata redatta prima della pubblicazione dell’altro ebook, ossia Corro perché scivolo).

  • Il Giulio Cavalli attore, scrittore e politico impegnato, si racconta da sé: ci parli del Giulio selfpublisher, editore di se stesso. Perché il self publishing, perché il digitale?

Temo sempre coloro che temono le novità. È un’imposizione che mi sono dato, un comandamento: venendo da una piccola provincia ricordo bene quando venivo additato come visionario semplicemente per il cimentarsi nella scrittura e nel teatro. Il mondo della bellezza è fatto delle persone che osano nelle visioni (senza cadere nelle perversioni) sul futuro. Ho la fortuna di scrivere per l’editoria convenzionale e più prestigiosa (il mio romanzo uscirà a marzo per Rizzoli) ma nel cassetto ovviamente per il lavoro che faccio rimangono progetti, tracce, orme che rimarrebbero incompiute per secoli; con l’ebook si apre l’opportunità di avere un fine tangibile e trovare uno spazio pubblico anche per loro.
Devo ammettere anche di essere affascinato dalla “capienza” di un ebook reader che mi permette di spostarmi con la mia biblioteca e già solo il pensiero mi consola.

  • Nel suo Bambini a dondolo, un tema impegnato come la violenza sui bambini diventa una favola che, peraltro, nasce come opera teatrale. Da dove viene l’idea?

Il tema del turismo sessuale su minori è da sempre nascosto dalle grandi inchieste o dalla cronaca, perché poco leggibile. Mi spiego: la pedofilia all’interno degli asili, delle famiglie o della chiesa viene compiutamente seguita anche dall’opinione pubblica mentre i viaggiatori italiani che toccano gli angoli del mondo per regalarsi una prostituzione minorile a basso prezzo vengono vissuti come uno sfogo lontano, che non è cosa nostra, un safari con ragazzini al posto degli elefanti. In Bambini a dondolo ho voluto provare a dare voce a loro, i bambini e alla loro mostruosa capacità di vedere anche il peggio attraverso la lente del bene autentico.

  • Quali sono le difficoltà (se ce ne sono) nel passaggio dall’opera teatrale al format librario? Nello specifico del suo caso, ritiene che il formato digitale abbia agevolato in qualche misura il suo lavoro di traduzione da un media all’altro?

Ho una visione molto “libro” del digitale, credo cioè che per me e per il mio lavoro possa essere la soluzione più veloce ed economica per distribuire ad ampio raggio le storie portate in teatro. Bambini a dondolo è esattamente il testo teatrale anche perché il mio teatro è molto “scrittura”: nasce per rimanere attaccato alla parola con meno teatralità possibile. Nel caso invece di Corro perché scivolo il testo nasce per essere radiodramma (c’è anche la registrazione della puntata pilota) e ovviamente risulta molto più liscio nella lettura.

  • Sulla base della sua esperienza con Narcissus, il self publishing rimane una strada eventualmente da battere in futuro e per altre pubblicazioni, o prevede un ritorno all’editoria tradizionale?

Non vedo guerra. Vedo diverse possibilità.

Le grandi operette

Lo “sblocca Italia” non sembra cambiare verso sul solito dannoso approccio alle grandi opere. Lo spiega molto bene Luca Martinelli su Altraeconomia:

L’idea che sviluppo sia sinonimo di infrastrutture “pesanti” rischia di mandare l’Italia fuoristrada. Il 29 agosto, il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il decreto “Sblocca Italia”, che al punto 1 vede indicate le misure necessarie per “Sburocratizzare per far partire i cantieri”, ed elenca -in una mappa “vintage” pubblicata sul sito del ministero delle Infrastrutture e trasporti, guidato da Maurizio Lupi- 14 opere “già finanziate per 30 miliardi e 402 milioni” oltre a 13 cantieri di grandi e piccole opere per ulteriori 13 miliardi e 236 milioni. 

L’elenco comprende l’alta velocità tra Torino e Lione, l’alta capacità tra Napoli e Bari, parecchie autostrade, qualche aeroporto, e la ferrovia tra Messina, Catania e Palermo. 
Tra gli interventi “bollati” come già finanziati ci sono anche le autostrade Orte-Mestre e Valdastico Nord, e qui appare evidente come lo schema del decreto voluto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi non sia ancorato alla realtà. 

Quello della Valdastico Nord (A31) è un vecchio progetto degli anni Settanta, e –come spiegammo in un’inchiesta del febbraio 2013– è stato rimesso in campo solo per garantire la continuità della concessione (già scaduta) in essere e relativa alle autostrade A4 (nella tratta tra Brescia-Padova) e A31. L’intervento, che dovrebbe costare oltre due miliardi di euro e collegare Vicenza e Trento, però non è affatto finanziato, visto che verrebbe ripagato dagli utenti dell’autostrada con incrementi tariffari fino al 2046. 
“Si ritiene che lo scopo del collegamento della ‘Valdastico nord’ sia essenzialmente quello di ottenere una proroga quarantennale della concessione sull’Autostrada A4 senza passare attraverso la procedura di gara” ha detto il presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, rispondendo a una interrogazione. Ed ha aggiunto: “La realizzabilità finanziaria di un’opera di 2 miliardi di euro per un traffico giornaliero di 35 mila mezzi (oggi A22 ha un passaggio di 40 mila mezzi) è dal punto di vista finanziario difficilmente sostenibile e, a prescindere dalla posizione della Provincia autonoma di Trento, sarà la finanza a determinarne l’effettiva realizzabilità”.  

Per quanto riguarda la Orte-Mestre (qui il reportage di Ae), cioè l’idea dell’Autostrada del Sole del XXI° secolo, un collegamento di quasi 400 chilometri tra cinque regioni, è stata la Corte dei Conti, con una delibera pubblica a fine luglio, a “bocciare” il progetto, considerando “non conforme a legge la delibera del CIPE” che nel novembre del 2013 aveva approvato il progetto preliminare dell’opera ed il relativo Piano economico e finanziario.  

Prima di promettere ed avviare nuovi cantieri, inoltre, sarebbe opportuno che il Governo provasse a guardare dall’esterno le proprie mosse, per capire che cos’accade con quelli già aperti. Ad esempio, con la realizzazione della Pedemontana Lombarda: l’autostrada tra Varese e Bergamo avrebbe dovuto essere consegnata entro Expo, grazie anche a un intervento per quasi 4 miliardi di euro di finanziamento da parte di istituti di credito privati. 
Il 1° agosto, mentre il presidente del Consiglio annunciava lo “Sblocca Italia” in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, si teneva anche la riunione del CIPE -Comitato interministeriale per la programmazione economica- che ha deciso di garantire alla Pedemontana il regime di defiscalizzazione previsto da una norma di fine 2012, e applicabile solo a quei progetti il cui piano economico e finanziario non sia sostenibile. 
Senza questo aiuto di Stato, l’autostrada -con il traffico stimato e i relativi pedaggi- non starebbe in piedi. Secondo quanto scritto da Il Sole 24 Ore, “l’esenzione fiscale sarà totale, la società cioè non pagherà un euro di tasse, dal 2016 al 2027, per un valore nominale di minori incassi per lo Stato stimato in 800 milioni di euro (circa 67 milioni all’anno per 12 anni)”. I proprietari di Pedemontana, che il Governo ha scelto di aiutare, sono Intesa Sanpaolo, Ubi Banca e Serravalle, società in procinto di passare sotto il controllo di Regione Lombardia

Si tratta, per il quotidiano di Confindustria, di un intervento con cui “il CIPE ha salvato la Pedemontana”.    
Un’opera inutile, e anche dannosa: i cantieri della tratta B1, ad esempio, quella definita  “variante Expo”, secondoLegambiente Lombardia non ha alcun legame con la manifestazione in programma a Milano da maggio 2015. Rischia, invece, di aggravare i gravi problemi idraulici della città, “sottolineati” -se possibile- dalle continue esondazioni del fiume Seveso nell’estate del 2014: “Sul sito di Pedemontana ci viene spiegato [la tratta B1 misura] soli 7,5 chilometri, e vedendo la cartina ci si chiede chi mai sarà disposto a pagare un pedaggio per percorrere un nastro d’asfalto che collega due arterie parallele, la A9 e la SS35, che collegano entrambe Milano con Como -spiega un comunicato dell’associazione ambientalista-. Appartiene poi ai misteri della fede il fatto che un collegamento di interesse squisitamente locale abbia potuto essere classificato ‘opera prioritariamente connessa a EXPO 2015’, evento con cui francamente non si coglie il nesso.
Al di là dei dubbi sull’utilità dell’opera, la qualifica di ecomostro ci sta tutta, vedendo quali devastazioni si riescono ad inanellare in soli 7,5 chilometri in cui i cantieri hanno già raso al suolo il rigoglioso bosco d’alto fusto della Moronera, tagliato in due la valle fluviale del Parco del Lura, fatto terra bruciata del querceto del Battù, immerso nella piana agricola tra Lazzate e Bregnano. E tra gli impatti più problematici c’è proprio la trincea profonda in cui scorrerà l’autostrada, che inciderà l’altopiano argilloso delle Groane intercettando acque di pioggia e drenaggi urbani del basso comasco per deviarli nel Lura, un torrentello che finisce la sua corsa confluendo nell’Olona a ridosso della piastra di Expo dopo aver attraversato i centri di Saronno e Rho. La ‘bomba d’acqua’ che in caso di violente precipitazioni dovrà essere smaltita dal Lura corrisponde ad un volume impressionante, 30 mc al secondo, in pratica una portata superiore a quella del Naviglio Grande, che la trincea di Pedemontana riverserà nella valle del torrente: un nuovo problema idraulico destinato ad investire l’area milanese già alle prese con Seveso e Lambro”. 

Al punto 5 dello “Sblocca Italia” ci sarebbe lo “Sblocca dissesto”, che promette “570 cantieri per un valore di 650 milioni di euro” contro il dissesto idrogeologico. Interventi prioritari, per cui non serve andare ad aggravare ulteriormente la situazione.

Finanche gli svizzeri se ne accorgono

Raccogliere prove su organizzazioni criminali, ben strutturate e accorte, è molto difficile e costoso. Ci vorrebbero procedure più vicine alla realtà e soprattutto più mezzi, anche moderni. Penso ad esempio all’intercettazione o alla sorveglianza.

(Nicolas Giannakopoulos, presidente dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata di Ginevra, intervistato qui)