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Giulio Cavalli

A Napoli il Nuovo Teatro Sanità

Mario Gelardi è un collega e amico che si porta Napoli in tasca quando scrive e quando prepara la scena. La notizia dell’apertura di un nuovo teatro (a Napoli nel rione Sanità come in qualsiasi rione di qualsiasi città nel mondo) è un raggio di arcobaleno. Perché alla fine in questo mondo di resistenti teatrali, in mezzo alla congiuntura di una cultura svilita dal governo e nel fosco di questo tempo, arriva sempre un’annunciazione come un canto.

Nel cuore di Napoli, nel ventre più profondo della città, c’è il Rione Sanità. Negli occhi di molti il Rione Sanità è identificato con quel filmato che ha fatto il giro del mondo in cui un pregiudicato veniva ucciso fuori da un bar. Ma questo luogo è anche e soprattutto altro ed è da questo che vogliamo partire. Vogliamo costruire una nuova immagine di questo rione e farlo partendo da un’idea concreta di cultura.

In particolare, il teatro a Napoli deve ritornare ad essere l’identità di un popolo. Non un teatro auto referenziato in cui gli operatori si avvicendano di volta in volta tra palcoscenico e platea, ma uno spazio aperto allo scambio tra artisti e pubblico, puntando sulla sensibilità degli operatori teatrali di farsi portavoce delle istanze che nascono dalla società civile. L’associazione ‘Sott’ o ponte’ insieme ad un gruppo di privati, ha creato proprio nella Sanità un teatro. Un teatro di 100 posti attrezzato a regola d’arte, pronto per essere inaugurato. A partire da settembre e con la mia direzione artistica e di un collettivo fatto da giovani operatori teatrali, partirà la prima stagione teatrale del “Nuovo Teatro Sanità”.

L’intento della direzione artistica è quello di fornire alla città un palcoscenico aperto e ricettivo alle istanze teatrali e culturali che negli ultimi anni sono diventate vera e propria emergenza. Una casa – comune, tecnicamente e strutturalmente adeguata in modo da offrire agli artisti uno spazio dignitoso e professionale. Una sfida, quella di aprire un nuovo teatro e di farlo nella Sanità, che in questo momento più che mai, sembra assolutamente da accettare. Una sfida che vuole vedere uniti artisti e professionisti della cultura che potranno trovare nel “Nuovo Teatro Sanità” un luogo lontano da logiche di schieramento.

Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, abbiamo bisogno di completare al meglio la struttura a livello tecnico, abbiamo bisogno della sensibilità dei grandi artisti teatrali napoletani e dell’entusiasmo delle giovani compagnie. Vogliamo recuperare quelle realtà teatrali e quegli artisti che hanno costruito il teatro napoletano contemporaneo e che si trovano spesso orfani di spazi dove potersi esprimere. Vogliamo partire dai drammaturghi che sono sempre stati l’ossatura del teatro napoletano conosciuto e rappresentato in tutto il mondo. Vogliamo avere una particolare attenzione verso una generazione di giovani attrici ed attori di grande talento che questa città esprime. Esserci in questa prima stagione è un atto di fiducia, un vero atto di speranza per un quartiere per una città che ha bisogno della cultura e del teatro più di quanto le istituzioni vogliano ammettere e soprattutto più di quanto siano in grado di capire. Iniziamo con un budget pari a zero, iniziamo come volontari, abbiamo solo il nostro entusiasmo e la nostra professionalità, chi vuole darci una mano?

Mario Gelardi

info@nuovoteatrosanita.it

www.nuovoteatrosanita.it

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I piccoli orizzonti dei soliti dirigenti

Le illusioni di Franceschini e la vecchia storia degli orizzonti che non riescono mai ad essere lunghi qui dalle nostre parti a sinistra, lo racconta perfettamente Andrea Colombo su GLI ALTRI:

Si tratta, come si vede, di strategie inconciliabili: la prima scommette su tempi lunghissimi e disponibilità al compromesso, la seconda su tempi rapidissimi e rigidità. Ma sempre tattiche sono, se non “dalemoni”, nulla più di “dalemini”. Piani di battaglia ispirati dalla convenienza, non da un orizzonte politico.

E’ la stessa corda a cui quel partito continua a impiccarsi da anni, e c’è un solo modo per smettere di insaponarsela da soli: mettere in campo un progetto, articolarlo in leggi e verificare lì, non sulla maggiore o minore presentabilità di Berlusconi, la possibilità di intese anche temporanee. Certo, per farlo bisognerebbe avere il coraggio di scegliere su particolari come il ripristino dell’art. 18 o il nuovo affondo contro il mercato del lavoro che chiede il Pdl, una legge rigorosa contro la corruzione o i pannicelli caldi che reclama Berlusconi, la patrimoniale o no, l’immediata cancellazione delle leggi che hanno riempito le carceri come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi o il loro mantenimento. La politica, insomma…

Esterni al concorso esterno, per favore

Ora si fa insistente la voce di un accordo PD, PDL: ne parlano i giornali ma se ne parla anche qui tra i corridoi a Roma. La notizia è la solita commistione delle sopraffine menti degli antichi strateghi politici che in Parlamento “fanno da conto” sui numeri e non sulle idee (figurarsi sugli ideali).

Se accade il grande inciucio (resta solo da trovare un nome elegante) saranno chiare le responsabilità di chi ci ha provato e chi no e, soprattutto, di chi ha ostacolato ad ogni costo. E non sarà solo Bersani a dovere lasciare il campo, no. Qualcuno anche dalle nostre parti dovrà spiegare la strategia di SEL e perché ancora una volta l’abbraccio è stato narcotizzante e deleterio e i patti non rispettati.

Il mancato cambiamento in Parlamento cambierà molte cose, qui fuori.

E non l’oggi

Abbiamo tutti bisogno di inventare un tempo nuovo. Ma siamo capaci soltanto di attraversarlo non chiedendogli niente. Abbiamo bisogno di essere tutti più felici ma chiediamo la felicità con parole che non sono mai diverse da quelle che conosciamo. Abbiamo bisogno di tollerare il dolore, ma non siamo neppure capaci di sopportare noi stessi. Abbiamo trasformato la nostra memoria, la storia, il passato, in un simulacro gelido e immobile. Abbiamo inventato il prima e il dopo, e non il mentre, il passato e il futuro e non l’oggi.

(Roberto Cotroneo, Mettetevi buone scarpe e cominciate a camminare. E buona giornata a tutti)

Sconcertanti (bipartisan) in Regione Lombardia

Il comunicato di Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. A voi i commenti:

“Sconcertante”. E’ questa l’unica parola che riesce a usare Legambiente per definire le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti politici – prima del nuovo presidente del Consiglio regionale, Cattaneo, poi del PD che annuncia addirittura il deposito di un proprio disegno di legge – che hanno chiesto di approvare un’ulteriore proroga, dopo l’ultima scaduta il 31 dicembre del 2012, per i comuni che non hanno ancora approvato il loro strumento urbanistico: il famoso PGT. “Siamo a 8 anni dall’approvazione della legge di disciplina urbanistica – dichiara Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia – e ancora centinaia di comuni lombardi, tra questi anche grandi città, non si sono ancora dotati del loro piano di governo del territorio. Bloccare l’attuazione di previsioni urbanistiche di strumenti ormai più che decotti ci pare il minimo che si potesse fare, anche per limitare i margini speculativi di spregiudicate operazioni di consumo di suolo. E’ semplicemente sconcertante questo coro di piagnoni, di destra e di sinistra, che chiedono di continuare a legittimare quella che da anni è un’ignavia urbanistica spesso colposa”. (ufficio stampa Legambiente Lombardia, 4 aprile)

L’inseguimento del “grillino”

tgcom24-grillini-pullmanL’amaca di oggi di Michele Serra, consigliata per iniziare la giornata:

Le telecronache dell’inseguimento del pullman grillino lungo raccordi anulari e autostrade sembrano la parodia di un road-movie americano di serie B, manca solamente una autostoppista avvenente e dal passato misterioso. Sembrano. Ma sono, invece, uno spietato documentario sulla impotenza dei media, incapaci di partorire e anche solo di concepire, di fronte alla renitenza grillina, qualunque strategia alternativa. Tutto è meglio di quell’avvilente elemosinare mezza frase, rubare mezza inquadratura, implorare mezza informazione. Meglio il silenzio, meglio mandare in onda un fermo-immagine di Beppe Grillo con musica classica in sottofondo, meglio un comunicato sindacale, meglio uscire al primo casello e andare a farsi due spaghi, meglio far finta che 5 Stelle non esista. Recuperare credibilità, per i media, vorrebbe dire prima di tutto recuperare dignità e autonomia di linguaggio: più rincorrono trafelati i fuggiaschi, più confermano l’idea grillina che il sistema mediatico, così come è adesso, sia infrequentabile. Quando Grillo caccia dal suo palco il cameraman indesiderato è odioso. Ma quando cameraman, fotografi e cronisti pedinano un autobus mandando in onda se stessi che pedinano un autobus, danno del diritto di cronaca un’idea talmente penosa da metterne a rischio il prestigio e l’urgenza.

Lo chiamavano “Continuità” /2

Dopo la prima puntata del Maroni che voleva fare la rivoluzione in Lombardia lasciando la sanità in mano ai soliti noti, oggi Gianni Barbacetto racconta quello che da queste parti si diceva da un po’ e rincara la dose:

La scopa del capo dei Barbari Sognanti ha fatto pulizia dentro la Lega, dicevano i druidi del nuovo Carroccio durante la campagna elettorale. E rinnoverà anche Formigopoli, facendo piazza pulita degli sprechi e delle ruberie e avviando la nuova era della Macroregione del Nord, dal Piemonte al Friuli. A parte il fatto che il Friuli ancora leghista non è, anche a Milano si stentano a vedere i segni della Nuova Era. Lo slogan con cui ha vinto le elezioni (“Teniamo qui il 75 per cento della tasse pagate in Lombardia”), è stato dimenticato: promessa impossibile da marinaio celtico-padano. Quanto al rinnovamento, Maroni sta procedendo così: rivoluzione a parole, cauta continuità nei fatti.

E, come scrive Gianni, anche sui declamati tagli della politica, la nuova Lombardia è assolutamente identica alla vecchia:

Quanto a Maroni, ha promesso di mostrarsi virtuoso con la pelle degli altri: promette tagli al budget del Consiglio regionale (via i rimborsi facili che hanno fatto mettere sotto inchiesta per peculato la quasi totalità dei consiglieri della scorsa tornata), ma si tiene ben stretti i soldi del budget di giunta. Confermato un ufficio del Presidente composto da una quindicina d’addetti, con una cerchia d’oro di dirigenti e una struttura di comunicazione formata da decine di persone che potrebbe produrre un quotidiano nazionale. Formigoni non c’è più, la sua struttura imperiale resta.

Sarà una lunga notte, la Lombardia.

Trattativa Stato-Mafia, il vuoto stretto intorno a Di Matteo

Scritto per Il Fatto Quotidiano

VNzEloqKahUGJXm-556x313-noPadNino Di Matteo cammina per Palermo con la scorta rafforzata che sembra un film degli anni ’80. Siamo un Paese che ultimamente ha ingoiato scorte patetiche dei signorotti o dei lacchè del re, che ha fantasticato sulle scorte “poetiche” da farci un film con un pizzico di commozione e che ha subito le sirene per un comizio in piazza di qualche Ministro. Di Matteo no: Di Matteo ha intorno il rischio a forma di paura, quello che a Palermo non si annusava dagli anni bui di una mafia che si lasciava andare con facilità alla polvere da sparo.

Forse non è un caso che Nino Di Matteo sia anche il magistrato che si occupa del delicato processo sulla trattativa Stato-Mafia, che prima è esploso in faccia ai negazionisti furibondi da talk show e oggi si è risotterrato tra le “cose che riguardano il passato”. Un processo che nell’informazione sta diventando un argomento per collezionisti e non importa se alla sbarra ci siano (alla stessa sbarra) politici e boss mafiosi che insieme disegnerebbero una foto devastante per la credibilità della democrazia italiana degli ultimi vent’anni.

Quando Salvatore Borsellino parlava di trattativa nei suoi incontri pubblici (lui e pochi altri “forsennati”) era facile relegarlo tra gli “allarmisti professionisti”. L’allarmista ha sostituito negli ultimi tempi il “professionista dell’antimafia” nel computo degli insulti istituzionali volti a delegittimare le battaglie antimafia. Allarmisti, rimestatori nel torbido, esagitati e visionari: chiunque parlasse di trattativa veniva fatto salire in fretta e furia nella “nave dei folli”.

Ora che quella perversione è diventata un processo sarebbe da tenere tra le mani con la cura di un buon padre di famiglia, sarebbe da osservare con l’attenzione di uno Stato che vuole essere garante della consapevolezza collettiva ed è, soprattutto, da proteggere.

Per questo la paura intorno a Nino Di Matteo è soprattutto la paura che si vorrebbe iniettare negli ultimi decenni politici per smussare la curiosità che ci dobbiamo e il vuoto intorno a Di Matteo sarebbe la latitanza più grave.

Per questo forse sarebbe meglio evitare gli editoriali sui pisolini in Parlamento e dedicarsi a questo vuoto istituzionale che si finge stretto intorno a Di Matteo. C’è un’aria grigia giù a Palermo. E una politica che può smettere di essere uguale a sé stessa.

(Ps per i fans delle “larghe intese con il Pdl: un’alleanza oggi con un processo del genere in corso è “concorso politico esterno”. Per dire.)

Anticorpi contro la mafia al Nord (editoriale per I SICILIANI GIOVANI)

(Questo articolo è stato scritto per il numero di marzo/aprile de I Siciliani Giovani che potete scaricare qui o dal sito www.isiciliani.it)

Schermata 2013-04-04 alle 10.07.13C’è una frase di Pino Maniaci che mi colpisce profondamente. Pino è così: vola con leggerezza dai giudizi più sprezzanti fino alle considerazioni più intime che meritano di essere al più presto collettive. Diceva, durante un suo incontro con i ragazzi su Milano, “dovete stare attenti, perché in Sicilia abbiamo il virus ma anche gli anticorpi, qui il virus è arrivato, ma non avete ancora gli anticorpi”.

Gli anticorpi, appunto: ho passato serate a spaccarmici la testa, sugli anticorpi, su queste proteine umanoidi che dovrebbero neutralizzare i corpi estranei alla legge e alla Costituzione riconoscendone ogni determinante antigenico. E’ possibile? mi chiedevo. Come impiantarceli qui dove la malattia è in incubazione continua mentre la devastazione è in corso d’opera?

Forse (è una mia umile considerazione personale) facendo rete (sì, ce lo siamo detti mille volte e tutte le sante mille volte abbiamo applaudito) ma diversamente da come lo stiamo facendo. E’ un’autocritica certo (mica un rimestamento di macerie), ma è un fatto visibile e evidente che l’antimafia sociale, culturale e dell’associazionismo viaggi ad una velocità (colpevolmente) troppo diversa e troppo slegata da quello che accade là dentro dove i cambiamenti cambiano per davvero le cose: centinaia di insegnanti spendono energie e tempo per organizzare incontri di alfabetizzazione sulle mafie ma la scuola intanto resta inerte (quella dell’Aprea, della Gelmini, di Comunione e Liberazione e di Formigoni, per intendersi, quella terribile idea di scuola tutta minuscola come servizio obbligatorio per adempiere stancamente ai doveri della Costituzione), decine di amministratori si incontrano per scambiarsi esperienze e buone pratiche su riciclaggio e gioco d’azzardo ma la Regione (e il Parlamento) si ridestano al massimo un secondo solo per congratularsi in carta bollata, invitiamo testimoni di giustizia a raccontarsi mentre abbiamo un programma di protezione testimoni che viene smantellato quotidianamente, applaudiamo nelle serate gli uomini della Catturandi mentre ci raccontano l’ultimo arresto dell’ultimo latitante e intanto le forze dell’ordine scivolano nel volontariato per terminare le indagini. Queste e molte altre discrepanze (usiamo un eufemismo, va) testimoniano le maglie troppo larghe di una rete che non riesce a contenere.

Stringersi, forse. Servirebbe stringersi per rendere più palesi (e leganti) le responsabilità di tutti i nodi. Avere il coraggio, stretti, di indicare referenti certi con potere legislativo, testimoni attivi nella magistratura, interpreti responsabili nell’imprenditoria, in un’attività di “lobby” nell’accezione positiva: tre o più persone che si occupano dell’interesse pubblico danneggiando (anche, se serve) l’interesse privato. Una sorta di 416 quater che non sia un delitto ma un dovere di anticorpi.

Costa, lo so, non è facile: richiede un’esposizione a tutto campo che superi i confini della testimonianza. Eppure l‘antimafia non può restare sospesa, non è credibile nei mezzi toni di una scala con un estremo buio; richiede luce, vita, scelta e politica.

Da che parte stare: essere partigiani e non tollerare indifferenze.

Finalmente che se ne parli

E ne parlano su Calibro 075 i ragazzi del Laboratorio Musicale Fuoritempo:

Finalmente anche a Ponte Felcino, abbiamo visto e sentito parlare dei cittadini che hanno espresso una vera e propria preoccupazione e attenzione, riguardo la possibilità che anche a Ponte Felcino come a Perugia, esistano delle connivenze tra quella ristrettissima cerchia di soggetti che detengono gran parte della ricchezza economica della città e chi ha il compito di dover  fare informazione in modo giusto e trasparente, come la stampa e tutti gli organi di informazione che a Perugia non godono certo di una vera indipendenza.

Ci ha fatto molto piacere sentire come la cittadinanza NON abbia associato la presenza del crimine organizzato in Umbria solo in funzione dello spaccio delle sostanze stupefacenti, della prostituzione o delle rapine che da tempo occupano, con estrema facilità le pagine dei giornali di tutta Italia.

Mentre questi sono ambiti che, essendo già di per sé illegali, facilitano una prima e più immediata lettura di infiltrazione mafiosa nel territorio, la costruzione di una palazzina, un residence, un centro commerciale, un supermercato, azioni per loro natura legali e spesso ben accolte dai più, possono in realtà rappresentare materialmente l’anello finale di una catena non propriamente trasparente e legale.

Finalmente non sono le associazioni che da tempo si occupano di tali problematiche a denunciare lo stato attuale, ma è parte della cittadinanza e soprattutto una parte della buona politica locale ad esigere il diffondersi della cultura dell’antimafia vera e propria.

Per una volta non ci siamo sentiti i soli all’interno della cittadinanza ad aver percepito il problema di una possibile infiltrazione da parte della criminalità organizzata anche all’interno della “res publica”, oltre all’osservare come nel nostro territorio siano state fatte scelte politiche che hanno favorito il dilagare di pratiche d’illegalità, tra queste la cementificazione forsennata e priva di adeguate forme di controllo e per questo facile preda di speculatori e malavitosi che di certo non hanno a cuore il destino della città.

Quanto affrontato durante l’assemblea pubblica a Ponte Felcino, ci ha fatto capire quanto sia importante continuare a credere in un progetto che ha il dovere di far innalzare il livello di conoscenza delle dinamiche malavitose e allo stesso tempo intraprendere adeguate misure di prevenzione, incalzando le istituzioni affinché attuino dei provvedimenti e dei piani d’azione chiari e incisivi contro il diffondersi dell’illegalità, avendo anche il coraggio, quando necessario di fare “pulizia” al proprio interno.

(il resto qui)

Ogni volta che una comunità si scuote e prende coscienza un pezzo di mafie si sbriciola anche senza bisogno del sole.