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Mio padre in una scatola da scarpe

AntimafiaDuemila su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata del 2015-09-23 15:00:52Giulio Cavalli racconta la vita di Michele Landa, metronotte ucciso nel 2006
di Miriam Cuccu
Ci sono luoghi in cui la differenza tra il bianco e il nero è così netta, che basta uno sguardo alla persona sbagliata per vivere o morire. Luoghi in cui le pozzanghere non sono d’acqua ma “a forma di punizione di dio”, dove le accuse si “incagliano sulla strada” e “le brave persone finiscono per diventare eroi, in mezzo ai nani”.
Succede questo nella Mondragone descritta da Giulio Cavalli nel suo libro “Mio padre in una scatola da scarpe” (frase da linkare a recensione in sezione Libri) (Rizzoli). Attore, scrittore e regista, Cavalli racconta la storia romanzata di Michele Landa, metronotte ucciso tra il 5 e il 6 settembre 2006. Una storia a lungo rimasta coperta dalla polvere, che deve essere raccontata. Michele non era un magistrato, nè un giornalista, non gridava in piazza ma conduceva una vita onesta, che in certi posti equivale a diventare estraneo all’interno del proprio paese. Dove tutto diventa compromesso, e le giornate si consumano dietro a un lavoro che non rende liberi perché costruito sul silenzio e sul non sapere. Sul non voler sapere, soprattutto.

Si dice che le persone che cambiano il mondo sono quelle che non se ne lasciano avvelenare. Michele è così, e il suo antidoto al veleno di Mondragone lo trova in Rosalba, “la silenziosa”. Quarant’anni dopo il loro amore sarà ancora nuovo eppure antico, di quelli che sanno aggiustare le cose e le persone. E poi c’è il Nonno, una vita passata in punta di piedi per amore della tranquillità. “Questa città e questo tempo chiedono agli uomini di essere furbi, di non trovarsi nel posto sbagliato e di essere intelligenti nel non ascoltare le cose che non si devono ascoltare” ripete sempre al nipote, ma Michele non capisce, non si adegua, non prova orgoglio per questa terra che “ci vorrebbe una pioggia di due anni che lavi via tutto per bene”. Michele sa bene dove vuole stare, e non è dalla stessa parte dei Torre (famiglia di Camorra nel romanzo) che si fanno le regole su misura nella complicità degli abitanti, del brigadiere e del prete. E Michele sceglie di restarci, in quel paese, per dimostrare a tutti che anche qui si può vivere da onesti, si può crescere figli e nipoti insegnando loro ad amare la bellezza delle cose giuste. Sembra niente, eppure ci sono luoghi in cui anche vivere diversamente diventa uno sgarro da punire.
Cavalli, con minuziosa attenzione ai particolari, ci porta dentro una Mondragone che si trascina faticosamente in avanti senza domandarsi perché, un mondo di regole capovolte che non ci siamo mai totalmente scrollati di dosso, per ignoranza o convenienza. Ci ricorda che non sono tanto i singoli eroi a fare la differenza, ma il tempo, la cura e la fatica per far nascere nuovi semi. La storia di Michele non è lotta ed eroismo, ma coraggio di confermare ogni giorno le proprie scelte contro la “desertitudine”. E’ la dimostrazione che sono le persone a fare i posti, che se le persone cambiano possono accadere

(fonte)

Un’intervista. Fuori dal teatro.

Schermata del 2015-09-22 09:04:05(di Daniele Ceccherini, fonte)
Genova 

In occasione della rassegna “Bellezza dell’arte al cinema” durante la quale c’è stata l’intitolazione dell’Arena nei giardini E.Guerra a Peppino Impastato, abbiamo intervistato Giulio Cavalli che allAlbatros di via Rogerrone (Genova, Rivarolo).’ è andato in scena con il suo spettacolo teatrale “Nomi, Cognomi e Infami“.

Giulio Cavalli scrittore e autore teatrale è noto per il suo impegno con spettacoli e monologhi teatrali di denuncia alla criminalità organizzata. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta tra cui recentemente Mio padre in una scatola di scarpe.

Nomi, Cognomi e Infami è il mio spettacolo più longevo, è del 2006, è il tentativo di raccontare che la risata contro la mafia funziona… Mi dispiace che in questo paese l’antimafia culturale sia demandata tutta ad una sorta di volontariato e non ci sia un progetto istituzionale, io credo che il teatro sia il metodo migliore perché non ci sono mediazioni… Nel giornalismo ho usato l’inchiesta per cercare di capire cosa mi stava accadendo e per dare delle spiegazioni, perché per non essere delegittimato bisogna avere dei dati dietro, il teatro è l’occasione di poter parlare di alcuni angoli nascosti mettendoci la faccia. Il teatro civile in Italia è sempre molto strano, perché il teatro civile nasce come movimento culturale per poter riaprire processi che si sono archiviati, in Italia invece è quasi sempre un funerale laico molto tranquillo… L’ultimo libro Mio padre in una scatola di scarpe, è una storia vera di una famiglia di Mondragone convinta che basti non avere a che fare con la mafia per non avere problemi e invece proprio in quella famiglia c’è una vittima che è il padre. In questo paese secondo me ci siamo affezionati tantissimo ai paladini dell’antimafia, all’eroe senza macchia e ci siamo dimenticati di sapere che abbiamo il dovere di affezionarsi anche al diritto ad avere paura… Mi fanno più paura alcuni pezzi delle istituzioni che i mafiosi. I mafiosi che sono riusciti a ripulirsi e diventare istituzioni più che paura sono una preoccupazione più che per me per il bene di questo paese.”

Ecco l’intervista video integrale a Giulio Cavalli:

Il Fatto Quotidiano scrive di “Mio padre in una scatola da scarpe”

Schermata del 2015-09-21 18:42:16

di Mario Portanova (fonte)

Parliamo tanto della mafia, ma poco delle sue vittime. Certo, non saltiamo un anniversario dei generali caduti sul campo, com’è giusto che sia, ma come in tutte le guerre muoiono anche i soldati, i civili che non c’entrano nulla. E poi ci sono i profughi. Quelli che sono costretti a lasciare la propria terra – non se la prenda ilpresidente Renzi, ma purtroppo succede – perché non vogliono sottostare a prepotenze e compromessi con i boss, e quelli che invece restano, seppellendosi però nella muta ribellione delle “brave persone” che per sopravvivere devono rendersi “invisibili”. Così descrive questi profughi stanziali Giulio Cavalli in “Mio padre in una scatola da scarpe“, appena pubblicato da Rizzoli (288 pagine, 19 euro).

Il libro romanza una storia vera e, appunto, dimenticatissima. Quella di Michele Landa, metronotte ucciso e bruciato aMondragone, in provincia di Caserta, la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006 mentre montava la guardia a una grande antenna per i telefoni cellulari a Pescopagano, in una zona di prostitute e spaccio. Gli mancava una manciata di giorni alla pensione e al sogno modesto di dedicarsi all’orto e ai nipoti. Ancora oggi non abbiamo neppure lo straccio di un indiziato, ma non è questo il cuore del libro di Cavalli, autore ed attore teatrale, ex consigliere regionale in Lombardia e finito sotto scorta per le pesanti minacce ricevute in seguito ai suoi spettacoli di denuncia antimafia. Cavalli scrive un romanzo d’amore e d’omertà, un giallo all’incontrario dove il delitto arriva alla fine ma l’assassino si svela fin dalle prime pagine. Michele Landa è appunto un profugo nella sua terra, un orfano dalla vita difficile che fin da piccolo ha dovuto ingoiare l’insegnamento del nonno: sii sempre onesto ma fatti i fatti tuoi, stai lontano dai mafiosi ma non provare mai a ribellarti se ha davvero a cuore i tuoi cari. Precetti che Michele osserva facendo violenza su se stesso, e che per giunta alla fine non lo salveranno. Di lui alla fine restano poche ossa carbonizzate dentro la scatola da scarpe che dà il titolo al libro.

Non sappiamo chi è l’esecutore materiale, come si leggerebbe in un atto giudiziario, ma sappiamo tutto del contesto in cui quel delitto è maturato. Un paese dove nessuno sente vede parla, dove la famiglia di camorra (nel romanzo, i Torre) può tutto, perché in grado di somministrare la morte ma anche la vita, dato che controllando le principali attività economiche può dispensare “il posto fisso” che caccia il fantasma della disoccupazione senza uscita. E lo Stato? E’ rappresentato da carabinieri indolenti e complici, così lontani dai famosi reparti speciali che firmano le grandi operazioni antimafia che finiscono su tutti i giornali. Allora ha ragione il presidente Renzi, è “macchiettistico” dire che in Italia la criminalità organizzata controlla “intere regioni”. Diciamo più correttamente che controlla parte della Campania, parte della Calabria, parte della Sicilia, parte della Puglia. E poi – in proporzione minore – parte dell’hinterland di Milano, parte della Brianza, parte del torinese, parte di alcuni quartieri romani… e sempre nella capitale, parte del Settore appalti. Molti profughi di questa lunga e sanguinosa guerra attendono di essere soccorsi.

LA FRASE. “Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li”.

Parla che ti passa

GIULIO1Mi avevano avvertito: quando scrivi un romanzo non succede mica come succede con gli spettacoli teatrali e le inchieste, perché il romanzo va. Parte per strade impensabili, ha delle regie di lettura che ti sorprendono.

Così, ieri, mentre ci si apparecchiava per l’uscita in tutte le librerie del mio romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ vedere cosa hanno pensato i ragazzi di diverse scuole per urlare il proprio no contro l’omertà e il silenzio è stata una sorpresa piacevolissima. Eccoli qui:

La mia intervista a Radio24 sull’uscita del mio romanzo “Mio padre in una scatola da scarpe”

CAVALLIGiulio Cavalli è un attore e uno scrittore che combatte le mafie attraverso l’utilizzo della forma artistica e delle parole.
Vive sotto scorta da molti anni, ma tira dritto e non demorde.
E’ partito con uno spettacolo su Genova 2001 e la morte di Carlo Giuliani. Ha poi messo in scena la narrazione sulla strage all’aeroporto di Linate, ha raccontato storie di bambini comprati e sfruttati. Poi è passato alle mafie al Nord, al processo Andreotti.
Il suo prossimo spettacolo sarà su Marcello Dell’Utri.
Proprio in questi giorni pubblica “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia di Michele Landa.

Cose belle intorno a un libro

Giovedì, mezz’ora prima della presentazione del mio nuovo romanzo a Milano presso il Circolo della Stampa (info qui) la Onlus Pepita ha deciso di lanciare un flash mob contro le prevaricazioni. Tutte.

Sono le quotidiane magie che le storie ci permettono di annodare.

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Il mio romanzo avrei voluto scriverlo dieci anni fa

CAVALLINe parlavo giusto qualche giorno fa mentre stavamo rivedendo gli ultimi dettagli prima dell’uscita del mio romanzo (Mio padre in una scatola da scarpe, Rizzoli, esce il 17 settembre, mi raccomando): questo libro è quello che avrei dovuto scrivere dieci anni fa.

Sono nato teatrante ma poi i casi della vita mi hanno portato all’obbligo di difesa. Legittima difesa. Incessante legittima difesa perché un teatrante minacciato non è cosa, non si fa, non piace mica solo alla mafia ma anche e soprattutto a coloro che dell’investigazione ne dovrebbero fare un mestiere e invece si occupano di relazioni accondiscendenti per i propri superiori. Alla fine molto di quello che ho scritto e portato in scena in questi anni è servito più a difendermi piuttosto che raccontare. Fino a questi ultimi mesi.

Quando ho deciso che davvero non vale la pena spendersi per giustificazioni che sono orme leggere, passibili di qualsiasi lettura, mentre i critici per pregiudizio hanno la mano pesante e lo sguardo strettissimo. Non è propriamente voglia di piacere a tutti i costi, qualcosa di più destruens: cercare di abitare dentro lo spazio disegnato e arredato dagli altri. Ecco: ho passato gli ultimi dieci anni a mentre mi convincevano che avrei dovuto chiedere scusa. Per cosa, poi. Per l’etica calcolata che qualcuno non può permettersi di farsi sporcare.

Ho scritto un romanzo perché è il mio lavoro, quello che non ho mai avuto il tempo di fare. Raccontare l’ordinarietà di vite quotidiane che si ritrovano comunque, senza fari e senza microfoni sotto la bocca, ad avere l’occasione di essere giusti. Lasciare perdere gli eroi usati come soprammobili e scendere nell’umanità, quella di giorno e lavoro e sudore e contesto e salsa, andare lì dove c’è una poesia, un libro o uno spettacolo che è rimasto incastrato nei meccanismi quotidiani. Avrei voluto avere il coraggio di fottermene già dieci anni fa, raccontare le battaglie degli altri piuttosto che difendere la mia dagli stupidi, perché è lì la bellezza, tra le cose che scavalchiamo per noia e per disattenzione.

Sono in ritardo di dieci anni. Ma ci sono tutti i miei anni dentro.

Ci aveva anche provato, Michele

“…Ci aveva anche provato, Michele, a spiegare al Nonno che tra l’essere improvvido e omertoso c’è una linea che è fin troppo sottile (non aveva usato la parola omertoso, certo, altrimenti il Nonno sarebbe andato alle scintille) e gli aveva anche detto che non sapere è una soluzione e non concede opportunità, ma il Nonno non sentiva e non sente; bisogna essere responsabili verso le persone che si amano, dice, e così il discorso è chiuso”.

(tratto dal tredicesimo capitolo del libro Mio padre in una scatola da scarpe, che esce il 17 settembre)

CAVALLI