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Niente quorum ma Orbàn resta

1300. Milletrecento rifugiati sono lo scoglio politico su cui Orbàn sta costruendo la proprio credibilità politica come nazionalista à la page in un’Europa che mette i brividi tutti i giorni, anche solo sfogliando i giornali. Milletrecento, per intendersi, è un numero infinitamente inferiore ad esempio agli ungheresi criminali ancora impuniti, agli evasori fiscali, ai colpevoli di omicidio o ai truffatori, agli evasori fiscali, ai ladri, ai pedofili o agli stupratori. Su una popolazione totale di quasi dieci milioni di ungheresi milletrecento persone sono l’assembramento fuori da un supermercato per qualche offerta promozionale.

Eppure su quello sparuto numero (di bisognosi) un mediocre politico come Orbàn è riuscito a fare leva per essere su tutti i giornali del mondo. Gli è bastato poco: se soffi sulla paura alla fine si perdono le dimensioni e anche gli stronzi si notano a pelo d’acqua. Così Orbàn, ne siamo certi, alla fine sarà ben fiero di avere convinto il 43,23% degli aventi diritto a prendersi la briga di votare per accreditare il suo delirio e il 95% dei votanti addirittura per dargli ragione.

Orbàn ha perso il referendum, è vero, ma del referendum se ne strafotte. A quei livelli di manipolazione della paura e di prostituzione intellettuale non ci si ferma di fronte a una consultazione andata male (per altro così poco male) e i votanti sono comunque un ottimo volano per continuare. Anche l’Ungheria entra di gran lena nel mazzo dei Paesi che rovistano nella spazzatura degli istinti umani. Questo è il punto vero. E, ancora una volta, l’Europa appare come una maestrina sciatta che non è più credibile nemmeno per gli alunni più tranquilli seduti in prima fila.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Per stare nel merito: un’analisi della scheda referendaria

Gran pezzo di Enzo Palumbo (qui):

In questi giorni stiamo assistendo a vivaci polemiche in ordine al quesito che si presume possa comparire sulle schede del referendum prossimo venturo, traendo inevitabile spunto dallo spot pubblicitario del Presidente del Consiglio nel corso dello scontro televisivo su La7 con Marco Travaglio, allorché ha mostrato in TV il fac-simile della scheda da lui immaginata per il referendum costituzionale, il cui decreto d’indizione, in quel momento, non era stato ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, sulla quale sarebbe comparso solo il giorno dopo.

Per propinare ai telespettatori, con una sorta di messaggio subliminale, la sua lettura della “deforma” costituzionale, Renzi ha enfatizzato il testo della scheda referendaria, che pedissequamente riporta l’intitolazione del ddl costituzionale, che recita: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione“.

Intitolazione, è appena il caso di dirlo, è passata in parlamento senza che le opposizioni, che non se n’erano accorte, facessero una piega, non avendo ben compreso di quanta e lungimirante furbizia fosse capace il premier.

Tuttavia, siccome tra furbizie legislative, immaginario televisivo e realtà giuridica c’è sempre qualche differenza, ci è sembrato il caso di fare qualche verifica, per vedere come stanno effettivamente le cose sulla base della legge che regola il referendum.

In proposito, l’art. 4 della L. 352-1970 recita testualmente: “La richiesta di referendum di cui all’art. 138 della Costituzione deve contenere l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata”.

A questo punto l’Ufficio costituito presso la Corte di Cassazione, nel predisporre il modello di verbale per le richieste referendarie, ha tralaticiamente riprodotto l’intera intitolazione del ddlapprovato dalle Camere.

Per la verità, avrebbe anche potuto farne a meno, e i richiedenti il referendum, che pure avrebbero potuto accorgersi della tendenziosità di quel richiamo, nulla hanno eccepito; e tuttavia, almeno sino a quel punto, nulla quaestio, perché il verbale con cui è stato richiesto il referendum è atto che riguarda esclusivamente quei richiedenti, e non si riverbera necessariamente sul corpo elettorale, non essendo scritto da nessuna parte che il testo del quesito debba necessariamente essere riprodotto sulla scheda di votazione.

Infatti, l’art. 16 della legge 352-1970, non richiama il precedente articolo 4, e non ne riproduce la dizione, ma stabilisce che la formula destinata a finire sulla scheda deve avere il seguente testo: “Approvate il testo della legge di revisione degli articoli ……….. della Costituzione, concernenti ……….., approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 88 del 15 aprile 2016 ?».

Sono evidenti le differenze tra le due tipologie di nuova normativa costituzionale (revisione della Costituzione e altre leggi elettorali), e tra la le due norme che rispettivamente regolano la richiesta e la scheda referendaria.

Per fermarci qui solo a quest’ultimo aspetto, mentre la richiesta referendaria deve contenere, tra l’altro, “l’indicazione della legge di revisione”, e qui ci può anche stare il riferimento alla titolazione del ddl, la scheda referendaria deve invece contenere l’elencazione “degli articoli” revisionati e di ciò che essi “concernono”, vale a dire della materia effettivamente revisionata.

E, se la specifica indicazione di tutti i 47 articoli toccati dalla riforma risultasse eccessivamente lunga e farraginosa per una scheda referendaria, si potrebbe, pur con qualche forzatura, limitare il riferimento ai soli Titoli della Costituzione interessati dalla riforma.

Illuminante in proposito è il confronto con la formulazione, sobria e neutrale, del quesito relativo alla riforma del 2006, che semplicemente recitava: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2006?”.

Anche allora si riduceva il numero dei parlamentari (518 deputati, 252 senatori) mantenendone però l’elezione diretta; e anche allora il bicameralismo da paritario diveniva differenziato, tuttavia restando equilibrato allorché consentiva a ciascuna camera di potere riesaminare le leggi di competenza dell’altra; e anche allora il rapporto fiduciario col governo era riservato alla Camera, che, eletta sulla base della coeva legge 270-2005 (il c. d. porcellum) finiva per introdurre ilpremierato, senza tuttavia i furbeschi sotterfugi della riforma del 2016, che tende invece a introdurlo egualmente, ma senza dirlo.

E comunque, in quel caso, il quesito comparso sulla scheda referendaria non suscitò alcun problema, anche se riproduceva il titolo del ddl riformatore, sulla considerazione che esso era assolutamente neutro e faceva riferimento all’intera Parte II della Costituzione.

Insomma, una riforma, quella del 2006, sbagliata, ma che almeno appariva chiara negli intenti e nel modo di proporsi, senza alcun riferimento a capziose formulazioni, buone per captare la benevolenza degli elettori.

Quella di oggi, anch’essa sbagliata nel merito, porta con sé l’aggravante di una presentazione sotto mentite spoglie, attraverso un’intitolazione che affastella cose diverse: a) alcune vere (riduzione del numero dei parlamentari, soppressione del CNEL, revisione del titolo V);b) altre parzialmente vere o parzialmente false, che è poi la stessa cosa (superamento del bicameralismo paritario);c) e infine una cosa assolutamente generica e fuori posto (contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni), che non dovrebbe proprio starci perché non “concerne” alcuna specifica norma della Costituzione, mentre l’irrisorio contenimento dei costi  sarebbe solo la conseguenza delle altre titolazioni (circa 40 mln. dalla riduzione del numero dei senatori, e circa 9 ml. dall’abolizione del CNEL).

Se la scheda referendaria recasse effettivamente il capzioso quesito che è stato preannunziato e che è poi stato inserito nel DPR pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, essa veicolerebbe nell’opinione pubblica un messaggio tendenzioso e demagogico, politicamente anche volgare, al solo scopo di vellicare le pulsioni populistiche che si aggirano nel Paese e raccattare qualche voto in più speculando sulla (presunta) credulità dei cittadini.

Correttezza istituzionale vorrebbe che il quesito che comparirà sulla scheda referendaria, se si vuole semplificare, faccia esclusivo riferimentoai soli Titoli (I°, II°, III°, V° e VI°) interessati dalla riforma, con relative norme finali e transitorie.

E, se invece si riterrà di dovere entrare nel dettaglio (come richiede la legge),si dovranno citare anche tutti gli articoli revisionati, alcuni dei quali particolarmente rilevanti e invece neppure menzionati nel titolo del ddl.

E’ il caso del referendum propositivo (la cui regolamentazione è però demandata a una futura legge costituzionale), e delle proposte di legge d’iniziativa popolare (le cui firme vengono triplicate, mentre la loro effettiva trattazione viene rinviata ai futuri regolamenti parlamentari); in entrambi i casi, modifiche di là da venire.

Ma è anche il caso di altre modifiche ben più rilevanti e d’immediata attuazione, come quelle riguardanti le modalità di elezione del Presidente della Repubblica e dei cinque membri della Corte Costituzionale di derivazione parlamentare, che sono state invece taciute per evitare d’ingenerare contrarietà nell’opinione pubblica.

Insomma, nella titolazione del ddl di riforma c’è qualcosa che non doveva esserci, e manca invece qualcosa che doveva starci; sin qui, poco male, ma ciò che è inammissibile è che si utilizzi quellatendenziosa titolazione per ingannare gli elettori.

Su Elena Ferrante

E questo perseverare nel tentativo di smascherare il suo anonimato vale la pena leggere Davide Coppo:

«Le ingiustizie e la violenza hanno diverse gradazioni e possono assumere temperature diverse, tuttavia è possibile dividerle in gruppi e farne un elenco. L’ossessione investigativa con cui un giornalista sceglie di violare un diritto legittimo come quello alla privacy è così diversa dall’atto con cui vengono pubblicate fotografie rubate dall’archivio iCloud di un’attrice, o un attore? Certo, l’intensità della violenza, su una scala Richter della violazione, è diversa, e un terremoto da due gradi lascia meno morti, meno feriti di uno da otto. Ma un terremoto è un terremoto.

Poi, sì, mi sono anche detto: per un quotidiano o una rivista è difficile dire di no a un pezzo simile, che promette di rivelare chi è Elena Ferrante, e lo capisco. E sarebbe ingenuo non pensare che il successo di Elena Ferrante è in parte dipendente dal mistero della sua identità, ed è naturale la volontà di svelarla. Ma tutte le cose naturali sono buone? Tutti gli istinti sono giustificabili? E se il successo di una scrittrice si basa sull’anonimato, perché non porsi il sospetto, prima di agire, che la distruzione dell’anonimato possa condurre alla distruzione del successo?

Ma non riesco a non pensare alla giustificazione di Gatti, ovvero il diritto di violare la privacy perché “Elena Ferrante” ha ammesso di non trovare peccaminoso il mentire. E la mancanza di un fine: in cosa si distingue l’atto di Gatti da quello di un paparazzo? È utile alla comunità di lettori sapere che Elena Ferrante si chiama in un altro modo, e vive a Roma, e ha origini napoletane e discendenza ebraica? È utile alla comunità di amanti del cinema vedere fotografie di Jennifer Aniston in costume da bagno alle Barbados? La risposta è la stessa.

Se fosse per Kundera, ci andrebbe pure più pesante, forse esagerando, forse no: “È una vecchia utopia rivoluzionaria, fascista o comunista, quella di una vita senza segreti”».

L’articolo è qui.

#CzarnyProtest perché ce ne dobbiamo interessare

Come scrive Martino qui:

«Oggi le donne polacche scioperano contro il loro governo e contro un disegno di legge, attualmente in fase di revisione da parte delle commissioni parlamentari, che quasi cancella il loro già limitato diritto all’aborto. avrebbe permesso solo l’aborto per salvare la vita di una madre, anche se la legge attuale è già tra le più restrittive in Europa. uso dei medici di una “clausola di coscienza” per scegliere di eseguire un aborto ha già messo fuori dalla portata di molte donne polacche. La proposta di legge eliminerebbe l’accesso all’interruzione di gravidanza anche per le vittime di stupro o incesto. E minaccia le donne che abortire con un’indagine, perché rende causando la morte di un “bambino concepito” punibile con una pena detentiva. Questa disposizione è anche probabile che spaventare i pochi medici ancora disposti a fornire aborti.

Ma la proposta di legge eliminerebbe l’accesso anche per le vittime di stupro o incesto. Peggio ancora, se possibile, è la minaccia alle donne che hanno un aborto spontaneo di venire indagate perché possibilmente sospette di aver causato la morte di un “bambino concepito”, reato punibile con il carcere. La legge farà in modo di ridurre ulteriormente il numero di medici non obiettori ancora disponibili per le donne che decidono di abortire. Il testo di legge è il frutto di una petizione firmata da 450mila persone promossa dall’organizzazione Ordo Iuris e sostenuta dalla chiesa cattolica locale. L’unica ragione tollerata dalla legge per consentire l’aborto è il grave pericolo per la vita della donna.»

E se è vero che accade in Polonia (che non è così lontana ed è Europa) e altresì vero che anche qui, anche nel nostro Parlamento, ultimamente sono molti i vagiti di restaurazione di un’epoca che sembra avere voglia di tornare indietro. Vale la pena interessarsene. Davvero.

Eschilo e i mercanti. L’obiettivo è limitare gli studi classici solo ai ricchi.

Una riflessione di Tiziana Drago:

«Tutte le volte che negli studi di antichità si fanno sentire esigenze di rinnovamento, tanto più è necessario, se non si vuole costruire sulla sabbia, mantenere l’esercizio del “mestiere”». D’altra parte, «senza il possesso della deprecata »tecnica» l’interesse storico rimane velleitario». Così un filologo materialista e «leopardiano» come Timpanaro prendeva posizione, negli anni ’70, contro l’eclettica disponibilità con cui la filologia inglobava i nuovi strumenti strutturalistici e antropologici, spesso in nome di malcelate «civetterie interdisciplinari».

Oggi, nel contesto duro e inasprito del declino italiano, in cui il diritto alla formazione è diventato un costo non più sostenibile, l’ipocrisia dilagante ammanta di ragionevolezza l’attacco portato al cuore delle discipline classiche sotto forma di auspicata amputazione della lingua greca e latina. L’argomentazione si sposta di volta in volta dall’ambito statistico (il calo di iscrizioni al liceo classico) a quello economico (i saperi improduttivi, la spesa senza ritorno immediato) a quello sociologico in versione falsamente egualitaria (gli studi classici come sacca di privilegio: è l’argomento di detrattori di comprovato egualitarismo quali Vespa, Ichino, Berlinguer).

L’amorevole premura di preservare i più giovani dalla innegabile difficoltà di interpretare un testo antico è un regalo avvelenato che cela molti degli inquietanti propositi di trasformazione della scuola e dell’università che sono nell’aria e la volontà di sanzionare la colpevole distanza dal mercato dei saperi teorici. Tanto più autoritario questo intendimento, in un curioso connubio di liberismo selvaggio e controllo dei destini individuali e collettivi, quando nega la possibilità di studiare le lingue antiche nelle loro sfumature all’interno dell’unico curriculum scolastico pubblico in cui questo è ancora consentito. Quando questo progetto sarà compiuto, chi può avrà a disposizione il college privato in cui studiare a dovere le lingue classiche e chi annaspa capirà senza equivoci che il liceo classico è roba da ricchi e dovrà accontentarsi di qualche briciola di cultura dell’antico.

Racconta Franz Mehring che Karl Marx «ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale, restò sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal tempio con la verga quelle meschine anime di mercanti che volevano togliere agli operai l’interesse per la cultura antica».

Però essere fieri di non saper comunicare no. Questo no.

Parto dal confronto di ieri tra Renzi e Zagrebelsky ma non è di riforma che vorrei parlare ora, piuttosto del tono dei commenti che piovono il giorno successivo e mi piacerebbe farlo (e discuterne) cercando di non turbare gli animi a sinistra. Se succede va bene lo stesso.

Ancora un volta colgo una reazione bifronte dopo un confronto con Matteo Renzi: c’è che si dice deluso per come l’oppositore sia stato “schiacciato” dal punto di vista televisivo e, insieme, chi invece rivendica orgoglioso proprio questa disabitudine ai modi della comunicazione più contemporanea: in pratica quando qualcuno si permette di dire che Zagrebelsky forse non sia proprio la persona giusta da contrapporre al premier in una trasmissione come quella di Mentana (e praticamente tutta la nostra televisione) viene assalito da chi invece ci vorrebbe convincere che essere poco avvezzi alla televisione sia un vanto. “Preferisco un professore poco comprensibile a un venditore di pentole.” Beh, scusate, io no. Io no.

Non sono appassionato ai venditori di pentole ma credo che l’abilità comunicativa non sia un vizio di per sé condannabile. Non sopporto le strumentalizzazioni, le bugie, l’irrisione delle parti opposte, la truffa sulle cifre, la banalizzazione, il capovolgimento della realtà e tutto il resto ma trovo stupido e controproducente accusare le capacità comunicative di qualcuno. Anzi, di più, sono molto dispiaciuto che qualcuno abbia potuto pensare che Zagrebelsky possa essere efficace in un campo che non è il suo e mi chiedo quando (e chi) abbiamo deciso che sia necessario essere stinti e pallosi e grigi per essere autentici? Perché io, se posso, non sono d’accordo. Ma proprio per niente. Perché la sinistra storicamente ha avuto leader che sono stati molto pop (ne senso etico del termine, mica quello neo melodico) tra gli stessi strati sociali che oggi mi pare che qualcuno dall’alto giudichi con uno stesso snobismo. Perché a me,  perdonatemi, interessa arrivare a tutti, almeno avere la soddisfazione di sapere se sono o no d’accordo con le mie posizioni; non mi accontento di avere una luccicante minoranza di menti eccelse che sono d’accordo con me. No.

Tutto questo mi ricorda alcune esperienze giovanili quando ci si ritrovava a partecipare a spettacoli di solidarietà o sensibilizzazione (a gratis) insieme a nomi anche molto popolari incappando in organizzazioni che sembravano volutamente sciatte. «Ma perché non avete preso un palco più funzionale?» chiedevo, e mi si rispondeva che non si poteva rischiare di sembrare berlusconiano. Come se il bello (e il funzionale, anche in televisione) fosse un tradimento.

Ecco io questa sinistra che oggi si fregia di comunicare peggio del Comitato del sì, proprio non la capisco. E non la condivido. Proprio no.

Il Bomba

Ancora. Ieri Renzi ha ancora detto che con il Sì al referendum si risparmierebbero 500 milioni di euro.

E invece la Ragioneria di stato (la ragioneria di stato, eh) l’ha scritto nero su bianco che il risparmio è di 49 milioni di euro. Per aiutare gli indecisi ecco il documento qui sotto:

Scriveva Leonardo Da Vinci: «La talpa ha li occhi molto piccoli e sempre sta sotto terra, e tanto vive quanto essa sta occulta, e, come viene alla luce, subito more perché si fa nota. Così la bugia».

La sete siriana

Bevono dalle pozzanghere. Nei crateri delle bombe improvvisano piscine di acqua e melma. E sono bambini.

Tutti gli ingredienti per una spendibile commozione universale e invece niente. Ogni tanto abbiamo una pietà che ci si incaglia per motivi oscuri. Basterebbe trovare quella leva, quel filo impigliato, per fare la rivoluzione

Quella vera.

Gli abusi sugli uomini

Un gran pezzo di Igiaba Scego:

Nell’ottobre del 2011 una ragazza di 19 anni, Grace Brown, ha un’intuizione. Grace studia fotografia e le piace uscire con gli amici. È giovane, allegra, disinvolta e ha tutta la vita davanti a sé. Una sera, un sabato sera come un altro, un’amica le racconta qualcosa a cui non era preparata. Le racconta di un’aggressione sessuale che ha subìto. Grace Brown ascolta con attenzione il racconto dell’amica.

Purtroppo non è la prima volta che le capita di ascoltare la storia di un’aggressione. Ma ogni volta si stupisce. Non si sente preparata. Ogni volta è totalmente spaesata nell’udire un racconto così terribile e intimo insieme. Grace Brown si rende subito conto ascoltando l’amica che la sua brutta esperienza non è un caso isolato e che succede ogni giorno a tante, troppe persone. La sera finisce, il sabato diventa già domenica, e Grace va a dormire. Ma la storia della sua amica non l’abbandona. Succede a troppe persone, troppe persone, troppe…

Ed ecco che quel pensiero quasi ossessivo di Grace, condito da rabbia e voglia di cambiare il mondo, partorisce Project unbreakable, ovvero come – attraverso la fotografia – dare spazio e voce a chi ha subìto aggressioni sessuali, violenza domestica, abusi di vario genere.

All’inizio per Grace non è facile convincere le persone a esporsi. Ma poi con il tempo tutto è diventato molto naturale. Donne e uomini hanno cominciato ad aprirsi con lei: oltre a metterci la faccia, tutti e tutte hanno aggiunto una frase legata a quel momento di violazione profonda. E la frase, riportata su cartelloni neutri con pennarelli neri o blu, spesso era quella detta da chi aveva commesso un abuso sul loro corpo. Le frasi del carnefice.

Da Project unbreakable: “Nessuno ti amerà, nessuno si occuperà di te, ora sei guasto” – Il mio aggressore. - Tumblr

Da Project unbreakable: “Nessuno ti amerà, nessuno si occuperà di te, ora sei guasto” – Il mio aggressore. (Tumblr)

Le foto sono molto potenti nella loro semplicità. La persona guarda senza paura dritto dentro l’obiettivo, rivendica il suo essere persona, la sua umanità ferita, umiliata, vilipesa, ma non vinta o almeno non del tutto sconfitta. C’è forza in queste giovani donne e in questi giovani uomini. Forza nella loro postura, nel loro modo di sfidare l’ipocrisia latente che un tempo avrebbe costretto persone in questa situazione al silenzio.

Loro parlano. I loro corpi parlano. Non c’è solo indignazione o rabbia. C’è voglia di andare oltre, oltre se stessi e il mondo che non li sta ancora capendo.

Le violenze su uomini e ragazzi sono sempre esistite. Solo che non ne parliamo quasi mai. La sola idea ci disturba, ci disorienta

Personalmente sono stata colpita dalle foto dei ragazzi. Soprattutto di due di loro, di Montclair, nel New Jersey. Con candore e un atteggiamento di sfida affrontano non solo la violenza, ma anche il tabù che non vuole vedere dei “maschi” vittime di violenza sessuale.

“Non volevo ferirti”, c’è scritto in un cartello, “Sei così bello”, dice l’altro cartello e il ragazzo aggiunge in basso, con una scritta più piccola (e chissà quanto gli sia costata quell’aggiunta) “dopo averlo fatto”. Frasi inquietanti. Frasi che fanno male. Frasi apparentemente normali, dette da chi stava umiliando i loro corpi. Eccoli i due giovani del New Jersey che con coraggio si offrono all’obiettivo amico di Grace. Due giovani uomini si denudano davanti a noi di un ruolo, quello dell’uomo forte che non si spezza mai, che la società gli ha cucito addosso. Due ragazzi del New Jersey rompono un silenzio durato secoli.

Le violenze sugli uomini e sui ragazzi sono sempre esistite purtroppo. Solo che non ne parliamo quasi mai. La sola idea ci disturba, ci disorienta. C’è un velo spesso che copre tutto questo. Ed è così che chi è vittima non solo non trova giustizia, ma non ha la possibilità di fare un percorso che lo aiuti a elaborare il dramma che ha vissuto.

Chi era il padre di Edipo?
La prima volta che mi sono resa conto che anche gli uomini subivano violenza ero nella primissima adolescenza e mi trovavo in una biblioteca comunale. Avevo visto dei film sul carcere, ma non li avevo messi davvero a fuoco. Poi c’è stata la biblioteca e un vecchio libro sbrindellato dalla copertina rigida, una copertina marrone mi pare. Il libro era un compendio sugli dèi, gli eroi, i comprimari della mitologia greca. Io adoravo soprattutto la storia di Giasone e il vello d’oro. Ma devo dire che le avventure di Minerva e Diana non erano affatto male.

Erano strani dèi quelli dell’Olimpo greco. Irosi, egoisti, tutti presi dalle loro pulsioni primarie. Alcuni poi erano proprio antipatici, a dir la verità. La storia che più mi inquietava era quella di Edipo. Anche chi non conosce a fondo quei miti conosce Edipo, forse per la famosa sindrome legata al suo nome. Il suo, di fatto, era un destino infame: uccidere il padre e giacere con la madre. Difficile dimenticarlo.

Ma del padre ucciso, che si era attirato l’ira degli dèi, sapevo/sappiamo qualcosa?

È in quel libro marrone che scoprii, con sgomento, che Laio, ovvero il padre del futuro Edipo, trasgredendo a ogni regola di ospitalità, amicizia e onore, rapisce e abusa del giovane figlio del suo ospite Pelope. Crisippo, questo il nome del ragazzo, in alcune versioni è un adolescente, in altre (quella di Euripide per l’esattezza) un bambino. Sta di fatto che questa storia terribile fu lo svelamento di un’autentico buco nero di cui non sospettavo l’esistenza.

Succede anche a loro, pensai. E questo pensiero mi addolorò.

Con il tempo ho imparato che intorno alla violenza sugli uomini circolano numerosi miti, e molte associazioni che tutelano le vittime fanno fatica a sfatarli. Nella vulgata corrente molti ritengono che gli uomini non possono essere vittime di abuso e se lo sono devono essere gay o trans. Sbagliato. Gli uomini, a prescindere dal loro orientamento sessuale, possono essere vittime di abuso o violenza. L’uomo può diventare vittima a qualsiasi età, può avere qualsiasi aspetto, essere di qualsiasi colore, può essere etereo, gay, transgender, avere dimensioni corporee di qualsiasi tipo.

Da Project unbreakable: “Sei gay. Questo dovrebbe piacerti “. Uno dei miei migliori amici, prima di picchiarmi con un cavo elettrico per farmi stare fermo. Io avevo 13 anni, lui 14. Una settimana prima gli avevo detto di essere gay. - Tumblr

Da Project unbreakable: “Sei gay. Questo dovrebbe piacerti “. Uno dei miei migliori amici, prima di picchiarmi con un cavo elettrico per farmi stare fermo. Io avevo 13 anni, lui 14. Una settimana prima gli avevo detto di essere gay. (Tumblr)

È sbagliato pensare che l’uomo sia protetto dal solo fatto di essere uomo, non è detto che un uomo possa difendersi da un’aggressione. Inoltre, al pari delle donne, gli uomini possono essere manipolati psicologicamente durante la violenza. Possono avere un’erezione o una eiaculazione del tutto meccanica, a volte anche un orgasmo, ma questo non significa che lo abbiano voluto o peggio che abbiano cercato la loro tortura. Inoltre ci sono varie forme di abuso e gli uomini oltre a essere vittime di altri uomini sono anche vittime delle donne.

In quasi tutto il mondo sono in aumento le denunce. Anche perché ci sono state numerose campagne per rompere il silenzio su queste aggressioni. Basti pensare all’associazione Survivors Manchester che ha lottato per far includere gli uomini vittime di abusi come beneficiari dei fondi destinati dal governo britannico alla violenza di genere. La campagna Break the silence mette a disposizione degli utenti una guida prodotta e scritta da uomini che hanno avuto queste esperienze e che vogliono condividere non solo le loro storie di dolore, ma vogliono dare una guida pratica sugli aspetti legali e medici della situazione che hanno dovuto vivere. Nella guida vengono decostruite parole come colpa o vergogna, amore e violenza.

(continua su Internazionale qui)

Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975.

«Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto. Nell’estate del 2001 mi telefonò dal Pakistan il mio amico Rahim Khan. Mi chiese di andarlo a trovare. In piedi in cucina, il ricevitore attaccato all’orecchio, sapevo che in linea non c’era solo Rahim Khan. C’era anche il mio passato di peccati non espiati. Dopo la telefonata andai a fare una passeggiata intorno al lago Spreckels. Il sole scintillava sull’acqua, dove dozzine di barche in miniatura navigavano sospinte da una brezza frizzante. In cielo due aquiloni rossi con lunghe code azzurre volavano sopra i mulini a vento, fianco a fianco, come occhi che osservassero dall’alto San Francisco, la mia città ‘adozione. Improvvisamente sentii la voce di Hassan che mi sussurrava: Per te farei qualsiasi cosa. Hassan, il cacciatore di aquiloni.»
(Khaled Hosseini da Il cacciatore di aquiloni)