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Se lo dice anche Travaglio

Nel primo editoriale, intitolato “Autoscacco a 5 Stelle”, Travaglio ha scritto quello che secondo lui, Crimi e Lombardi avrebbero dovuto fare da Napolitano per uscirne “vincitori”:

Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane).

Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.

Nel secondo editoriale, intitolato “Con scappellamento a destra”, Travaglio spiega che l’autogol dei grillini ha spinto a una soluzione “non-soluzione”, paragonando il ricorso ai saggi alla Restaurazione e alla Bicamerale dei tempi di D’Alema.

L’altroieri M5S aveva un rigore a porta vuota: l’ha tirato in tribuna. E, con la partecipazione straordinaria di Napolitano e Bersani, ha perso un’occasione unica di spingere l’Italia verso un po’ di futuro. Ieri le lancette della politica hanno ripreso a camminare a ritroso verso il peggiore passato

Se questi sono saggi, i fessi dove sono? Eppure piacciono a tutti. Anche ai 5Stelle, gli unici esclusi dalla spartizione quirinalesca, gli unici ignari della vera natura della bi-Bicamerale: una stanza degli orrori per rimettere in pista B. e patteggiare alle nostre spalle, una siringa di anestetico per infilarci la supposta dell’inciucio senza che ce ne accorgiamo.

La lettura è come il maiale

No, consigli non ne do proprio, se non uno: leggere, leggere, leggere. La lettura è come un salvadanaio, oppure come il maiale. Il salvadanaio, se lo riempi, al momento di romperlo ci trovi dentro qualcosa. Ugualmente il maiale, se lo tratti bene, quando lo ammazzi è buono. Purtroppo oggi si legge pochissimo. Addirittura chiudono le biblioteche per mancanza di fondi. Certo, parlo bene io, che leggo per passione e divertimento mentre per altri, magari, è una fatica, tempo rubato alla vita. Però questo è l’unico consiglio che mi sento di dare.

(Francesco Guccini intervistato da Fabio Marchioni)

Carlo Cosco che voleva bene alla figlia e la voleva ammazzare

Carlo-CoscoCarlo Cosco, dopo avere ammazzato la moglie Lea Garofalo (ex testimone di giustizia, la conoscono tutti quelli che seguono questo piccolo blog) qualche giorno fa si è immolato in una patetica richiesta di perdono alla figlia Denise. Ci si chiedeva, appunto, se fosse una vera illuminazione o una bieca strategia processuale, soprattutto conoscendo l’inumanità del soggetto e le diverse “piazzate” durante il processo di primo grado.

Oggi Carmine Venturino (condannato anche lui all’ergastolo ed ex fidanzato di Denise al soldo della cosca) in Aula ha dichiarato:

“Dovevamo ammazzare anche Denise secondo Carlo Cosco”

Ora mi mancano le parole per descrivere un assassino bugiardo, falso, violento, criminale e così arrogante. La parola “padre” si mette una mano sugli occhi per la vergogna, vicino a Carlo Cosco.

Quel magistrato antimafia deve morire

Mentre si scrivono fiumi di parole  su D’Alema e Renzi e sulla simpatia della capogruppo Lombardi a Palermo un altro magistrato subisce minacce:

Al palazzo di giustizia di Palermo l’allerta è al massimo livello, come non accadeva da anni. A preoccupare non è solo l’ultima lettera anonima che nei giorni scorsi ha annunciato un attentato contro il pm Nino Di Matteo. Ci sono anche due intercettazioni in carcere, effettuate dalla squadra mobile, a rendere incadescente il clima attorno ai magistrati del pool antimafia: sono dialoghi fra i boss e i loro familiari, che svelano senza mezzi termini la collera di Cosa nostra contro uno dei protagonisti dell’ultima stagione di arresti. E’ il sostituto procuratore Francesco Del Bene.
A febbraio, un capomafia della Noce, intercettato, si è sfogato con un familiare: “Quel Del Bene è troppo zelante, deve buttare il sangue, deve morire”. Un mese dopo, anche un boss dello Zen ha affidato un altro messaggio inquietante a un parente: “Quel pm è sempre presente in aula, sta rompendo…”. Così, attraverso familiari e parenti, gli sfoghi degli ultimi padrini finiti in cella sono arrivati fuori. Ecco perché al palazzo di giustizia c’è preoccupazione. Le due intercettazioni sono state oggetto di una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza presieduta dal prefetto. E la sorveglianza attorno a Francesco Del Bene, affidata ai carabinieri, è stata intensificata.

Io spero che qualcuno al governo oggi si stia rendendo conto della crescente aria di intimidazioni su Palermo e di cos’è successo in questo Paese quando Cosa Nostra ha ingrossato la voce durante “vuoti” istituzionale. Me lo auguro davvero.

 

Non c’è sinistra con l’ombra di Berlusconi

C’è un odore strano nell’aria. Non so se si sente anche dalle vostre parti ma qui comincia ad essere fastidioso e onnipresente: è l’odore marcio della “normalizzazione”, quel fine gioco delle parti una volta ostili (ostili, si fa per dire, per qualcuno di qualche parte) che ora tentano un ricongiungimento sotto traccia. Ci vogliono fare passare per “igienici” questi due cani che si annusano il culo anche se ogni tanto ringhiano in favore di telecamera: Cicchitto propone Violante per la Presidenza della Repubblica, Brunetta parla di un accordo “responsabile” che s’ha da fare e addirittura Berlusconi si consuma in elogi per Bersani mentre D’Alema (come sempre) rimane in auge come “pontiere” tra passato che non vuole passare e un futuro che continua ad assomigliare a se stesso.

Io vorrei essere chiaro e che ci fosse l’onestà intellettuale per dirsi che non esiste un progetto rinnovatore della sinistra (o da sinistra) che possa tollerare una larga intesa non potabile come questa. Vorrei che non succedesse anche a noi di credere che in nome di “una nuova sinistra di Governo” che l’accordo largo sia un passaggio inevitabile con il solito machiavellismo tutto italiano di credere che sia il fine ad interessarci e non i mezzi.
Dovremmo chiederci perché abbiamo perso la capacità di “stare in mare aperto” deludendo i pezzi di società civile che hanno la sensazione che SEL abbia rallentato (i più ottimisti) o si sia arenato. Perché volare in alto significa essere leggibili e coerenti, e i due ingredienti hanno bisogno di una mescola che sia di spessore politico per evitare che sembrino specchietti non compatibili tra lror e esibiti di volta in volta per colmare le lacune del consenso. Uno alla volta.

Perché c’è una parte di elettorato “extraparlamentare” che è “nostro” ma non ci ha votato perché ha avuto dubbi sulla nostra tenuta nella parte dei coerenti “scassaminchia”, e l’elezione del Presidente della Repubblica è il primo, fondamentale, bivio per dimostrarci all’altezza.
Perché voglio essere chiaro: non c’è un progetto serio di sinistra nemmeno con un alito in comune con Silvio Berlusconi e la sua storia politica e personale.

La partita delle commissioni e dei compagni poliformi

Dunque il PD ha fermato la costituzione delle commissioni. Ed è una grande occasione persa non solo per il partito di Bersani ma per tutto il centrosinistra, SEL incluso, di uscire dalla bolla di niente che continua a permettere al Movimento 5 Stelle di giocare di sponda senza nemmeno fare un’azione (odio le metafore calcistiche, giuro, ma questa mi ricorda tanto i tempi dell’oratorio quando alcuni scarsi ma furbi fingevano di nascondere un enorme talento e venivano creduti dai sognatori per indole).

E’ un peccato perché la posizione espressa a maggioranza è il contrario di quella interpretata dai piddini che per indole sentiamo più vicini (basta leggere Pippo per rendersi conto della “convergenza evidente”) ma soprattutto perché rinvia (un’altra volta e sempre più vicini all’essere troppo tardi) il confronto strettamente “politico”. Questo gioco strisciante di additare Bersani come il colpevole del ritardo della formazione del Governo rimanendone fuori.

E’ il momento di uscire dalla politica fatta sui giornali, sulle televisioni e con le interviste incrociate e ricominciare a costringere i deputati (quelli più o meno telecomandati) a votare sui temi e le commissioni sono il recinto migliore per l’esercizio del confronto che qui una volta chiamavano democrazia.

Saremmo confortati dalle incompatibilità evidenti tra il nostro programma e quello del solito Berlusconi, saremmo portatori (come siamo) di idee che Grillo spaccia per nuove e invece giacciono da anni in cerca di una maggioranza e finalmente saremmo chiari: chiari nelle parole, nelle scelte, nei voti, nei sì o nei no.

SEL (la SEL che in molti vogliamo) ha già scelto di chiedere l’insediamento delle commissioni, ora può misurare il proprio peso con il poliforme alleato democratico. Perché per essere un buon “pontiere” con il M5S (lo leggo dappertutto in questi giorni) bisogna prenderesi la responsabilità di smettere di essere pompiere con gli alleati e costringerli piuttosto ad un “incendio” di discontinuità. Siamo lì per questo, no?

L’Era Alemanna: il conto alla rovescia

coverAlemannaBNScrivere un libro che è anche un contenitore di progetti diversi. E’ la sfida (vinta) di Pietro Orsatti che esce tra poco con “L’Era Alemanna”.

Esce il 25 aprile, e non è un caso, L’Era Alemanna, un ebook scritto da Pietro Orsatti e edito dalla testata I Siciliani – giovani http://www.isiciliani.it (ne avete letto qui sul blog) che si ispira a quel mensile fondato e diretto nei primi anni ’80 da Giuseppe Fava. Un ebook che racconta il degrado dei 5 anni della peggiore amministrazione che abbia mai avuto la capitale: quella guidata dal sindaco Gianni Alemanno.

Esce a un mese dalle elezioni amministrative, come contributo al dibattito e narrazione di quello che ha vissuto la città. E anche per sostenere il progetto de I Siciliani – giovani. Perché il progetto della testata è anche quello di riportare in edicola e in libreria un prodotto collettivo rigorosamente eretico e che vuole investire sul lavoro e la creatività dei tanti giovani che vi hanno aderito.

Ne diamo l’annuncio anticipatamente anche perché intendiamo promuovere a Roma una serie di incontri e presentazioni per aprire un dibattito vero su quello che sono stati questi 5 anni e su cosa fare per uscirne. Quindi invitiamo a contattare l’autore sul suo blog http://www.orsattipietro.wordpress.com o la testata attraverso il sit o http://www.isiciliani.it e, ovviamente, ad acquistare attraverso il sito o attraverso le piattaforme http://www.lulu.com e http://www.amazon.com che lo distribuiranno. A un prezzo indicativo di 3 euro.

Ecco la premessa al libro scritta da Pietro:

Questa non è un’inchiesta, anche se spunti di inchiesta se ne troveranno e non pochi, quanto un reportage e diario politico e personale realizzato fra il 2007 e il 2013 e che mira a raccontare  gli effetti che ha avuto la giunta Alemanno sulla vita sociale, economica, morale e culturale della capitale.

Sei anni, perché il racconto parte appunto nel luglio 2007 con l’apparizione di Gianni Alemanno, in compagnia del suo allora camerata di partito Francesco Storace, alla manifestazione dei tassisti al Circo Massimo e si conclude con l’arresto nel marzo 2013  di Mancini, suo uomo di fiducia al vertice per lungo tempo dell’Ente Eur – forse il più ricco in termini di patrimonio immobiliare a Roma – per una storiaccia di presunte tangenti ricevute da un’azienda della galassia Finmeccanica, la Breda Menarini.

E in mezzo ci sta Roma. E i romani vecchi e nuovi, che siano nati al Testaccio o a Bucarest, a Primavalle o a Karachi.

Scrivevo un anno fa, all’epoca del fattaccio brutto di Torpignattara, quello in cui perse la vita un commerciante cinese e sua figlia nel corso di una rapina per strada: “Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale”.

L’Era Alemanna fa impallidire il disastro messo in piedi dal sindaco Giubilo negli anni ’80. Quel Giubilo che era diventato democristiano dopo una lunga militanza in quella destra (proprio la stessa) da cui proviene Gianni Alemanno. Giubilo creatura dello “squalo”, Vittorio Sbardella, passato alla storia per la sua giovanile partecipazione all’assalto della libreria Rinascita e poi per le 1200 delibere approvate nella notte che precedette la cessazione dei suoi poteri e l’insediamento del commissario prefettizio. Alemanno è riuscito a superare perfino quelle vette che si credevano irraggiungibili.

Oltre alle due parentopoli Ama e Atac c’è una lista impressionante di fatti e episodi: il consulente del suo Gabinetto Giorgio Magliocca indagato per concorso esterno alla Camorra in seguito e dopo un lungo iter giudiziario scagionato da ogni accusa e anzi probabile vittima di una “mascariata” messa in piedi dalla criminalità organizzata per colpire lui e forse condizionare in qualche modo le azioni future di Alemanno, la moglie Isabella Rauti indagata anche lei per concorso in abuso di ufficio, gli ex terroristi NAR assunti nelle partecipate, le presunte truffe sul sale della celeberrima emergenza neve del 2012 con il corollario grottesco di gaffe e polemiche propagandistiche mentre la città collassava in pochi centimetri di neve, le gare pubbliche con un solo partecipante (parlo di quella relativa alla Tevere SPA e all’affidamento di parte consistente del trasporto pubblico su gomma), le figuracce del GP di automobilismo e delle Olimpiadi (e delle ipotesi di speculazioni immobiliari mai abbastanza indagate come motivazione di quelle due candidature e probabilmente collegate alle ipotesi divariazioni de PRG se le due iniziative fossero andate in porto), E ancora, il suo addetto stampa che misteriosamente compare sul luogo di uno stupro alla vigilia delle elezioni, la prova di forza in consiglio comunale – sfregio al risultato del referendum sull’acqua pubblica – per la privatizzazione della partecipata Acea, il tentativo fallito, in concerto con il governatore della Regione Renata Polverini, sulla gestione dei rifiuti di favorire i soliti noti nell’effare colossale della gestione dei rifiuti della capitale fino all’inevitabile  collasso (con tanto di pricedura di infrazione avviata dall’Unione Europea) cercando prima di far partire una discarica davanti alla Villa D’Este di Tivoli (contro la quale si è pronunciata perfino l’Unesco) poi di favorire – dopo un balletto patetico mirato a determinare come unica scelta possibile davanti a un’emergenza da loro stessi creata e alimentata –  la proprietà della discarica di Malagrotta (ormai satura) con la creazione di un’altra discarica in un territorio già compromesso e a rischio da decenni. Ovviamente con tanto di conflitto con il governo nazionale.

E come potremmo dimenticare poi, gli affari e affarucoli della sua corte fra “magnate” di pajata con Bossi e feste dei cortigiani? Un’orgia di sottopotere esplosa sotto il suo regno e di quello della sua “socia” Renata Polverini governatrice della Regione.

E non dimenticherò di certo quella guerra di mafia in corso da almeno due anni per il controllo del racket e del traffico di droga negata a ogni morto ammazzato per strada (e ormai si parla di decine e decine di omicidi). Negata perché “la mafia a Roma non esiste”.

E ancora la beffa del comune che si presenta parte civile al processo sull’Ama ma solo per difendere l’immagine del sindaco danneggiata da quella vicenda. La sua immagine non la città, non confondiamoci.

Tutto questo c’è nell’Era Alemanna, ma non descritto attraverso un’esposizione asettica di fatti, ma nel racconto  di questa città che si degrada giorno per giorno grazie a questa gestione disastrosa. Un racconto partigiano. Come scriveva Saverio Lodato nell’introduzione del libro Quarant’anni di Mafia, non troverete in questo libro non troverete qui “un resoconto algido e asettico di quelle vicende, non essendo stato, io, inviato in terra straniera”.

Il racconto che state per leggere è costruito per frammenti non in ordine cronologico. Avanza per immagini, sensazioni, dati, racconti. È, credo, il modo migliore per rendere giustizia parziale a quello che abbiamo vissuto. A come l’ho vissuta io.

Pietro Orsatti, Roma, marzo/aprile 2013

Che pena, di morte

Seicentottantadue esecuzioni di condanne a morte. Sono quelle che Amnesty International ha registrato nel 2012 e di cui fornisce dettagli nel suo rapporto sulla pena capitale nel mondo, pubblicato questa mattina. Ma sono molte di più: ancora una volta la Cina ha tenuto segreti i propri dati sulle esecuzioni capitali.

“I governi che usano ancora la pena di morte non hanno più scuse. Non c’è più alcuna prova che indichi che la pena di morte abbia un potere deterrente speciale contro il crimine” – ha affermato Salil Shetty, segretario generale Amnesty.

“La vera ragione per l’uso della pena di morte può spesso essere trovata altrove. Nel 2012, abbiamo ancora una volta assistito con grande preoccupazione all’uso della pena di morte per quelli che sono sembrati essere scopi politici, o come misura populista o come strumento di repressione” – ha concluso Shetty.

Ogni tanto sembra di ritrovare qualche angolo in cui abbiamo lasciato una vergogna internazionale. Nell’angolo della pena di morte varrebbe la pena passarci più spesso, per pulirsi.

Tenerezza Lega

Insomma Roberto Maroni insiste nel dire che nella Lega tutto va bene, che Pontida è stata un grande successo e che la base è unita.
Ha solo aggiunto che qualche “stronzo” sta cercando di dividere il partito.
Oggi possiamo dirlo: lo stronzo indicato da Maroni evidentemente è il suo Presidente Umberto Bossi. Basta leggere le sue dichiarazioni di oggi a L’Unità:

In 23 anni a Pontida di fischi del genere non ne avevo mai visti. La gente veniva per applaudire. Altroché. E se tanta gente viene così arrabbiata vuol dire che nella Lega c’è qualcosa che non va, un problema di democrazia interna che dobbiamo assolutamente risolvere. Non si può continuare a prendere a calci nel sedere gente che la Lega l’ha fondata con me.

Il resto delle carezze a Maroni dell’Umberto le trovate qui.