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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La dinastia De Luca. E i nuovi vassalli.

Basta scorrere l’elenco dei nomi della nuova giunta della città di Salerno per rendersi conto che c’è qualcosa che non torna: il neosindaco Vincenzo Napoli ha ritenuto opportuno continuare l’opera di Vincenzo De Luca (ex sindaco e oggi presidente della Regione Campania) infarcendosi di tutti i vicini dell’ex governatore. «Continuità politica» potrebbe dire qualcuno ma ciò che non torna (come anche nella classe dirigente nazionale) è che non si tratti tanto di una “squadra” di collaboratori politici che viene promossa ma banalmente di vicini.

Vicini, sì, come può essere vicino Angelo Caramanno, oggi assessore allo sport della città campana e qualche mese fa avvocato difensore dello stesso De Luca in merito all’incompatibilità del suo ruolo di viceministro nel governo Letta. “Ci siamo ispirati ai criteri della competenza e della professionalità per la creazione di una squadra che realizzerà tutti gli impegni presi con i cittadini, in continuità con il progetto di città che stiamo portando avanti” ha detto il neosindaco.

Benissimo. Allora qualcuno ci spieghi (in termini convincenti) se davvero a Salerno la delega al Bilancio e allo Sviluppo (un assessorato pesante) sia normale che venga affidata a Roberto De Luca, commercialista trentaduenne, figlio di cotanto Vincenzo.

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Il lanciafiamme (e il partito) secondo Renzi

Che giornata. Di quelle da leccarsi i baffi: tutta senso della misura e bullismo lessicale. Politica? Niente. Al massimo qualche sede aperta per un controllo delle forze dell’ordine, come succede a Napoli dove, leggendo le accuse, sembra che il PD riesca a perdere nonostante gli illeciti.

Matteo Renzi chiude il mercoledì 8 giugno 2016 con un frase sfortunata (una cazzata, si direbbe in termini tecnici) e un’inchiesta su Napoli che riporta agli anni ’80, ai Lauro che regalavano la scarpa destra solo dopo il voto. E in tutto questo Renzi in differita con Lilli Gruber a “Otto e mezzo” riesce in una sola intervista a negare l’alleanza con Verdini, a simulare ancora che questo voto delle amministrative non sia un anche un giudizio sul governo per poi finire promettendo di entrare “con il lanciafiamme” nel partito dopo i ballottaggi.

Il paninaro precipita e intanto chiede che l’orchestrina continui a suonare, inconsapevole di una reazione alla sconfitta che rischia di essere il viatico peggiore per i ballottaggi. Non sa, Renzi, che la superbia è un vizio perdonabile ad un eroe letterario o cinematografico ma risulta indigesta a chi decide i prelievi e la drammaturgia del nostro quotidiano. E non sa, Renzi, o finge di non capirlo, che nel momento in cui ti accorgi di non avere classe dirigente per quell’antico vezzo di circondarti di nani, timoroso dell’ombra, ormai stai camminando sulle macerie; ogni sforzo è solo l’accanimento terapeutico di un’agonia consapevole di non avere cura.

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L’antimafia gentile di Pina

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Era la “nonna” dei ragazzi di Addio Pizzo. Pina non è stata semplicemente la vedova di Libero Grassi (vittima di mafia e di uno Stato che non riesce troppo spesso a proteggere i suoi uomini) ma era la prosecuzione dello stesso impegno. Pina è Libero Grassi: lo stesso impegno contro il pizzo, lo stesso ostinato ottimismo e la stessa voglia costante di costruire (oltre che credere) a un Paese migliore.

La morte di Pina è una notizia che scuote perché noi avevamo bisogno di lei. Ne avevamo bisogno proprio ora che il movimento antimafia sembra essersi incastrato nelle sue mille invidie e incapace di riacquistare il sorriso. Ecco, il sorriso, di Pina, il sorriso che riusciva a mantenere mentre raccontava di suo marito lasciato solo dai colleghi, il sorriso di quel loro ribellarsi al pizzo per rispetto a sé stessi oltre che per passione delle regole, la gentilezza con cui ripercorreva le fasi di una tragedia diventata un racconto d’amore erano per molti l’antidoto all’imbruttimento è il lascito della famiglia Grassi.

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La corsa di Ahmed

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Ahmed Tunij corre da sempre. Corre da quando era ragazzo, perché correre è stato il mezzo che gli ha permesso di salvarsi la vita. E continua a farlo. Continua a correre. Questa volta, però, per ricostruirsi una vita. Per integrarsi, per sognare, per mettere a frutto i talenti che ha tenuto nascosti in questi anni. Anche se sono stati sfregiati, segnati dalle cose che ha visto. Dalla morte che ha incrociato ma che lo ha risparmiato perché, forse, gli ha riservato un destino speciale. Un destino che qui in Italia, in Puglia, sta lentamente prendendo forma. E che si concretizzerà domenica 12 giugno, quando Ahmed Tunij prenderà parte alla sua prima gara di corsa campestre, al «Trail delle 5 Querce», un percorso di 28 km nel Canyon di Gravina in Puglia, a cui parteciperanno campioni di fama internazionale come Giorgio Calcaterra, attuale detentore del titolo mondiale nella 100 km di ultramaratona.
IL LUNGO VIAGGIO DI AHMED
Per Ahmed sarà un esordio speciale, ed al di là della posizione in cui arriverà, il traguardo più importante l’ha già tagliato. Perché prima di prendere confidenza con questa particolare disciplina sportiva, Ahmed ha dovuto percorrere un lungo viaggio. Un viaggio iniziato 22 anni fa ad Ajah, il piccolo centro nel Sud Ovest della Nigeria, a pochi km dal Benin, in cui il giovane è nato e vissuto con la sua famiglia. Poi le cose sono cambiate. La guerra e l’instabilità politica hanno spinto Ahmed a lasciare il suo Paese per trovare rifugio in Libia. «Ho lavorato sei mesi come tecnico informatico. Ma dalla Libia sono fuggito presto per non finire arruolato in bande armate o essere vittima delle continue violenze inflitte dai ribelli e miliziani dell’Isis». Ahmed, a questo punto, inizia a correre. E come tanti migranti, lo fa via mare, a bordo di un barcone, in uno di quei viaggi interminabili in cui la vita è sospesa fino a quando i piedi non toccano terra. «Fin da piccolo ho imparato a nuotare, e il mare non mi ha mai spaventato però in quel viaggio ho conosciuto un mare diverso, e l’unica cosa che potessi fare era affidarmi a Dio». Il suo viaggio dura 23 giorni. A fine agosto arriva in Sicilia, da dove poi viene trasferito in Puglia, presso il Centro di Accoglienza Straordinaria di Poggiorsini, un piccolo comune della Murgia barese.
(dal Corriere della Sera, continua qui)

Le domande sbagliate /1

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Prima puntata. Anzi forse quasi seconda (visto che la domanda sbagliata della sinistra l’abbiamo messa qui).

Dicono che Verdini non ha portato voti al PD. Come se il problema fossero i voti e non Verdini. Pippo ne scrive qui.

 

Sinistra? Que se vayan a la mierda

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Alla fine si è riusciti a fare peggio di Renzi. Dico il giorno dopo, ieri, quando davvero a sinistra abbiamo dovuto ascoltare le voci di chi vorrebbe convincerci che non sia andata così male, che è un buon inizio, e addirittura che a sinistra le cose sono andate così così per colpa del PD. Incredibile: i democratici perdono voti che la sinistra non riesce a raccogliere e nemmeno così è colpa loro. Così ieri Matteo Renzi che gigioneggiava riconoscendo l’insoddisfazione per il risultato (pur scansandolo) è apparso più autentico della sinistra soddisfazione simulata di chi esulta per percentuali da prefisso telefonico. Renzi più innovativo anche nella sconfitta, pensa te.

Ma ci deve essere qualcosa di oscuro in questo magma che riesce ad avere dinamiche solo endogamiche a sinistra del Pd. Perché se è vero che la sinistra (ed esiste, eccome, pur disordinatamente diffusa)  è una speranza accesa (e una storia prorompente, non dimentichiamolo) ad oggi mancano gli eletti e gli elettori. Perché? Eccola l’annosa domanda che si ripete ogni volta. Ed ogni volta è un profluvio di risposte infiorettate e all’uncinetto. Sbagliate, evidentemente.

E così ieri si è alzato il venticello della sinistra che deve tornare unita. «Ripartire tutti insieme» si legge da qualche parte, come se la somma dei fallimenti possa essere la soluzione. Tutti che invocano un cambio di paradigma ma non sono nemmeno disposti a mettersi in discussione davanti alle macerie. Anzi la novità dell’ultima ora è quella di ripartire da De Magistris, fingendo di non sapere che la sua vittoria ha provocato lancinanti mal di pancia proprio tra i maggiorenti della Sinistra. Il nocciolo forse sta proprio tutto qui: nella mancanza di coraggio fingendosi uguali e in dirittura di accorpamento. Qui, a sinistra, c’è un popolino di dirigenti che si accontentano di sentirsi capi anche senza elettori.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Due pensieri veloci sulle elezioni

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In attesa di riprendersi dalla disincronosi circadiana della nottata elettorale oggi ho scritto di Beppe Sala a Milano (per Fanpage, qui) e ho provato a riordinare le idee su ciò che è Possibile (per i quaderni di Possibile, qui).

Poi in realtà ho un pensiero fisso sulla sinistra (che esiste, eccome) ma intanto credo valga la pena leggere Ilaria nel suo editoriale di oggi (qui). Ecco, io di sinistra ne scrivo domattina. Tanto per darsi il buongiorno. Appunto.

La sinistra che “gioca vecchio”

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L’analisi di Ilaria Bonaccorsi:

«Sui grandi giochi si scriverà. Scriveranno tutti. Su chi ha vinto pure. Sul fenomeno M5s che costringe al ballottaggio un Pd brutto leggeremo i pezzi migliori. Io mi fermo solo per scrivere un pensiero veloce sulla Sinistra a cui avrei tenuto. L’ho osservata in silenzio, da febbraio. Dal congresso fondativo di Sì, alla candidatura “sciolta” di Fassina, ai veleni, ai doppi giochi di Sel, a nessun gioco in generale.
Ho un amico che quando perdo, o mi incastro in situazioni ferme, mi sfotte dicendomi «Hai giocato vecchio». È l’unica cosa che riesco a dire oggi di quella che dovrebbe essere la mia parte. «Avete giocato vecchio». E in quel vecchio c’è tutto. C’è non vedere, non riconoscere, non cercare, non andare al di là di quello che avete già visto, cercato, riconosciuto. Siete rimasti là.

Facciamo l’esempio di Roma, uno per tutti: Fassina scarta e si presenta contro tutto e tutti. Contro una Sel che gioca a briscola col Pd, pochi fuoriusciti malmentati da Renzi, un Possibile che non riesce ad essere alternativo, a unire, a forzare, ad allargare. Niente. Che si mette in scia silenzioso e forse consapevole del futuro massacro. La Sinistra non c’è. Non nella politica, non siamo “pochi ma belli”, siamo pochi e malmessi (neanche il 5%).

Sarebbe bastato poco, che è molto moltissimo. Sarebbe bastato non ripetersi. Non riproporre sacrosante tematiche sociali senza mai far volare. Senza mai far capire cosa avrebbe fatto stare bene le persone se ci avessero votato. Perché la Sinistra è lì. Deve capire e dire cosa fa stare bene le persone. In piena trasparenza, con grande coerenza. Senza fare appelli a papi o ad antenati senza più carne né ossa. Al contrario dovrebbe trasmette un hic et nunc forte come una casa. Imperdibile. Un “qui ed ora” senza macchie. Perché poi bastava poco che è tantissimo, mi ripeto.»

(continua qui)