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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La lezione di Antonio

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Al di là delle analisi da cui oggi saremo ricoperti, l’intervista più politica di queste ore è quella ad Antonio Tassora. No, nessun candidato particolare e nemmeno un analista: Antonio ha 104 anni e ha votato alle elezioni amministrative del suo paese, Beverino, in provincia de La Spezia.

Una storia minima in un paese microscopico che contiene però tutto il cuore che sembra andato perso nelle metropoli italiane: dice Antonio che ha voluto votare perché «70 anni fa ho votato per la Repubblica e il voto è un diritto-dovere che io intendo esercitare fino a quando ne avrò le facoltà». E così, in un colpo solo, il vecchietto dà una lezione di democrazia a tutti quelli che hanno bisogno di nemici o rottamazioni per sentirsi vivi.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Sul referendum un manicheismo che fa male a tutti

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Bravissima Nadia Urbinati su La Repubblica di oggi:

Rispondendo alla domanda di Ezio Mauro se non avesse paura di passare per renziano confessando di votare Sì al referendum costituzionale, Roberto Benigni ha rivendicato il diritto di votare come pensa e non per conformarsi a chi non si conforma. E il diritto di votare implica il diritto di schierarsi: “Non voglio rimanere neutrale, lavarmene le mani dicendo che faccio l’artista, voglio essere libero.”

E la libertà non serve a nulla se non ti assumi la responsabilità di scegliere ciò che credi più giusto”. Risposta pertinente perché coerente ai due principi aurei della democrazia liberale e non plebiscitaria: votare con la propria testa e non con quella del leader, e rivendicare il valore del voto che è e non può che essere partigiano. Voto schierato non voto plebiscitario. È questa la distinzione che oggi è difficile fare e mantenere. All’origine della difficoltà vi è stata la decisione di Matteo Renzi di identificare il Sì con la sua persona e il suo governo, trasformando il No automaticamente in un giudizio sulla sua persona e in una causa di instabilità politica.

Questa trappola ci impedisce di battagliare da “partigiani amici”, come direbbe Machiavelli, e ci fa essere “partigiani nemici”. I primi sono quelli che si schierano nella libera competizione delle idee per favorire o contrastare un progetto politico. I secondi sono quelli che personalizzano la lotta politica mettendo nell’arena pubblica non le ragioni pro e contro un progetto, ma le rappresentazioni colorite delle tipologie di chi sta da una parte e dell’altra. I primi si rispettano come gli avversari di una battaglia legittima, i secondi si offendo e creano le condizioni per un risentimento che sarà difficile da dimenticare.

È da anni, da quando Silvio Berlusconi “scese in campo”, che la lotta politica ha preso la strada dello stile teatrale, della rappresentazione estetica — con forme mediatiche che hanno lo scopo di colpire le percezioni per mobilitare le emozioni e rendere la contesa radicale, non dialogica. Di creare identificazioni non forti nelle convinzioni ideali, ma forti nella vocalizzazione e nella pittorica rappresentazione. Come se ogni battaglia fosse l’ultima, come se la catastrofe e il diluvio seguissero ad una vittoria o ad una sconfitta. È questo stile populista del linguaggio estetico e tutto privato (ingiudicabile con la ragione pubblica) che ha corroso negli anni la nostra abitudine alla lotta partigiana, trasformandola in un Colosseo, uno spettacolo che vuol vedere il sangue che colora di rosso l’arena.

Le ragioni a favore o contro passano in secondo piano. Questo succede oggi. Per cui i blog e i social network assalgono chi si schiera con il Sì come fosse un rinnegato, e offendono gravemente chi vota No come fosse un nazi-fascista, un “falso” partigiano. A chi vota Sì è affibbiato il titolo di lacché del potere, a chi vota No è appiccicata l’immagine della “palude”. Chi vota No sarebbe per la conservazione e chi vota Sì sarebbe per l’innovazione e intanto non si riesce a spiegare senza essere sbeffeggiati e sbeffeggiare che cosa si vuole preservare e che cosa di desidera innovare.

Siccome i sacerdoti del Sì non possono vantare, proprio come quelli del No, alcuna privilegiata saggezza, mettiamo sul tappeto le questioni reali implicate in questa battaglia sulla nostra Costituzione: parliamo del carattere di questa nuova versione della Costituzione e degli effetti che potrebbe generare, soprattutto se accoppiata con l’Italicum.

Dicevano i teorici e i politici settecenteschi che hanno teorizzato e/o scritto le costituzioni che queste devono essere scritte per i demoni non per gli angeli. E come Peter sobrio che scrive le regole per Peter ubriaco, le carte di regole e di intenti servono proprio per esorcizzare e contenere il potere, in particolare quello istituzionalizzato, nell’eventuale occorrenza che venisse tenuto da mani sconsiderate.

Come Benigni, anche altri sostenitori del Sì riconoscono che il nuovo Senato è pasticciato; diversi, anche nel Pd, si preoccupano degli effetti combinati della riforma con l’Italicum, che contrariamente a quanto succede per i sindaci premia non chi ha raggiunto il cinquanta per cento, ma il quaranta per cento. È legittimo farsi queste domande e voler discutere di queste questioni. È legittimo che i cittadini democratici si preoccupino di sapere quanto potere resterà a loro, quanta forza avrà la loro voce.

E invece il clima, già da quando la proposta di revisione costituzionale era ancora in Parlamento, è stato rabbuiato dalla retorica del plebiscito. Il manicheismo fa spettacolo ma non fa prendere decisioni sagge — la deliberazione democratica deve poter contare sul fatto che si entra in una discussione con un’idea e se ne può uscire con un’altra.Ma in questa campagna referendaria abbiamo dismesso i panni della discussione: ciascuno resta dell’idea che aveva all’inizio, mentre gli incerti e gli indifferenti saranno probabilmente più colpiti da una battaglia personalizzata che ragionata. Chi sta con Renzi e chi sta contro Renzi.

Per dirla con Benigni — ci facciamo tutti conformisti. A questo si giunge quando la Costituzione è fatta oggetto plebiscitario, o usata come un programma elettorale — per contare nemici e amici. Di costituzionale vi è davvero poco. Figuriamoci se questo fosse stato il clima dei Costituenti! Avremmo avuto la guerra civile non settant’anni di vita civile.

Erasmus in Palestina

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Si tratta di un progetto Erasmus+, denominato Erasmus Plus Palestine Project e coordinato dall’Università di Siena, che prevede borse di mobilità per studenti dell’Università di Siena che intendono svolgere un periodo di studio in Palestina, nonché per docenti e studenti palestinesi che intendono fare altrettanto nella città del Palio.

La cultura che fa politica. La cultura politica, insomma. Dategli un occhio. Qui.

A Corleone il santo in processione si ferma sotto casa Riina

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E ogni volta che si parla di religione e politica vale la pena leggere Salvo Ognibene:

«Mafia e chiesa. Ci risiamo. E questa volta accade in quel paese siciliano tanto conosciuto al mondo a causa dei vari Navarra, Leggio, Provenzano, Riina. Già, Riina. E forse non è un caso che dopo l’”inchino” della Rai e di Vespa al figlio del capo dei capi, ora leggiamo dell’”inchino” della statua di San Giovanni Evangelista davanti casa di Ninetta Bagarella. Maggiori dettagli li trovate qui e qui ma sappiamo che il commissario di polizia e il maresciallo dei carabinieri, che erano presenti, hanno subito lasciato la processione e inviato una relazione alla procura distrettuale antimafia.

La devotissima famiglia Riina ha sempre goduto di particolari privilegi da parte di alcuni uomini di chiesa. Dal matrimonio tra la Bagarella e il latitante “Totò” Riina, celebrato in gran segreto da tre parroci (tra cui Agostino Coppola), alla raccolta firme promossa da Catarinicchia, oggi vescovo emerito di Mazara del Vallo, per protestare contro il presunto accanimento giudiziario nei suoi confronti (la Bagarella era stata proposta per il soggiorno obbligato dopo essere stata licenziata dalla scuola in cui insegnava). A distanza di qualche anno il parroco è intervenuto dicendo: “mai e poi mai ho raccolto o promosso raccolte di firme”.»

Beppe Sala e le aziende fallite per colpa di Expo

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Il servizio video sui ritardati pagamenti di Expo non è un editoriale o il pezzo di penna di un opinionista incattivito: Expo 2015 ha affossato alcune delle eccellenze industriali italiane contravvenendo in toto il proprio mandato. E anche se il ministro Martina promette di intervenire “per quanto possibile e il prima possibile” (una frase sempre in tasca al governo di ogni tempo ed ogni colore) lo stallo attuale che lascia per strada 150 famiglia ha un nome e cognome: Giuseppe Sala.

Se è vero che il super manager dovrebbe essere il condensato del “grande successo internazionale di Expo” come si spingono a dirci il premier Renzi e il Partito Democratico (che mica per niente l’hanno incoronato candidato sindaco ideale di Milano) allora è proprio Sala che ci deve rispondere su tutti gli aspetti correlati e Expo 2015 ha bisogno di almeno tre valutazioni: comunicativa, finanziaria e etica.

Expo comunicativo. Ecco il capolavoro di Beppe Sala: trasformare un agglomerato di interessi, cemento e soldi in una vetrina di operosità, ottimismo e internazionalità. Expo è stato il perfetto compagno di viaggio della narrazione renziana che ha bisogno di superare ostacoli, gufi e pessimismo per brillare nella vittoria. E così la manifestazione internazionale è diventata la clava ideale per bastonare i contrari, i disillusi e la sinistra. La comunicazione, del resto, è stata la priorità di Expo e non è un caso se le spese di rappresentanza sono state considerate una priorità nei pagamenti ai fornitori. Quindi Sala è un comunicatore. Anche lui. Bene. Ma basta?

Expo finanziario. Una manifestazione senza bilancio. O meglio: un bilancio declamato in attivo ma smentito nei numeri […]

(il pezzo continua qui)

#sivotanotraloro

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Lasciamo perdere Renzi, non diamogli questa soddisfazione e parliamo della riforma costituzionale. Proviamo, per oggi, anche a lasciare perdere chi l’abbia presentata (Boschi, Verdini o chi per loro) e immaginiamo che ce la stia proponendo la persona di cui ci fidiamo di più. Facciamo che il nostro collega o il nostro amico alla solita colazione insieme ogni giorno al bar ci dica che ha avuto una grande idea per superare il bicameralismo.

Immaginate che vi dica che il Senato viene abolito, anzi no, vi dice che in realtà non viene abolito ma sensibilmente ridotto e diventa molto meno influente nella tenuta del governo.Non vota la fiducia, per esempio ma si occupa comunque di questioni importanti per il funzionamento dello Stato e le regioni. Vi dice, il vostro fidato amico, che i senatori non saranno mica pagati. Anzi, meglio: otterranno certo la diaria e il rimborso e godranno comunque dell’impunità dei senatori.

Detta così, pensate voi davanti al cornetto e cappuccino, non sembra nemmeno troppo male. Vi verrebbe da chiedergli però come saranno scelti questi senatori che, nella storia della repubblica, per com’era pensato il senato, dovrebbero essere degli eletti di cui andar fieri. Anche perché la nuova legge elettorale (un pasticcio come tutte le mediazioni che vorrebbero mettere insieme parti che non hanno interessi convergenti, tipo Cuperlo con Formigoni, per intendersi) premia con un importante premio di maggioranza il partito vincitore e gli “eletti” in realtà sono nominati dal segretario di partito. Che poi qui da noi un segretario di partito sia anche il Presidente del Consiglio (e autore della legge elettorale e di questa deforma costituzionale) è una coincidenza particolarmente sfortunata.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

La nostra proposta subito dopo il NO

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Alla fine il sito è online. Iovoto.no contiene tutti i documenti, gli appuntamenti e i materiali perché ognuno si faccia comitato elettorale. Basta iscriversi per rimanere informati, partecipare, proporre, discutere. Fare politica insomma.

E insieme a tutte le ragione del no abbiamo anche voluto mettere le nostre proposte perché sarebbe ora di finirla con questo giochetto di convincerci che non c’è alternativa. Eccole qui:

  1. Una legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti (come col Mattarellum): l’opposto dell’Italicum.
  1. Costi della politica: diminuzione di deputati e senatori; significativa riduzione delle indennità.
  1. Superamento del bicameralismo perfetto: il governo riceve la fiducia dalla sola Camera, la quale legifera nella generalità degli ambiti.
  1. Un nuovo Senato (elettivo): competenze sulla legislazione di maggiore rilievo; importanti funzioni di controllo, a partire da quelle sulle nomine governative; funzione di raccordo tra legislazione statale e regionale, con una quota minoritaria di eletti da parte delle Regioni al loro interno.
  1. Democrazia diretta: possibilità di firma elettronicariduzione del quorum per il referendum abrogativo; rafforzamento dell’iniziativa legislativa popolare, con la possibilità per i cittadini stessi di pronunciarsi sulle proposte che essi hanno presentato se non esaminate entro un certo termine.
  1. Salvaguardia delle autonomie: la forza dei cittadini sta anche nella possibilità di avere istituzioni più prossime sulle quali incidere più facilmenteEliminazione delle Province senza infingimenti, ridefinendo con cura – e partendo dai territori stessi – l’assetto degli enti territoriali.
  1. Eliminazione del CNEL.

 

LA NOSTRA PROPOSTA SULLA COSTITUZIONE: SEMPLICE, CHIARA E APERTA A TUTTI

Il cattivo funzionamento delle istituzioni non è da imputare alla Costituzione, ma spesso alla sua forzatura o alla sua mancata attuazione, quando non alle sue violazioni. Basti pensare alla scellerata scelta di approvare, alla fine del 2005, in tutta fretta, una legge elettorale (con cui abbiamo poi votato ben tre volte), di cui la Consulta ha accertato la palese illegittimità costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014.

Le istituzioni attraversano una crisi che è in realtà la crisi dei partiti politici, che da tempo hanno perso la capacità di svolgere il ruolo, previsto nella Costituzione, di strumenti di partecipazione democratica dei cittadini alla determinazione della politica nazionale.

Per questo non riteniamo affatto che l’Italia richieda quella “verticalizzazione” del potere alla quale le revisioni costituzionali proposte ormai da una trentina d’anni mirano incessantemente come alibi per governi lagnosi, in realtà poco abili nel risolvere i problemi; al contrario riteniamo che sia necessario che le istituzioni recuperino credibilità attraverso un migliore funzionamento ma soprattutto attraverso un aumento del peso che i cittadini possono giocare nelle loro scelte.

Per questo più che una revisione costituzionale serve – con urgenza – una legge elettorale capace di restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti (come avveniva con il Mattarellum), proprio all’opposto di quanto faccia l’Italicum. Per questo, rispetto alla Costituzione riteniamo che sia necessaria la revisione mirata di alcune norme, a partire da quelle sugli istituti di partecipazione popolare, per riavvicinare i cittadini alla politica.

Su queste vasi abbiamo avanzato ad un anno dall’inizio della legislatura una proposta di revisione costituzionale (AC 2227) che potesse rispondere a questa nostra profonda convinzione ma anche che potesse costituire un terreno di dialogo con le proposte che erano state tratteggiate nel corso della discussione che sin dall’inizio della legislatura era stata avviata in materia.

In questa logica si prevede la significativa diminuzione di deputati e senatori, che dovrà essere accompagnata da una congrua riduzione delle indennità (alla quale provvederà una nuova legge di attuazione dell’articolo 69).

Le due Camere – ridimensionate – vedono attribuirsi in gran parte funzioni differenti, con il superamento del bicameralismo perfetto. In particolare alla sola Camera rimane il rapporto di fiducia con il Governo e la legislazione nella generalità degli ambiti, con mantenimento ad un Senato – che rimane elettivo – dell’intervento sulla legislazione di maggiore rilievo. Al Senato, autorevole e slegato dal rapporto di fiducia con l’esecutivo, sono affidate anche importanti funzioni di controllo, a partire da quelle sulle nomine governative. Allo stesso è affidata anche la funzione di raccordare meglio la legislazione statale con quella regionale, considerato il ruolo legislativo delle Regioni che la revisione del 2001 ha attribuito loro, e ciò è reso possibile attraverso la integrazione della composizione dello stesso con una quota (minoritaria) di eletti da parte delle Regioni al loro interno, secondo il modello che era stato previsto anche nella Commissione dei settantacinque alla Costituente.

Ulteriore aspetto è il potenziamento degli istituti di democrazia diretta, attraverso la possibilità – inserita anche in Costituzione per rafforzarne la previsione – della firma elettronica; la riduzione del quorum di validità del referendum abrogativo e il definitivo rafforzamento dell’iniziativa legislativa popolare, con la possibilità per i cittadini stessi di pronunciarsi sulle proposte che essi hanno presentato alle Camere, se queste non le hanno esaminate entro un certo termine.

Circa l’assetto delle autonomie, la proposta intende salvaguardarle, nella convinzione che la forza dei cittadini stia anche nella possibilità di avere istituzioni più prossime sulle quali incidere più facilmente. Si propongono quindi limitate modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione, che vanno a eliminare le Province senza infingimenti e nella consapevolezza che questo renderà necessario ridefinire con cura – e partendo dai territori stessi – l’assetto degli enti territoriali, escludono la possibilità di ulteriori forme di autonomia speciale, provvedono ad un parziale riassetto delle materie di competenza statale e regionale e richiamando l’unità giuridica ed economica della Repubblica quale principio che deve essere garantito con leggi dello Stato.

Naturalmente anche la nostra proposta provvede ad eliminare il CNEL, in quanto organo che si è rivelato – a differenza di quanto avessero ritenuto i Costituenti – capace di inserirsi proficuamente nelle dinamiche istituzionali della Repubblica.

Come si vede si tratta di una proposta che presenta molte linee sulle quali anche altri, a partire dal Governo, si sono voluti cimentare; ma gli obiettivi risultano nel nostro caso più contenuti e più chiari. Si individuano alcuni problemi e si cerca di dare alcune risposte. Anche tenendo conto – nel nostro caso – che le riforme costituzionali non si fanno da soli: per questo già il nostro testo contiene alcune tendenze che ci sono sembrate prevalenti e per lo stesso motivo eravamo e siamo disponibili a lavorare ancora sulla nostra proposta con il contributo di tutti. Cosa che invece a noi è stata negata dalla maggioranza, sempre sorda rispetto a qualunque nostra proposta. È così che si è arrivati a un testo che rispetto all’iniziale proposta governativa ha subito poche modifiche, nessuna delle quali apportata per rispondere meglio a esigenze di buon funzionamento e di partecipazione dei cittadini.

La “savianofobia” del senatore D’Anna

È una malattia ancora non scientificamente riconosciuta ma se ne trova traccia un po’ dappertutto, con un’incidenza maggiore tra amici degli amici o tra i compagni di partito di qualche politico in odore di camorra, preferibilmente cosentiniano: la savianofobia solitamente mostra i primi sintomi con un’invidia violenta, quasi un’esplosione di bile oppure nei casi in cui l’incubazione è più lunga con qualche cazzata che assume la forma di favoreggiamento culturale alla mafia. In generale, comunque, la “savianofobia” è soprattutto il virus di chi guarda il dito e non la luna perché è tutta la vita che di mestiere è il servitore del dito, anelando alla luna. Appunto.

L’ultimo caso conclamato è il senatore Vincenzo D’Anna. Senatore casertano, D’Anna, ha iniziato a fare politica nella capiente pancia della Democrazia Cristiana campana fino all’innamoramento per Forza Italia e Silvio Berlusconi. Fu assessore a Caserta dal 2005 al 2007 e deputato. Nel 2010 viene candidato (ed eletto) nella Circoscrizione Campania 1  per poi aderire al gruppo Iniziativa Responsabile, che sostenne il governo Berlusconi IV in quota ex Pdl. Nel 2013 viene eletto senatore (sempre nelle file del PDL) e quando Alfano e Berlusconi danno il via alla scissione interna D’Anna con grande piglio decide di non decidere aderendo a Gal (Grandi autonomie e libertà, un gruppo parlamentare onomatopeico, non c’è che dire) di cui diventa vicepresidente. Ma il capolavoro politico è del 2014: D’Anna aderisce a”Forza Campania”, la corrente interna a supporto di Nicola Cosentino.

(continua qui)

Perché il “voto utile” (con il PD) è una sciocchezza pazzesca

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Eccoci alla tiritera del voto utile. Dove rimbomba di più è Milano ma sono molti i comuni italiani che si preparano al voto in cui il centrocentrocentrosinistra (di solito raffazzonato con i residui di una stagione ormai conclusa) alza la voce per “non consegnare la città alla destra” oppure, meglio ancora, perché sarebbe (secondo loro) “irresponsabile dividersi”. Il voto utile è la ninna nanna del populismo in salsa intellettuale, quello proprio di una forma centrosinistra che non si accorge di essere finita. Il “voto utile” è la versione democratica dell’ultimo giapponese a cui non hanno detto della fine della guerra.

Così a Milano, ad esempio, bisognerebbe votare Sala “per non regalare Milano a Salvini” e fa niente se qualcuno trova discutibile qualche posizione del manager che s’è fatto campagna elettorale con l’Expo: “quelli là sono peggio”, ci dicono. Ma peggio di chi? Perché a vedere qualche faccia che spunta tra i sostenitori di BeppeSala (scritto tutto attaccato per dare un senso di modernità alle storiche clientele) sembra che l’era Pisapia (che sarebbe meglio cominciare a chiamare con il suo nome, «l’era delle speranze per Pisapia») sia stata un incidente di percorso.

Ma non è questo il punto. La questione politica è lapalissiana, semplice, quasi banale: si può in questo Paese così ostinatamente innamorato dal potere costituito fissare un linea di potabilità nei rapporti con le altre forze politiche? E se sì, cosa altro serve per ritenere questo PD ormai indigeribile per chiunque abbia a cuore un Paese egalitario, solidale e giusto? Io credo che il dado sia stato tratto da un pezzo, almeno dal momento in cui Possibile è diventata un’oasi necessaria per continuare a fare politica.

(continua sui quaderni di Possibile qui)