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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Una riflessione sui beni confiscati

Tra la retorica e antipatici monopoli l’economista Antonio Purpura, Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche dell’Università di Palermo, propone una strada sulla reimmissione nel mercato di aziende condizionate dall’illegalità. Il tema è molto delicato perché sta in bilico tra simbolismo (il valore dello Stato che riesce a garantire il lavoro facendo rispettare le leggi e dall’altra parte i lavoratori) e bisogni di bilancio (per evitare l’assistenzialismo puro o, peggio, la chiusura in breve tempo). Proprio perché l’argomento è delicato e sottile dovremmo parlarne senza remore, senza la paura ogni volta di innescare barricate:

E’ proprio sui dati territoriali e settoriali che Purpura si è soffermato. Dati che mostrano che il maggior numero totale delle aziende confiscate è concentrato in Sicilia (623) e in  (347), ma c’è una presenza significativa pure in  (223). Mentre, però, nelle regioni meridionali la percentuale che pesa di più è rappresentata dalle imprese ancora in gestione (86,45% in Sicilia e 72,6% in ), in Lombardia, invece, è quella delle società ritornate ad operare nel mercato in piena autonomia (54,3%). Risultati che non sorprendono perché «a Milano il contesto è recettivo rispetto ai percorsi di risanamento delle imprese. In Sicilia, invece, è più difficile riportarle sul mercato»- ha osservato Purpura.

Soffermandosi sui dati relativi ai settori di attività, che collocano ai vertici quello delle costruzioni e del commercio (rispettivamente 27,9% e 27,6%), seguiti da alberghi e i ristoranti (10,1%) e dalle attività immobiliari e servizi imprese (8,2%), l’elemento che maggiormente incuriosisce è l’indice di «intensità di attrattività dei settori» costruito «rapportando le aziende confiscate al totale delle aziende per ogni 10.000 imprese registrate»- spiega Purpura. Secondo questo studio, i settori più appetibili dalle organizzazioni criminali sono l’industria dell’estrazione dei minerali, la sanità, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti. Ancora più interessante è l’indice sintetico di concentrazione settoriale (ISCS) delle aziende mafiose per settori e province, ottenuto dal rapporto tra il numero delle imprese confiscate in un settore sul totale delle imprese confiscate nella provincia. E’ lo stesso Purpura a fornire la chiave di lettura di questo indice: «Quando è uguale a 1 ci dice che la percentuale di imprese mafiose confiscate in quel settore è in linea con la presenza del settore in quel territorio». Se, invece, il valore è superiore a 1 «vuol dire che le aziende confiscate rappresentano una quota percentualmente molto più grande di quanto non sia presente quel settore in quel dato territorio». In base a tali dati, il settore agricolo è uno dei più puliti (nelle diverse province prese in considerazione, da Nord a Sud, ha valori compresi tra 0 e 1), mentre quelli che presentano un ISCS allarmante sono il comparto estrattivo nelle province meridionali (Agrigento 56,6%, Cesena 47,7%), e quello degli alberghi e ristoranti al nord (Lecco 11,9%).

Tenuto conto dei dati territoriali e settoriali analizzati e considerato che in alcuni settori, quali quello delle costruzioni ovvero dell’estrazione di minerali, c’è un avviamento illegale fortissimo e uno legale basso, se non addirittura nullo, Purpura si chiede se conviene mantenere queste imprese sul mercato dato che «la ricostruzione del tangibile di quella impresa a valore legale è un’operazione costosissima, difficilissima e fortemente reversibile». Allora sarebbe meglio concentrare gli sforzi su quelle aziende che hanno un valore di avviamento illegale alto, ma al contempo un valore sempre di avviamento legale medio-alto che le rende più facilmente recuperabili (è il caso del settore della sanità piuttosto che della filiera del turismo). Per quelle che potremmo definire irredimibili, invece, la strada individuata da Purpura ipotizza l’uso le risorse provenienti «dalla vendita comunque obbligata in liquidazione» per la riqualificazione del personale.

(Per farsi un’idea vale la pena leggere il libro“Per il nostro bene”)

La zona grigia con le stellette a Vibo

L’ex capo della squadra mobile di Vibo Valentia Maurizio Lento, l’ex vice dello stesso ufficio Emanuele Rodonò e l’avv. Antonio Carmelo Galati, difensore dei Mancuso di Limbadi, sono stati arrestati dai carabinieri del Ros e dalla squadra mobile di Catanzaro. I funzionari sono accusati di concorso esterno e il legale di associazione mafiosa.

Come siamo cambiati. Male.

Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è divenuto organico nei rapporti col prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i cancelli dei nostri recinti.

(Don Tonino Bello)

Mancava la falange armata

Non so se sia credibile o se sia la boutade di chi vuole fare fumo su un processo delicato come quello della trattativa tra mafia e Stato, però la notizia è inquietante:

Per quattro anni ha rivendicato ogni singola operazione criminale andata in scena tra Milano e laSicilia. Telefonate di minaccia, ma anche comunicati di soddisfazione quando alcuni membri del governo vengono rimossi in piena Trattativa Stato – mafia. Adesso dopo vent’anni di silenzio laFalange Armata, oscura sigla legata alle stragi più oscure di questo Paese, è tornata. E con una breve lettera ha messo in allarme gli inquirenti. Perché il destinatario dell’ultima missiva della Falange è Totò Riina, che per otto mesi ha condiviso l’ora di socialità con Alberto Lorussolasciandosi sfuggire minacce e retroscena inediti sulle stragi mafiose, mentre le telecamere piazzate nel carcere di Opera dalla Dia di Palermo registravano tutto.

Solo che oltre agli inquirenti, una terza entità era al corrente delle lunghe chiacchierate tra il capo dei capi e il boss pugliese. “Chiudi quella maledetta bocca – è scritto nella lettera indirizzata a Riina e mai pervenuta al boss – ricorda che i tuoi familiari sono liberi. Per il resto ci pensiamo noi”. Firmato: Falange Armata. Una lettera inquietante, che nella sua forma estesa è scritta con un lessico militare, come pure militare è lo stile delle missive anonime arrivate negli scorsi mesi alla procura di Palermo, per segnalare la preparazione di attentati contro il pm Nino Di Matteo. La missiva arrivata a Riina però suscita almeno due interrogativi: chi c’è dietro quella sigla? E come faceva a sapere l’anonimo estensore delle esternazioni di Riina, detenuto in regime di 41 bis? Se lo chiedono Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, i pm della procura di Palermo che indagando sulla Trattativa si sono già imbattuti nella Falange. “Non è verificata” dice il procuratore della Dna, Franco Roberti, la fondatezza delle minacce a Riina.

Piergiorgio Odifreddi sul ministro Madia

Usa parole forti Odifreddi ma aggiunge alcune informazioni sulla fresca nomina di Marianna Madia che vale la pena leggere:

di Piergiorgio Odifreddi, da repubblica.it

Alle elezioni del 2008, Walter Veltroni usa le prerogative del porcellum per candidare capolista alla Camera per il Pd nella XV circoscrizione del Lazio la sconosciuta ventisettenne Marianna Madia. Alla conferenza stampa di presentazione, agli attoniti giornalisti la signorina dichiara gigionescamente di “portare in dote la propria inesperienza”.

In realtà è una raccomandata di ferro, con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni. E’ pronipote di Titta Madia, deputato del Regno con Mussolini, e della Repubblica con Almirante. E’ figlia di un amico di Veltroni, giornalista Rai e attore. E’ fidanzata del figlio di Giorgio Napolitano. E’ stagista al centro studi Ariel di Enrico Letta. La sua candidatura è dunque espressione del più antico e squallido nepotismo, mascherato da novità giovanilista e femminista. E fa scandalo per il favoritismo, come dovrebbe.

In parlamento la Madia brilla come una delle 22 stelle del Pd che non partecipano, con assenze ingiustificate, al voto sullo scudo fiscale proposto da Berlusconi, che passa per 20 voti: dunque, è direttamente responsabile per la mancata caduta del governo, che aveva posto la fiducia sul decreto legge. Di nuovo fa scandalo, questa volta per l’assenteismo. La sua scusa: stava andando in Brasile per una visita medica, come una qualunque figlia di papà.

Invece di essere cacciata a pedate, viene ripresentata col porcellum anche alle elezioni del 2013. Ma poi arriva il grande Rottamatore, e la sua sorte dovrebbe essere segnata. Invece, entra nella segreteria del partito dopo l’elezione a segretario di Renzi, e ora viene addirittura catapultata da lui nel suo governo: ministra della Semplificazione, ovviamente, visto che più semplice la vita per lei non avrebbe potuto essere. Altro che rottamazione: l’era Renzi inizia all’insegna del riciclo dei rottami, nella miglior tradizione democristiana.

La riciclata ora rispolvererà l’argomento che aveva già usato fin dalla sua prima discesa paracadutata in campo: “Non preoccupatevi di come sono arrivata qui, giudicatemi per cosa farò”. Ottimo argomento, lo stesso usato dal riciclatore che dice: “Non preoccupatevi di come ho ottenuto i miei capitali, giudicatemi per come li investo”. Se qualcuno ancora sperava di liberarsi dai rottami e dai riciclatori, è servito. L’Italia, nel frattempo, continui ad arrangiarsi.

(22 febbraio 2014)

La mafia sui cantieri (questa volta navali)

img_25370075917073In Sicilia ancora un maxi sequestro operato contro la mafia. La Dia di Catania ha infatti confiscato beni per un importo superiore ai 2 milioni di euro che si ritengono riconducibili ad un detenuto, il 60enne Antonino Stellario Strano. L’uomo è attualmente in carcere per scontare una condanna emessa a suo carico in un precedente processo, per 13 anni e 4 mesi. Antonino Stellario Strano è ritenuto dagli inquirenti uno degli uomini di maggiore spicco della cosca mafiosa dei Pillera – Cappello. I beni sequestrati sono due aziende edili, la Tecnocem e la Rapisarda, oltre a 4 case, vari conti correnti bancari ed un’auto. Le indagini della Dia continuano, alla ricerca di eventuali altri collegamenti.

(fonte)

Peggio di Tangentopoli

Parla il Procuratore della Corte dei Conti lombarda, Antonio Caruso. Siamo ai margini dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Secondo il procuratore la lotta alla corruzione “presuppone a monte una lotta alla mala-amministrazione”, anche perché  la “buona amministrazione” invece “è impermeabile e rende difficile l’infiltrazione della criminalita’”

Caruso ha sottolineato che la procura della Corte dei Conti “si sta impegnando molto nella lotta alla corruzione”, che viene considerata “il cuore” dell’attività” e “non perché è di moda”, ma perché ormai “ha raggiunto tutti i gangli della pubblica amministrazione”. Insomma “è odioso fare raffronti con 20 anni fa e Mani Pulite, ma oggi la corruzione è liquida, diffusa ovunque e difficile da recuperare”. Il procuratore ha poi fatto riferimento all’istruttoria aperta sul Comune di Sedriano, sciolto lo scorso ottobre per infiltrazioni mafiose, spiegando che si sta indagando su “una zona grigia di rapporti tra criminalita’ organizzata, politici e funzionari della pubblica amministrazione”.

La danza pericolosa tra delegittimazione e rischio

“Possono essere un’ingerenza e una delegittimazione dei pm, col rischio anche per la loro sicurezza”. Si dice “sorpreso” il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, davanti alle “pubbliche critiche” della Dna, oltre a quelle dei professori Salvatore Lupo Giovanni Fiandaca. “Lo Stato ha solo la scelta di combattere il crimine, non di trattare”, ribatte Messineo.

Io questa frase l’appenderei sulle finestre di tutti i contabili, gli intellettuali, i padrini, i presunti cultori dell’antimafia, gli spiritosi tra amici e soprattutto colore che per merito o cognome hanno un ruolo pubblico.