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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Minacciato e picchiato a Librino

Ieri mattina intorno alle 10:30 a Librino, il grande quartiere-ghetto alla periferia di Catania,  un nostro collaboratore che stava scattando delle foto al Palazzo di Cemento è stato circondato da sei uomini, minacciato con un’arma e picchiato. Gli hanno rotto un dente. Hanno fatto i nomi dei suoi familiari, su cui sembravano molto bene informati.

Luciano Bruno (un suo articolo, due anni fa, ha aperto il primo numero di questa nuova serie dei Siciliani) è di Librino e più volte ha pubblicato articoli sulla drammatica situazione di questo quartiere, abbandonato e lasciato in mano alla mafia. E’ autore fra l’altro di un pezzo teatrale di denuncia sul dramma di Librino, che è stato portato in giro in varie città d’Italia.

Invitiamo tutti alla massima solidarietà verso Luciano e alla massima attenzione e vigilanza su Librino.

Riccardo Orioles

I Siciliani

Vale la pena anche buttare un occhio ai commenti sotto l’articolo. Per farsi un’idea.

Cosa ne penso prima delle elezioni europee (post politico, eh)

Sulla situazione politica e sul quadro prima delle elezioni europee ho risposto all’amico Alessandro che mi chiedeva cosa ne pensassi di questo e di questo. Lo riporto qui anche per rispondere ai molti che mi chiedono e mi scrivono. So già che qualcuno mi dice che qualche ora fa l’intervista di Vendola ha smentito le ipotesi riportate da Repubblica ma la mia sensazione attuale di poco cambia:

Io sono sfiancato da questa sinistra, ti dico la verità. Anzi, probabilmente sono sfiancato dalla mia idea di sinistra che continua a non intravedersi nemmeno possibile in uno scenario che a sinistra mi sembra diventare ogni giorno sempre più provinciale. Trovo che SEL si sia definitivamente affossata nel suo silenzio assenso ad un congresso del PD vissuto come spettatrice vogliosa dichiarando di non volere “interferire” in un processo politico che invece cade a valanga sui suoi programmi futuri. Credo che la sensazione che SEL sia nato come futuribile costola del PD sia evidente guardando le alleanze di qualsiasi elezione amministrativa in giro per l’Italia in cui L’Italia Bene Comune sembra essere una coalizione viva e vegeta e addirittura funzionante condonando il livello nazionale. In Italia serve una lista che abbia il coraggio di rinunciare al codardo limite dell’autopreservazione con lo stesso coraggio con cui Syryza s’è fatta partito come confederazione di bisogni e non di simboli. Ho sperato (poco) in Ingroia ma come sai ho sentito subito puzza di bruciato. Qui vogliono convincerci che il rinnovamento passi per la speranza di rinnovamento quotidiano dei soliti noti: si masturbano ma ci dicono che dobbiamo goderne anche noi. Con uno sguardo europeo credo che una lista di appoggio a Tsipras sia l’unica soluzione possibile per chi come me ritiene indispensabile essere radicale con se stesso ma a noi manca proprio la cultura dell’unione solidale tra le persone prima ancora che tra popoli e continuiamo a misurare chi ha la sinistra più lunga senza avere voglia di mettere in discussione nulla. Così alla fine l’antieuropeismo ingoia anche quelli che vorrebbero un rifondazione europea (che guarda sarebbe un nome bellissimo per una lista civica). Vendola ha avuto il coraggio iniziale di strappare creando orfani finalmente entusiasti e poi ha voluto riadottarli tutti lui: il mare aperto di cui parlava è un orizzonte lontano in cui vanno a cercare gli ultimi pesci gente come Ferrero, Di Pietro e altri che non hanno mai avuto la capacità di guardare l’orizzonte. Com’è possibile creare una lista in appoggio a Tsipras in un Paese analfabeta sull’europa e sulla differenza tra liberismo e solidarietà?
Insomma, questo è quello che penso. Vorrei non essere pessimista, Ale, non sai quanto lo vorrei.

Il boss della Lombardia è un aiuto gommista

MANETTEAbita a Buccinasco in via Lecco e lavora dal gommista in via Idiomi affidato dal tribunale ai servizi sociali e quindi con metà stipendio pagato con soldi pubblici, per dire. Non è indagato (per ora) ma Rocco Barbaro è l’uomo da cui partire per leggere la nuova geografia della ‘ndrangheta in Lombardia. Dopo Carmelo Novella (ucciso nel 2008 in un bar di San Vittore Olona) e successivamente Vincenzo Zappia (coinvolto nell’inchiesta Infinito) oggi Rocco Barbaro detto u Sparitu nato a Platì il 30 giugno 1965 potrebbe essere il nuovo reggente lombardo. Rocco ha un curriculum criminale di tutto rispetto: latitante per anni (arrestato poi nel 2003 per traffico di droga) è uscito 2 anni fa dal carcere di Piacenza per tornare nella “sua” Buccinasco e assumere i gradi del capo per eredità famigliare: Rocco Barbaro, infatti, è il figlio di Francesco Barbaro Ciccio u Castanu, classe 1927, uno dei personaggi più in vista delle ‘ndirne da Platì, città  in cui è tornato il 5 febbraio dell’anno scorso con obbligo di soggiorno . Il fratello di Rocco invece, Giuseppe Barbaro è uno degli autori del primo sequestro di persona a Milano  (Giuseppe Ferrarini, il 9 luglio 1975) ed è da sempre vicino a Domenico Papalia (il fratello del potente Rocco). Ad ascoltare le parole intercettate ad Agostino Catanzariti con il compare Michele Grillo (entrambi arrestati nei giorni scorsi nell’operazione “Platino”) sembra che Rocco Barbaro abbia ottenuto le stigmate del reggente lombardo più per nobiltà parentali che una vera e propria decisione comune (“Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti” dice Cataranziti) anche se lo stesso Grillo, e sicuramente non solo lui, sembra non accettare nomine per eredità (“Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto”).

In Lombardia la ‘ndrangheta si riorganizza affidandosi al sangue e alla tradizione (come storicamente ha sempre fatto dopo gli arresti) e la geografia comincia ad assestarsi e noi non possiamo che seguirla con attenzione anche perché insieme a quelli che ci dicono che la mafia non esiste cominciano a spuntare i cretini che ci vorrebbero raccontare la ‘ndrangheta lombarda è stata decapitata.

Quando la politica si fa alta

Il messaggio sobrio, intelligente e responsabile del proprio ruolo della Deputata della Repubblica Laura Castelli del M5S:

 

 

Aspettando il grande capo Rocco Papalia

rocco-buccinasco-interna-nuovaViale del Buon Cammino, civico 19. Carcere di Cagliari. Le due del 23 aprile 2011. Un uomo ha appena varcato il portone d’ingresso. In strada respira il profumo dei pini marittimi. Il sole lo colpisce agli occhi. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Si stringe nella giacca. Poi gonfia il petto. Si sente libero come non lo era più stato dal 10 settembre 1992, quando iniziò la sua vita da carcerato. Diciannove anni dopo, il primo permesso e una sensazione che aveva imparato a dimenticare. Oggi la vita ricomincia, il sangue torna a scorrere, la mente a ingranare idee. Ancora, però, non è finita. Il rientro è fissato per le undici di sera. Meglio non pensarci. C’è la famiglia da riabbracciare, progetti da far ripartire.

Fino al blitz di questa mattina, quella data ha scavato come un tarlo nella testa dei carabinieri di Milano. Sì perché quel signore non alto, ma robusto, il volto indurito dagli anni di galera, lo sguardo che ghiaccia lo stomaco, non è uno qualsiasi, ma il boss dei boss, il padrino rispettato che assieme ai suoi due fratelli per oltre vent’anni ha giostrato gli affari della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo. Questo, infatti, è Rocco Papalia nato a Platì il 24 ottobre 1950. Un supercapo che dal suo fortino diBuccinasco, comune dell’hinterland milanese, ha programmato sequestri e traffici di ogni genere. Erano gli anni Ottanta. All’alba dei Novanta, poi, lo Stato reagì. Centinaia di mafiosi finirono in carcere. Negli archivi giudiziari quel blitz fu classificato sotto il nome di Nord-sud. A dare la stura le parole del pentito Saverio Morabito, ascoltate e trascritte da un giudice coraggioso, Alberto Nobili, e da un sbirro eroico, Carmine Gallo. Il resto è una storia, quella che traghetta Milano verso il terzo millennio, fatta di dimenticanze politiche, smemoratezze istituzionali e voglia di cancellare l’assedio mosso all’epoca dalla mafia più potente del mondo.

Il brusco risveglio una mattina di luglio del 2008. Di nuovo la cosca Barbaro-Papalia, ancora l’incubo di un’ammissione che si può tradurre in un titolo: Milano provincia di ‘ndrangheta. L’operazione Cerberus fa saltare il tappo. In quattro anni la Procura mette a segno centinaia di arresti, narrando di una Lombardia che si è fatta mandamento mafioso con le sue regole e i suoi riti. Decine di informative raccontano di colletti bianchi e politici collusi. I giudici condannano senza sconti. Eppure tanta solerzia investigativa ha intaccato solo la superficie di una infiltrazione molto più profonda e devastante. Ecco perché questa storia non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Una storia sulla cosca Barbaro-Papalia, sui suoi nuovi assetti, sul suo tesoro (mai trovato), e sugli affari: dal traffico dei rifiuti agli appalti pubblici. Una storia che parte (o riparte) da Rocco Papalia e dai suoi fratelli (Antonio e Domenico), che, pur ergastolani, da anni ormai hanno abbandonato i rigori penitenziari del 41 bis. Ma anche da un gruppo di colonnelli, oggi tornati liberi, che negli anni Ottanta, stando alle parole di un pentito, componevano “il governo” della ‘ndrangheta a Corsico e Buccinasco.

Così, per capire quanto quel 23 aprile 2011 abbia tenuto gli investigatori inchiodati per oltre due anni sul territorio di Bucicnasco,  basta scorrere le oltre cento pagine di un’informativa del 17 giugno 2011. Nelle prime pagine dell’annotazione, che ha dato inizio all’indagine conclusa oggi, i militari, ricordando le ultime inchieste che hanno colpito la cosca Barbaro-Papalia (Cerberus nel 2008 eParco sud nel 2009), mettono nero su bianco un ragionamento che inquieta: “Non vi è alcun segnale che si sia verificato un vuoto di potere. Oggi, per di più, s’inizia a intravedere il giorno in cui Rocco Papalia potrà tornare a Milano e fruire dei permessi; il primo gli è stato concesso a Cagliari (…). Nel frattempo, sono tornati in libertà membri autorevoli dell’organizzazione (…) membri la cui fedeltà alla cosca e a Rocco Papalia, in particolare, è certificata nelle condanne passate in giudicato”. E ancora: “Le innumerevoli attività investigative che, dagli anni Ottanta a oggi, hanno riguardato la cosca insegnano che essa, nonostante gli arresti, le tante e pesantissime condanne, è caratterizzata da una solida continuità di comando. E da un rispetto assoluto delle gerarchie. E’ una cosca che, proprio in ragione di ciò, non ha mai subito né faide né scissioni”. Una data per capire: 1983. Scrive il brigadiere Giuseppe Furco della locale stazione di Platì: “In merito alla posizione di capo indiscusso, con ruolo di prestigio anche sugli altri capi non vi è dubbio, infatti, che Domenico Papalia, fratello di Antonio e Rocco, cugino dei Barbaro soprannominati I Nigri, è tenuto in ottima considerazione”. Ecco invece cosa annotano i carabinieri nel 2011: “Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Giuseppe Furco scrisse quell’informativa (…) e gli equilibri, in seno alla cosca Barbaro-Papalia restano immutati”.

Corsico oggi. Un bar di via Salma. La storia riprende da qui e da una telefonata del 2011. “Sei al bar?”, chiede Agostino. “Sì”, risponde Michele. Il nastro delle intercettazioni registra. Il contenuto non è decisivo. Ai carabinieri serve per fissare nomi e luoghi della nuova pattuglia della cosca. Agostino, infatti, è Agostino Catanzariti nato a Platì nel 1947. Michele, invece, è Michele Grillo, anche lui platiota, anche lui classe ’47. Oltre all’anno di nascita, i due condividono l’appartenenza “al nucleo storico di ‘ndranghetisti che, alla fine degli Anni ’70, diede il via alla terribile stagione dei sequestri di persona in Lombardia“. Il 18 giugno 1987 Michele Grillo viene condannato a 18 anni per il sequestro di Tullia Kauten. Espiata la pena, oggi Grillo ufficialmente fa il camionista e vive a Casorate Primo, uno dei tanti comuni, a metà strada tra Buccinasco e Pavia, che rappresentano l’ultimo avamposto della ‘ndrangheta lombarda.

Di rapimenti è esperto anche Agostino Catanzariti. Secondo la ricostruzione dei carabinieri viene condannato per i sequestri di Angelo GalliAlberto Campari (1977)Giuseppe Scalari (1977),Evelina Cattaneo (1979). Il 24 maggio 1981 viene arrestato. In carcere ci resta fino al 2009. Quindi rientra a Corsico nella sua casa di via IV novembre dove finisce di scontare gli ultimi due anni ai domiciliari. Il 6 ottobre 1981, quando Catanzariti è in carcere da pochi mesi, la sua cella viene perquisita. Salta fuori un pizzino che i carabinieri riproducono integralmente nella loro informativa del 2011. “In quel pezzetto di carta – scrivono – si riesce a leggere: “Agostino Catanzariti capo, Rocco Papalia Supercapo”. Anche per questo: “Si ha motivo di ritenere che, nonostante la lunghissima carcerazione, egli sia tutt’ora personaggio autorevole”.

I luoghi in questa storia sono decisivi per cogliere affinità e rapporti. Ci sono i bar come quello di via Salma e come il Lyons di via dei Mille a Buccinasco, veri e propri “uffici dei Papalia”. Ma ci sono anche altri posti dove, secondo i carabinieri, la sola presenza è sinonimo di appartenenza. Uno di questi è il sagrato della parrocchia di San Silvestro. Qui il 30 aprile 2011 si celebra il funerale di un parente dei Papalia. I carabinieri ci sono, filmano, fotografano e scrivono: “È noto che nella ‘ndrangheta le cerimonie religiose (battesimi, matrimoni, funerali) sono occasioni sociali alle quali non è ammesso sottrarsi”. E in effetti l’album fotografico che ne viene fuori resta un documento importante per individuare i pretoriani della cosca. Agostino e Michele ci sono. Con loro i militari immortalano anche Natale Trimboli. Classe ’56, originario di Platì, Trimboli oggi vive a Zelo Surrigone. In passato è stato condannato a otto anni per armi e droga. Ufficialmente si occupa di movimento terra. Uno dei suoi figli assieme al pronipote di Catanzariti ha aperto un bar a Corsico in via Fratelli di Dio.

Alla cerimonia funebre, poi, compaiono altri due personaggi che fanno drizzare le orecchie ai militari. Quel giorno si vede Antonio Musitano detto Totò Brustia. Pure lui della truppa dei platioti di Buccinasco, Musitano fa 17 anni di carcere per l’operazione Nord-sud. Dal 2007 è libero. Di lui ha parlato a lungo il pentito Saverio Morabito: “Papalia si faceva coadiuvare da Antonio Musitano (…) Tra la fine dell’83 e dell’84 (…) Rocco Papalia si avvaleva della collaborazione di Musitano che si era rivelato un ragazzo sveglio”. Per molto tempo, racconta un investigatore, “è stato l’uomo di riferimento su Milano di Giuseppe Barbaro detto u’ Nigru”. Confermano i carabinieri nella loro informativa: “Antonio Musitano può essere considerato una delle figure apicali in seno alla cosca Papalia”. La riprova? “Il 27 maggio 2010, lo stesso Musitano accompagnò Rosa Sergi al carcere di Padova per un colloquio con il marito Antonio Papalia, fratello di Rocco”.

Funerali, ma non solo. I legami di sangue cementano il sodalizio. E come nella più rigorosa tradizione nobiliare, ci si sposa per elevare il lignaggio. Succede con Giuseppe Pangallo nato a Platì nel 1980. I compari lo chiamano Peppone. Oggi vive in provincia di Como assieme alla moglie Rosanna Papalia, figlia di Rocco. Dirà lei, intercettata durante l’inchiesta Marine della procura di Reggio Calabria. “Io stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare a te”. Definito “personaggio degno di attenzione”, nel 2005 viene condannato a 3 anni per droga, ma andrà assolto in Appello.

Questi sono i personaggi che vengono monitorati dai carabinieri di Milano. Eppure la storia non finisce qua. Negli ultimi anni, infatti, molti protagonisti dei maxi-processi degli anni Novanta sono tornati in libertà. Attualmente non risultano indagati e vivono da liberi cittadini nei comuni a sud di Buccinasco. Un lungo elenco dal quale spicca il nome di Paolo Sergi, boss di rango e cognato di Antonio Papalia. Al termine del processo Nord-sud incassò diversi ergastoli. Dal luglio 2011 vive in una villetta di Zibido San Giacomo con la possibilità di uscire solo poche ore al giorno. Suo fratello Francesco, invece, sconta l’ergastolo in carcere. Per tutti gli anni Ottanta ha gestito droga e sequestri ai tavolini del bar Trevi di via Bramante a Corsico. Il terzo fratello Sergi, Giuseppe detto Peppone, vive da libero cittadino e gestisce un esercizio commerciale a Corsico. Altro grande frequentatore dei bar-uffici della ‘ndrangheta è Antonio Parisi. Anche lui coinvolto nei maxi-blitz degli anni Novanta (condannato a 30 anni in primo grado), oggi vive a Buccinasco. Stesso destino per Diego Rechichi, ex luogotenente di Rocco Papalia, arrestato nell’aprile 2013 per traffico di droga. L’elenco è lungo. Ne fanno parte i fratelli Trimboli. Oltre a loro anche l’omonimo Domenico Tromboli, detto u Murruni, è tornato in libertà. In passato ha sposato una Papalia. Insomma, questa è la geografia. Un risiko fitto di protagonisti e comparse. Tutti in attesa del ritorno di Rocco Papalia, “il supercapo”.

(Un pezzo del solito Davide Milosa e dell’antimafia con nomi e cognomi come piace a noi da stampare e tenere in tasca)

A proposito delle generazioni perdute

Ritrovo grazie a Adrianaaaa una nota di Cesare Pavese che colpisce per contemporaneità nonostante sia stata scritta nel 1950:

Per oggi ci preme rilevare la frase che uno “scrittore comunista” ha detto a Falconi intorno alla crisi, all’insufficienza narrativa del nostro tempo: “La nostra è una generazione in un certo senso perduta, e non si può pretendere di più…La nostra testimonianza non può essere che polemica e imperfetta… Domani i nostri figli… potranno essere invece i testimoni liricamente o epicamente sereni, ecc ecc”. A noi questa frase ripugna profondamente, e non abbiamo difficoltà a dire il perché. Non ci sono generazioni perdute – ci sono dei lavoratori e dei fannulloni, dei confusionari e delle persone intelligenti. Se anche una sola generazione avesse il destino culturale di riuscire perduta, di sacrificarsi in toto alla successiva, allora per tutte sarebbe così e ci si domanderebbe a che scopo lavorare ancora. Chi non sa di essere felice “qui e ora”, non lo sarà mai. E scrivere, sia pure combattendo, vuol dire essere felice. Lo scrittore che non si contenta del suo lavoro nei giorni che gli è toccato di vivere, non è uno scrittore. E siamo certo che non lo sarà nemmeno nel giorno beato in cui la società finalmente socialista gli offrirà i più impeccabili modelli di civismo. Allora troverà che il mondo non è ancora comunista. E così via.
La poesia (anche quella dei neorealisti) non ha nulla a che fare con queste velleità, con queste scappatoie. La poesia è l’immagine “chiara” di ciò che nell’esperienza ci è parso “oscuro”, “misterioso”, “problematico”. In qualunque esperienza. E in qualunque momento storico ci tocchi di vivere.

(Da La Letteratura Americana e altri saggi)

Trapani dice di no

Manifesto per Trapani

trapani_dice_no_def2-01 (1)TRAPANI D I C E DI NO

Falcone ebbe a dire qualche tempo prima di morire: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

In qualità di cittadini, facenti parte di associazioni e movimenti, chiediamo che le forze migliori delle istituzioni trapanesi siano tutelate affinché queste possano svolgere il proprio lavoro e possano proteggere i cittadini che ogni giorno combattono personali lotte quotidiane di contrasto alla mafia ed alla mentalità mafiosa.

Chiediamo che il procuratore Marcello Viola, il pm Andrea Tarondo, il presidente del Tribunale delle misure di prevenzione Piero Grillo, e tutti i magistrati  e giudici che trattano procedimenti di criminalità organizzata, appartenenti alla procura e al tribunale di Trapani, che da mesi sono oggetto di atti intimidatori, siano tutelati e non siano lasciati soli.

Chiediamo che la Commissione Nazionale Antimafia accenda i suoi riflettori su Trapani dove li fenomeno mafioso ha lasciato e ancora oggi continua a lasciare segni indelebili rimasti indecifrati come: le stragi di Pizzolungo; dei carabinieri della stazione di Alcamo Marina;  i delitti del pm Ciaccio Montalto, del giornalista Mauro Rostagno, del giudice Alberto Giacomelli e dell’agente Giuseppe Montalto;  il tentato omicidio del questore Rino Germanà. Non meno rilevante e da chiarire in ogni aspetto è la certificata presenza a Trapani dei centri di Gladio. E ancora: a Trapani la loggia segreta e coperta Iside 2 ha oggi suoi eredi e ci ha lasciato perfettamente in carriera molti colletti bianchi, professionisti e appartenenti a certa politica. Non evochiamo “fantasmi” ricordando la Iside 2 ma denunciamo che a Trapani resta purtroppo imperante l’azione sprezzante di pochi, di pochissimi,che pretendono di determinare  le sorti delle città, di decidere i destini del territorio, l’affidamento di pubblici incarichi, la gestione dei Palazzi delle istituzioni, delle imprese, dell’economia, schiacciando così la Democrazia, il libero mercato, i diritti e i doveri di ogni cittadino. Falcone e Borsellino negli anni ’80 dicevano che:  se a Palermo c’e’ la mafia militare a Trapani c’e’ quella economica. Riteniamo che lo scenario oggi non sia cambiato. La Iside 2 fece da camera di compensazione tra mafia, politica e impresa e guidato la nascita di quella che oggi definiamo mafia imprenditrice, la mafia sommersa che non uccide più ma oggi sa fare ben sentire la propria “pesante” presenza.

Tutti noi  ci impegniamo e ci impegneremo a tenere alta l’attenzione circa il degrado civile, politico ed economico della nostra città; quel degrado che ci fa vivere in un clima di calma apparente, ma nello stesso tempo, come sopra un vulcano, pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

E’ doveroso ricordare anche le parole di Pippo Fava : A che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?”.

Noi vogliamo lottare per una città libera da giochi, ricatti, intimidazioni, poteri forti e colletti bianchi.

Vogliamo che tutti possano essere liberi di manifestare il proprio pensiero, vogliamo che un giornalista che racconta non sia per certuni una “camurria” come i mafiosi dissero di Mauro Rostagno, che nessuno sia più costretto a  pagare il pizzo o qualche altra quota  associative a Cosa nostra per aprire un’attività economica. Che tutti siano liberi di chiedere e ricevere ciò che gli spetta di diritto.

Vogliamo poter godere delle bellezze del nostro territorio, vogliamo che i nostri figli ci rimangano su questo territorio. Vogliamo che i nostri nipoti,  un giorno conoscano della mafia solo il termine, ma non il fenomeno.

Vogliamo dire ai magistrati ed ai giudici trapanesi che la città è con loro, che noi cittadini abbiamo  alzato  la testa, che abbiamo compreso che è tempo di andare avanti, non con sterili declamazioni  e non più confidando sull’impegno straordinario di pochi, ma con il doveroso impegno ordinario di tutti in una battaglia  che può e deve essere vinta.

Vogliamo restituire dignità civile e culturale al territorio di Trapani impegnandoci in prima persona nelle nostre attività quotidiane affinché si passi dal degrado economico, culturale e politico ad un risveglio economico, culturale,  politico e democratico. 

Siamo consapevoli che la lotta contro la mafia è una questione civile  di democrazia che non può essere lasciata solo nelle mani di chi è esposto in prima linea ma che riguarda tutta la società civile.

Vogliamo che questo nostro territorio, insieme con il nostro futuro, piuttosto che essere gestito da uomini di successo sia invece vissuto da donne e uomini di valore!

Lottiamo e non ci arrendiamo!

Trapani 10 Gennaio 2014 Palazzo Cavarretta/Piazzetta Notai

 

Aderiscono:

Fondazione Erice Arte, Associazione M-arte Matta, Associazione Arkè Arte Archeologia, Udi Unione donne in Italia, Trapani Cambia, Trapani per il futuro, Libera numeri e nomi contro le mafie, Movimento Agende Rosse, Movimento 5 Stelle, Articolo 21, Coordinamento Provinciale Sel, Circolo Sel Danilo Dolci, Legambiente Egadi, Osservatorio Civico Paceco, Calcestruzzi Ericina Libera, Amalatesta circolo Arci, Libero Futuro Trapani, Circolo Mauro Rostagno Rifondazione Comunista, Osservatorio per la legalità Trapani, Associazione culturale 50 metri, Associazione Saman, Associazione culturale Marettimo, AlfaOmega associazione culturale universitaria, Fondazione Benvenuti in Italia, Uisp,Comitato “Grazie Sodano”, Castello Libero, Associazione Nino Via-eroe contemporaneo,Addiopizzo,Confindustria Trapani, Cgil Trapani, Azione Cattolica Diocesana, Partito Democratico, Pallacanestro Trapani, Associazione Nazionale Partigiani, Un’Altra Storia, Associazione Antimafia Rita Atria, AlphaOmega onlus, Associazione antiracket Trapani, Wigwam Club Mare Dentro, Lunae Dies Teatro Collettivo di Ricerca Teatrale, Associazione antiracket Marsala, Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso, Ossermafia Italia – Uniti in memoria di Paolo e Agnese Borsellino, Ciao Mauro, Alqhamah, Movimento per la difesa del cittadino, Flmu-Cub, Cst Uil Trapani, Antimafia Duemila, Comitato delle Donne, Associazione Pluto Club, Circolo Big Bang – Adesso Trapani , Ordine degli Architetti, Associazione Pantelleria internet, Coordinamento “9 dicembre” Trapani, associazione Peppino Impastato Cinisi, associazione Cotulevi

 

ADESIONI PERSONALI:

 

Prefetto Fulvio Sodano, on. Rita Borsellino, On. Claudio Fava, On. Davide Mattiello, Sen. Vincenzo Maurizio Santangelo, On. Sonia Alfano, Sen. Pamela Orrù, Avv. Marco Campagna, Elisabetta Roveri, Maddalena Rostagno, Salvo Vitale, Pier Vittorio Demitry, Prof. Enzo Guidotto, Dott. Elena Ferraro, Dott. Nicola Clemenza, Dott. Gregory Bongiorno, Prof. Ignazio Buttitta, Avv. Giuseppe Gandolfo, Arch. Vito Corte, Dott. Santo Della Volpe, Avv. Valerio Vartolo, Dott. Francesco La Licata, Avv. Valentina Villabuona, Don Baldassare Meli, On. Baldo Gucciardi, On. Antonella Milazzo, Dott. Marco Rizzo, Dott. Nino Grignano, Avv. Francesco Brillante, Giulio Cavalli, On. Paolo Ferrero, On. Erasmo Palazzotto, Dott. Massimo Fundarò

 

Nella ‘ndrangheta si entra per nascita o per battesimo

Massimo Lugli per ‘La Repubblica

ndrangheta-296518«Una bella mattina di sabato Santo, allo spuntare e non spuntare del sole, passeggiando sulla riva del mare vitti una barca con tre vecchi marinai, che mi domandarono cosa stavo cercando… ». Sembra l’inizio di una ninnananna popolare, criptica e piena di simboli come il Tao te ching o la Bhaghvad Gita.

Ma in realtà è qualcosa di molto meno poetico e decisamente più inquietante: il rituale di affiliazione alla ‘ndrangheta, descritto nei minimi particolari in un documento criptato, decifrato dagli agenti della mobile romana. Che le cosche calabresi avessero fatto della capitale uno dei campi d’azione preferiti, ormai, si sapeva da tempo. Ma che piombo, sangue, tradizioni e maledizioni fossero stati trapiantati in blocco da San Luca a San Pietro, finora, nessuno l’aveva scoperto. Non in modo tanto preciso e documentato, almeno.

Un passo indietro per chiarire il contesto. Il documento è saltato fuori durante l’indagine su un omicidio eccellente: quello di Vincenzo Femia, personaggio di spicco della cosca di San Luca trapiantato da anni nella capitale e assassinato la sera del 24 gennaio 2013 con una grandinata di pallottole: due sicari e un’esca che proponeva l’acquisto di 5 chili di cocaina a 41mila euro al chilo. L’esca, Gianni Cretarola, un personal trainer con un omicidio da rissa alle spalle, finì in galera l’estate scorsa. Altri tre complici lo hanno raggiunto ieri mattina. Cretarola ha saltato il fosso ed è andato a ingrossare le fila dei collaboratori di giustizia.

A casa sua gli agenti di Renato Cortese sequestrarono, tra l’altro, tre fogli scritti a mano in un alfabeto che sembrava un mix di cirillico, arabo e ideogrammi cinesi arcaici. Il pentito su quegli strani geroglifici faceva spallucce e i poliziotti hanno appioppato il compito di tradurli a due colleghi appassionati di enigmistica.

Niente programmi software di lettura incrociata, niente consulenti d’alto livello, nessuna diavoleria tecnologica. Solo capatosta e un po’ di buon senso. E alla fine ha funzionato, con lo schema delle parole incrociate senza definizioni. La prima lettera individuata è stata la “C”. Una consonante sola ma che, piazzata nei punti giusti, ha permesso, poco a poco di tradurre tutti i ventuno simboli. Gli scarabocchi hanno acquistato un senso compiuto.

Eccone un esempio: «Come si riconosce un giovane d’onore? Con una stella d’oro in fronte, una croce da cavaliere sul petto e una palma d’oro in mano. E come mai avete queste belle cose che non si vedono? Perché le porto in carne, pelle e ossa».

Non ci vuole la laurea in antropologia per notare la continua reiterazione del 3, numero esoterico della Trimurti come della Trinità: i tre vecchi, le tre vele di cui si parla più avanti, i tre segni dell’affiliato alla cosca e i tre, mitici, fondatori della camorra (da cui la ‘ndrangheta ha attinto a piene mani): Osso, Malosso e Carcagnosso.

Una volta tradotto il codice, non resta che mostrarlo all’arrestato che, all’inizio, resta basito: «Ma come avete fatto?». Poi, visto che non ha praticamente altra scelta, parla. E racconta, nei dettagli, l’affiliazione alla cosca, avvenuta nella calzoleria del carcere di Sulmona e che l’avrebbe portato a occupare un ruolo stabile nella gerarchia della ‘ndrangheta: picciotto, sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone.

Nella ‘ndrangheta si entra per nascita o per battesimo e anche i figli dei boss, fino a 14 anni, sono «mezzi fuori e mezzi dentro». Il racconto di Cretarola è avvincente come certe pagine di Giancarlo De Cataldo. Sentiamolo. Una versione tratta dall’ordinanza di custodia della Dda romana diretta da Michele Prestipino.

«Per il battesimo ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati. Il primo passo è la “formazione del locale”, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario: «Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile». Segue l’inevitabile offerta di sangue. In mancanza di un coltello (siamo comunque in galera) il “puntaiolo” impugna un punteruolo da calzolaio.

È il novizio che deve pungersi da solo: se non ci riesce al terzo tentativo, l’auspicio è pessimo e bisogna rinviare di sei mesi, ma la mano di Cretarola è ferma e il sangue scorre. Iniziano le formule di rito: «A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo…». E via di questo passo.

Un rito che si ripeterà per tre volte nel tempo, dopo un’opportuna votazione, a ogni passaggio di grado e di status. In carcere non si trova un santino di San Michele da bruciare, il novizio si limita a bere il sangue e giura «di rispettare le regole sociali, di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle, di esigere e transigere centesimo per centesimo. Qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e discarico della società». È nato un nuovo affiliato alla ‘ndrangheta o, per dirla in gergo carceraio, alla pisella, alla pidocchia o alla gramigna. Un altro incubo per Roma, come se ce ne fosse bisogno.

 

Malagrotta, Cerroni e i sette re di Roma

120370583Sette persone sono state arrestate dai carabinieri del Noe di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio. Tra questi anche l’imperatore dei rifiuti di Roma, “l’ottavo re” che ha vissuto negli anni di centrodestra e centrosinistra come il padrone, il monopolista nella gestione del pattume sia nella capitale che nel Lazio: Manlio Cerroni, proprietario dell’area della discarica di Malagrotta, è finito ai domiciliari. Un’inchiesta, quella della Procura di Roma, che scompagina un sistema di potere giocato in forza del controllo della catena di comando a rischio di lasciare la Città eterna inondata di rifiuti. Sistema che ha fatto comodo alla politica, incapace di scelte e di governare il ciclo.   Con Cerroni agli arresti domiciliari altre 6 persone: imprenditori, ma anche funzionari pubblici. Si tratta in questo caso dei dirigenti regionali Luca Fegatelli (“l’uomo dei 10 incarichi”) e Raniero De Filippis. Agli arresti Francesco Rando, uomo di fiducia dell’avvocato e gestore della Pontina Ambiente. Rando gestisce anche la E.giovi srl che, insieme al Consorzio Co.la.ri., è tra le aziende principali dell’avvocato che fatturano in media 150 milioni di euro all’anno. Non è l’unico collaboratore di Cerroni coinvolto nell’inchiesta: anche altri due storici assistenti dell’avvocato sono finiti ai domiciliari, Pino Sicignano (direttore della discarica di Albano Laziale) e Piero Giovi. Associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e truffa sono tra i reati contestati a vario titolo agli indagati. La Guardia di Finanza di Roma ha nel frattempo sequestrato beni mobili ed immobili per 18 milioni di euro.   L’inchiesta da Velletri 
Ne ha fatta di strada Cerroni, una vita in sella dai tempi della sindacatura nel piccolo paese di Pisoniano, in provincia di Roma, anni Cinquanta – quando si faceva immortalare vicino a Giulio Andreotti – fino all’ascesa da imprenditore. Cerroni ha costruito un impero controllando la mega discarica di Malagrotta che per 30 anni ha ingoiato i rifiuti di Roma, di Fiumicino e della città del Vaticano. Società in tutta Italia e anche all’estero, un patrimonio sconfinato e impianti costruiti in mezzo mondo. Ora l’epilogo dei domiciliari.   L’inchiesta è partita nel 2009, condotta dai carabinieri del Noe di Roma agli ordini del colonnello Ultimo e del capitano Pietro Rajola Pescarini. La Procura di Velletri, pm Giuseppe Travaglini, aveva chiesto gli arresti, ma il gip nell’aprile 2012 ha trasferito gli atti per competenza alla Procura capitolina. Sotto accusa era finita la gestione del polo industriale di Albano Laziale, dove Cerroni, con la Pontina Ambiente, gestisce una discarica e un Tmb, impianto di produzione del cdr, le balle dei rifiuti da incenerire. Secondo l’accusa veniva prodotto cdr in misura inferiore rispetto a quanto veniva poi fatto pagare ai Comuni conferitori, con risparmio per il privato che spendeva di meno per smaltirlo in discarica, che in tanto si esauriva prima, piuttosto che per incenerirlo. I Comuni pagavano per un servizio che non ricevevano procurando così un vantaggio alla società di Cerroni. L’inchiesta per competenza si è spostata a Roma, i pm Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia sotto la guida del procuratore Giuseppe Pignatone, hanno chiesto le misure cautelari, accolte dal gip Massimo Battistini.   Il funzionario a disposizione Se c’è l’imprenditoria non può mancare il funzionario regionale, anche lui ai domiciliari, si tratta di Luca Fegatelli. Notizie riguardo l’indagine, che oggi ha portato all’esecuzione delle misure cautelari, erano già state pubblicate eppure Fegatelli, anche quando Nicola Zingaretti è stato eletto presidente della Regione, è rimasto in sella con una sfilza di incarichi (ilfattoquotidiano.it ne contò 10). Tra questi anche quello di direttore dell’agenzia regionale per i beni confiscati. Fegatelli è stato dirigente della direzione regionale energia e rifiuti fino al 2010 prima di passare a capo del dipartimento istituzionale e territorio, ruolo che oggi ricopre. Per gli inquirenti è stato a disposizione del gruppo imprenditoriale, è risultato il vero regista, l’uomo chiave della strategia “cerroniana” in Regione. Insieme a Cerroni ai domiciliari finiscono i suoi uomini di sempre, i fedelissimi che da anni sono stati ai vertici della galassia di imprese dell’avvocato.   Poi c’è Raniero De Filippis. Prima direttore del dipartimento del territorio (dal 2007 al 2010), poi attualmente alla guida della direzione regionale ambiente e politiche abitative. De Filippis, con Fegatelli, fu tra i “fortunati” che vide il suo incarico prorogato da Renata Polverini in extremis del suo mandato da governatrice (che stava esaurendosi sotto i colpi degli scandali). E lo stesso funzionario si è “distinto” anche per la coincidenza di avere come collega – funzionario in Regione Lazio – il nipote Alessandro. Anche De Filippis è stato confermato da Zingaretti nonostante tutto. Nonostante la Corte dei Conti lo avesse condannato a risarcire la Regione accertando un danno erariale di 750mila euro. E nonostante nel 2002 avesse già patteggiato 5 mesi per abuso d’ufficio e falso ideologico per vicende legate ad una comunità montana di cui era stato commissario liquidatore.   L’assessore al telefono 
Ai domiciliari anche Bruno Landi, ex presidente della Regione Lazio negli anni Ottanta, craxiano di ferro, presidente di Federambiente Lazio, che ha ricoperto diversi ruoli nelle società dell’avvocato da Viterbo a Latina. Landi è stato il punto di contatto con il mondo della politica. Quella politica che ha sempre acconsentito alle richieste dell’avvocato per lo spettro della spazzatura in strada e l’incapacità dei partiti di avviare un ciclo di gestione dei rifiuti. Negli atti, l’informativa dei carabinieri del Noe inviata alla Procura di Velletri, anche una telefonata con l’attuale assessore regionale Michele Civita (estraneo all’inchiesta), quando era assessore in Provincia. Conversazioni che raccontano il ruolo e il potere di Cerroni. Era il 2010. I carabinieri scrivono nell’informativa: “L’assessore, sebbene in un primo momento sembra tenere testa alle pretese dell’avvocato, alla fine soccombe dietro la paura di creare un problema igienico-sanitario simile a quello vissuto dalla città di Napoli, così come paventato dal Cerroni stesso”. Un potere e un ruolo che hanno affascinato anche Goffredo Sottile (pure lui estraneo all’indagine), ultimo commissario per l’emergenza rifiuti a Roma, che anche in pubblico aveva espresso apprezzamenti per l’avvocato. Nonostante l’indagine in corso a carico di Cerroni – nota già dallo scorso anno – Sottile ha insistito per affidargli la gestione della nuova discarica che avrebbe servito Roma dopo Malagrotta. Ipotesi poi tramontata. Tramontata come la rete di potere dell’anziano avvocato.

Di N. Trocchia su Il Fatto Quotidiano

La confusione che aiuta le mafie e le droghe

Roberto Saviano aveva cominciato a parlare di legalizzazione delle droghe durante la preparazione del suo ultimo romanzo e quando in Italia il dibattito sul tema era relegato all’ostinazione dei Radicali e poco altro. Ricordo che quando uscì uno dei suoi primi corsivi e poi alcune interviste sul tema rimasi sorpreso dal “silenzio” sul punto: tutti discutevano del libro “Zero Zero Zero” (dividendosi in buona parte già in idolatria o demolizione prima ancora che fosse dato alle stampe) ma in pochi vollero raccogliere quell’invito a legalizzare. Passò come una provocazione, una conclusione affrettata, un’idea che non si risolve con un libro.

Ora il tema della legalizzazione delle droghe risale nel dibattito nazionale dopo le recenti decisioni degli altri Paesi in giro per il mondo (che semplicemente significa che noi qui in Italia siamo indetto nel dibattito, no?) e ancora Roberto scrive un articolo chiaro e per me completamente condivisibile:

Io credo che la legalizzazione, e non la liberalizzazione, sia l’unica strada. Due termini simili che spesso vengono confusi, ma che indicano due visioni completamente diverse. Legalizzare significa spostare tutto quanto riguarda la produzione, la distribuzione e la vendita di stupefacenti sotto il controllo dello Stato. Significa creare un tessuto di regole, diritti e doveri. Liberalizzazione è tutt’altro. È privare il commercio e l’uso di ogni significatività giuridica, lasciarlo senza vincoli, disinteressarsi del problema, zona franca. Invece legalizzare è l’unico modo per fermare quel silenzioso, smisurato, violento potere che oggi condiziona tutto il mondo: il narco-capitalismo.

Appunto sulla differenza tra liberalizzare e legalizzare sta il nodo creato ad arte per rendere l’argomento tutto bianco o tutto nero.

La verità è che non abbiamo scelta: la situazione attuale impone un’analisi accurata del mercato delle droghe e l’attuazione di un programma che non sarà la soluzione definitiva e immediata, e che forse sarà un male minore, ma necessario. Lasciare il mercato delle droghe nelle mani delle organizzazioni criminali non renderà immacolate le coscienze di quanti ritengono che lo Stato non possa farsi carico di produrre e distribuire sostanze stupefacenti. È proprio questo il punto da affrontare e l’inganno da sfatare. Ad avere occhi per vedere.

L’articolo completo è su Repubblica.