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Ne resterà solo uno

Primarie-Kustermann-e-Di-Stefano-per-Bersani.-Ambrosoli-per_h_partb“Ne resterà solo uno” mi scrive simpaticamente (ma drammaticamente) Agostino su twitter: si parla di quaranta consiglieri indagati per peculato al Pirellone. Lo scrive La Stampa, Il Fatto Quotidiano e in questi minuti un po’ tutti stanno riprendendo la notizia.

E’ la fine degna di una legislatura indegna nei comportamenti, nelle politiche e nella rappresentanza della classe dirigente. Per predisposizione e per passione mi hanno sempre appassionato più gli inizi piuttosto che l’analisi del disfacimento e per questo aspetto domenica perché le primarie (civiche, mi raccomando) dicano chi può essere il candidato per la Lombardia che guidi una coalizione di centrosinistra (meglio di sinistracentro, possibilmente) per segnare una discontinuità etica oltre che politica.

E devo ammettere che queste primarie hanno almeno toccato i temi che per troppi anni sono sembrati un tabù anche dalle nostre parti come l’eccessiva privatizzazione di scuola e sanità, il consumo di suolo, un diverso pensare alle infrastrutture fino al welfare e alle politiche sociali sgretolati dal montismo e dal formigonismo. L’augurio che possiamo farci è che tutti i temi vincano le primarie e rimangano in agenda, sostenute dalla responsabilità di farsene carico chiunque sia il vincitore.

Ho molto apprezzato lo spirito “evoluzionario” di Di Stefano che conoscevamo per competenza e passione. Ho ascoltato con molta attenzione la competenza di Alessandra Kustermann in campo sanitario e risentito finalmente belle discussioni, collegate e dirette con i diversi movimenti e comitati del territorio.

Conosco Umberto Ambrosoli da anni e con lui ho condiviso impegni e serate dove una diversa interpretazione dell’etica pubblica era davvero possibile. Sono d’accordo (come mi succede ultimamente molto spesso) con Pippo Civati quando scriveCredo però che la figura più competitiva per sconfiggere la destra – soprattutto se questa si presenterà unita – sia quella di Umberto Ambrosoli. E non solo e non tanto perché Ambrosoli sia stato indicato come loro candidato da tutti e tre i principali partiti che comporranno la coalizione o perché goda di un consenso molto largo tra le forze civili della città di Milano, ma perché credo che Ambrosoli possa vincere le elezioni e dare alla Lombardia un governo molto distante da quello che ci ha preceduti. Fin dallo stile, dalle modalità di selezione delle persone che lo accompagneranno, dalle scelte politiche di fondo che la maggioranza della Prossima Lombardia vorrà interpretare.

L’importante è che dalle nostre parti dopo queste primarie non ne rimanga solo uno ma esca una pluralità: a partire dai tre contendenti per allargarsi alla Lombardia tutta in un percorso che mi ostino a vedere fortemente politico senza perifrasi di cortesia.

Per quanto riguarda me sono in molti in questi giorni a chiedermi lumi su queste ultime mie settimane politiche (dalla candidatura ritirata in poi) e mi conforta l’interesse e la stima. Per ora rimango a svolgere il mio ruolo di parte attiva a queste primarie e poi avrò modo di pensare, ripensare a piccoli vizi antichi e indegni incrociati per strada, dire e spiegare. E decidere.

Perché ogni tanto le primarie succede che si facciano con la propria coscienza, anche.

Lettera a Babbo Natale dall’Ilva

Il testo del mio intervento alla trasmissione “L’Ultima Parola”:

Caro Babbo Natale,

Mi chiamo Tommaso ho 7 anni e abito in un paese in provincia dell’Ilva,

Qui siamo quasi tutti in provincia dell’Ilva che è un provincia che non è mai stata abolita e al posto dei cartelli per segnare i confini ha un tappeto peloso e nero graffettato sotto i bordi del cielo come quelle tettoie abusive in giardino che aspettano solo i tempi del condono.

Caro Babbo Natale,

Questa lettera mi dice mamma che dovevo scriverla alla Befana, perché è lei che di solito si occupa del carbone, e io all’inizio mi ero anche preoccupato, Babbo Natale, ma poi sull’attribuzione dei poteri per le decisioni che contano mi ha detto mamma che in fondo vince chi arriva prima e chi riesce a fare la voce più grossa, e allora mi sono messo di corsa a scrivere questa lettera senza nemmeno perdere un minuto a lavarmi i denti e sto usando il pennarello con la punta più grande che avevo in giro per casa.

E mia mamma mi ha detto di stare tranquillo, che Babbo Natale capirà, mi ha detto mamma, che ogni tanto tocca a lui farsi carico di una lettera alla Befana che gli arriva per decreto ministeriale, come nelle commedie degli equivoci che fanno tanto ridere alla tivvù.

Vedi Babbo Natale,

Qui a casa nostra aspettiamo il natale per la neve sui balconi che è uno spettacolo da volarci via con la testa, davvero, e il quartiere diventa tutto bianco come il latte versato sopra ai tetti e ai balconi, bianco come i calzini dei pirati, bianco come le dimissioni che ha firmato papà per farsi assumere e bianco come le bare che sono cinquant’anni che ci passano sotto il terrazzo e sono lunghe poco più di me se mi metto sdraiato sul pavimento. Il bianco più veloce del west, Babbo Natale, che dura giusto il tempo prima che atterri di nuovo la polvere di carbone perché qui, Babbo Natale, in provincia dell’Ilva la neve nevica a Natale ma il carbone sono cinquant’anni che nevica tutto l’anno. Siamo bambini fortunati, qui da noi, sempre con l’ombrello aperto come nei film con la nebbia finta a vapore. E il bianco della neve dura il tempo di farci le foto per i parenti e poi si infeltrisce di nero come la coda di un gatto: i balconi, i tetti, i marciapiedi e i calzini bianchi dei pirati. Solo le bare bianche rimangono bianche, strofinate dalle mamme, il papà e i fratelli se ci sono fratelli. Una cosa da volarci via, dovresti vederla, Babbo Natale.

Caro Babbo Natale,

L’altro ieri la maestra ci ha dato un tema come compito a casa sulle cose che ci sono antipatiche e io, Babbo Natale, ci avevo scritto sopra che se c’è una cosa che mi rimane proprio sul gargarozzo, anche se sono solo un bambino cinico di sette anni, sono i morti di lavoro. E lei me l’ha segnato con l’errore del pastello blu e mi ha detto “Tommaso si scrive morti – al – lavoro” mi ha detto, e io le ho risposto che no, maestra, che questi sono morti – di – lavoro, che ne ho conosciuti di amici di papà che sono morti e quando ho chiesto di cosa sono morti lui mi ha detto di lavoro. Proprio – di – lavoro, maestra, mi ha detto così, perché ci sono morti che lavorano per curarsi il lavoro infame che gli hanno cucito addosso e che non riescono mica a pulirsi i polmoni e il sangue mettendolo in lavatrice, come fanno con la tuta.

La maestra, caro Babbo Natale, si è tirata fuori dalla tasca la gomma e mi ha cancellato la riga blu e poi mi ha detto sottovoce di non dirlo troppo in giro. Anche se, caro Babbo Natale, sul foglio del tema, che ci ho preso “bravissimo ma troppo curioso”, sul foglio ci è rimasta la macchia di blu. Perché gli errori gravi non si cancellano con la gomma, lo sanno anche gli asini più asini della mia classe, caro Babbo Natale.

Caro Babbo Natale,

Qui nel mio paese in provincia dell’Ilva ci sono morti che abbiamo solo noi, qui in giro: i morti che muoiono della pioggia di carbone ma non è colpa di nessuno. E quando non è colpa di nessuno, Babbo Natale, la colpa è dei morti che si ostinano a morire senza nemmeno preoccuparsi di chi è la colpa.

E allora, caro Babbo Natale, ti scrivo perché per questo Natale puoi anche fare a meno di portarci i pacchi impacchettati, così eviti di infilarti nel lurido dei nostri camini, e magari come regalo per quest’anno ci porti via il carbone che si è asfaltato sui banchi in questi ultimi cinquant’anni. Magari lo rivendi a prezzo buono alla befana per la sua prossima tournée di gennaio oppure ci fai uno svincolo su a casa tua al Polo Nord. L’importante è che ce ne liberi un po’ perché nemmeno con una tromba d’aria riusciamo a cacciarcelo giù per la gola.

E se ti capita portaci un libretto delle istruzioni sulle priorità della salute e del lavoro, un bugiardino come quello delle medicine che ci dica le dosi giuste per evitare le controindicazioni e la secchezza delle fauci.

Che qui i grandi li vediamo parecchio in confusione e non vorrei che ci facessero altre primarie, della salute contro il lavoro, e il doppio turno con il ballottaggio.

Buon Natale, Babbo Natale, dalla provincia dell’Ilva.

 

 Il video è a questo link oppure qui sotto dal minuto 8 e 47 secondi:

Scrivere una ferita e chiamarlo spettacolo

Ne ho parlato poco per ora (mi hanno anche sgridato come mi sgridano i miei collaboratori quando comincio le mie passeggiate travestito da estraneo per i sentieri del “fuori davvero” come lo canterebbe Vinicio) ma tra qualche giorno sarò in scena con il mio nuovo spettacolo Duomo d’onore. Ma non è la pubblicità che mi interessa, quella no. Per quella potete guardare qui, prenotare, decidere e fare.

Ogni volta che scrivo uno spettacolo butto una scaletta di corda nel burrone delle mie cose peggiori e ritorno in superficie solo qualche giorno più tardi portandomi dietro il mio odore di zolfo. Erano anni che non scrivevo di mafie al nord, da quel A 100 passi dal Duomo che mi ha circuito come una sciantosa infedele e pericolosa che una mattina mi ha fatto svegliare da solo nel letto. Sono passati anni e sembra un’era di rivoluzioni, evoluzioni e qualche involuzione che ci è scappata di mano: la politica, i libri, gli amici persi e poi ritrovati, le reti che abbiamo tirato su all’alba e hanno portato pescato bellissimo, vecchie scarpe e denti pronti a staccarti una mano. Non sarei più capace di tornare in scena con la profumata spensieratezza di quel debutto di qualche anno fa, non ho più nemmeno il pulsante per convincermi che questa storia di fili e paure sia una parentesi breve come un’avventura: torno in scena invecchiato nella botte di questi miei tempi e con un retrogusto barricato amaro di un’abitudine alla solitudine più che alla paura.

Non so promettervi come sarà questo nostro nuovo marchingegno da palcoscenico che smutandiamo insieme settimana prossima nel nostro solito Teatro della Cooperativa lì a Niguarda dove vengo riadottato tutti gli anni. Ma ci sono tutti gli ultimi anni: una valigia con tutti gli ultimi anni piegati, dentro.

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Sto diventando intollerante all'(in)sanità pubblica

Io non sopporto più quest’aria rarefatta che nasconde la torba di un Governo che vorrebbe inculcarci la propria strada come unica possibilità da percorrere.
Non sopporto più questo ripetere che non c’è alternativa per narcotizzare l’elaborazione del pensiero politico, la fantasia, la politica e la speranza. Non sopporto più questo perbenismo conformista che dovrebbe spingerci a tacere che un Premier in un Paese che spende quello che spende in armamenti, corporazioni, prostituzioni finanziarie, lecchinaggi clericali e soldi pubblici per pagare i vizi, in un Paese in questo stato (minuscolo), Mario Monti si permetta di discutere di servizio sanitario nazionale come un privilegio per cui dovremmo ringraziare a testa bassa e mani giunte.
Io non sopporto più di ascoltare la retorica del privato (nei settori che la Costituzione prevedeva e vedeva pubblici) che eccelle nei ruoli che sono dello Stato quando, anche in Lombardia, è stato piuttosto interprete dell’egoismo, del disprezzo sociale e della distorsione di una mission che non può essere consonante nell’etica e insieme nei bilanci.
Io non accetto (ed è un minaccioso consiglio anche per i candidati delle primarie lombarde) che ci si ingegni per trovare “ciò che di buono è stato fatto” nella melma che si può annusare facendo un salto al presidio dei lavoratori appena fuori dal San Raffaele, dalle famiglie sanguinanti dei pazienti del Santa Rita o dagli “esuberi” che pagano la protervia e la bassezza umana della Fondazione Maugeri.
Io non tollero che non si levi una voce collettiva dignitosamente furiosa contro Monti e alcuni suoi Ministri che esibiscono priorità scollegate dalla realtà e con ghigno professorale ci illustrano teorie medievali nella visione dei diritti.
Non mi interessa sedermi dalla parte del torto (perché come diceva Brecht i posti erano già tutti occupati dalla parte della ragione) per elemosinare una poltrona o una carezza dalle segreterie.
Perché alla fine anche la liberalizzazione della dignità della persona ci diranno che è l’unica soluzione possibile.

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‘Capacità predatoria”: Blue Call, ‘ndrangheta, i Bellocco e l’imprenditoria

La mafia era infiltrazione, una volta. Nemmeno per tutti. Infiltrazioni al nord, dicevano, come rassicurazione lessicale. Poi sono venuti gli arresti di tanti (troppi imprenditori) e di tanti (troppi) amministratori: hanno cambiato tono, l’hanno detta “emergenza” come si dicono quelle emergenze levigate dalla consuetudine della frequenza. Ogni volta che ne scrivi da una parte qualsiasi anche le reazioni ormai sono un balletto di sdegni preventivati e riconoscibili: Maroni, Saviano, bravo Giulio l’avevi detto, la Moratti, il Prefetto di Milano, Banca Rasini e via così.

Ma manca il punto: i predatori prevedono le mosse dei concorrenti e degli avversari e in Lombardia i competitori dei predatori sono gli imprenditori; così oltre alla “disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito” come recita l’articolo 416 bis del codice penale stupisce (perché non si riesce ad inculcare, più che altro) come le mafie siano intraprendenti ancora più che imprenditrici. Futuriste nei campi d’azione: mentre nei convegni si parla di movimentazione terra loro entrano nel mercato dei compro oro, poi li raggiungi nei testi che le raccontano e intanto si sono spostate sui videopoker e le forniture alberghiere in un susseguirsi di cronico ritardo nella fotografia del contemporaneo.

Oggi si sa che la ‘ndrangheta (sotto l’ala della cosca dei Bellocco) entra con prepotenza nel settore dei call center (niente di meglio che un campo di conquista così fortemente “precario”, del resto). Diceva qualcuno che la magistratura interviene di solito sulle macerie e dipinge un quadro già superato mentre se ne dibatte in fase processuale. Niente di più vero e chiaro.

Ora manca il passo lungo (o il passo corto raddoppiandone il ritmo) per mettersi alla pari: discutere di mafie come punto costante dell’agenda di tutti gli assessorati. Tutti. Come si fa per i ladri e gli scorretti. Come se fosse un’emergenza trasversale che predilige le acque inesplorate. Perché è così.

Qui l’articolo (da incorniciare) di Davide Milosa per Il Fatto Quotidiano:

L’ultimo affare: i call center. Sì perché quella della potentissima cosca Bellocco di Rosarno, è una ‘ndrangheta che diversifica. E se in Calabria i boss regnano da imperatori e preparano faide in cui, sentenziano le donne di mafia, a morire dovranno essere “tutti, anche i minorenni”, in Lombardia si dedicano al business. Legale e milionario. Come dimostra la vicenda della Blue call srl, azienda specializzata nella gestione di call center con il centro direttivo a Cernusco sul Naviglio e sedi operative in tutta Italia (anche in Calabria, naturalmente). Un’impresa florida che solo nel 2010 ha chiuso un fatturato da 13 milioni di euro, facendosi segnalare come leader del settore. Un gioiellino, dunque. Gestito da Andrea Ruffino, il quale, agli inizi del 2011, apre le porte a un emissario dei boss. Finirà per cedere le quote. Regalando ai boss un vero bancomat cui accedere in ogni momento, ma soprattutto la possibilità di controllare un ampio consenso sociale attraverso le assunzioni. Un’arma formidabile anche per la gestione di pacchetti elettorali. Insomma affari al nord e controllo del territorio al sud. Il tutto sulla rotta Rosarno-Milano e ritorno. Questa la fotografia scattata dalle procure di Reggio Calabria e Milano che all’alba di questa mattina hanno dato esecuzione a 23 arresti tra Calabria per associazione mafiosa e Lombardia per intestazione fittizia di beni, accusa quest’ultima aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso. Tra questi anche i soci della stessa Blue call.

“LE AZIONI NON SI CONTANO, SI PESANO E LE MIE PESANO DI PIU’”

Per comprendere il disegno basta leggere i capi d’imputazione. A Rosarno la mafia è armata. Mentre a Milano, questa stessa ‘ndrangheta (ben diversa da quella rappresentata dall’inchiesta Infinito) non spara, usa il computer e si appoggia a veri e propri intermediari del crimine. Gente insospettabile che, come in questo caso, prende contatti e mette in comunicazioni gli imprenditori con i boss. Carlo Antonio Longo, originario di Galatro (Reggio Calabria), è, infatti, il referente dei Bellocco al nord. Mega villa in Svizzera, titolare di un’azienda edile (chiusa nel gennaio scorso) schermata da un limited londinese, Longo è un uomo di mafia, violento e deciso, ma è anche un broker, capace di trattare con gli imprenditori del nord. Talmente sottile da minacciarli, citando a memoria una delle storiche frasi di Enrico Cuccia, per decenni eminenza grigia della finanza italiana. Dirà Longo all’imprenditore: “Le azioni non si contano, ma si pesano, e le mie pesano di più!”. Gli uomini del Gico guidato dal comandante Marco Menegazzo, ascoltano queste parole il 16 settembre 2011, periodo in cui la ‘ndrangheta si accinge a fare il passo definitivo: prendersi tutta l’azienda che in quel periodo conta oltre mille dipendenti.

L’IMPRENDITORE: “HO PRESO LE BOTTE, QUEL BASTARDO, CON IL COLTELLO ANCHE”

L’atto finale solo quattro giorni dopo, quando Andrea Ruffino (anche lui destinatario di un mandato di cattura, ma attualmente irreperibile) convocato da Longo e soci nella sede operativa di Cernusco sul Naviglio. Nella saletta ci sono una decina di persone, gente vicina alla cosca Bellocco, persone assunte in società senza le minime credenziali. In questo momento Longo regola i conti o, come dice lui, “taglia i rami secchi”. L’imprenditore di Ivrea viene massacrato di botte, dopodiché, con il coltello puntato alla gola, verrà “convinto” a cedere tutte le sue quote a una società preparata ad hoc dalla ‘ndrangheta. Uscito da quell’incontro, la vittima chiama subito la sua fidanzata per sfogarsi. “Ho preso le botte (…) mi ha dato una botta che sento malissimo adesso. Quel bastardo, guarda. Con il coltello anche, guarda (…) quello che dovevo raggiungere l’ho raggiunto ma fanno schifo. Sono uomini di merda. Ti giuro non sto sentendo da un orecchio”. L’imprenditore è stato massacrato. Però è sollevato, perché ha ottenuto la promessa di un minimo pagamento delle sue quote. Pagamento, che, alla maniera calabrese, non arriverà mai. Le conversazioni dei giorni successivi confermano il quadro agli investigatori. Un impiegato delle sue società vedendo l’imprenditore con l’occhio pesto gli consiglia di andare in ospedale. “Sì – risponde – e cosa dico che Longo mi ha fatto un’estorsione”. Il vaso è pieno. Lo sfogo arriva subito dopo: “Basta con questa ‘ndrangheta – dice l’ex titolare della Blue call – che si pigliassero tutto”.

UMBERTO BELLOCCO, IL PICCOLO PRINCIPE DELLA ‘NDRANGHETA

Eppure, mesi prima, l’imprenditore piemontese non la pensava così. Tutto inizia nel dicembre 2011, quando Emilio Fratto, commercialista con conoscenze importanti in ambito mafioso, pensa di rientrare da un credito che ha con l’imprenditore piemontese proponendo l’ingresso di nuovi soci nella Blue call. In questo modo, lo stesso Fratto crede di potersi liberare di un debito a sua volta contratto con la cosca Bellocco. Succede tutto velocemente. “C’è da fare questa cosa”, dice Fratto a Longo che prende tempo e riporta la possibilità a Umberto Belloco, il giovane e capriccioso principe del clan, il quale entrerà con entrambi i piedi nella vicenda fino ad essere il regista ultimo e questo senza aver la minima professionalità. Farà di più durante la latitanza terminata nel luglio scorso – sarà arrestato a Roma nel luglio scorso – il giovane Bellocco, da fuggiasco, percepirà un regolare stipendio dalla Blue call, oltre naturalmente ai vari benefit per allietare la latitanza.

LA SCALATA ALLA SOCIETA’: QUESTIONE DI PANZA E DI PRESENZA

La vicenda, quindi, nasce per un debito-credito. L’imprenditore, del resto, non si oppone. Anche perché, emerge dalle indagini, già sotto scacco da uomini legati ai clan di isola Capo Rizzuto. Quello che appare chiarissimo è il metodo con cui la ‘ndrangheta prima entra e poi conquista l’azienda. Longo, introdotto da Fratto, e per conto dei Bellocco, porta in società una serie di persone fino ad aver, inizialmente, il 30%. Questo, però, è solo il prologo di una scalata rapidissima. Tanto che lo stesso Umberto Bellocco intercettato dice: “Tu pensa che dove lavoro io ci sono 40 ragazzi…45…A Cernusco gestisco un Call-Center”. Insomma, il progetto mafioso va a gonfie vele e a costo zero. Longo è chiarissimo: “I soldi noi non li abbiamo messi”. E dunque? Prosegue: “Io non metto niente io prendo”. I Bellocco dunque cosa mettono. “La presenza – ribadisce Longo – panza e presenza”. L’espressione tipicamente mafiosa viene tradotta dagli investigatori: “I Bellocco, una volta entrati a far parte della società con un quota minoritaria (30%), stavano cercando di acquisirne il controllo con metodologie che facevano leva solo sul potere di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alla ‘ndrangheta”. Panza e presenza appunto. Tanto basta “per prendersi il lavoro di una vita”, si sfoga così uno dei soci della Blue call. “Non è solo, il futuro dell’azienda (….) Stai sotto scacco per tutta la vita! Come dici tu: Non c’è via d’uscita , questi qua… E’ impossibile, capito. Oggi vogliono questo e domani cosa vogliono!? … E dopodomani cosa vogliono, scusami”.

“LORO SONO COME DIO CHE POSSONO DECIDERE TUTTO”

Ruffino un po’ intuisce, un po’ no. Addirittura pensa di estromettere i calabresi, liquidando la loro parte. Non sarà così, naturalmente. E Fratto lo avverte fin da subito: “Per il resto dei nostri giorni non ce li togliamo più dai piedi. Tu pensa di giocare, con loro, sulla lama del rasoio: poi, quando ti tagli, ti renderai conto delle mie parole (…) Io ti sto dicendo che questa razza la conosco, tu no”. L’imprenditore, dunque, sta giocando con il fuoco. Però insiste: “La morte – dice – non è il peggiore dei mali”. Fratto è chiarissimo: “Tu sei un pazzo”. E allora l’altro chiede: “Loro sono come Dio che possono decidere che tutte le persone muoiono no?”

L’imprenditore agganciato sa ma non si sgancia. Diventa complice. Ne è consapevole Ruffno che dice: “Io non voglio andare avanti con queste persone (…) stiamo puliti (…) e non rischiamo nessun 416bis”. Quindi ancora parole in libertà sul come liquidare questi calabresi. “Guarda io ho più soluzioni (…) mi sono rotto i coglioni io voglio stare separato perché voglio comandare io”. Tanto coraggio viene smorzato da una telefonata di Longo, il quale durante le festivita pasquali fa gli auguti a Ruffino. “Volevo salutarti (…) come stai (…) Insieme e alla tua famiglia, tanti auguri…Buona Pasqua, capito, fai una buona Pasqua e vivi felice e contento”.

SCHERMI SOCIETARI E ASSET MAFIOSI

Nonostante tutto l’imprenditore prosegue nel tentativo di liberarsi dei calabresi. Consapevole della mafiosità dei suoi interlocutori, ma ancora non del tutto consapevole della loro intelligenza criminale, chiude la Blue call e splitta l’intero assett (call center e immobiliare) su due società: la Future srl e la R&V. Nel frattempo, però, la ‘ndrangheta ha già creato una sua società schermo, la Alveberg con sede a Milano in via Santa Maria alla porta. Tra i soci c’è la anche la fidanzata di Longo. E’ dentro questa srl che confluiranno tutte le quote dell’imprenditore, dopo il pestaggio del 20 settembre.

NELLA FAIDA UCCIDERE ANCHE DONNE E BAMBINI

Questa è la ‘ndrangheta che colonizza Milano. Una ‘ndrangheta violenta e vorace. Capace di prendersi un’azienda da 13 milioni di fatturato senza fare rumore. E di progettare una faida dove coinvolgere anche donne e bambini. L’incredibile vicenda è narrata nella parte calabrese dell’inchiesta. E nasce da due omicidi di affiliati alla cosca. I sospetti ricadono sul clan pesce, un tempo alleati con i Bellocco. Tanto che il giovane erede del casato mafioso dice, intercettato, “Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro…sennò non è di nessuno”. Il rischio di una faida è concreto. Tanto che Umberto ne parla con la madre Maria Teresa D’Agostino. “Una volta – dice la donna – che partiamo, partiamo tutti, una volta che siamo inguaiati, ci inguaiamo tutti….dopo, o loro o noi o noi, vediamo chi vince la guerra, dopo…pure ai minorenni”. E ancora: “Pari pari, a chi ha colpa e a chi non ha colpa, non mi interessa niente…e femmine”.

Questi gli arresti:

Si riportano i nominativi dei 23 soggetti attinti da nr. 2 misure cautelari emesse nell’ambito dei procedimenti penali nr. 8507/10 R.G.N.R. D.D.A. (già 3451/10 R.G.N.R. D.D.A. e nr. 1236/2010 R.G.N.R. D.D.A. significando che l’esecuzione dei provvedimenti cautelari è stata delegata alla Squadra Mobile (per gli arrestati dal nr. 1 al nr. 16), al G.i.c.o. della Guardia di Finanza di Milano (per gli arrestati nr. 17 e nr. 18), al R.o.s. dell’Arma dei Carabinieri (per l’arrestato nr. 19) e alla Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro (per gli arrestati dal nr. 20 al nr. 23).

  1. BELLOCCO Umberto nato a Cinquefrondi il 01/08/1983, detenuto presso la Casa Circondariale di Lanciano (CH);
  2. BELLOCCO Francesco nato a Cinquefrondi il 15/05/1989, detenuto presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria;
  3. BELLOCCO Maria Angela, nata a Cinquefrondi il 01/09/1981 ed ivi residente in via Giacomo Matteotti nr. 13;
  4. BELLOCCO Emanuela nata a Rosarno il 30/08/1975 ed ivi residente in via Aldo Moro s.n.c.;
  5. ZUNGRI Francesco nato in Russia il 02/07/1989 e residente a Rosarno in vico del Forno nr. 15;
  6. MALVASO Pasqualino nato a Rosarno il 13/10/1975 ed ivi residente in via Giacomo Matteotti nr. 13;
  7. BELCASTRO Michelangelo nato a Cinquefrondi il 30/07/1989, residente a Bulgarograsso (CO) in via Guglielmo Marconi nr. 2;
  8. LONGO Carlo Antonio nato a Galatro il 23/06/1964, residente in Monzambano (MN) in Strada Castellaro Nuova nr. 54;
  9. D’AGOSTINO Francesco nato a Taurianova il 17/06/1975, detenuto presso la Casa Circondariale di Palmi;
  10. D’AGOSTINO Vincenzo nato a Rosarno il 10/01/1961 ed ivi residente a in via Carlo Lorenzini nr. 20;
  11. OLIVERI Domenico nato a Palmi il 20/12/1979, detenuto presso la Casa Circondariale di Benevento;
  12. ELIA Francesco nato a Rosarno il 13/09/1975 ed ivi residente in via Provinciale nr. 205;
  13. GALLO Sabrina nata a Cinquefrondi il 09/09/1990, residente a Rosarno in via Ugo La Malfa nr. 30;
  14. NOCERA Maria Serafina nata a Rosarno il 14/08/1954 ed ivi residente in via Elena nr. 126;
  15. PANETTA Rocco nato a Galatro il 24/10/1974, residente a Misinto (MB) in via del Cavo nr. 5;
  16. RULLO Raffaele nato a Cinquefrondi il 18/03/1985, residente a Giffone in via Giosuè Carducci nr. 1/C.
  17. NOCERA Francesco nato a Cinquefrondi il 17/12/1982, detenuto presso la Casa Circondariale di Potenza;
  18. MERCURI Francesco nato a Gioia Tauro il 26/01/1979, residente ad Albano Sant’Alessandro (BG) in via don Giovanni Schiavi nr. 7;
  19. BELLOCCO Michele nato a Rosarno il 19/03/1950 ed ivi residente in via Giacomo Matteotti s.n.c.;
  20. PIROMALLI Vincenzo nato a Rosarno il 09/07/1969 residente in Sesto San Giovanni (MI) in via Rabbino nr. 28;
  21. LIGATO Bartolo Angelo nato a Gioia Tauro il 12/12/1983, detenuto presso la Casa Circondariale di Palmi;
  22. PIROMALLI Luigi nato a Polistena il 27/12/1989, residente in Rosarno alla via Paolino nr. 28;
  23. TIMPANI Luigi nato a Cinquefrondi il 02/01/1988 e residente in Casalgrande (RE) via San Lorenzo nr. 20;

Voto Vendola per restare umano. Anche in politica.

Mancano poche ore al primo turno delle primarie del centrosinistra. Un ringraziamento dovuto alle migliaia di persone che stanno rendendo possibile con l proprio lavoro lo svolgimento dei primarie sui territori: quasi tutta gente di partito, per dire, oltre ai “civici” e gli “apolitici”.

La corsa è stata ricca, articolata nel percorso dialettico e politico e tutto sommato è stata leale: sono primarie che hanno tenuto alto il profilo e fanno bene alla politica. In queste ultime settimane ho girato l’Italia (da Recanati a Brescia, da Roma a Gallarate) per raccontare quanto  (che di Vendola sono un po’ figlie avendole chieste e sostenute, quando ancora ci credevano in pochi che sarebbero state messe in campo) sia un’occasione per scrivere una squadra ed un programma che sia di sinistra-centro piuttosto che di centrocentrocentro-sinistra come troppe volte ci è capitato di assistere.

Quando pronunci la parola “sinistra” negli incontri pubblici si alza sempre qualche sguardo torvo di fastidio: niente destra o sinistra, ci dicono con l’eleganza dei demagoghi che passano per rivoluzionari, ultimamente. Io non sono oltre le ideologie: l’ho già scritto in tempi non sospetti qui.

E per questo domani voterò Vendola: per le proposte che escono dall’idea liofilizzata di “sinistra di testimonianza” e si prende la responsabilità di diventare una sinistra adulta e di governo, perché questo Paese ha il dovere di ricominciare ad occuparsi dei diritti (meglio ancora se degli altri), perché come un archeologo curioso è andato a recuperare in fondo al mare parole che la politica aveva avuto occasione di sotterrare (cultura, rappresentanza dei lavoratori, speranza, umanità, solidarietà, cooperazione, disarmo e “famiglie” scritto al plurale), perché la legalità ha una declinazione etica e morale oltre alle regole, perché interessa la partita oltre al partito.

Ma se dovessi dare una sola motivazione, una soltanto, voto Vendola perché è rimasto umano: umano nella dignità di affrontare il processo e con lo stesso tono contenuto commuoversi all’uscita del tribunale dopo l’assoluzione senza bile urlata in faccia, umano nel non provare vertigini nel parlare del diritto all’amore, alla speranza e al futuro, umano senza nascondimento delle sue fragilità.

Restiamo umani, diceva Vik, e in questi giorni nazionali (e internazionali) vale la pena di provarci con fierezza.

Le primarie sono le primarie, primarie, primarie

Scrive Filippo Azimonti che Per seguire il dibattito sulle primarie lombarde, anche quando tende a farsi carsico come in queste ore, può essere utile citare Gertrude Stein: «Una rosa è una rosa, una rosa, una rosa» (Sacred Emily, 1913) nella sua interpretazione più lineare («Le cose sono quel che sono») come nella più complessa lettura che segnala come usando semplicemente una parola se ne evochino tutti i significati, e ha ragione. Sarei semplicemente meno ottimista di lui (ma lo sono per natura) quando scrive: Ora il problema per chi vorrà aderire al patto civico è piuttosto quello di mantenere aperta la sfida senza rinunciare al contributo di chi, generosamente, ha già dichiarato la propria disponibilità e, in ipotesi, a quanti altri volessero farlo. Solo così la rosa resterà una rosa, anche con le sue spine. Perché le primarie sono primarie e sembra che ci si dimentichi che alle primarie tutti i candidati partono con pari dignità, e allo stesso modo i partiti dovrebbero diventare civici senza bisogno di fare passi di lato quanto piuttosto “saltandoci dentro” per mettersi in gioco, senza paure e con la consapevolezza del lavoro fatto dal centrosinistra in questi anni (ed è stato fatto).

Altrimenti siamo tutti Vladimiri ed Estragoni che aspettano Godot con la corda in mano per impiccarsi all’albero. Una cosa così.

Come scrive oggi Paola su PubblicoMa l’operazione non convince e sembra comunque una retromarcia. E Ambrosoli tentenna e si arrocca. Suona una musica tutta sua. E così, la candidatura che doveva essere la soluzione di tutti i mali, inizia ad assomigliare, più che altro, a un problema.

E mi dispiace se questo post crea dispiacere a qualcuno.

Premio Borsellino, grazie

Le motivazioni del premio Borsellino 2012 che mi onoro di ricevere come un impegno da mantenere:

Perché la mafia colpisce in mille modi. Ricevono il premio per il loro impegno nel campo artistico e culturale che è stato già stato assegnato tra li altri a Fabrizio De Andrè, Dario Fo, Franca Rame, Francesca Comencini, Marco Bellocchio, Mario Monicelli, Moni Ovadia, Erri De Luca, Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Angelo Branduardi e idealmente a quanti hanno il merito di mettere in comunicazione il genio, l’inventiva umana, con il necessario sguardo sul mondo, che spesso invece rimane, per gli artisti come per i politici, una distratta incombenza. A GIULIO CAVALLI e ANDREA SCANZI il Premio Borsellino 2012 per la cultura.

Pane e primarie

Mangiamo pane e castagne, in questo chiaro di luna, 
le mani ben ancorate su questa linea. 
Domani ce lo diranno dove dobbiamo andare, 
domani ce lo diranno cosa dobbiamo fare. 

Mangiamo pane e primarie tutti i giorni ma Ambrosoli va bene anche senza“: e invece no.

Come abbiamo avuto modo di dire ieri (e forse vale la pena ribadire oggi) abbiamo accolto con piacere la disponibilità di Umberto Ambrosoli a correre per il centrosinistra in Lombardia ma riteniamo indispensabile la sua partecipazione alle primarie già partite. Un’investitura costruita con un’ampia partecipazione popolare può solo fare bene a Umberto, a noi e alle secondarie che rimangono il vero obiettivo in Lombardia. Senza il passaggio delle primarie il quadro politico sarebbe un’altra cosa perché non ci può essere contraddizione tra Ambrosoli e le primarie.

Giulio Cavalli, Pippo Civati

Se un tuo custode muore di passaggio

Faccio una premessa. Secca: tutto questo essere prosaici su scorte e scortati mi ha sempre provocato la pelle d’oca. Più  che altro perché l’umanità delle scorte è sempre sporca e sconcertante: non ha poesia, non ha eroismi ma è sudore, rabbia, grattarsi, sopportarsi poco e male per tutto il tempo costretti a passare insieme e l’abitudine alla paura che diventa un vestito che stringe sul cavallo e sembra uno di quei vestiti da cerimonia che odi appena indossi.

Insomma forse questo articolo sarebbe meglio non scriverlo nemmeno e andare tutti a dormire con un dolore a cui avremmo dovuto fare l’abitudine in tutta questa mareggiata di tristezze di rimbalzo.

Potrei anche scrivere che Giovanni era un eroe o un amico del cuore. Oggi che è rimasto ucciso amazzato per terra a Lodi sarebbe un trofeo da cacciatori di sensazioni.

Semplicemente, e tragicamente banale, sarebbe da dire che oggi è rimasto morto ammazzato un uomo che ha passato qualche mezza giornata a tenere gli occhi aperti per passeggiare con gli occhi bassi io, i miei figli, e tutti queli che ci dovevano costruire una passeggiata. Giovanni Sali ha prestato servizio per la mia tutela come fanno quotidianamente in molti di Lodi e provincia. Gente che non ama i flash, che non sta lì a pensare alle posture buone per i giornali ma che pensa semplicemente di tornare a casa anche questa sera e la prossima.

Gente che mi vede grattarmi, incazzarmi, ridere, piangere, amare, disperare, avere fame, sete, sonno o avere il dubbio di cosa avere. Gente che convive nel senso che vive “con”. Persone con una dignità che fissa i paletti della professione e si mette la vita e le proprie nevrosi in tasca per provare a gestire e difendere le mie. Gente che cambia posizione tra pubblico o privato, che studia gli spigoli degli spazi, che interroga le facce, che si impegna a sparire appena un dolore o una gioia ha uno angolo appuntito e diventa quindi “personale2 eppure “in servizio”. Carabinieri che sono gli argini di una quotidianità in sicurezza. Niente di poetico, per carità: uomini che in punta di piedi sono le tue sentinelle, in punta di piedi, sulla propria pistola.

La morte di Giovanni è un infarto di questo ecosistema di conviventi che mi difendono per difendersi e rimangono silenziosi ai margini per avere la misura dei confini.

E importa poco che sia lui. Siamo noi. Un pezzo di quello stagno malato che ci portiamo in giro fingendoci sani.

E mancherà. Giovanni. A tutti.