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#cosaseria eppur si muove

“Si alla sinistra nemica di populisti, ma l’Udc non fa parte del nostro campo. Noi gli siamo alternativi. Alleanze? Dico a Bersani: apriamo ai movimenti, ai sindaci, e credo si debba aprire un dialogo costruttivo con tutte le forze di sinistra. Mi candido alle primarie”. Lo dice Vendola nella sua intervista di oggi.

Si chiama “dibattito”, è il cuore della politica. E adesso è aperto.

 

 

 

La dignità dei morti sul lavoro

Mi scrive Claudio Messora:

L’Inail è l’Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro. E’ una forma di assicurazione pagata da tutti per tutelare quelli che secondo l’Articolo 1 della Costituzione sono i pilastri del nostro Paese: i lavoratori. La pagano gli imprenditori, ma ogni costo aggiuntivo sulle aziende ricade inevitabilmente anche sulle buste paga, dunque la paghiamo tutti. L’Inail ha accumulato un tesoretto enorme. Nella tesoreria di Stato, depositati su un conto infruttifero, sono parcheggiati oltre 17 miliardi. Che lo Stato può utilizzare a suo piacimento se ha la necessità di far slittare qualche asta sui titoli.

Nel frattempo, mentre chi specula sul debito pubblico viene garantito dallo Stato – e questo nonostante il rischio sul deprezzamento del suo investimento sia già stato abbondantemente liquidato attraverso la pretesa di rendimenti da favola -, se un operaio muore non prende un soldo. Matteo, scomparso lo scorso 5 marzo mentre montava il palco di Laura Pausini, a Reggio Calabria, vale 1936,80 euro: il contributo funerario pagato dall’Inail a sua madre. Di più non si poteva fare, perché i genitori di Matteo non risultavano da lui mantenuti. Il “Testo Unico Assicurazione Obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali” è del 1965, ma nel frattempo l’Italia è cambiata. Anzi: tutto il mondo è cambiato. Le leggi si fanno per i cittadini reali, non per quelli immaginari. Se il Paese che paga è composto in buona parte da famiglie di fatto (che spesso sono più salde dei matrimoni la cui durata media non supera i 10/15 anni), la legge che vincola i risarcimenti, e le tabelle che stabiliscono le rendite da corrispondere alle vittime e alle loro famiglie, devono essere aggiornate. Un lavoratore che perda un piede sul luogo di lavoro prende, se gli va bene, 400 euro al mese. 400 schiaffi, mentre i 17 miliardi accumulati dalla sua assicurazione servono a pagare gli errori della politica e a tutelare i rendimenti di chi ha investito. Ma l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro, non su Bot e Cct. Il rischio non lo prescrive il dottore, ma lavorare sì! Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ha lanciato una petizione per chiedere al governo di occuparsi di aggiornare il Testo Unico, e per chiedere che il tesoretto dell’Inail venga utilizzato per dare una vita dignitosa a tutte le vittime di incidenti sul lavoro e alle loro famiglie, che oggi ricevono rendite vergognose.

Per firmare, clicca qui: NON DERUBATE I MORTI!

Rita sta con Claudio e la cosa si fa seria, una #cosaseria in Sicilia

Dal sito di SEL: Rita Borsellino torna in campo. Dopo settimane di silenzio per smaltire la delusione delle primarie vissuta come un tradimento nei suoi confronti da parte di chi le aveva assicurato sostegno per poi seguire altre strade, l’eurodeputato vuole impegnarsi adesso per le regionali e si trova in piena sintonia sul percorso intrapreso da Claudio Fava per trovare l’unità a sinistra.

I due in questi giorni si sono sentiti più volte e contano, insieme, di poter lavorare ad un’alleanza oltre il Pd che possa fare da polo di attrazione anche per molti esponenti democratici delusi dall’accordo con gli ex democristiani. Sulla candidatura del dirigente di Sel, l’unica al momento in campo su questo fronte, la Borsellino cercherà quindi di costruire una coalizione che metta insieme Idv, il partito di Vendola, Verdi, Federazione della sinistra e movimenti civici. Un lavoro difficile, con una presenza ingombrante come quella di Leoluca Orlando ancora una volta a far da muro su accordi facili. Al momento Idv non ha un candidato, ma con l’asse Pd-Udc saldo e un Fava già in campo con sondaggi che lo danno anche in vantaggio su molti concorrenti, l’accordo non è escluso.

Seguiamo con attenzione la Sicilia. Sosteniamola. Stringiamoci a coorte, direbbe qualcuno, belligeranti senza essere bellici. Perché la coalizione che sta sbocciando e i temi assomigliano tanto a qualcosa che stiamo ripetendo in questi giorni. O no?

#agendadigitale le cazzatine intorno

La terza cosa che penso – da circa 15 anni a dir la verità – è che quello dell’adozione tecnologica sia un tema quasi esclusivamente culturale. 20% infrastruttura, 80% illuminazione. Che il divario digitale non si risolve con un corso obbligatorio di “spingi qui, ora clicca lì” ma che servano, infrastrutture certo ma anche scuola, università, televisioni, salotti di casa e vita quotidiana mediati dalla tecnologia. Con un distinguo bolscevico importante: non ogni tecnologia è utile alla causa della crescita della società, non tutto quello che è Internet e digitale è automaticamente adatto. La responsabilità politica oggi come ieri è tutta nell’esercitare questa azione di indirizzo e scelta volando alti sopra le proposte del mercato: avvicinare i cittadini alle tecnologie “buone” e rimanere neutrali rispetto a tutte le cazzatine intorno. Non facile.

Massimo Mantellini sul suo blog con tre idee sulla chimera di una seria agenda digitale.

Fatelo voi. Fatelo per l’Italia non per voi stessi. Non perché siete ribelli, ma perché siete onesti.

La conversazione con Giambattista vira su altro, sull’ oggetto dei suoi studi, sulla politica, su temi specifici che interessano entrambi, sul suo prossimo libro, dedicato al gruppo parlamentare della sinistra indipendente. Non finiremmo mai di parlare e siamo come i clerici vagantes medievali, certi del valore della conoscenza e del sapere oggi come allora, quando quel sapere creò l’Europa che tutti inseguono senza saperne granché. Ci sentiamo però come degli anarchici, quando anarchici non siamo.  Siamo quelli che son tornati per rimanere. Io ho mollato, non faccio più ricerca, insegno a Palermo. Lui combatte a Catania e ha tutto il mio appoggio e sostegno. Forse nel mio caso il paese ci ha guadagnato un insegnante motivata, soddisfatta e fiera di quello che fa, piuttosto che un’esperta di arte barocca, ma quando guardo, come in questo istante, i libri della mia vita, nello scaffale accanto alla mia scrivania, subisco per intero il fallimento e il dolore di una vita che poteva essere diversa, perché la mia vita è quei libri. Anche se del fallimento ne ho fatto un’opportunità.

Oggi compio 45 anni e sono la Generazione Perduta, arrabbiata tanto da non volerne sentire parlare in modo inutile. Dico adesso a chi ha vent’anni, ascoltate Giambattista: denunciateli quando vi rubano il futuro in modo illecito. E’ inutile aspettare una legge che controlli,  punisca o verifichi in modo serio le irregolarità ovunque siano, non ve la faranno, non costoro. Fatelo voi.  Fatelo per l’Italia non per voi stessi. Non perché siete ribelli, ma perché siete onesti. 

L’amica Mila Spicola intervista Giambattista Scirè, il giovane storico catanese che ha denunciato l’irregolarità di un concorso universitario per un posto da ricercatore a tempo indeterminato. E la generazione perduta di cui con molta superficialità ha parlato Monti si rivela con le idee chiare sul tema del sistema di reclutamento universitario, sull mondo politico, quello della sanità, quello delle imprese, quello, più in generale, del lavoro in Italia. Da leggere. Qui.

L’immonda legge elettorale

E nel paese che aveva avuto un regime mediatico ventennale seguito da un successivo governo della Goldman Sachs, per non interrompere il serial si andò alle elezioni inventando un superpremio di maggioranza al primo partito, un inedito mondiale (Grecia a parte). Gli elettori furono chiamati anticipatamente alle urne per volere del capo dello stato che dettò le condizioni di un’alleanza centrista, sfasciando del tutto il già disastrato campo della sinistra. La fantapolitica è spesso anticipatrice della realtà (il 1994 ce lo ricorda) e in Italia potrebbe accadere di nuovo: votare con un sistema frankestein (metà Mattarellum, metà tedesco, metà spagnolo), scelto da partiti al minimo storico del consenso, dopo appartati conciliaboli in comitati ristretti.

Lo scrive Norma Rangeri su Il Manifesto e sembra l’inizio di uno spettacolo di Aristofane ma non fa ridere per niente. La legge elettorale in discussione in questi giorni è l’ennesimo suicidio della politica, se ce ne fosse ancora bisogno. Decidere di imboccare la strada della preservazione della specie mentre spinge la richiesta di partecipazione è una porcata morale immonda: significa reagire all’antipolitica alimentandola con la strada dell’a-politica. Viene il ragionevole dubbio che per qualcuno sia un sturbo insopportabile questa cosa di dovere addirittura votare, nelle democrazie.

Come dice bene Norma: È l’inganno perpetuo: come nel referendum del maggioritario (lo ricorda ai lettori la copertina del ’93 che ripubblichiamo oggi), con l’80 per cento di «sì» il popolo pensò di essersi liberato del vecchio regime, della partitocrazia e invece cambiarono solo le facce (e non tutte), così domani lo strombazzato funerale al bipolarismo potrebbe tradursi, senza soluzione di continuità, in una farsa del proporzionale, con gli stessi partiti, e persino le stesse facce di oggi, al governo di domani.

 

La #cosaseria ha bisogno di chiarezza, seria

Funziona sempre così: la notizia da lanciare è l’eventuale dissidenza. Se qualcuno esprime un’opinione (il nostro appello è un’opinione che pretende di essere ovviamente una posizione) diventa un boccone prelibato per passare per dissidente, contestatore o peggio un fomentatore. Ho imparato la calma perseverante da tempo grazie alla paura cronica e all’esame continuo: non mi interessa smentire, costruire, perfezionare o aggiustare. Il nostro appello è la rivendicazione del ruolo politico che SEL ha nello scacchiere del centrosinistra ed è chiaro e leggibile. Ma per evitare tortuose insinuazioni chiariamo volentieri:

  • crediamo che sia SEL a dovere mettere i paletti sull’eventuale alleanza (o tentativo di alleanza) con l’UDC non per veti pregiudiziali ma semplicemente perché i punti di programma non sono compatibili.
  • crediamo comunque che il PD possa essere la forza motrice di una coalizione di governo. Abbiamo scritto “una parte del PD” perché ogni volta che ascoltiamo Letta, D’Alema, Foroni e altri capiamo di essere diversi. Non migliori o peggiori: diversi. Diversi perché incompatibili. E allo stesso modo lavoriamo da tempo con una parte del PD che lavora con lo stesso comune sentire.
  • non accettiamo che ci venga detto “SEL ha aperto all’UDC”. Ho seguito in diretta delle cose in quei giorni e so bene come la comunicazione abbia preso una piega incoerente con le posizioni reali (come ha spiegato Nichi a chiare lettere). Però all’esterno la questione è rimasta irrisolta, per mancata comprensione o per fallace comunicazione. Bene: la Cosa Seria vuole prendere seriamente posizione. Appunto.
  • crediamo che le forze politiche (e sociali, quelle senza sigla) a sinistra e comunque alternative al Montismo siano una risorsa. Ma non accettiamo che il nostro appello sia strumentale ad un’ennesima parcellizzazione. Inclusivi senza essere strumentali, per favore.
  • basta con questa abitudine a bollare come dissidenza qualsiasi presa di posizione. Succede dappertutto. Ogni volta che si chiede forza nell’esprimere una volontà politica si passa per essere demolitori del presente: una banalizzazione, questa sì, populista, banale e abusata. Dentro quell’appello c’è un’idea di programma che è già stato scritto (e pubblicato qui). Stiamo chiedendo una diversa convinzione. La demolizione la lasciamo a formattatori o rottamatori. Ci dedichiamo alla pars construens.
Tra l’altro tutte questo è congelato da una legge elettorale che potrebbe arrivare e che si annuncia come scempio della rappresentatività.

E poi chiariamo l’ultimo punto ma chiariamolo davvero: vogliamo che le diversità di forze politiche non potabili rispetto al nostro sentire vengano valutate, considerate e messe per iscritto. Senza preoccuparci di esserne padri o padrini. Vorremmo lavorare perché il nostro pensiero sia condiviso e, se maggioranza, diventi un impegno. Chi scrive che alla prossima assemblea di SEL del 31 agosto ci sarà una “battaglia” sbaglia in modo sensazionale. Io (qui uso il singolare perché me ne prendo la responsabilità) credo che sarà così. Sarà chiarito. E sarà scritto e comunicato questa volta con fermezza.

Rivendichiamo una linea politica che forse già c’è e ha bisogno di emergere al meglio. E noi ne vigiliamo la fioritura. Facciamo politica per questo, no?

 

Mangiare lo stesso con la cultura, nonostante la politica

Nel 2012, nel mondo della cultura, sono previste 32250 assunzioni, dopo un quinquennio che ha visto il settore in espansione, con una media dello 0,8% annuo, nonostante la crisi e una crescita economica nazionale media dello 0,4%. Tra il 2007 e il 2011 infatti, i posti di lavoro creati nell’industria culturale sono stati 55mila. Questo il quadro disegnato dall’indagine Excelsior – curata da Unioncamere e ministero del Lavoro – e presentata da Ferruccio Dardanello, presidente dell’ente che rappresenta le camere di commercio, al meeting di Rimini.

Di questi nuovi posti, 22.880 sono stabili e 9.370 stagionali, pari al 5,6% del totale delle assunzioni che verranno realizzate dalle imprese di industria e servizi. Nonostante la contrazione dello 0,7% dei dipendenti rispetto al 2011, 4.900 in meno, il dato è positivo se confrontato con le altre imprese, che nello stesso periodo hanno perso l’1,2%, 125600 posti di lavoro in meno.

Ha ragione Dardanello quando dice che “Sembra un paradosso ma in Italia manca un quadro organico di politiche economiche basate sul potenziale produttivo del settore culturale. Gli italiani devono recuperare non soltanto il senso economico della cultura, ma anche in una certa misura il suo senso sociale, di elemento alla base delle sue produzioni di eccellenza e occasione per dare opportunità di lavoro a tanti giovani che hanno capacità e qualità da vendere. Purtroppo è ancora diffusa l’idea che con la cultura non si mangi, ma i successi del Made in Italy, di cui tanta parte discende proprio dalla nostra cultura del fare e del vivere, vengono da questo patrimonio inesauribile. Che va messo a frutto con politiche che devono partire fin dai banchi di scuola, per mettere in condizione i nostri giovani e le loro famiglie di cogliere le tante opportunità che vengono dall’industria culturale, e maturare presto quell’esperienza indispensabile per conseguire un lavoro di qualità”.

Un settore che cresce mentre sparisce dai bilanci pubblici dovrebbe essere la china da cui ripartire. Dovrebbe essere l’esempio di una crisi che nei campi dell’intelligenza e fuori dai meccanismi della finanza fa molta meno paura. Dovrebbe essere l’occasione per rivendicare la cultura come punto di programma vero mica da elencare nei comizi ma da inserire nel piano di programmazione economica. Ecco, magari facciamolo sul serio noi questa volta.

Il buon gusto di desiderare l’impossibile

Uno scritto della filosofa Luisa Muraro (grazie a Carla per la segnalazione):

“Desiderare l’impossibile non è senza effetti, al contrario. Coloro che abitano il mondo con aspettative incommensurabili ai propri mezzi e non perdono né la pazienza né la fiducia, risvegliano nel cuore del reale quel di più di essere di cui i viventi sentono la mancanza e che, per ciò stesso, li tiene in vita. Il reale non è indifferente al desiderio e non assiste indifferente alla passione del desiderare, nonostante capiti spesso di fare l’esperienza di una loro apparente, reciproca estraneità” (Luisa Muraro)

Ecco un metodo.

La #cosaseria in Sicilia: cosa succede intorno a Fava

Dunque, tra le osservazioni che sono arrivate al nostro appello Facciamo la Cosa Seria ci sono immancabilmente quelle degli analisti politici. Loro li riconosci subito dalla quella faccia che dice “la politica è un’altra cosa e non è cosa per il popolo bue” e dal fatto che non arrivano mai con le proprie osservazioni alla fonte ma attraverso tortuosissimi sentieri di pretoriani che fanno da sponda.

La Cosa Seria, secondo loro, non funziona perché servono i numeri. E’ la stessa frase che mi disse un alto dirigente PD in Lombardia quando mi confermò che loro dialogano con l’UDC perché a differenza mia volevano vincere (che poi, dico l’UDC piacerebbe sapere a tutti quanto pesi elettoralmente in questo momento perché credo che un alieno che legge le cronache degli ultimi mesi sia portato a pensare che sia un monolite da 50/60% di consensi) e per vincere bisogna, mi ammonì severo, stare tutti insieme: affermazione inquietante in politica, dove ognuno ha il compito di rappresentare le differenze per potere tutelare tutti. Insomma gli analisti politici (dalemiani nell’oratoria e nella postura, di solito) dicono che la Cosa Seria pone un veto e non funziona e se gli si risponde che in realtà vorrebbe togliere il veto al blocco più di sinistra di questo Paese controbattono che la coalizione si fa con i partiti di Governo e non con le meteore populiste o veterocomuniste (che tutti insieme tra l’altro pesano ben più dell’UDC, ma la matematica degli analisti non ha le regole della matematica degli ingenui come noi, si vede).

Intanto succede che in Sicilia Claudio Fava dica a chiare lettere che discontinuità significa evitare ammucchiate e rompere davvero con il passato. Una posizione politica chiara: no al Cuffarismo, nessun credito alla conversione dell’UDC siciliana e a malincuore no al PD che cerca sponde con loro. Assomiglia tanto alla Cosa Seria, verrebbe da dire.

E un sondaggio di Pagnoncelli dice che Fava sarebbe in testa in una corsa in cui la corazzata PD-UDC amata dagli analisti risulta addirittura terza.

Non so se Claudio Fava ce la farà (e ci torneremo, e faremo di tutto perché accada) ma a volte succede che i numeri assomiglino davvero ad un comune sentire così lontano dagli strateghi forse un po’ logori e sordi. Ed è una piacevole e confortante evoluzione. In attesa delle cose lombarde. Anche.