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Se una legge elettorale decide le alleanze

Non ci sta bene la mancata possibilità di scegliere i propri rappresentanti. L’abbiamo detto, lo dicono in tanti, l’abbiamo ripetuto in assemblea nazionale e l’abbiamo scritto di continuo. Anche qui, su questo blog. Forse perché detestiamo il servilismo che oggi è la qualità che naturalmente garantisce le posizioni politiche all’interno del proprio partito e, soprattutto, perché non esiste meritocrazia senza avere prima disarticolato la ricattabilità (anche sociale, senza bisogno di stare sul penale) che sta tra i dirigenti che compilano le liste e i candidati. Con Non Mi Fermo ne abbiamo fatto una battaglia culturale, prima che politica.

L’ipotesi di legge elettorale di cui si parla da giorni è immonda ma è anche vincolante dal punto di vista politico: l’ammucchiata è l’unica via percorribile per governare. Lo dice oggi anche uno studio di IPR MarketingDopo la grande coalizione, ancora grande coalizione. Sarebbe questa l’unica formula in grado di garantire oltre 400 deputati a sostegno di un nuovo governo. Lo sostiene Ipr Marketing, che ha simulato lo scenario post-voto se andremo a votare con la legge elettorale su cui sembra ci sia un accordo tra i maggiori partiti. Una maggioranza più debole, invece, sarebbe quella ottenuta da un’alleanza di centro sinistra con Pd, Sel e Udc: circa 360 deputati.

E alla fine diranno che sì, ci sono incompatibilità politiche, ma conta la governabilità. Che fa rima con austerità e responsabilità. Che l’Europa e la crisi non permettono un governo sul filo dei numeri e che il momento storico ci chiede di stare tutti insieme.

Dopo il governo tecnico una legge elettorale che sospenda le differenze, la dialettica e la risoluzione in aula dei conflitti sociali: una legge elettorale che sospende la politica. Ancora.

Obiettivo #30elode

Una petizione che vale come impegno di #salvaiciclisti. Si può firmare qui.

Secondo i dati INAIL, ogni giorno 57 pedoni sono coinvolti in incidenti stradali 2 dei quali perdono la vita; di questi il 35% viene investito sulle strisce pedonali. In totale fanno 730 pedoni morti all’anno.

Un pedone può essere ucciso dall’imprudenza, dalla disattenzione, dalla non curanza, in ogni caso dall’eccessiva velocità . Per rendersene conto basta pensare che investire una persona a 50, a 75 o a 100 km/h equivale a spingerla giù dal balcone del terzo, del settimo o del tredicesimo piano di un palazzo. Le possibilità di sopravvivenza ad un impatto di questo tipo non serve neppure calcolarle.

7.625 pedoni e 2.665 ciclisti uccisi in 10 anni sulle strade italiane sono un tributo troppo alto da pagare per l’ebbrezza della velocità ed è per questo che chiediamo che venga immediatamente introdotto il limite di velocità massimo di 30 KM/H in tutte le aree residenziali d’Italia, con eccezione delle arterie a scorrimento veloce.

Si stima che ridurre di un solo chilometro orario la velocità media nel nostro Paese farebbe diminuire la mortalità stradale del quattro per cento. Ridurre la velocità media di 20 km/h significa dimezzare i decessi sulla strada.
In cambio dovremo rinunciare alle brusche accelerazioni in città e a circa il 3% del nostro tempo di percorrenza.

Chiediamo solo di poter attraversare la strada ed essere sicuri di arrivare sani e salvi dall’altra parte. Non chiediamo troppo, vero?

Puoi supportare questa petizione anche via twitter usando l’hashtag #30elode

Per maggiori informazioni sulle ragioni tecniche alla base di questa petizione, puoi scaricare un breve sunto della letteratura scientifica disponibile e di alcune esperienze di riferimento.

“L’operazione Carlo Alberto è conclusa”

Nel 1982 a Palermo arriva un uomo senza mezze misure. Questa storia, il processo a Giulio, è uno via vai tra persone insopportabilmente opposte. E qualcuno rimane sempre per terra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo nel mese di maggio quando sbocciano i fiori. Prefetto contro Cosa Nostra, lo dicono tutti. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” dice lui. Il Generale sa bene che per toccare il cuore di Cosa Nostra c’è da andare ad infilare il dito tra la piega melmosa dove mafia e politica si baciano con la lingua. Sul suo diario scrive del suo colloquio con Giulio del 5 aprile 1982. “Gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia”, annota, “sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. Se questa storia fosse solo un film Dalla Chiesa sarebbe il coraggioso che alla fine vince. Eppure, dice il generale, “ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Se questa storia fosse un film il generale dovrebbe vincere, con un bel bacio sul finale. Da vivo. Ma questa storia è un’ombra. Un’ombra come un peccato originale. Un’ombra che lascia gente per terra in un campo dove gli opposti non possono convivere, e vivere nemmeno. Alle 21.15 del 3 settembre 1982 la A112 bianca dove viaggiava il Prefetto Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti in via Carini viene affiancata da una BMW che sputa un Kalashnikov AK-47. Muoiono i coniugi Dalla Chiesa e l’agente di scorta Domenico Russo che seguiva pochi metri più indietro. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” urla un cartello affisso il giorno dopo. Vengono condannati come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. ll 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un’altra telefonata anonima, che annunciò : “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

(dallo spettacolo “L’innocenza di Giulio”)

Riscrivere i femminicidi: l’etica e il giornalismo

Prendete una notizia di Repubblica:

Notizia originale di oggi su Repubblica.it

Fano, uccide la moglie in un raptus di gelosia

L’uomo, di origini albanesi, ha accoltellato la donna, che ha tentato di difendersi inutilmente, dopo un violento litigio davanti ai quattro figli. Poi ha chiamato la polizia che lo ha arrestato

Un albanese ha ucciso la moglie questo pomeriggio, poco prima delle 16, a Fano, nell’abitazione della coppia in via Goldoni. Sembra che l’omicidio sia da attribuire alla gelosia dell’uomo nei confronti della vittima. L’uomo, che è un muratore di 40 anni, incensurato, ha accoltellato la moglie, 32 anni, al culmine di un litigio. La coppia ha 4 figli. L’albanese subito dopo l’omicidio si è costituito alla polizia. Ora è in commissariato in stato d’arresto. La vittima si chiamerebbe Mariola e l’aggressione sarebbe avvenuta davanti ai figli della coppia. L’uxoricida avrebbe infierito più volte con un coltello sulla vittima, che ha cercato inutilmente di difendersi.

Ora immaginatela riscritta con etica e responsabilità. Magari così:

Fano, giovane donna uccisa a coltellate davanti ai suoi figli.

Arrestato l’autore del violento femminicidio: era il marito.

Mariola F. aveva 32 anni e faceva la casalinga. Aveva quattro figli piccoli ed è proprio davanti a loro che oggi alle 16 suo marito S. F. l’ha assassinata alla fine di un litigio per futili motivi, accoltellandola ripetutamente mentre lei cercava senza esito di difendersi. Dopo aver compiuto l’efferato femminicidio l’assassino, un muratore di 40 anni, si è costituito alla polizia e ora si trova in stato di arresto al commissariato di Fano. I figli della coppia sono stati affidati ai nonni materni. Le donne che subiscono violenza psichica o fisica, fuori o dentro le mura di casa, possono denunciare chi le minaccia al numero 06.37.51.82.82 dell’associazioneTelefono Rosa, dove troveranno protezione e supporto legale e psicologico.

L’ha fatto Michela Murgia. E sarebbe un paese più civile. Sicuro.

 

Come MilanoX vede la sinistra

MilanoX scrive sulla sinistra nazionale e sulla sinistra del dopo Formigoni (con un passaggio fin troppo buono su di me, grazie). Vale la pena leggere il loro articolo.

Tornando alla politica italiana, la priorità numero uno è seppellire le destre sessiste e razziste. Il Porcellum ci dà l’opportunità di farlo con una coalizione non troppo ampia: vale a dire PD+SEL+IdV. La priorità numero due è impedire il ritorno all’austerity montiana che opprime la società, e quindi stoppare ogni disegno cattomoderato, vale a dire zero spazio di manovra a Casini e all’ala che lo sostiene nel PD, partito che è l’innaturale eternizzazione del compromesso storico di Moro e Berlinguer.

 

La Chiesa che avrebbe voluto Martini

“Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo … Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, sopattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa.”

Carlo Maria Martini

Il welfare delle idee è il nostro bene comune

Un articolo uscito oggi su Repubblica di Zagrebelsky che riprende i temi delle nostre Agorà con Non Mi Fermo: uno Stato sociale delle idee e della speranza. 

Oggi, alle 17.45 a Sarzana, Zagrebelsky aprirà il Festival della Mente con la lectio di cui anticipiamo un brano Il Festival, diretto da Giulia Cogoli, dura fino a domenica

In un “festival della mente”, è naturale parlare di idee. Che cosa, infatti, sono le idee, se non ciò che viene dalla mente, che è “prodotto” o “scoperto” dalla mente? Come si dice, ordinariamente, “viene in mente”? Ma, possiamo anche, in certo senso, rovesciare l’affermazione e dire che la mente è ciò che viene dalle idee, che senza idee non c’è mente. Quando usiamo una parola così violenta come de-mente, non intendiamo forse uno per la cui mente non passa alcuna idea? Dunque, possiamo dire che mente e idee sono tutt’uno, che si tengono insieme e, in sintesi, che la mente tende alle idee e in esse trova il suo compimento, la sua realizzazione.

In queste prime frasi della mia relazione, desidero tessere un elogio delle idee, considerandole beni che possono dare felicità, talora molta felicità.

Gli antichi, con perfetta ragione, dicevano che la felicità è il completamento di ciò che è “per sua natura”, cioè è la realizzazione di ciò cui la nostra natura aspira. Possiamo, allora, dire che nelle idee noi troviamo la felicità, per la parte che riguarda la mente. Uno dei primi trattati sulla felicità, il dialogo Geroneil tiranno del poeta lirico , Simonide (VI-V secolo a. C.), tratta per l’appunto dei beni che fanno la felicità, quando li si possiede, e l’infelicità, quando mancano. Non esistono beni di questo genere in assoluto: dipende dalla natura degli esseri umani. Le persone sensuali troveranno i loro beni «con gli occhi per ciò che vedono (gli spettacoli), con gli orecchi per ciò che sentono (la musica), col naso per gli odori (i profumi), con la bocca per ciò che ingurgitano (il cibo e il vino) e con ciò che tutti ovviamente conosciamo in ragione del sesso (i corpi degli amati). C’è poi il sonno, che genera felicità per il corpo e per l’anima, anche se è difficile dire come e perché, forse a causa del sonno stesso che rende le sensazioni meno chiare di quanto siano nella veglia». Ma poi conosciamo persone per natura superbe e arroganti. Costoro trovano la felicità nel concepire grandi progetti, portarli rapidamente a termine, avere il superfluo in abbondanza, possedere cavalli d’ineguagliabile velocità, armi d’incomparabile potenza e bellezza,gioielli squisiti per le proprie amanti, dimore magnifiche, i servi migliori, poter danneggiare i propri nemici più di ciò che a chiunque altro sia consentito, essere ammirati dal maggior numero possibile dei propri simili. Ancora: ci sono le persone spirituali, per le quali i veri beni sono quelli dell’anima, l’amicizia, l’amore, la saggezza, la contemplazione, la filosofia, l’armonia con i propri simili, l’agricoltura, come armonia con la natura.

Ma, nei tanti elenchi che riguardano quelli che consideriamo i beni della nostra vita, non troviamo mai le idee. Invece, possono dare anch’esse felicità, per qualcuno e in qualche momento, anche più di altri beni alle, per così dire, persone di pensiero. Ciò vale per le idee in quanto tali, indipendentemente dal fatto che siano vere o false, giuste o ingiuste, buone o cattive. Non si tratta di giudizi sul contenuto delle idee, ma d’idee in quanto tali. I giudizi vengono dopo.

Permettete un riferimento personale alla mia attività nell’ambito dell’Università. Ho ormai preso l’abitudine, poiché il tempo passa, la memoria diminuisce e l’improvvisazione è sempre più pericolosa, di preparare le lezioni e di scriverne la traccia, per poterla usare quasi come una rete di sicurezza. Ebbene, una mattina, mi sono trovato senza. Non sapevo doveva era sparita, la sera prima. Ho proposto allora agli studenti di fare così: prendere l’ultimo argomento trattato (era la pena di morte, un argomento davvero inesauribile) e di ragionarci su insieme, lasciando per così dire libero il pensiero di svilupparsi da sé, da un’idea all’altra. Abbiamo insieme, per due ore, “prodotto idee” con molta nostra soddisfazione d’esseri pensanti, riconosciuta da tutti (aggiungo: purtroppo con soddisfazione maggiore di quella che davano le lezioni “normali”). Chi abbia fatto una qualche simile esperienza di scoperta d’idee, che può giungere anche a punte d’esaltazione, non avrà dunque difficoltà nel considerare le idee “beni della vita” e l’elaborazione d’idee qualcosa cui può essere dedicata, in tutta o in parte, la propria esistenza, non meno degnamente di come altri la dedicano all’autorealizzazione in altri aspetti dell’umana natura.Invece, nella comune accezione, le idee non entrano affatto a far parte dei beni della vita. Anzi: sembrano stancare, essere perdita di tempo, divagazioni senza costrutto; nella migliore delle ipotesi, qualcosa di cui la gran parte delle persone può fare facilmente a meno, per essere riservate solo a qualcuno, coloro che chiamiamo, non senza una certa dose di sottinteso disprezzo, gli “intellettuali”.

Da qualche tempo, il tempo in cui tutto, per esistere, sembra dover essere misurabile, quantificato, ci si dà da fare per “calcolare” la felicità degli esseri umani. Perfino i governi si dedicano a questo compito, evidentemente in vista di “politiche per la pubblica felicità”, secondo gli intenti dei “principi illuminati” del ’700. Ora, questa politica si vorrebbe impiantare su basi scientifiche e, a questo scopo, si usano mezzi demoscopici, insomma sondaggi. Il 26-27 marzo 2010 una sessantina di psicologi, politici, filosofi, economisti si sono riuniti a Rennes, in Bretagna, per discutere del tema: Le bonheur: une idée neuv e .

Per la verità, già Saint Just, sulla fine del ’700, aveva esclamato: «la felicità è un’idea nuova in Europa». “Felicità” è una delle parole più ricorrenti in tutta la pubblicistica di quel secolo.

Ora ritorna d’attualità, sotto specie di “benessere”. Il governo Sarkozy ha commissionato a tre dei maggiori intellettuali del nostro tempo: Stiglitz, Sen e Fitoussi un rapporto, reso pubblico nel settembre 2009, destinato a suggerire criteri per il ricalcolo del benessere collettivo, sottraendolo alle regole puramente produttivistiche del Pil. Si è andati al di là, suggerendo di prendere in considerazione non solo la misura del prodotto e del consumo di beni materiali, ma anche i cosiddetti “beni relazionali” come i rapportisociali e il tempo libero, la pubblica sicurezza, ecc. Altri, hanno aggiunto la salute pubblica, l’istruzione, la certezza del lavoro, la casa, la vivibilità delle città, il verde pubblico, gli affetti familiari e la loro stabilità, ecc. A nessuno sono venute in mente le idee. Sembra che siano irrilevanti. Capisco che sono difficilmente censibili (forse non diversamente da altre cose che si considerano “beni”) e che, ancor meno, possono essere prodotti di politiche pubbliche (anche se, però, le politiche pubbliche possono favorire il loro fervore). Eppure, comprendiamo facilmente che una vita senza idee, una società che non libera da sé idee, sono letteralmente “infelici”, cioè infeconde, non creative, destinate non a vivere ma, nelle migliori delle ipotesi, a sopravvivere a se stesse, come colonie. Se confrontassimo le diverse società e le loro diverse epoche dal punto di vista del loro fervore ideale, potremmo, per quanto approssimativamente, stabilire un più e un meno; cioè, in fondo, potremmo stilare classifiche e, per esempio, interrogarci sullo stato della nostra società, nel nostro tempo. Forse, la risposta sarebbe rattristante.

Ma, in generale, che cosa ci dice questo silenzio sul valore delle idee, quanto ai caratteri dello spirito del nostro tempo? Forse che è un tempo edonista, materialista, che ha bisogno di esseri mentalmente programmati per un tipo di società che, a parole, esalta il pluralismo delle idee e, quindi, la libertà della cultura ma, nella realtà ha bisogno che di idee ce ne sia una sola, grande, omogenea, e che di quella libertà non sa che farsi. Lasciamo stare. Ognuno dia la sua risposta. Cerchiamo invece di entrare nel grande mondo delle idee, non per quel che riguarda la loro origine – se prodotte dalla fisica o dalla metafisica: questione delle neuroscienze o della filosofia – ma attraverso qualche suddivisione concettuale, che ci consenta di gettare un po’ di luce in un fascinoso mondo di realtà impalpabili.

Si possono fare distinzioni basate sui più diversi criteri. Ora, assumeremo un criterio, per così dire, funzionale che corrisponde alla domanda: a che cosa servono le idee? Le idee possono essere collocate come su una scala a tre gradi maggiori, con gradini minori, a seconda che, a partire dal basso verso l’alto, valgano per conoscere, per risolvere e per progettare “cose”. L’immagine della scala non deve suggerire l’idea d’una distribuzione secondo una minore o maggiore dignità delle idee, a seconda del posto che esse vengono a occupare. Nella scala i gradini più in basso sono indispensabili per salire su quelli più alti e quelli più in alto non sarebbero raggiungibili senza quelli più in basso. Come l’immagine della scala anche suggerisce, i gradini non sono separati da divisioni insormontabili. Anzi, servono per passare dall’uno all’altro, in salita e in discesa. Dobbiamo ora passare a vedere come.

(Gustavo Zagrebelsky)

#cosaseria Che fatica

==PD:MORANDO, VENDOLA SBAGLIA, VA RIPRESA AGENDA MONTI L’ALLEANZA CON UDC E SEL VA FATTA PRIMA DEL VOTO
(ANSA) – ROMA, 30 AGO – ”Dobbiamo presentare un progetto piu’ ambizioso ma deve essere coerente con quello che abbiamo fatto sostenendo il governo dei tecnici”. Lo afferma alla Stampa il senatore Pd, Enrico Morando, esponente dell’area ‘liberal’ del partito, che contesta anche ”lo schema di fondo” per cui ”noi del Pd e Vendola siamo i progressisti e dopo il voto vedremo se ci sono condizioni per formare una maggioranza con i moderati”. ”Lo stesso Casini – aggiunge – sposa questo schema”, ma ”e’ una logica sbagliata”. ”Se non e’ chiaro prima quello che si vuole fare – sottolinea – il Pd non avra’ la necessaria forza espansiva e non conquistera’ nuovi consensi”.  Per Morando, inoltre, ”non aver invitato alla festa del Pd il ministro Elsa Fornero e’ stato un gravissimo errore politico, una discriminazione nei confronti di un ministro che ha tutta la mia stima”.

Ecco perché l’assemblea nazionale di SEL domani è così importante. Perché se Nicola Fratoianni dice “l’obiettivo è sconfiggere l’ala montiana del Pd con una battaglia politica e culturale” bisogna dirsi che strategia si mette in campo. E dirlo ai nostri elettori. Perché altrimenti è ovvio che una persona intelligente e ragionevole come Fulvia Bandoli risponda che, se non si riesce ad accendere significative evoluzioni, allora conviene correre da soli tenendo conto dell’ipotesi sulla nuova legge elettorale.

Giocare la partita, sì, con punti chiari e con obiettivi conclamati e ripetuti fino allo sfinimento. E chiarirsi se si vuole e si può interpretare una Cosa Seria.

E dirsi e dire se si ha intenzione di partire da sinistra per costruire il centrosinistra, spostare a sinistra un’asse portato al centrismo oppure perdersi in alchimie.

Quelli che sono avanti

L’analisi politica del giorno è di Francesco Lanza sul suo blog Volare è Potare:

“Tutti a inseguire il voto dei moderati. Siamo moderati di qui, siamo moderati di là. Non siamo di destra, siamo moderati di centro-destra. Non siamo di sinistra siamo moderati di centro-sinistra. Non sono coglione, sono un moderato centro-coglione. Poi arrivano quelli che non sono né di su, né di giù, ma dicono che sono avanti. (per dirlo secondo statuto bisogna pronunciare la prima “a” maiuscola e poi allungare la seconda “a” facendo con la mano un gesto che scavalca: Avaaaaanti [gesto], altirmenti non sei compliant). 
Ecco, ma se siamo messi così male è proprio perché votiamo gente, da cinquant’anni, che non vuole prendere parte, dando l’impressione di poter accontentare tutti. 
E’ colpa nostra, eh? 
Perché non gli chiediamo mai di essere partigiani (nel senso di “scegliere una parte” qualunque essa sia). Arriveremo al punto che quando gli si chiederà: ma da che parte stai? Risponderanno: “sono un moderato di centro-Avaaaanti [gesto]”. 
Mi sa che ci meritiamo tutto.”

Se muore Saamiya

Al Mattino, un ufficiale medico imbarcato con la Guardia costiera a largo di Lampedusa racconta come raggiunse il barcone dove l’atleta somala, insieme ad altre quarte persone, aveva trovato la morte. “Saamiya era incinta”, dice. Una storia terribile che deve aiutarci a farci riflettere: nel nostro paese è cambiato il governo ma non sono cambiate le politiche sui respingimenti. 

La pancia di Saamiya interroga l’occidente. Interroga i media che di certe cose preferiscono non parlare. Il corpo di Saamiya è stato trovato a 87 miglia a sud di Lampedusa. Il dottor Giuseppe Saviano dice di averla vista serena, placida nel momento della morte. Saviano parla di un sorriso e di una Saamiya tutta accartocciata su se stessa come un feto, come una Madonna. Con lei, sempre secondo il mattino, sono morte 4 giovani. Ora tutti e cinque giacciono in una tomba senza nome a Lampedusa. Sarebbe doveroso dare a quella tomba un nome. E costruire magari un monumento a tutte le Saamiya che hanno solcato il mare per poter coronare un sogno di sport.

Le domande di Igiaba Scego per Pubblico. Che sono anche le nostre, ma non sono nell’agenda di governo.