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I soldi allegri dei partiti

Il problema dei partiti non è la popolarità: la visione è egoista e semplicistica. Il punto sta nella credibilità che si costruisce con le idee (‘propaganda’, direbbe qualcuno) e con l’amministrazione: amministrazione di istituzioni e amministrazione interna. Le primarie non bastano, bisogna dimostrare di gestire eticamente i propri soldi per essere pronti a gestire i soldi di tutti. Spiegare perché si è aggirato il referendum del ’93 (in modo convincente, possibilmente) e perché i partiti inesistenti esistono sui bonifici dello Stato. E fissare nuove regole. Rifondarsi. Come scrive bene Massimo Greco:

Il problema è che come in tante altre questioni, prese tardivamente di mira solo dall’azione governativa del Prof. Monti, anche il sistema dei partiti politici va rivisto con urgenza. Troppo comodo è stato per la classe politica (recte: casta?) sia della prima che della seconda repubblica mantenere a livello programmatico la previsione costituzionale contenuta nell’art. 49 della Costituzione. Nessuna forza politica, ad eccezione dei radicali, ha mai voluto affrontare la questione attraverso una legge ordinaria, per non parlare della ferita ancora aperta, ed a rischio infezione, per i recentissimi fatti verificatisi in casa PD.

In un momento difficile come questo in cui all’italiano medio viene richiesto un sacrificio straordinario ed ai limiti della sopportazione, com’è possibile continuare ad accettare che all’interno di un partito politico, di destra o di sinistra che sia, vengono utilizzati milioni di euro del finanziamento pubblico senza alcuna forma di controllo? Com’è possibile che a qualunque dipendente della pubblica amministrazione viene richiesto di rendicontare, e di rendere tracciabile secondo i principi dell’evidenza pubblica, anche l’acquisto di una matita e, di contro, accettare supinamente che i partiti politici, la cui funzione pubblica è addirittura solennemente prevista sia dalla Costituzione che dai Trattati europei, possano usare le risorse pubbliche secondo il metodo Lussi? Com’è possibile che un partito politico che dovrebbe “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” possa permettersi il lusso di scegliere coloro che dovranno rappresentarci in Parlamento attraverso il meccanismo della cooptazione fiduciaria contenuto nell’attuale sistema elettorale (Porcellum)? Perché in Francia, in Germania, e anche in Spagna, si sono dotati di adeguata legislazione in materia e solo in Italia si è deciso di rendere “intoccabili” i partiti politici protetti dalla discutibilissima campana dell’associazione di diritto privato?

Sono queste le domande a cui si deve rispondere per comprendere perché anche il legittimo tentativo di allargare la partecipazione democratica interna ai partiti attraverso le primarie rischia miseramente di fallire. Peraltro, il partito politico non può rimanere un comitato elettorale confinato nella sola sfida dei consensi ma deve ritornare ad essere il luogo dove si fa politica 24 ore su 24. E’ questa la funzione che la Costituzione, per quanto snobbata dalla classe politica dominante, ha loro assegnato. Ed è all’uso corretto del suo esercizio che la società civile deve fare appello, anche nel solco dei nuovi strumenti di rendicontazione sociale introdotti nel nostro ordinamento a proposito di azioni correttive (class action) nei confronti delle Istituzioni che esercitano funzioni pubbliche.

Stare vicino alle cose ad un passo dal mondo

“Quanta gente canta se sa cantare, ma quanta di più canta lo stesso anche se cantare non sa. E perché canta? Se è felice? Se ha qualcosa da dire? O se soffre e se gli piace soffrire, o se ha fantasia e non ama il normale delle cose? Forse si canta da sempre perché cantare è come raccontare e stare vicino alle cose a un passo dal mondo. Io, anch’io canto, e a un passo dal mondo scrivo canzoni e ricevo nastrini e cassette a milioni e la gente mi scrive, mi manda le sue parole e non chiede chi amo, ma se amo chi chiede e a cosa penso un secondo prima di scrivere una canzone, o dov’era, dove si ficcava questa canzone prima di essere scritta o pittata, su quali spiagge o cimiteri volava prima di essere inventata, in quali occhi a mandorla di strega o in quali mani di porco o di fata era, avanti di essere scovata. Quanta gente soffia in un tubo o mette il culo tra una sedia e una fisarmonica e suona o prova a suonare persino in trenino? Io, anch’io ho cominciato così, in piedi su un tavolo da bambino con la mia gente intorno e il neon che dava le onde”.

Lucio Dalla, messaggio agli allievi di un corso di musica, Roma, marzo 1982.

FIOM, No TAV e brutto giornalismo

Perché è stata una piazza piena di contenuti, che parlava di lavoro, di democrazia e di reddito, una piazza che non ha avuto tempo di scassare vetrine perché troppo impegnata nel rifondare la politica. Perché le “cariche” di cui parla Repubblica, nulla c’entrano con la Fiom e con il corteo, e interessano, semmai, il Movimento di lotta per la casa e via della mercede, ben lontani dal percorso della manifestazione. Perché, in sostanza, quella foto mistifica la realtà. E fa comodo solo a chi su quella piazza ha detto di tutto e di più pur di trovare il pretesto per non aderire. Non ci sono stati violenti NoTav, non ci sono stati pericolosi metalmeccanici lanciatori di bulloni, né studenti sovversivi e nullafacenti. C’erano i metalmeccanici, c’erano i NoTav, c’erano gli studenti. Ma di sovversivo, pericoloso e violento c’erano solo le loro proposte. Piano di investimenti, rappresentanza sindacale e reddito di cittadinanza. Ha ragione Luca Sappino: la foto scelta da Repubblica e la home page del Corriere della Sera sul corteo di oggi della FIOM è un brutto esempio di giornalismo che con le immagini si diverte a toccare i fili della pancia. Con quei meccanismi sottili che il TG4 o il TG1 hanno usato per deformare un ventennio. Sulla vicenda TAV ormai è un giochetto che dura da mesi ma la similitudine ‘FIOM-NO TAV-violenza’ si sperava fosse solo una sfortunata uscita di Bersani e foraggio per la spazzatura di certa stampa filoberlusconiana.

Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore. (Indro Montanelli)

La scuola ‘azienda’ che sognano in Lombardia

La Scuola Pubblica Statale Italiana versa ormai da tempo in condizioni gravissime a causa delle politiche scolastiche dissennate degli ultimi dieci anni e in modo particolare dell’ultimo governo Berlusconi che, con motivazioni puramente ideologiche e rispondenti a logiche di carattere economico-aziendalista ha tagliato circa 150.000 posti di lavoro tra docenti ed Ata e circa 8 miliardi di finanziamenti. Cambiato il governo la situazione è sempre la stessa, anzi il ministro Profumo, ben lontano dal proporre un necessario rifinanziamento e il ritiro dei tagli, prosegue sulla stessa linea di distruzione della Scuola Statale.  Il neoministro intende infatti mettere in discussione i diritti acquisiti dai precari presenti nelle graduatorie ad esaurimento e di quanti lavorano nella scuola da anni ventilando un fantomatico concorso per una manciata di posti. Inoltre nel “decreto Semplificazioni” è stata potenziata l’autonomia scolastica attraverso la creazione di reti territoriali di scuole e “organico dell’autonomia”. Questi provvedimenti sono perfettamente in sintonia con il progetto di Legge Aprea e prefigurano la chiamata diretta dei presidi, primo passo verso la completa aziendalizzazione della scuola pubblica.  In questo panorama disastroso Formigoni intende assumere il ruolo di battistrada, come risulta evidente dall’approvazione da parte della Giunta regionale della Lombardia della Proposta di Legge “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione” per modificare l’attuale legge regionale n.19/6. L’art. 8 di tale proposta di legge prevede espressamente che “a partire dall’anno scolastico 2012/2013, le istituzioni scolastiche statali possano organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, al fine di reclutare personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali” e che sia “ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola che conosca e condivida il progetto e il patto per lo sviluppo professionale, che costituiscono parte integrante del bando di concorso di ciascun istituto scolastico”. Come lavoratori della scuola troviamo assolutamente inaccettabile la proposta di legge della Giunta Formigoni e l’avvallo dato a questo progetto dal ministro Profumo che si è detto disponibile a “sperimentare nuovi modelli di reclutamento”. Tali “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione” non sono in realtà altro che un modo assolutamente incostituzionale per introdurre la chiamata diretta nelle scuole lombarde ed esautorare il sistema di reclutamento nazionale basato sulle graduatorie provinciali (uniche a garantire trasparenza e merito), limitare la libertà d’insegnamento dei docenti asservendoli a un non ben specificato “progetto e patto per lo sviluppo professionale”, nonché ai Dirigenti scolastici dei singoli istituti che avrebbero diritto di “vita e di morte” sui docenti neoassunti sempre più precarizzati. Sarebbe inoltre fortissimo il rischio di un aumento dei fenomeni di clientelismo e nepotismo di cui sono maestri il governatore lombardo e il movimento di cui è uno dei massimi esponenti, come ben sa qualsiasi cittadino lombardo. L’appello del Coordinamento Lavoratori Scuola è pienamente condivisibile e legge bene il progetto a lunga scadenza che in Lombardia si propone (per declinarlo poi su scala nazionale). Perché privatizzare in fondo significa sottrarre le regole, con l’etichetta della “meritocrazia” si gestiscono in proprio le nomine e l’utopia del “federalismo” scolastico diventa un piatto ricco per soddisfare le regalie locali dei piccoli kapò. L’articolo va abrogato: l’unica posizione possibile.

Formigoni e la delibera a sua insaputa

Fino a che punto stia diventando pericoloso il quadro di complicità e connivenze disegnato dalle tante indagini incrociate sulla corruzione lombarda, lo dimostra un documento scovato da “l’Espresso” che, per quanto se ne sa, è ancora sconosciuto ai magistrati. E’ una delibera della giunta regionale che sblocca l’apertura di una discarica di amianto nonostante l’opposizione della Provincia di Cremona, giustamente preoccupata dal rischio (documentato dai tecnici) di inquinamento delle falde acquifere. Il problema è che si tratta proprio della discarica per cui nel novembre scorso è finito in carcere l’ex assessore lombardo Franco Nicoli Cristiani, arrestato a Milano dove aveva appena incassato una tangente di 100 mila euro (e ne aspettava altrettanti). La delibera fatale con cui la giunta regionale ha dato via libera alla discarica delle mazzette è stata approvata il 20 aprile 2011, come si legge sul frontespizio, “su proposta del presidente Roberto Formigoni”. Insomma, si è mosso il governatore in persona. E a quel punto il suo alleato Nicoli Cristiani ha potuto festeggiare chiedendo i soldi, fino a prova contraria all’insaputa del distrattissimo governatore. Ma non basta: proprio quella contestata delibera, caso molto strano, non risulta pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione. E ora il tribunale del riesame, confermando l’arresto di Nicoli, mette in fila le intercettazione e scopre che Nicoli Cristiani ha cominciato a chiedere la tangente già nel marzo 2011. Cioè proprio mentre il governatore Formigoni si preparava a lasciare le sue impronte digitali sulla delibera per la discarica. E tutto questo per favorire la Cavenord di Pierluca Locatelli, un imprenditore che era appena stato condannato per traffico di rifiuti. E ora è accusato di avere avvvelenato il tracciato della Bre-be-mi, seppellendo tonnellate di scorie inquinanti sotto la nuova autostrada per risparmiare sui costi, con metodi analoghi ai clan di Gomorra.

Lo scrive L’Espresso e (ancora una volta) smentisce il giochetto formigoniano di comunicare responsabilità personali nei recenti arresti che non toccherebbero Regione Lombardia. In effetti non ci sono firme di funzionari o uffici: il Celeste ha firmato di suo pugno senza pubblicare (ma “rendere pubblico” per Formigoni è sempre stato un esercizio indigesto in tutti i sensi). E questo smentisce anche i tanti (troppi) moderati e garantisti che si augurano che la legislatura continui pur essendo all’opposizione. Più per il vitalizio che per garantismo, a dire la verità.

 

Lo scheletro di Placido Rizzotto

E’ stato ritrovato. Per festeggiare sarebbe bello esercitarne il cuore.

“Corleone, 1948. Aveva 34 anni. Il sindacalista comunista Placido Rizzotto scompare misteriosamente nella notte del 10 marzo. Il giovane Placido Rizzotto, da bambino ha assistito all’arresto da parte dei carabinieri del padre, ingiustamente accusato di associazione a delinquere; durante la seconda Guerra Mondiale si trovava con l’esercito nel Nord Italia e dopo l ‘8 settembre dei 1943 scelse di unirsi ai partigiani, testimone impotente di alcuni eccidi scampato alla violenza della guerra, torna nella sua terra natale alla fine della seconda guerra mondiale. L’aver partecipato alla Resistenza aveva profondamente cambiato Placido Rizzotto, non poteva accettare la realtà corleonese fatta da pochi padroni terrieri, dei loro servi mafiosi e di moltissimi contadini in miseria, in una Corleone del dopoguerra ancora inevitabilmente regolata dall’incontrastabile legge del potere mafioso. Negli anni della guerra ha maturato una forte coscienza sociale e non può guardare inerte le ingiustizie che stanno accadendo nella sua comunità né tollerare l’appropriazione delle terre da parte della mafia e l’assunzione dei lavoratori per motivi esclusivamente nepotistici. Diviene sindacalista e cerca di organizzare i lavoratori per spingerli a vincere la paura e a resistere alle tirannie. Li spinge a occupare le terre e a distribuire a famiglie di contadini onesti quelle tenute incolte dalla mafia. La mafia non tarda a reagire, intimidisce i suoi compagni e lo isola in ogni modo. Entra in conflitto anche con Lia, la ragazza che ama. Rizzotto non recede di un passo dai propri principi e dalla propria battaglia preferendo affrontare con coraggiosa determinazione un tragico destino. Rizzotto continua la sua battaglia, diventando a fatica Segretario della Camera del Lavoro della città, impegnato a sostenere i contadini nella lotta per l’occupazione delle terre, organizzava gli stessi ad occupare le terre dei boss locali, mettendosi a capo del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Era nel mirino di mafia e padroni, Placido aveva osato sfidare i boss mafiosi locali. Da subito si oppone al sistema malsano di assegnazione dei lavori e delle terre, cercando di guidare la forza propositiva della gente a combattere la mentalità delle minacce e del terrore. Si batte per l’applicazione dei “Decreti Gullo'” che prevedevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o malcoltivate dai proprietari agrari. Ancora una volta furono organizzati scioperi e rivolte. E ancora una volta ci furono violenti scontri tra mafiosi e contadini. Uno dei feudi che vengono assegnati alle cooperative agricole è quello di Strasatto dove comandava un giovane mafioso che diventerà tristemente famoso: Luciano Liggio. Tra Rizzotto e Liggio c’era già stato uno scontro che era finito male per il mafioso il quale si era ritrovato appeso all’inferriata della Villa comunale.Ovviamente tra i due non correva buon sangue. A questo punto i padroni, i mafiosi e alcuni “pezzi” dello Stato decidono di farla finita una volta per tutte con questi “sovversivi”. Il primo maggio del 1947 cominciarono a seminare terrore con la strage di Portella delle Ginestre e negli anni successivi catturano e uccidono sistematicamente tutti i capi sindacali che osavano mettersi loro contro. Accanto a lui una serie infinita di piccoli uomini dalle mani sporche di terra e Lia, la giovane donna che si innamora di Placido, che con lui sogna, che per lui subisce uno “zio” insidioso, che dopo di lui fugge da quella terra che le ha tolto ogni speranza e ogni coraggio. Nonostante gli avvertimenti della sua famiglia, e le attenzioni dei suoi fedelissimi collaboratori, Rizzotto non riesce a sottrarsi a una sorte che sembra quasi scontata. La sera dei 10 maggio dei 1948 viene sequestrato e ucciso Placido Rizzotto, scompare nel nulla e il suo corpo non fu mai ritrovato. La morte del sindacalista sconvolge tutta l’Italia democratica. La CGIL proclama uno sciopero generale contestando violentemente dall’ allora capo del Governo Mario Scelba In questa realtà si intrecciano le vite di tanti personaggi che scriveranno, nel bene e nel male, la storia della seconda metà del Novecento: il giovane universitario Pio La Torre che sostituisce Rizzotto alla guida dei contadini corleonesi e che subirà la sua stessa tragica sorte; l’allora capitano Carlo Alberto dalla Chiesa, capo delle indagini sulla morte di Rizzotto, ucciso Generale in un attentato nel 1982; Luciano Liggio, mandante dell’omicidio di Placido Rizzotto, che diventerà uno dei più potenti boss della mafia siciliana. Le indagini, condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, porteranno all’arresto di Luciano Liggio, uno degli assassini di Rizzotto, e vennero alla ribalta due dei suoi fedelissimi luogotenenti: Totò Riina e Bernardo Provengano, ed al ritrovamento dei miseri resti del sindacalista. La settimana prima della scomparsa di Placido Rizzotto, sulle Madonie, era stato assassinato il capolega Epifanio Li Puma. Meno di un mese dopo, a Camporeale, verrà ucciso Calogero Cangelosi. Sono alcuni di una lunga serie di sindacalisti, capi contadini e semplici lavoratori a cadere sotto il piombo della mafia del feudo, alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile ’48. Purtroppo quegli assassini mafiosi hanno vinto. Sono diventati sempre più ricchi e potenti, hanno conservato il controllo del territorio, dirottato i voti su chi volevano, goduto della copertura di partiti di governo. Hanno esportato i capitali e sono entrati con Sindona nella finanza internazionale. Hanno riciclato i soldi sporchi nell’arrembante Milano degli anni Settanta e fatto da padrini a qualche capitano del neo capitalismo all’italiana. Il tutto continuando a uccidere, dopo Placido Rizzotto, Pio La Torre e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e poi decine di magistrati, poliziotti, politici coraggiosi, povera gente che aveva osato ribellarsi o semplicemente attraversava la strada di un attentato. E’ vero che negli ultimi anni, dalla morte di Falcone e Borsellino, qualcosa è stato fatto. Anzi, molto più di qualcosa. Ma tira anche un’aria di disarmo nella lotta alla mafia, una specie di indietro tutta. La festa nazionale per il lieto fine dei processi ad Andreotti, la cui immagine pure sarebbe dovuta uscire a pezzi dal dibattimento in aula, dalle decine di menzogne, dai provati contatti con Sindona e i cugini Salvo, ha testimoniato del mutato clima nell’opinione pubblica”. (fonte: assaltare il cielo su reti invisibili)

Polli da libreria

Esempi: «Lingua perfetta. Efficacia stilistica totale. Un vero capolavoro» (si tratta della fascetta del libro di Lorenza Ghinelli, La colpa, appena uscito per Newton Compton) dove il fantozziano «Efficacia stilistica totale» l’ha scritto Valerio Evangelisti nella prefazione al precedente romanzo della Ghinelli, l’altrettanto totale Il divoratore. I capolavori sono ubiqui. Il thriller Alex di Pierre Lemaitre (Mondadori) fa addirittura venire il capogiro; ostenta una fascetta rossa dove è scolpito: «Avrete la stessa sorpresa di quegli uomini che scoprirono che non era il sole a girare intorno alla terra, ma il contrario». A Niccolò Ammaniti, autore di queste parole, monterei uno zabaione con l’ovo copernicano che mi verrebbe voglia di fare se solo fossi un po’ gallina ma, limitandomi al galletto, devo confessare che il Darwin che spinge nelle mie zampette mi fa perdere la testa soprattutto per alcuni libri-alfa. Si tratta di quei libri che si ergono, grazie alle loro fascette, nel puro dominio della volontà di potenza. «Nessuno credeva in lei, ma da sola ha convinto 2.000.000 di lettori» (Amanda Hocking, Switched. Il segreto del regno perduto, Fazi editore). Oppure: «Un autore da 6 milioni di copie in Italia» (Luis Sepúlveda, Ultime notizie dal Sud, Guanda). La quantità riproduttiva ha maggiore efficacia della qualità, nell’umile mondo dei pennuti da cortile dove tutto sommato un pollo vale un altro. Edoardo Camurri scrive una bella riflessioni su blurp, fascette e quarte di copertina. Ed è una riflessione che riguarda le librerie ma in fondo tocca il cuore della politica degli ultimi vent’anni: la fascetta di Berlusconi vincente con le foto dei figli sulla rassicurante scrivania del suo studio ha premiato le letture veloci che non hanno bisogno di troppe interpretazioni. E noi, dalla nostra parte, ci teniamo la quarta di copertina di oggi: la manifestazione FIOM con quelle brutte assenze che inseguono rassicurazioni che non solo non rassicurano ma non riescono ad essere comprensibili ai più. E così finisce che si rimane sullo scaffale e ci si ingiallisce con il tempo retrocedendo nei cesti dell’invenduto in offerta. Perché la comunicazione e le azioni (anche quelle etiche) sono importanti se funzionano e la vera comunicazione ha luogo soltanto fra persone di uguali sentimenti, di uguale pensiero. Lo diceva Friedrich Leopold von Hardenberg 200 anni fa.

Il clan Gionta perde la pazienza e spara

Camorra in Lombardia. Un omicidio per ripulire l’onore di una famiglia “di rispetto”. Ecco cos’è stato il delitto Verrascina. “Sai com’è fatta mia mamma…”, così Carlo Caiazzo si rivolgeva al telefono a un altro indagato per spiegare l’agguato in programma e avvenuto il 10 gennaio scorso. “Figlio mio tu sei stato minato nell’onore. Si rispetta il cane per rispettare il padrone: vedicati”, così disse Cristina Del Prete, già indagata per associazione di stampo camorristico, al figlio, titolare di una carrozzeria a Cerro al Lambro e ritenuto il referente lombardo del clan Gionta di Torre Annunziata (Napoli). Succede qui, su al nord. Caiazzo doveva rispondere al pestaggio di Giuseppe Pellitteri, cognato rapito davanti ai figli e alla moglie l’8 gennaio scorso e massacrato di botte in aperta campagna a Caselle Lurani (Lodi) proprio da Luca Saverio Verrascina insieme al suo amico Jean Jannaccio (anche lui arrestato oggi per sequestro di persona e lesioni personali gravissime). Pellitteri doveva ripianare un debito di 4mila euro per il “fumo” non pagato. L’operaio 39enne Jannaccio, chiamato proprio per dare una lezione alla vittima, c’era andato pesante e Pellettieri aveva dovuto ricorrere ad un intervento chirurgico per stabilizzare il bulbo oculare sinistro.
Davvero troppo da sopportare per una famiglia di rispetto da tempo residente a San Giuliano Milanese “in affari” con i calabresi non solo nelle province di Milano ma anche in quelle di Como e Varese, come emerso anche in un’indagine appena chiusa dalle Squadra Mobile lariana. Così, sempre secondo i carabinieri, il 10 gennaio scorso Caiazzo, Esperto e Lamanuzzi a bordo di due auto accompagnarono Pellettieri sotto casa di Verrascina. Il giovane, 24 anni, esplose contro il muratore sei colpi calibro 22 colpendolo frontalmente a una gamba. Un’altro lo raggiunse alla schiena mentre scappava, causandogli un’emorragia polmonare che lo uccise.

Un’altra storia di sangue che avremo il dovere di raccontare ai nostri figli. E spiegargli perché cambiano le sigle della provincia ma gli odori (e la barbarie) sono le stesse. E cosa serva di più di questo sangue degli ultimi anni.

L’Italia sono anch’io. Primo obiettivo raggiunto

L’obiettivo delle 50.000 firme necessarie per presentare le due proposte di legge di iniziativa popolare promosse dalla Campagna L’Italia sono anch’io è stato raggiunto e largamente superato. Lo annunciano le organizzazioni promotrici che il 6 marzo alle 11.30 consegneranno le firme alla Camera dei Deputati e alle 12.30 terranno una conferenza stampa.

Decine di migliaia di cittadine e cittadini hanno voluto, con la loro firma, condividere le ragioni della Campagna: una riforma della legge che attualmente regolamenta l’accesso alla cittadinanza per le persone di origine straniera e l’introduzione del diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri residenti.

Un successo straordinario, possibile solo grazie ai tanti comitati locali che si sono costituiti in tutta la penisola per sostenere la Campagna. Centinaia di volontari hanno organizzato in questi sei mesi una miriade di iniziative di informazione e confronto, avvicinando migliaia di cittadini che spesso hanno dimostrato una grande sensibilità alle tematiche proposte.

Ma la consegna delle firme rappresenta solo la prima tappa di un percorso che sarà ancora lungo e impegnativo. Si tratterà, dal 6 in poi, di fare in modo che il Parlamento calendarizzi la discussione sulle due proposte di legge per arrivare in tempi rapidi alla loro – speriamo – approvazione. Tutte le info qui.

Sostiene Landini (da sostenere)

Il lavoro, l’articolo 18, l’Unità “espulsa” dalle Magneti Marelli di Bologna e Bari, Marchionne, il futuro della Fiat e più in generale quello degli operai e dei precari. I temi su cui la Fiom da mesi è impegnata sono tanti. Perché i diritti del lavoro sono il nodo centrale di un Paese che impunemente sta diventando diseguale, perché non è possibile ripensare la politica senza passare dal cuore dei lavoratori e delle imprese. Per questo il 9 marzo si va in piazza a Roma. George Orwell scriveva come schiavi lavorarono gli animali per tutto quell’intero anno. Ma nel loro lavoro erano felici: non si lamentavano né di sforzi né di sacrifici, ben sapendo che quanto facevano era fatto a loro beneficio e a beneficio di quelli della loro specie che sarebbero venuti dopo di loro, e non per l’uomo infingardo e ladro. E sulla ricaduta reale dei benefici del lavoro la riflessione è urgente e non mediabile. Ed è anche per questo che l’intervento No Tav mi sembra perfettamente in linea con il resto, in un giorno di analisi dei reali benefici e delle loro ricadute.