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Ambiente

Discarica di Bollate: la risposta della Regione su una storia che non è chiusa per niente

La vicenda della discarica di Bollate (ex cava Bossi) è la metafora di un settore che anche in Lombardia è diventato il banchetto ricco delle mafie, in particolare delle famiglie di ‘ndrangheta che infestano l’hinterland milanese. A Bollate si vocifera con una certa insistenza che l’ombra di un latitante arrivi in molti campi che lambiscono la movimentazione terra. Un video già pubblicato su questo sito ha dimostrato come nella discarica esistessero evidenti falle legali. Oggi, leggendo le risposte date in commissione dagli assessori Marcello Raimondi e Romano La Russa, possiamo aggiungere già qualche tassello in un puzzle che è tutto in divenire:

L’Assessore all’Ambiente Marcello Raimondi dice “L’ultima autorizzazione della ditta Rip.Am. risulta la numero 163 del 24 aprile 2009, rilasciata dalla Provincia di Milano, relativamente alle operazioni di messa in riserva, recupero, raggruppamento e ricondizionamento preliminare, miscelazione e deposito preliminare di rifiuti speciali non pericolosi, nonché all’accorpamento dell’attività svolta in regime semplificato da parte della medesima ditta” e aggiunge “risulta agli atti della Provincia di Milano un sopralluogo, effettuato in data 27 luglio 2010 dalla Polizia provinciale stessa, unitamente alla Polizia locale di Bollate. Dal verbale redatto, risulta che sono state contestate violazioni in merito alla qualità di materiale stoccato, alla pavimentazione dell’area, alla separazione dei rifiuti e per aver accettato rifiuti senza il prescritto formulario.

L’Assessore La Russa dichiara di avere subito interpellato “peraltro ripetutamente, perché non è stato proprio facilissimo ricevere risposta, e non si capisce bene perché – il Comune di Bollate che “ci comunica che, per quanto riguarda problemi di sicurezza ai cittadini, non sussiste assolutamente nessun rischio, nessun pericolo, né sono stati segnalati negli ultimi mesi eventuali allarmi nelle adiacenze, in prossimità o sulle strade della cosiddetta cava”.

Ora il Comune di Bollate ci dovrà chiarire un paio di cose. L’ostinazione è un mio difetto che porto con una certa fierezza.

“ITR numero 3010: Interrogazione concernente le informazioni circa i gestori della cava di Bollate”

PRESIDENTE

Passiamo all’ITR/3010 ancora a firma dei Colleghi Cavalli, Sola, Patitucci e Zamponi, annunziata in Aula in data 28 luglio 2010, con risposta dell’Assessore Raimondi e dell’Assessore La Russa.

RAIMONDI Marcello

Signor Presidente, l’interrogazione numero 3010 chiede informazioni circa i gestori di una cava, ossia la ex cava Bossi di Bollate. La cava di cui si parla nell’interrogazione risulta cessata da oltre trent’anni, ossia anteriormente all’entrata in vigore delle leggi regionali numero 18 del 1982 e numero 14 del 1998. Pertanto, tale attività estrattiva non fu soggetta alla disciplina di queste leggi.

Il contenuto dell’interrogazione, quindi, si riferisce ad attività di discarica e deposito e non ad attività estrattiva. Ho comunque chiesto agli Uffici di effettuare ulteriori ricerche per agevolare il lavoro dei Consiglieri, nello spirito di collaborazione instaurato con questa Commissione.

Chiaramente la mia struttura non può rispondere su aspetti inerenti le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano o delle Procure coinvolte.

Da una ricerca effettuata presso gli Uffici regionali risulta che, in data 21 aprile 1993, la ditta Rip.Am. Srl presentò istanza di autorizzazione per la costruzione di un impianto di trattamento di materiale lapideo. L’Ufficio competente, al rilascio delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera, ritenne di predisporre un atto di diniego, citando il parere negativo espresso dal Sindaco di Bollate. Dal 1994 in Lombardia le Province sono titolate ad autorizzare le discariche di inerti, in forza di deliberazione della Giunta regionale, ai sensi della legge numero 142 del 1990 e della legge regionale numero 94 del 1980. La successiva legge regionale numero 26 del 2003 ha dato un assetto organico a tali competenze provinciali in materia.

Da informazioni assunte presso la Provincia di Milano – grazie al lavoro degli Uffici dell’Assessorato, che ringrazio – risulta che in data 23 aprile 1999, a seguito di un’istanza di autorizzazione per attività di discariche inerti, presentata alla Provincia di Milano dalla medesima ditta Rip.Am., funzionari della Provincia effettuarono un sopralluogo e dietro parere favorevole, non riscontrando elementi ostativi all’accoglimento della domanda, in data 30 giugno 1999 venne rilasciata l’autorizzazione, con disposizione dirigenziale numero 18 del 1999. Parliamo sempre della Provincia. In data 21 ottobre 1999 la Provincia di Milano ha segnalato la ditta in argomento all’Autorità giudiziaria per non aver ottemperato a tutte le disposizioni contenute nella sopracitata autorizzazione provinciale.

L’ultima autorizzazione della ditta Rip.Am. risulta la numero 163 del 24 aprile 2009, rilasciata dalla Provincia di Milano, relativamente alle operazioni di messa in riserva, recupero, raggruppamento e ricondizionamento preliminare, miscelazione e deposito preliminare di rifiuti speciali non pericolosi, nonché all’accorpamento dell’attività svolta in regime semplificato da parte della medesima ditta.

Relativamente ai controlli effettuati, risulta agli atti della Provincia di Milano un sopralluogo, effettuato in data 27 luglio 2010 dalla Polizia provinciale stessa, unitamente alla Polizia locale di Bollate. Dal verbale redatto, risulta che sono state contestate violazioni in merito alla qualità di materiale stoccato, alla pavimentazione dell’area, alla separazione dei rifiuti e per aver accettato rifiuti senza il prescritto formulario.

Chi volesse accedere a ulteriori informazioni, può assumerle presso la Provincia di Milano e il Comune di Bollate, che permangono competenti per il controllo delle attività esistenti nel territorio.

PRESIDENTE

Assessore La Russa, a lei la parola.

LA RUSSA Romano

Signor Presidente, in riferimento all’ITR ho poco da aggiungere, per quanto riguarda le competenze del mio Assessorato, ben poche in questo caso. Comunque, abbiamo provveduto ben volentieri a interpellare – peraltro ripetutamente, perché non è stato proprio facilissimo ricevere risposta, e non si capisce bene perché – il Comune di Bollate, il quale ci comunica che, per quanto riguarda problemi di sicurezza ai cittadini, non sussiste assolutamente nessun rischio, nessun pericolo, né sono stati segnalati negli ultimi mesi eventuali allarmi nelle adiacenze, in prossimità o sulle strade della cosiddetta cava, che peraltro – mi pare lo abbia già detto l’Assessore nel suo intervento – è una ex cava. La chiamiamo impropriamente “cava”, perché ormai è da anni che non ha questa funzione.

Noi – lo ripeto – ci siamo attivati e questa è stata la risposta del Comune di Bollate, dove non hanno assolutamente rilevato niente di inconsueto o di strano. Questa è la risposta che ci ha dato il Comune e questa è la risposta che do io alla Commissione, naturalmente.

(Finalmente) Regione Lombardia risponde in commissione sul fiume Lambro

In Luglio avevamo presentato un’interrogazione a risposta scritta circa la reale situazione del fiume Lambro e i provvedimenti presi. Senza dimenticare le parole di un ottimista Formigoni che appena accaduto l’incidente aveva beatamente dichiarato (ostendando una certa sicurezza): “abbiamo deciso un primo stanziamento di 20 milioni di euro per un nuovo patto di fiume che spenderemo secondo un accordo che sarà sottoscritto a breve con tutti i comuni che si affacciano sul Lambro” ricordando inoltre come “Regione Lombardia abbia già stanziato 150 milioni di euro per il recupero del fiume che hanno anche favorito il ritorno dei pesci” ed aggiungendo infine “Il Lambro certamente non è morto. Da qui al 2015 il nostro obiettivo è quello di riportarlo a quelle condizioni di fiume azzurro per le quali era conosciuto dai nostri avi e dai nostri nonni”.

Poiché carta canta più di qualsiasi visione e opinione vi appoggio qui la trascrizione della risposta dell’Assessore Marcello Raimondi. A voi le conclusioni.


“ITR numero 3009: Interrogazione concernente la situazione del fiume Lambro in relazione allo sversamento di sostanze inquinanti nel mese di febbraio 2010”

PRESIDENTE

La parola all’Assessore Raimondi.

RAIMONDI Marcello

Grazie, Presidente. Buongiorno a tutti. Inizio col rispondere all’ITR/3009 che riguarda la situazione del fiume Lambro in relazione allo sversamento di sostanze inquinanti nel mese di febbraio, a firma dei Consiglieri Cavalli, Sola, Patitucci e Zamponi.

Nell’ottica della proficua collaborazione che abbiamo instaurato con la Commissione, ho chiesto agli Uffici dell’Assessorato di effettuare tutti gli approfondimenti del caso per rispondere a questa interrogazione e anche alle associazioni audite nella vostra precedente seduta.

Mi sento di ribadire, come ho fatto in altre occasioni, tutto l’impegno dell’Assessorato e dalla Regione per la riqualificazione e la valorizzazione del fiume Lambro, e le risposte che seguono spero che siano utili a rendere evidente anche ai Commissari come queste intenzioni vengono concretizzate.

La prima domanda ci chiede di approfondire l’entità dell’increscioso evento. Il 23 febbraio 2010 è avvenuta una fuoriuscita di gasolio da alcuni serbatoi dell’ex raffineria Lombarda Petroli, il gasolio si è riversato sul piazzale della ditta e da qui, a causa delle intense precipitazioni, è confluito nelle fognature. Una parte del gasolio è confluita nel Lambro, fuoriuscendo dallo sfioratore della fognatura ubicato tra Villasanta e Monza. Parte è giunta all’impianto di Alto Lambro Servizi Idrici SpA a Monza, danneggiandolo e mettendolo fuori uso sino al 20 marzo ed impedendo di fatto in quel periodo il pieno funzionamento dell’impianto.

La quantità di materiale sversato è stata calcolata in circa 2.600 tonnellate approssimativamente costituito da 1.600 tonnellate di gasolio e 800 di olio combustibile, di cui si stima che siano state recuperate in tonnellate 1.060 di prodotti idrocarburici ed emulsioni, 570 di acque contaminate, 1.770 di terreno provenienti dalle operazioni di messa in sicurezza del sito di Lombarda Petroli, 1.100 di idrocarburi presso l’impianto di depurazione di Monza, 80 di idrocarburi provenienti dalle barriere realizzate sul Lambro, 750 di emulsioni oleose e 500 di idrocarburi e morchie lungo gli sbarramenti sul fiume Po, sbarramento principale a Isola Serafini. Infine, altro materiale è stato assorbito dai sistemi di assorbimento predisposti sul Lambro e sul Po.

Il restante materiale si è in parte disperso – frazioni più leggere e solubili – nell’acqua fino al mare ed in parte si è depositato nei sedimenti del Lambro e del Po. Mentre, quindi, lo stato delle acque è rientrato nell’ordinario già poche settimane dopo lo sversamento, lo stato dei sedimenti è via via divenuto l’obiettivo prioritario degli accertamenti tecnici condotti.

In fase iniziale alcune disposizioni di idrocarburi sono state individuate lungo le sponde del Lambro dai tecnici che hanno provveduto a svolgere apposite ricognizioni.

Queste deposizioni sono state in gran parte dilavate dalle piene susseguitesi tra maggio e giugno di quest’anno. Gli effetti ambientali ed ecologici dello sversamento sono attualmente in fase di verifica mediante opportune attività di monitoraggio svolte prevalentemente dall’ARPA.

In particolare, sono stati avviati in luglio i primi monitoraggi sui macroinvertebrati, per i quali si è in attesa dell’elaborazione dei risultati. In autunno inizierà una fase di approfondimento sullo stato delle componenti biologiche proprio per verificare l’eventuale danno anche sul lungo periodo.

Il secondo punto riguarda la composizione degli idrocarburi. La composizione degli idrocarburi sversati è stata verificata dalla Magistratura competente per le indagini. Gli accertamenti effettuati dal consulente tecnico della Procura non hanno evidenziato la presenza significativa di sostanze estranee alla composizione dei normali prodotti petroliferi in commercio.

Informazioni ulteriori relative alla composizione del materiale sversato si renderanno disponibili approfondendo la caratterizzazione chimica dei campioni di materiale idrocarburico originariamente prelevati dall’ARPA presso il sito di Lombarda Petroli.

Tali analisi saranno condotte nell’ambito di una collaborazione in fase di avviamento con il CNR e l’Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) di Brugherio.

Il terzo punto riguarda le risorse stanziate dalla Regione. Con riguardo a queste risorse che sono stanziate e programmate per interventi di risanamento delle acque e riqualificazione idraulica nel Bacino Lambro-Seveso-Olona, la Regione Lombardia sin dalla fase di predisposizione del Piano di tutela delle acque 2001-2004 e poi con il PRS nell’VIII Legislatura ha avviato interventi di riqualificazione ambientale e territoriale dei bacini di maggior rischio idraulico e degrado ambientale del territorio lombardo, in particolare nel Bacino dei fiumi Olona, Seveso e Lambro, sviluppando strumenti di partenariato locale a scala di bacino per assicurare l’azione coordinata di tutti i soggetti pubblici e privati interessati.

I Contratti di Fiume rappresentano i nuovi strumenti sperimentali di concertazione, gestione e integrazione delle politiche regionali allo scopo di sviluppare apposite azioni di salvaguardia e valorizzazione ambientale.

Gli accordi quadro di sviluppo territoriale, cioè i Contratti di Fiume relativi ai sottobacini Olona, Bozzente, Lura e Seveso, sono stati rispettivamente sottoscritti in data 22 luglio 2004 e 13 dicembre 2006.

La sottoscrizione del protocollo di intesa verso il Contratto di Fiume Lambro è intervenuta in data 4 ottobre 2007 e con delibera di Giunta del dicembre 2009 è intervenuta la promozione dell’Accordo quadro sviluppo territoriale Contratto di Fiume Lambro settentrionale.

Complessivamente il partenariato coinvolto comprende oltre 130 Comuni, 7 Province, 7 ATO, l’Autorità di bacino del fiume PO (AIPO), i parchi regionali e i Parchi locali di interesse sovracomunale (i cosiddetti PLIS), due Comunità montane, oltre ad un significativo numero di soggetti privati, associazioni e singole imprese.

Per l’intero bacino Lambro-Seveso-Olona le risorse economiche ad oggi già disponibili e destinate alla realizzazione delle azioni ammontano a 185 milioni di euro, a fronte di un fabbisogno stimato di 300 milioni di euro. In aggiunta sono già programmati ed in corso di realizzazione interventi nel settore delle infrastrutture afferenti al collettamento e alla depurazione pari a 130 milioni di euro, che derivano dall’Accordo di programma quadro Ministero-Regione dal titolo “Tutele delle acque e gestione integrata delle risorse idriche e ai piani di finanziamento mediante mutui assistiti dalla Regione con la Cassa depositi e prestiti”.

Per quanto riguarda poi il sottobacino Lambro settentrionale, il cui Contratto di Fiume è in fase di definizione, per il quale è previsto uno specifico programma delle azioni, sono già stati programmati e per la maggior parte finanziati una serie di interventi. Tra questi quelli più significativi finanziati ed in corso di attuazione sono gli interventi di completamento e potenziamento delle infrastrutture di collettamento e depurazione. Sono undici: San Giuliano Milanese, San Rocco di Monza, Nibionno, Pieve Fissiraga, Peschiera Borromeo, Borghetto Lodigiano, Sant’Angelo Lodigiano, Pioltello, Monza, Nerone, Sesto San Giovanni, per un totale di 54,88 milioni di euro, di cui 46 a carico dell’Accordo di programma quadro che ho citato prima, 3,6 a carico delle Autorità di bacino e 5,28 in fase di reperimento.

Per gli interventi di difesa del suolo e riqualificazione fluviale, sono in corso le progettazioni ai fini della loro attivazione e riguardano opere di regolazione, difese spondali, manutenzione idraulica, rinaturazione delle sponde fluviali, eccetera, per un totale di 23 milioni di euro, che derivano da finanziamenti statali e locali dei fondi FAS, eccetera.

Il quarto e ultimo punto riguarda le azioni regionali a seguito dello sversamento.

Per quanto concerne i temi ambientali, le prime azioni approntate da Regione Lombardia a seguito dello sversamento hanno riguardato il monitoraggio degli effetti sulle matrici ambientali, acque e sedimenti. Tali attività sono state in gran parte svolte dall’ARPA, ma hanno visto anche il coinvolgimento di ulteriori soggetti, quali il Parco della Valle del Lambro, che ha operato sulla base di un programma di azioni per il primo intervento di tutela del fiume finanziato dalla Direzione generale – Sistema Verdi e Paesaggio.

L’andamento della qualità delle acque superficiali nel periodo immediatamente successivo allo sversamento è stato monitorato essenzialmente verificando la concentrazione del parametro “idrocarburi totali”. Nei mesi successivi all’evento sono continuati i monitoraggi, aumentando la periodicità dei controlli e i punti della rete di monitoraggio ordinario, nonché aggiungendo ulteriori parametri chimici tra quelli ricercati di prassi.

La cadenza dei campionamenti della qualità delle acque del Lambro è stata mantenuta quindicinale fino al mese di giugno, mentre è attualmente mensile. Sul fiume poi i monitoraggi hanno mantenuto una cadenza mensile.

Le rilevazioni effettuate nei mesi successivi allo sversamento non hanno fatto registrare valori anomali degli inquinanti monitorati, se non per il parametro “PCB” (policlorobifenili), per il quale nei mesi di giugno, luglio ed agosto sono state rilevate concentrazioni superiori a quelle dei mesi precedenti.

È ipotizzabile che i campionamenti abbiano dato riscontro di fenomeni di rimobilitazione causati dai significativi eventi di piena di maggio e giugno di materiale depositatosi in alveo o sulle sponde.

Il programma di monitoraggio delle acque superficiali, che sarà attuato a partire dal corrente mese, terrà conto della necessità di verificare se le concentrazioni di PCB riscontrate nei mesi estivi siano riconducibili agli eventi di piena o siano imputabili a cause diverse dallo sversamento di Lombarda Petroli o allo stato del fiume pregresso a tale episodio.

Sul fiume Po gli esiti delle analisi chimiche delle acque non hanno evidenziato particolari criticità. Sulle acque sotterranee sono state effettuate due campagne di monitoraggio in marzo e aprile, in cui non sono state evidenziate anomalie, e in luglio e agosto le cui determinazioni sono in via di completamento.

Per i sedimenti è stata svolta una prima campagna di monitoraggio lungo il Lambro nei mesi di marzo e aprile. Essendo in prossimità della stagione irrigua si è scelto di dare priorità ai punti posti in corrispondenza delle derivazioni d’acqua. Queste verifiche hanno evidenziato valori localmente problematici delle concentrazioni di idrocarburi e in alcuni casi valori significativi per i PCB.

Nel mese di luglio sono stati ripetuti i campionamenti lungo tali punti. Per questi campioni non sono ancora disponibili gli esiti analitici.

Nello stesso mese si è proceduto a verificare anche lo stato dei sedimenti in punti lungo l’asta del Po, dalla foce del Lambro (Orio Litta) fino a Somaglia. I valori riscontrati nel Po non evidenziano particolari criticità, mentre risultano significativi i campioni prelevati nel Lambro a Orio Litta.

Le risultanze dei suddetti accertamenti, in particolare per quanto riguarda la presenza di idrocarburi e PCB nei sedimenti del Lambro, evidenziano la necessità di effettuare ulteriori piani di indagine che consentano di ottenere una mappatura più accurata della distribuzione degli inquinanti lungo l’asta fluviale, unitamente a valutazioni di carattere tecnico-ambientale che consentano di verificare l’opportunità o la necessità di interventi di risanamento.

A tale scopo è in corso di definizione un programma di monitoraggio che coinvolgerà, oltre all’ARPA, il CNR e l’IRSA di Brugherio, anche al fine di proporre valori di riferimento di intervento in assenza di specifici valori contenuti nelle norme.

Nei mesi successivi all’episodio di sversamento è stato altresì avviato un confronto con l’Autorità di bacino del fiume Po per la scelta delle modalità di monitoraggio ambientale post-emergenza. Sono state presentate diverse proposte di monitoraggio e di indagini pluriennali su acque e sedimenti sul Lambro e sul Po, che sono attualmente in corso di valutazione nelle competenti sedi tecniche (tavolo di lavoro tra Autorità bacino del Po, Regioni interessate, Agenzia regionale per l’ambiente ed altre strutture tecniche).

Il programma di monitoraggio in corso di definizione con ARPA e CNR-IRSA è in accordo con le linee d’azione delineate in tale sede insieme agli altri soggetti interessati. Il monitoraggio finora svolto sullo stato delle matrici ambientali potenzialmente interessate dallo sversamento è avvenuto in coordinamento e sinergia con la DG Sanità e le AASSLL territorialmente interessate. In modo particolare esse hanno curato il controllo sugli acquedotti e sulle fonti di approvvigionamento di acqua per il consumo umano, al fine di stabilire il mantenimento dei requisiti di uso a scopo potabile alimentare, e la verifica dello stato di salute della fauna ittica e selvatica.

Sulla base degli esiti analitici sono state via via revocate le ordinanze sugli usi delle acque, in particolare quella sull’uso irriguo, dagli Enti competenti. Risultano essere stati sporadici gli interventi di assistenza e cura della fauna selvatica effettuata in collaborazione con le associazioni di volontariato presenti sul territorio e non è stata segnalata una significativa mortalità di fauna ittica e selvatica.

Per quanto riguarda le caratteristiche delle acque destinate al consumo umano, superata la fase di cautela iniziale non si sono verificate criticità rispetto all’idoneità all’uso del detto scopo.

Cosa succede in Regione Lombardia sulla caccia

Il 15 luglio 2010 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia e varie regioni, tra cui svetta la Lombardia, per le ripetute violazioni avvenute verso le direttive europee in vigore sulla caccia.

La condanna avviene in seguito all’accoglimento di una richiesta del Wwf, sottoscritta da tutte le associazioni ambientaliste e animaliste lombarde, che ha evidenziato l’anomalia della normativa nazionale e regionale che consente la caccia a specie protette dalla “direttiva uccelli” in violazione delle norme comunitarie e delle convenzioni internazionali.

In particolare, la regione Lombardia ha autorizzato la caccia di volatili tutelati dalla normativa europea senza averne mai dimostrato la reale utilità che dovrebbe consistere nella prova scientifica. Tra l’altro, tale deroga non spetta alle regioni bensì al governo. Per superare questa “difficoltà” l’Italia nell’articolo 19 bis della legge sulla caccia, la 157 del 1992, ha istituito un procedimento di controllo di legittimità delle deroghe a livello regionale, che in sostanza risulta inefficace e poco tempestivo.

Nonostante la condanna netta dell’Unione Europea, la regione Lombardia ha riproposto un provvedimento di caccia in deroga per la prossima stagione venatoria. L’8 settembre 2010 la Commissione agricoltura ha, infatti, approvato il provvedimento che disciplina le regole per l’esercizio dell’attività venatoria lombarda per la stagione 2010- 2011, frutto della fusione di un progetto di legge presentato e sottoscritto da Gianmarco Quadrini e Valerio Bettoni (Udc) e di uno presentato dai Consiglieri della Lega Nord.

Il progetto di legge ora deve passare al vaglio del Consiglio regionale, la cui seduta si terrà oggi 14 settembre. Italia dei Valori presenterà 200 emendamenti e 40 ordini del giorno al fine di interrompere l’iter di questa legge vergognosa che viola la normativa europea e giustifica un crudele sfoggio di potere su piccoli volatili indifesi.

Acqua pubblica: Formigoni prepara il blitz di ferragosto

Agosto non è mese per stare tranquilli. E’ la politica che vive sulla distrazione del popolo per infilarsi in legiferazioni che altrimenti rischierebbero di alzare un polverone, o perlomeno quella che in democrazia si chiamerebbe discussione. Sull’onda (è il caso di dirlo) di una straordinaria mobilitazione popolare che ha visto un milione e quattrocento mila firme del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e settecentocinquantamila dell’Italia dei Valori, oggi una politica responsabile dovrebbe fermarsi e costruire le basi di un serio dibattito sulla gestione dell’acqua come prezioso bene comune da sottrarre ad affaristi e grumi di potere.  Proprio ieri (il 28 luglio) è stata approvata (122 a favore; 41 astenuti; 0 contrari) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione intitolata “Il Diritto Umano all’Acqua e all’igiene”.

Il “celeste” Formigoni invece, dalle segrete stanze della Giunta lombarda, prepara la liberalizzazione secondo i dettami del decreto Ronchi (con il servizio di erogazione dell’acqua nelle mani di tante società miste controllate al 60% dalle Province e per il restante 40% in mano ai privati con appetiti per il business dell’acqua pubblica) proprio in questi ultimi scampoli prevacanzieri. Con l’Aula del Consiglio Regionale “dimenticata” nella discussione e impegnata a discorrere di merli e richiami vivi. Tutto secondo copione, con i luoghi di discussione e i canali di informazione narcotizzati mentre una delicata fase politica decide di assoggettare un diritto universale alle regole della domanda e dell’offerta. Come merce o privilegio piuttosto che un diritto. In una politica per accordicchi o decreti sulla fiducia che svuota, ogni giorno di più, le istituzioni dal proprio senso di luogo di dibattito e democrazia e, in Lombardia, si prepara a svuotare anche il bicchiere.

E allora bisogna parlarne, scriverne, farne parlare. Perchè almeno sappiano che sappiamo. E che faremo tutte le domande e le azioni alla riapertura delle attività. Per una responsabilità che, in questo momento di desolazione politica, non va proprio in vacanza.

La politica del fare? mettere il naso nella discarica di Bollate

http://www.youtube.com/watch?v=zNI77l8R8Ck


Bollate, periferia di Milano, oggi è una di quella città che scottano. Dopo l’ultima operazione contro la ‘ndrangheta (che ha portato in dono 160 arresti solo in Lombardia) intere zone si sono scoperte impudicamente nude di fronte alla potenza e prepotenza delle famiglie criminali che ormai da anni infestano il territorio. A Bollate comanda(va?) Vincenzo Mandalari, originario di Guardavalle (CZ). residente a Bollate e oggi latitante. Mandalari, come gli altri “guappi” ‘ndranghetisti, si dilettava nel campo dell’edilizia, in quel giochino facile facile che è la movimentazione terra; ovvero spostare, nascondere, caricare e scaricare macerie e merda per riciclare denaro. A Bollate (ce lo dimostra oggi un’inchiesta dell’Associazione SOS RACKET USURA completata da un video girato con una telecamera nascosta) c’è una discarica in cui sicuramente si vede qualcosa di curioso: rifiuti scaricati con estrema facilità, formulari non compilati e qualche dubbio sul personale incaricato.

Oggi presenterò un’interrogazione urgente al presidente della Regione Lombardia per chiedere che vengano effettuati quanto prima dalla politica e dalle autorità preposte tutti i controlli necessari per chiarire la gestione dei rifiuti e delle macerie della “ex cava Bossi” a Cascina del Sole in Viale Friuli a Bollate. Con più di un dubbio e una mezza idea sulla “funzione” della discarica nell’economia criminale della zona. Qualche mio collega in Consiglio Regionale propaganda spesso la “politica del fare”, “metterci la faccia” dicono: su quella discarica oggi ci metto la mia.

La denuncia di SOS RACKET E USURA

Siamo entrati nella cava-discarica di Bollate a bordo di un furgone e, senza compilare il formulario, abbiamo scaricato rifiuti di ogni tipo, tutto rigorosamente in nero, ed abbiamo visto una decina di lavoratori boliviani ed albanesi che vi lavorano per sei euro l’ora, senza contratto di lavoro.

Questa è la storia di una cava in odore di N’drangheta.

È una mattina di giugno del 2010 e riusciamo, insieme al giornalista del Fatto, Davide Milosa, a convincere un imprenditore di Garbagnate Milanese a portarci – a bordo del suo furgone – in un luogo dove scaricare rifiuti di ogni tipo, i cosidetti rifiuti ‘sporchi’. Arriviamo così nella cava discarica di Bollate, a Cascina del Sole in viale Friuli ed esattamente nell’ex cava Bossi.

Con una microtelecamera nascosta, cominciamo a filmare il carico del nostro camion e, arrivati all’ingresso della cava, ci viene chiesto subito se vogliamo dare il formulario o pagare in nero. “Non c’e problema ci dice l’omino all’ingresso della cava andate più avanti che i ragazzi vi dicono dove dovete scaricare”.

Percorse alcune centinaia di metri ci troviamo di fronte ad una decina di ragazzi boliviani ed allbanesi che, senza chiederci il contenuto del camion, ci fanno scaricare il furgone con la ribalta in un piazzale dove sono ammassati cumuli di rifiuti di ogni tipo alti una decina di metri.

È un inferno Dantesco quello che si presenta con questi lavoratori che sotto il solo cocente mettono le mani nei rifiuiti smistando ogni cosa: eternit, bidoni e liquidi; legno, carta, plastica, polistirolo, macerie sporche provenienti da chissà quali lavori senza nessuno che controlla cosa stiamo scaricando.

Ci dicono che prendono sei euro l’ora e lavorano senza contratto, praticamente sono lavoratori in nero e dicono anche che quelle rare volte che vengono “i controlli”, i proprietari della cava vengono avvisati e noi scappiamo’.

Pochi minuti dopo, finito lo scarico, andiamo a pesare il camion e paghiamo 90 euro per il nostro scarico. Se avessimo presentato il formulario ci sarebbe costato 15 euro… L’omino della discarica si premunisce anche di darci un numero da segnare per le prossime volte che saremmo tornati a scaricare, numero da segnare sul formulario. Mi raccomando, ci dice, non mettete la data, così se vi ferma la Polizia voi dite che l’avete dimenticata altrimenti per voi sono grossi problemi.

Ci rilascia una ricevuta fasulla e noi andiamo via.

Bollate, terra di quella ‘ndrangheta decimata da una colossale operazione delle DDA di Milano e Reggio Calabria, dove a capo della Locale vi è Vincenzo Mandalari, padrino sfuggito all’arresto, tuttora latitante.

È lui che comanda su tutto il territorio, ed è sempre lui che cosrtuisce, asfalta, fa il movimento terra a Bollate e circondario.

Alcuni mesi fa, in un bar di Bollate, una microspia ambientale intercetta Vincenzo Mandalari ed un imprenditore edile, tale Rocco Ascone, anche lui arrestato in questa operazione, che parlano dell’arrivo di un carico di rifiuti tossici provenienti da Brescia, che devono essere smaltiti in una cava di Bollate.

Nella cava-discarica di Bollate abbiamo visto frantoi e numerosi escavatori, che risultano essere di propietà di tale Nicola Grillo, grande amico di Vincenzo Mandalari e proprietario dell’impresa SDS Srl che lavora per Mandalari.

Nicola Grillo e suo fratello Stefano vengono chiamati vent’anni fa da un paesino della provincia di Catanzaro, Davoli, proprio da Vincenzo Mandalari che gli dice “venite su che qui di lavoro al nord ce nè tanto”.

Stefano e Nicola Grillo sono amici di altri boss, i fratelli Pietro e Santo Maviglia di Nova Milanese che, guarda caso. hanno un magazzino di fronte ad un’altra cava, sempre a Nova in via delle cave.

I proprietari della cava di Bollate tentano alcuni mesi fa anche di costruire decine di palazzi sull’area della cava stessa, offrendo in cambio alla passata Giunta guidata dal sindaco Stelluti la donazione di metà area, ma il progetto non passa. Nell’ ufficio di Vincenzo Mandalari ci sono decine di targhe che la passata giunta bollatese si è premurata di consegnare, per riconoscenza dei lavori eseguiti dall’imprenditore Mandalari. Da Rho, Pero, Cesate, Garbagnate Milanese, Novate, Senago, Cesano Maderno, Bresso, Cormano, ed altre decine di comuni dell’hinterland, è cosa nota che chiunque voglia scaricare rifiuti di ogni tipo, tossici o “sporchi”, può andare alla cava dei veleni di Bollate.

Tutti gli imprenditori edili, piccoli o grandi, scaricano veleni in quella cava; la cosa è nota a tutti, e noi quel giorno abbiamo visto decine di camion che scaricavano ogni cosa.

L’Associazione SOS Racket e Usura chiede al Sindaco del comune di Bollate, Stefania Lorusso, di intervenire tempestivamente su questo scandalo da noi denunciato.

Alla Polizia Provinciale Ambientale, che propio a Bollate Ha un grosso distaccamento, chiediamo di eseguire immediati controlli sul terreno all’interno della cava.

All’Ispettorato del Lavoro di verificare che i lavoratori siano in regola con contratto di lavoro e sopratutto chiediamo – per i reati che abbiamo documentato – la chiusura immediata della cava.

L’associazione chiede che venga aperta un’inchiesta da parte dell’Autorità giudiziaria al fine di verificare i gravi fatti da noi denunciati, Al Consigliere regionale dell Idv Giulio Cavalli chiediamo una presa di posizione politica con una interrogazione in Consiglio Regionale da presentare sui gravi fatti da noi denunciati al fine di far cessare questo gravissimo scandalo.

Milano 22 luglio 2010

Frediano Manzi

Presidente Associazione SOS Racket e Usura

Hanno avuto ragione: Santa Giulia è già il simbolo di Milano

A vederla nei bozzetti un milanese qualunque poteva immaginarsela mentre sfilava la carrozza di Luigi XII e una corte di nani e ballerine: l’area Santa Giulia, Montecity-Rogoredo doveva essere il quartiere modello della Milano da esportare in tutto il mondo con Centro Congressi, Multisala, futuribile arredo urbano, mezzi ecologici ad attraversarla. Il tutto in un verde bioparco con i colori da Alice nella Milano delle meraviglie. Il simbolo della Milano che vogliamo. E oggi, dopo i sigilli della procura possiamo finalmente dire che ce l’hanno fatta: Montecity è il quartiere simbolo della Milano di oggi.

Ci sono i veleni (arsenico, cloroformio, cromo esavalente) che inondano e perdurano in nome del massimo profitto e della minima attenzione in una regione che a grandi passi punta al podio del prossimo Rapporto Ecomafie stilato da Legambiente (dove, bisogna ammetterlo, anche quest’anno è già riuscita a fare la sua pessima figura nel suo silenzio tutto padano).

Ci sono i progetti brevi tipici delle grandi opere. Quelli che finiscono appena smesso di stampare l’ultima brochure pubblicitaria per stuzzicare il palato. Perché oggi, a Milano ma generalmente nel paese, la “realizzazione” è un privilegio per pochi fortunati. Così conta passare l’idea, costruire il messaggio, confezionare la propaganda come per l’Aquila, i rifiuti a Napoli e oggi quel cantiere avvelenato che dovevano essere i nostri  Champs Elysèes. Non contano poi le lamentele dei creduloni. Qui da noi se di un problema non si scrive o non si dice, non esiste. Se se ne dice poco è un male minore.

C’è il re delle bonifiche, sempre lui. Giuseppe Grossi guadagna bonificando il meno possibile perché ci tiene ad essere misurato. Giuseppe Grossi che a Milano è nome dagli echi importanti: da Paolo e Silvio Berlusconi fino alla moglie del “faraone” Giancarlo Abelli che non riesce a fare in tempo a scendere dalle cronache di ‘ndrangheta per risalire subito con le bonifiche. In un ottovolante del “lombardismo” più sfrenato applicato alla politica.

C’è il reato ambientale. Un reato che nella legislazione della responsabilità dovrebbe essere il meno sopportabile, nel compimento di uno stillicidio di natura che si propaga velenoso in delitto molto spesso decennale. Il reato perfetto per i pavidi che riescono a farla pagare ai figli ed ai nipoti senza nemmeno il rumore di uno sparo. Un reato che, uscendo dalle tempistiche del mandato elettorale, da diritto naturale si trasforma in una gentile concessione di qualche politico particolarmente benevolo. Proprio oggi, proprio a Milano, dove un PGT mangiasuolo ci è stato offerto come una strategia da nobel per l’ambiente.

Intorno, tutto intorno rimane una città che oltre che brutta puzza come un pesce da troppi giorni sul bagnasciuga, soldi che diventano merda sotto terra per qualche lire al chilo, politica impreparata ed ecoignorante anche solo per fingere di parlarne e i soliti noti con la pancia piena. Diversi (neanche troppo) i nomi, diverse le facce, diversi i luoghi, diversi i modi, ma quello che conta qui nell’eccellente Milano è il Sistema. ‘O Sistema, come lo chiamerebbe Roberto Saviano.

Inceneritore: salvo il Parco Sud, cos’è successo e cosa può succedere

Cronaca di un mattone piccolo ma significativo di una Lombardia molto meno sopita di come si potrebbe pensare.

Ieri in Consiglio Regionale si è discussa la mozione del PD (primo firmatario Penati) che diceva no all’inceneritore all’interno dell’area Parco Sud. Un’ottima notizia se vista nell’ottica del Palazzo che ascolta e riesce a farsi carico di un malessere civilmente manifestato da sindaci e cittadini attivi riuniti in un consistente movimento di opinione. Certo, e questo lo sappiamo in tanti, l’inceneritore è “ben voluto” da molti. Semplicemente in aree diverse (e per un fiuto sinistro immagino anche dove e perché, ma ci sarà tempo per parlarne…).
Nella mozione del PD, condivisibile e meritoria in larga parte, si chiude con un “fulmen in clausola” degno delle migliori sceneggiature: no al Parco Sud ma urgentemente sì ad un luogo altro per “evitare l’emergenza rifiuti”. Nel video i passaggi:

http://www.youtube.com/watch?v=SshsE0XSoKw

La mozione “corretta” è stata votata all’unanimità.

Il segnale incoraggiante è la voce delle piazze, dei cortei, dei sindaci che è stata interpretata (in modo assolutamente bipartisan e con sfumature diverse) dentro l’istituzione. Ora è il momento di compattarsi e riuscire a portarla ancora più forte. Perché la “cittadinanza attiva” non sia ascoltabile solo nei momenti di protesta ma anche, e soprattutto, nella fase della progettazione.

Restiamo uniti.

Lunedì 10 maggio Giulio Cavalli a “AmbientaMI – Costruire natura”

SottoLaPanca presenta il prossimo evento in collaborazione con Legambiente “AmbientaMI – Costruire natura” Lunedì 10 maggio 2010  pressoBobino Club (Piazzale Cantore, 1 – Milano).

Legambiente ha lanciato la campagna “Metti un freno al cemento, costruisci natura” per condividere con tutte le cittadine e i cittadini della Lombardia un impegno a fermare il consumo indiscriminato di suolo. Al centro della campagna c’è una proposta di legge regionale di iniziativa popolare: “Norme per il contenimento del consumo di suolo e la disciplina della compensazione ecologica preventiva”, per la quale Legambiente si è impegnata a raccogliere 12.257 firme, già depositate in Regione e in attesa essere esaminate dalla Commissione.

La Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d’Europa. Negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 140000 mq (circa 20 campi di calcio) al giorno, per un totale di quasi 5000 ettari l’anno coperti da cemento ed asfalto, distrutti dall’edilizia residenziale e commerciale, da strade, impianti industriali, centri commerciali e capannoni: terra che non tornerà più, poiché è quasi impossibile che un terreno edificato possa tornale fertile. (da Metti un freno al cemento – costruisci Natura, Legambiente. Fonte: DIAP – Politecnico di Milano, su base ARPA)

L’incontro si aprirà con la proiezione del film documentario “Il suolo minacciato”.

Nel corso dell’incontro si discuterà della fattibilità del progetto analizzandone i profili economici e fiscali nell’intento di trovare una risposta condivisa al problema del consumo di territorio.

Interverranno:

Damiano Di Simine: Presidente Legambiente Lombardia.

Domenico Finiguerra: Sindaco di Cassinetta di Lugagnano.

Nicola Francesco Dotti: Dottorando in economia del territorio e coordinatore Planet.

I rappresentanti dei partiti politici sono stati invitati e presenzieranno per ascoltare le ragioni dei cittadini e dei promotori: Carlo Monguzzi (Ambientalista, Assessore all’Ambiente in Regione Lombardia, consigliere e capogruppo regionale in Lombardia), Giulio Cavalli (Consigliere regionale IDV), Elisa Scarano (Consigliera di zona 6 – Verdi).

Hanno inoltre aderito all’evento le associazioni Amici della Terra Lombardia, Associazione “Animalisti Italiani Onlus”, Gaia Animali e Ambiente, LAV Milano, LIPU Milano, Slow Food Milano, In Sella Nuova.

Per saperne di più:
Gruppo FB – STOP alla cementificazione in Lombardia
Sottolapanca.net – STOP alla cementificazione in Lombardia
Evento FB – AmbientaMI – Costruire Natura

Il nuovo inceneritore? semplicemente, non serve

Ho già avuto modo di parlare del nuovo inceneritore che dovrebbe sorgere tra Opera e Rozzano. Ho detto come sia l’ennesimo progetto speculativo agli ordini di una politica lombarda sempre più grumo affaristico piuttosto che reale risposta alle esigenze del territorio e dei cittadini. Martedì 20 aprile alle 18:00 presso il Circolo Clapiz del P.D. di via Neera 7, a Milano ne parleremo insieme io, voi, i consiglieri di zona e  il consigliere comunale a Milano Aldo Ugliano. Insieme progetteremo le iniziative e le strategie per un’opposizione che sia forte e unita. Per una battaglia che difenda il territorio lombardo sempre pronto a svendersi al migliore affarista. Oggi Legambiente chiarisce il punto: un inceneritore in Lombardia non serve. E se non serve ai Lombardi, a chi serve?

Il comunicato stampa di Legambiente Lombardia:

“Pura speculazione economica, la Lombardia è già oggi la regione italiana più dotata di inceneritori. C’è chi vuole guadagnarci senza preoccuparsi delle ricadute sui cittadini e il territorio”. Così Damiano Di Simine, presidente regionale di Legambiente, in merito all’ipotesi di un nuovo inceneritore nel Parco Sud Milano. “Basta guardare i dati per comprendere che chi propone nuovi impianti non ha a cuore il benessere dei lombardi ma solo l’idea di fare profitto facile”.

Ormai in Lombardia il sistema della raccolta differenziata ha superato i vecchi metodi: infatti vengono raccolti in modo separato il 47% dei rifiuti mentre solo il 10% finisce in discarica, e il 40% avviato a incenerimento. Non esiste più la necessità di nuovi inceneritori ma solo l’urgenza di ridurre la percentuale di quota residua ancora oggi avviata a discarica, migliorando la raccolta differenziata nelle provincie e città più arretrate (Pavia, Brescia e il capoluogo milanese). “Il problema non è la localizzazione nel Parco Sud, ma il fatto che di nuovi inceneritori non c’è bisogno, né al Parco Sud né altrove in Lombardia – conclude Di Simine – Dobbiamo investire per rispettare gli obblighi perentori imposti dalla nostra legislazione nazionale (raccolta differenziata da portare al 65% entro il 2012), attivare strategie nazionali di riduzione della produzione dei rifiuti, sviluppare le tecnologie e gli impianti su cui la Lombardia è in ritardo, prima di tutti quelli per la lavorazione della frazione organica con produzione di biometano e compost: discutere di nuovi inceneritori significa parlare d’altro rispetto alle vere necessità del sistema di gestione dei rifiuti”.

Incenerire i rifiuti costa di più che fare una buona raccolta differenziata

Sfatato l’antico mito che mandare i rifiuti agli inceneritori conviene alla tasche dei cittadini: riciclare costa meno e fa risparmiare. Ma a chi avesse ancora qualche dubbio che ambiente e risparmio possano andare d’accordo, rispondono i dati di uno studio della Regione Lombardia: nei territori che fanno maggior ricorso all’incenerimento, questa scelta si traduce in un maggior costo a carico dei cittadini. Questo è vero in particolare nei capoluoghi, come ben sanno a Cremona, città al 44% di raccolta differenziata, dove il costo medio per abitante è di 128 euro, mentre a Pavia, che a fatica raggiunge il 28% potendo contare sul mega-inceneritore di Parona, la spesa schizza a 161 euro, ben 33 euro in più. Ma più in generale il risparmio appare chiaro anche confrontando i dati medi provinciali: le provincie che superano il 50% di raccolta differenziata e che mandano all’inceneritore solo piccole quote dei propri rifiuti spendono meno di quelle in cui si trovano la gran parte degli inceneritori lombardi: nelle province di Milano, Brescia e Pavia si spende infatti di più che in quelle di Bergamo, Cremona e Varese. E’ quanto emerge da uno studio commissionato da Regione Lombardia sui costi del conferimento e smaltimento dei rifiuti che mette a confronto il sistema dei sacchetti colorati con il tradizionale utilizzo dell’inceneritore. E dal paragone gli impianti di incenerimento ne escono decisamente sconfitti mentre la raccolta differenziata si dimostra il sistema più conveniente per la gestione dei rifiuti lombardi.

“Per questa ragione domenica saremo a Trezzo d’Adda, a contestare il progetto di ampliamento dell’inceneritore – dichiara Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia – un intervento che, se realizzato, suonerebbe come un vero insulto agli abitanti dell’Adda-Martesana, uno dei territori più virtuosi per quanto riguarda la raccolta differenziata: lo diciamo qui come al Parco Sud, la Lombardia non ha più bisogno di nuovi inceneritori, deve invece investire sulle tecnologie per il trattamento delle frazioni da riciclare, a partire dagli impianti che lavorano la frazione organica per trasformarla in metano”.

I dati dello studio, che Legambiente rende pubblico a poche ore di distanza dalla manifestazione contro l’inceneritore di Trezzo, parlano chiaro: in provincia di Brescia, la più superdotata di inceneritori che nel 2008 hanno accolto ben 801.000 tonnellate di rifiuti, la raccolta differenziata non supera il 39% e la spesa media per ogni cittadino è pari a 104 euro. Ben diverso il costo medio per abitante nella provincia di Lodi che invece differenzia il 54% dei suoi rifiuti e fa spendere solo 83 euro pro capite. E se la provincia di Lodi risparmia oltre 20 euro rispetto a quella di Brescia, tra le province di Cremona e quella di Milano (comprendente Monza) il risparmio è di 11 euro a cittadino. Dal dossier, scaricabile dal sito della Regione Lombardia, emerge anche un altro dato: tra la raccolta porta a porta e i cassonetti costa meno la raccolta domiciliare rispetto a quella stradale. In media 69,31 euro per abitante con il porta a porta e 74,45 euro per i cassonetti.

“A far la differenza, anche in questo caso, è l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di gestione – rileva Lidia Crivellaro, responsabile dell’Ecosportello di Legambiente Lombardia – a incidere sui costi sono soprattutto aspetti come la qualità delle raccolte differenziate, che permettono di ridurre la quota di scarto e ottenere il massimo di riciclaggio e valorizzazione dei materiali. Determinante è dunque il ruolo di amministratori locali e aziende di gestione della raccolta, un aspetto che invece si perde quando si punta tutto sullo smaltimento indifferenziato attraverso gli inceneritori”.

Il prossimo appuntamento è domenica prossima, alle 11.00 davanti al comune di Grezzago, con arrivo alle 11.30 all’area dell’inceneritore di Trezzo: il progetto di ampliamento dell’impianto infatti prevede due nuove linee di incenerimento, che ne aumenterebbero la capacità per ben 190.000 tonnellate/anno.

Fonte: elaborazioni Legambiente su dati ARPA Lombardia (quantità), Regione Lombardia (www.ors.regione.lombardia.it) (costi)

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