Vai al contenuto

giulio regeni

“Nelle carte egiziane ci saranno soltanto bugie“: parla l’avvocato della famiglia Regeni

(da Il Fatto Quotidiano)

“Nelle carte egiziane ci saranno soltanto bugie“. Sono le parole di Ahmed Abdallah, avvocato della famiglia Regeni, dopo l’annuncio del governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo, tra le proteste della famiglia, in seguito ai nuovi atti che l’Egitto ha inviato alla procura di Roma. Intervistato dal Corriere della Sera, Abdallah è intervenuto anche sulla clamorosa rivelazione del New York Times Magazine di “prove esplosive raccolte dall’amministrazione Obama e girate al governo Renzi” sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto nel febbraio del 2016: “Mi aspettavo che ci fosse stata una comunicazione tra Roma e Washington, ma adesso vogliamo sapere la verità da entrambi i governi, americano e italiano”. In merito, la fonte del quotidiano americano afferma di non avere “dubbio alcuno che dai documenti che trasmettemmo all’Italia si potesse capire quello di cui eravamo fortemente convinti: che i servizi di sicurezza egiziani fossero responsabili del rapimento e dell’omicidio di Giulio Regeni”, come ha rivelato in un’intervista a Repubblica.

Da una parte i nuovi atti che l’Egitto ha inviato alla procura di Roma, dall’altra le informazioni girate dagli 007 statunitensi a Palazzo Chigi. Gli sviluppi nel caso di Giulio Regeni non convincono Abdallah, presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, ong che offre consulenza ai legali della famiglia del ricercatore ucciso. Così, mentre i giornali egiziani festeggiano il ritorno dell’ambasciatore italiano, l’avvocato avverte: “Non c’è nessuna cooperazione tra gli inquirenti”. “Il procuratore generale Nabil Ahmed Sadek, che dovrebbe garantire la giustizia in Egitto, ha rifiutato finora di consegnarci il fascicolo sull’uccisione di Giulio e ha bloccato ogni tentativo legale di ottenerlo. La famiglia non ha avuto nessuno degli atti”, ha spiegato al Corriere.

“Non sappiamo nemmeno se quelli inviati agli inquirenti italiani siano un riassuntodell’inchiesta oppure gli originali – ha aggiunto Abdallah – sulla base di quello che abbiamo visto sinora, mi aspetto che il fascicolo sia pieno di bugie”. “Abbiamo diversi nomi”, ha spiegato il legale, arrestato il 25 aprile 2016 e rimasto quattro mesi e mezzo in carcere. “Il primo è quello di Sharif Magdi Abdlaal, il capitano della sicurezza di Stato che diede la telecamera per monitorare Regeni al capo del sindacato dei venditori ambulanti. Abdlaal è la stessa persona che ordinò il mio arresto e falsificò le prove contro di me”. Poi c’è il colonnello Mahmoud al Hendy, “che mise i documenti di Giulio nella casa del presunto capo dei gangster accusati di aver rapito il ragazzo”, ha detto nell’intervista al quotidiano di via Solferino. “Entrambi sono potenti e non sono stati incriminati né sottoposti a indagini serie: possono manipolare le prove e minacciare chiunque sia pronto a dire la verità”, ha poi concluso Abdallah.

Verità che l’avvocato della famiglia Regeni chiede anche sui documenti passati dagli Usa al governo Renzi. A far scoppiare il caso, rivelandolo al Nyt, è stato un alto funzionario dell’amministrazione Obama, rimasto anonimo, che ora ha confermato a Repubblica: “Chiedemmo di passare agli italiani quante più informazioni possibili”. E’ una delle persone che ha seguito fin dal primo momento il caso Regeni, “perché ci aveva sconvolto e temevamo che la stessa cosa potesse accadere a un americano”. Gli 007 statunitensi non aprirono un’inchiesta specifica, ha spiegato la fonte, ma raccolsero molto materiale. “Concludemmo che la responsabilità era dei servizi di sicurezza egiziani – ha rivelato – so per certo che le informazioni furono trasmesse via servizi segreti, non per canali diplomatici, e che lo scambio avvenne in diverse occasioni, non in una sola volta. Tutto questo accadde nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni”.

Cosa contenessero esattamente i documenti arrivati a Roma non è dato saperlo. L’alto funzionare ha spiegato a Repubblica della necessità di “proteggere le fonti”. “Per questo non so dire se fu rivelata l’identità dell’unità specifica responsabile della morte di Giulio”. “Ma non ho dubbio alcuno – ha aggiunto – che dai documenti che trasmettemmo all’Italia si potesse capire quello di cui eravamo fortemente convinti: che i servizi di sicurezza egiziani fossero responsabili del rapimento e dell’omicidio di Giulio Regeni. E che quello che era accaduto fosse noto ai livelli più alti dello Stato egiziano”.

Intanto i rapporti tra Egitto e Italia si normalizzano. Alla faccia di Giulio Regeni. E l’Eni gode.

Al-Masry Al-Youm, quotidiano egiziano, ha pubblicato il 25 dicembre scorso la notizia, appresa da fonti della Farnesina, che Giampaolo Cantini, nominato da Matteo Renzi a maggio scorso ambasciatore d’Italia in Egitto, arriverà a gennaio al Cairo prendendo il posto lasciato vacante, dall’aprile scorso, dall’ambasciatore Maurizio Massari, assegnato a Bruxelles. Rapporti in distensione, come ha fatto capire il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni durante la conferenza stampa di fine anno che ha spiegato che la linea del governo in questi mesi è stata improntata “alla fermezza e alla richiesta di collaborazione verso le autorità egiziane” e “dopo i depistaggi iniziali, abbiamo visto una collaborazione molto utile“.

Progressi sul piano politico ma anche in quello economico. L’Eni infatti ha annunciato di aver firmato due nuovi accordi di concessione per i blocchi offshore di North El Hammad e North Ras El Esh, situati nelle acque convenzionali dell’offshore egiziano del Mediterraneo, che la società si era aggiudicati nell’ambito del Bid Round Internazionale competitivo Egas 2015. Eni, informa una nota, è operatore del blocco North El Hammad con la quota del 37,5% in compartecipazione con Bp, con il 37,5%, e Total, con il 25%. Il blocco, che ricopre un’area di 1.927 Km quadrati, è situato a ovest delle aree di sviluppo di Abu Madi West e Baltim-Baltim Sud, dove recentemente Eni ha effettuato le importanti scoperte di Nooros, in produzione da agosto 2015 e Baltim South West. Eni possiede anche una quota del 50% nel blocco North Ras El Esh in compartecipazione paritetica con Bp, operatore. Il blocco è ubicato a sud-ovest delle aree di sviluppo di Temsah e Port Fouad. Queste nuove assegnazioni, che seguono quelle recenti del blocco onshore Southwest Meleiha, nel deserto occidentale, e Shorouk, Karawan e North Leil, situati nelle acque profonde dell’offshore egiziano del Mediterraneo, consolidano ulteriormente il portafoglio titoli e la posizione di Eni in Egitto, paese di importanza storica e strategica per la società, e confermano la determinazione nel perseguire l’attività esplorativa del paese, dopo le importantissime scoperte di Nooros, Zohr and Baltim South West, effettuate nel 2015 e nel 2016.

(fonte)

Giulio Regeni, tutte le bugie di Mohamed Abdallah

(B. Maarad per l’Espresso)

Il suo nome è stato presente fin dall’inizio. Mohamed Abdallah ha sempre fatto parte del caso Regeni. E’ stato uno dei primi testimoni a farsi avanti. Ha fornito però versioni contrastanti. Cambiavano in base all’andamento delle indagini. Dalla sua totale estraneità al suo pieno coinvolgimento. E oggi Mohamed Abdallah, il capo del sindacato autonomo degli ambulanti, continua a nascondere la verità.

Il nome di Abdallah spunta la prima volta in una dettagliata ricostruzione del caso fatta dal quotidiano Almasry Alyoum il 26 febbraio, un mese dopo la sparizione di Giulio. Il sindacalista si è presentato alla redazione del giornale a raccontare la sua versione dei fatti accompagnato da un collega. “L’ho incontrato più di dieci volte”, ha raccontato. “Sono andato con lui al mercato di Ahmed Hilmy, dove abbiamo incontrato alcuni ambulanti, e poi l’ho accompagnato a New Cairo dove ne abbiamo conosciuti altri”.

In questa versione Abdallah dice di aver visto Giulio Regeni più di dieci volte, nelle future diventeranno solo sei. Ma non è questo il punto debole di questa prima testimonianza. Mentre infatti il suo collega, Rabie Yamani, esprime la sua vicinanza a Regeni, mostrando anche un sms con cui avevano concordato un appuntamento per il 17 gennaio che poi Giulio avrebbe annullato, Adallah si tiene distante. “Prima che ripartisse per le vacanze di Natale mi aveva proposto di partecipare a un bando promosso da una fondazione inglese. Da quel momento non mi sono più sentito tranquillo e ho quindi cominciato ad allontanarmi da lui”.

In realtà, già nel servizio pubblicato da Almasry, veniva citata la testimonianza dell’amico di Giulio, Amrou Asaad, che riferiva il tutto in modo completamente diverso: “Prima di partire, Giulio aveva proposto agli ambulanti di partecipare a questo bando per una somma di circa 10mila sterline. Dopo il suo ritorno però ha ignorato l’argomento perché, mi ha spiegato, era rimasto deluso da uno dei responsabili del sindacato che ne voleva approfittare”. Non è tutto. Abdallah, nonostante avesse espresso questa sua sensazione negativa, ha assicurato ai cronisti di non essersi rivolto alla polizia: “Non sono una spia. Anche se dovessimo trovare un cadavere, ci gireremmo dall’altra parte”. E’ un modo egiziano per dire “ci facciamo i fatti nostri”.

Ha voluto però andare oltre, forse nel tentativo di distogliere l’attenzione: “Giulio parlava e scherzava con tutti. Magari qualcun altro ha avuto la mia sensazione. La metà degli ambulanti sono informatori della polizia”. La prima smentita è già nelle righe successive. Ci pensano gli agenti di polizia che controllano il mercato dove Abdallah ha detto di essersi recato con Giulio più volte: “Impossible, se fosse venuto qua l’avremmo visto. Inoltre abbiamo le telecamere che registrano tutto, non lo possiamo nascondere”. Abdallah ha mentito più volte già nella sua prima dichiarazione. E’ emblematico il commento pubblicato da un lettore: “Ho la sensazione che quello che si fa chiamare Mohamed Abdallah abbia qualche collegamento diretto con l’omicidio di Regeni. Il movente c’è sicuramente. Nessuno può indagare meglio con questa persona?”.

Le indagini vanno avanti (o comunque si finge) senza considerare il ruolo di Abdallah. C’è maggiore impegno a inscenare lo scontro a fuoco con la banda di quelli che sarebbero poi stati indicati come i responsabili del sequestro del ricercatore italiano. Il tentativo di depistaggio fallisce il 24 marzo. Una settimana dopo, l’8 aprile, fallisce anche il primo vertice a Roma tra gli inquirenti italiani e quelli egiziani.

Il nostro Governo decide di richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo. I rapporti diplomatici si fanno sempre più deboli. Un mese dopo torna alla ribalta il nome di Abdallah. La prima settimana di maggio la procura italiana riceve infatti i tabulati della chiamate di cinque utenze, tra queste quella del sindacalista. Anche in questo caso lui si dice completamente estraneo ai fatti. “Non so nulla riguardo alle intercettazioni, non so nemmeno se sia legale il fatto che l’Egitto le abbia consegnate all’Italia”.

La prima vera svolta arriva con il vertice in Italia del 9 settembre. Emergono due aspetti fondamentali: la polizia egiziana aveva indagato Giulio e, soprattutto, lo aveva fatto a seguito di un esposto del 7 gennaio firmato da Mohamed Abdallah. Da tenere presente le tempistiche, Regeni ha lasciato il Cairo il 20 dicembre, con la proposta del bando, e ci è tornato il 2 gennaio, con la bocciatura del finanziamento da 10mila sterline. Cinque giorni dopo scatta la denuncia. In ogni caso, Abdallah smentisce categoricamente. L’11 settembre giura sulle pagine di ‘Shorouk e Tahrir’ di “non aver firmato alcun esposto o fatto telefonate o inviato messaggi”.

Dice però di più: “Mi sono pentito di non averlo fatto, perché la ricerca di Giulio non era sugli ambulanti ma sul loro rapporto con la polizia”. E si dice addirittura “disponibile a sacrificarsi per il bene del Paese”. Insomma “se la procura ha deciso che io ho fatto quell’esposto, mi prendo la responsabilità. Non voglio che sia incolpata la polizia per un omicidio che non ha commesso. Sono pronto a essere una vittima per l’Egitto se questo servirà a chiudere il caso e a ristabilire i rapporti con l’Italia”.

Qualche giorno dopo, in nuove versioni, Mohamed Abdallah conferma di aver denunciato Regeni per “amor di patria”. O magari semplicemente ha dato il via al suo sacrificio. Il tutto viene confermato nelle dichiarazioni rilasciate all’ Huffington post arabo martedì sera.

«Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

«La tragica uccisione di Giulio è qualcosa che la nostra mente europea, da un punto di vista cognitivo ed emotivo, non è attrezzata a comprendere. Quindi il dolore è un dolore che deve ancora trovare le parole e le forme per essere espresso. È difficile pronunciare la parola “tortura”, ma questo è stato. Molte madri mi hanno raccontato dei loro lutti ma tutte sono state concordi nel dire “questo è inimmaginabile per madri italiane!” Stiamo parlando di una morte provocata da azioni violente per mano di persone che hanno minato la dignità psicologica e fisica di Giulio: un figlio come tanti cresciuti in Italia. Per riprendere le parole di un’amica, “un nativo democratico”. Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

Sono le parole di Paola Regeni nella sua intervista per D. Un’intervista da leggere. Tutta. È qui.

Giulio Regeni, quali sono le novità

(Ne scrive Bianconi per il Corriere della Sera)

Negli ultimi due mesi di vita, Giulio Regeni è stato «monitorato» dalla polizia egiziana o dai suoi informatori fino alla vigilia del sequestro. Fotografato e filmato. I contatti tra le forze di sicurezza e il capo del sindacato dei venditori ambulanti (nonché confidente degli investigatori) Mohamed Abdallah, con cui Giulio aveva stretto rapporti, sono andati avanti fino al 22 gennaio scorso: tre giorni dopo il ricercatore friulano è stato sequestrato, torturato, ammazzato e abbandonato sul ciglio di una strada del Cairo.

È stato lo stesso Abdallah, interrogato dai magistrati egiziani, a spiegare che «la polizia sembrava intenzionata a proseguire il monitoraggio di Regeni per vedere che comportamento avrebbe tenuto nei giorni intorno al 25 gennaio»: era l’anniversario della rivolta di piazza Tahir, una data simbolica e temuta dal regime del generale Al Sisi. Sembra una giustificazione offerta dal sindacalista per spiegare le notizie fornite su Giulio, anche dopo che la polizia e i servizi segreti avevano concluso che non era una persona pericolosa per la «sicurezza nazionale».

Il nuovo tassello di un difficile e ancora largamente incompleto mosaico è stato fornito dal procuratore generale della Repubblica egiziana Nabil Sadek nell’ incontro con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco. Terminato con un comunicato congiunto, nel quale si assicura che «la collaborazione continuerà attraverso lo scambio di atti d’ indagine fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni».

In realtà le novità svelate ieri erano conosciute da tempo dagli inquirenti egiziani, anche prima del precedente «faccia a faccia» di settembre, ma evidentemente non è facile indagare sugli apparati di sicurezza; in ogni caso la Procura di Roma non può che insistere, con la determinazione mostrata fin qui, per conoscere il più possibile dell’ inchiesta in corso, valutarne le mosse, fornire suggerimenti e svolgere accertamenti in proprio laddove è possibile.

Al momento la pista innescata dalle denunce di Abdallah resta la più concreta e consistente, visto che la polizia gli chiese di realizzare un video dei suoi colloqui con Giulio, consegnato all’ inizio del 2016 subito dopo il rientro di Giulio dalle vacanze di Natale. Ufficialmente l’ interesse della polizia per il ragazzo italiano cessa il 14 gennaio, ma dopo quella data Abdallah ha continuato a chiamare esponenti dei servizi segreti locali, fino al 22; ricostruzioni divergenti che si potranno spiegare – forse – una volta acquisiti gli interrogatori degli investigatori egiziani.

Altrettanto importante sarà conoscere le versioni dei poliziotti coinvolti nella sparatoria in cui furono uccisi i presunti rapitori, e quelli che hanno trovato i documenti di Regeni, vicenda che «suscita interrogativi», come ribadisce il comunicato congiunto. Ma ci vorrà a tempo. Si procede a piccoli passi, nella speranza che non ci si fermi o addirittura non si torni indietro.

È la richiesta dei genitori di Giulio che martedì hanno incontrato il procuratore generale Sadek, al quale hanno mostrato alcune foto del figlio ritratto in momenti di felicità.

«Perché sappiate di chi vi state occupando», hanno sottolineato. «Vi chiedo di non fermarvi a qualche anello intermedio della catena», ha detto il padre, Claudio Regeni, al magistrato venuto dal Cairo.

Che ha promesso verifiche «senza escludere nessuna direzione» per dare giustizia a «un ragazzo esemplare», non più considerato spia o spacciatore, bensì un «portatore di pace». L’ avvocato della famiglia, Alessandra Ballerini, ha chiesto di poter accedere al fascicolo dell’ indagine attraverso i suoi colleghi egiziani, e che ciò possa avvenire senza rischi per la loro sicurezza. Le hanno risposto di sì. Se sarà vero si vedrà.

L’Egitto alla guida dei diritti umani dell’Onu. Alla faccia di Giulio Regeni.

Va bene che la politica ha le sue regole. Ci diranno, ancora una volta, che la cortesia internazionale prevede che si accettino le decisioni degli altri. Ma c’è un limite di decenza, un limite di dignità e soprattutto una misura minima del rispetto a Giulio. Se qualcuno pensava che questo silenzio intorno a Giulio fosse insopportabile ora si deve ricredere. L’Egitto che ha maciullato Giulio è nel Consiglio Onu per i Diritti Umani. Leggere per credere:

2016110134509111

Intanto Giulio diventa muffa

Anche se è sabato e non è giorno da “buongiorno per Left” alla fine non potevo non scrivere di Giulio Regeni. Il silenzio no, non possiamo permettercelo.

Lo trovate qui.

Giulio Regeni è la stella cadente

San Lorenzo. Notte di stelle cadenti da cogliere al volo per bisbigliare un desiderio. Stelle cadenti. Per tutto l’anno sono i miti abbattuti e solo per una notte all’anno diventano occasioni da pescare: basta poco per trasformare il declino in poesia. Basta crederci.

La stella cadente di quest’anno ha la faccia appuntita di Giulio Regeni, ha la forza misurata dei suoi genitori capaci di essere disperati con un equilibrio saggio, capaci di volere la verità senza cedere all’odio. Io no, io davvero devo ammettere che il silenzio su Regeni mi fa impazzire, strappare le unghie, mi fa venire voglia di morsicare i cervelli di quelli che dovrebbero muoversi, mi spreme il cuore in un dolore liquido e lento.

La mia stella cadente, il mio desiderio è che finisca la farsa intorno a Giulio. Che si rimettano almeno, per amore della verità (o per l’amor di dio per quelli per cui conta), in ordine i fatti, i pesi, le misure e i personaggi. Che si smetta di soffiare nell’iperbole di Regeni come spia pur di non sentirsi colpevoli, che si dica una volta per tutte che ci fa schifo l’Egitto se l’Egitto è quel Paese in cui si muore con una motivazione falsa, poi subito dopo con cento cause diverse e poi alla fine in nessun modo credibile.

Vorrei che i membri del governo tutti pancia a terra per la riforma della Costituzione avessero la stessa frenesia per vederci chiaro. Vorrei che i telegiornali considerassero la mancata verità ogni giorno una notizia degna d’esser data.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il silenzio di Cambridge su Giulio Regeni

L’università di Cambridge che non risponde alle domande dei magistrati italiani sul loro “allievo” Giulio Regeni ci  racconta che l’etica non è evidentemente requisito da insegnare con il proprio comportamento. Magari ricordiamocene, quando parliamo di autorità e prestigio.

Ancora più luride sono le giustificazioni date: una scelta “fatta dai legali che tutelano gli interessi dell’Università” per metterla al riparo da “possibili richieste di risarcimento danni per eventuali responsabilità nella mancata tutela della sicurezza del ragazzo”. Non sono solo i dittatori evidentemente a temere la verità.

Me lo segno.

Intanto in Egitto si continua a sparire


Nel mese scorso sono sparite forzatamente 86 persone. Praticamente tre al giorno. Quelle uccise invece nelle prigioni e nei commissariati della polizia sono state nove. Otto per mancata fornitura dell’assistenza medica necessaria e uno per tortura. Almeno sei egiziani sono stati invece giustiziati sul posto. Tra questi c’è Mustapha Mohamed Mustapha, un venditore di tè che si era rifiutato di cedere gratis un bicchiere di bevanda e un pacchetto di sigarette a un agente di polizia. Ne è nata una discussione che ha portato il poliziotto a estrarre la sua pistola di ordinanza e uccidere sul posto il povero ambulante. Con lui sono stati feriti altri due. E’ successo al Cairo il 19 aprile scorso. Dieci giorni dopo è stato ferito gravemente, invece, un autista di taxi che non aveva rispettato la precedenza. Un militare gli ha sparato in testa. Mustapha Atiah, 38 anni, è stato giustiziato il 2 aprile scorso in casa sua. Le forze dell’ordine hanno fatto un blitz all’alba e lo hanno crivellato di colpi. Nella versione ufficiale degli Interni si è trattato di uno scontro a fuoco durato 35 minuti. Dinamica molto simile a quella dell’uccisione delle cinque persone accusate di essere la banda responsabile dell’omicidio di Regeni.
I casi di tortura sono stati 67 e quelli di mancata assistenza medica sono stati 53. Chi sta male in un commissariato di polizia o in una prigione ha molte probabilità di essere trasferito in ospedale solo dopo la morte. Chi prova a protestare o a ribellarsi subisce ancora di più. E’ accaduto ad esempio a inizio mese nella prigione sulla strada che collega il Cairo ad Alessandria. Alcuni detenuti hanno deciso di fare uno sciopero della fame per protestare contro i maltrattamenti. Le guardie hanno risposto liberando diversi cani all’interno del penitenziario.

(L’articolo di Brahim Maarad è qui.)