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Rubinetto Libia

Sorpresa! La Libia ricatta l’Europa sui migranti (ma va?). Il governo libico del premier Fayez al-Sarraj “dopo il massacro a Tajoura (53 morti, 140 feriti, a proposito del porto sicuro e del Paese sicuro) sta considerando il rilascio di tutti i migranti nei centri di detenzione, perché la loro sicurezza non può essere garantita”. Lo ha detto il ministro dell’interno libico che ovviamente accusa Haftar per il bombardamento del centro. Qualcuno invece dice che l’azione forse sia stata degli stessi gestori del centro. Alcuni testimoni avrebbero raccontato di avere visto i gestori del centro sparare contro gente che fuggiva dopo l’esplosione della prima bomba.

Signore e signori, ecco la Libia, quella che continuano a raccontare contro la propaganda, quella che per primo Minniti cercò di renderci potabile (e poi ovviamente il ministro dell’interno Salvini) quando invece continua ad essere una polveriera che sfugge a qualsiasi controllo internazionale.

Ma ecco anche il tesoro della Libia: non il petrolio ma uomini. Uomini che vengono usati come arma di ricatto internazionale, aprendo e chiudendo i rubinetti a proprio piacimento per tenere sotto scacco l’Europa. Uomini che vengono vessati, derubati, seviziati e poi lasciati alla deriva su qualche barchino. Tutto scientemente sotto gli occhi di uno Stato a cui regaliamo credibilità (e imbarcazioni) convincendoci che possa essere un alleato credibile nella gestione del fenomeno delle migrazioni.

Eccolo qui quel paradisiaco posto in cui qualcuno insiste nel volere rispedire indietro uomini, donne e bambini. Ma del resto, come recitava quel vecchio adagio, chi somiglia si piglia e ognuno si scegli gli alleati a sua misura.

La Storia li giudicherà.

Buon venerdì.

L’articolo Rubinetto Libia proviene da Left.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/07/05/rubinetto-libia/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

#acasaloro, il debutto e poi quello che viene

Alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo andati in scena con A Casa Loro che adesso, come succede dopo un’anteprima, diventa grande ed è pronto per andare in giro. È una scommessa ardita, questo spettacolo, perché, credetemi, negli anni ho scoperto ben bene come ci voglia coraggio anche a metterli in scena certi temi, anche a farsene organizzatori. E la questione della Libia e dell’immigrazione continua ad essere uno di quesi discorsi che si preferisce lasciare alle conversazioni private. Lo scriviamo anche nello spettacolo:

«Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.

Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.»

Intanto ringrazio tutti quelli che a questo spettacolo hanno lavorato duramente in questi mesi: Nello Scavo nella scrittura, Amanda Pisi e Giordano Gelati nell’organizzazione e nella cura, Alessandro Nidi nella regia video e tutti quelli che ci hanno creduto fin dall’inizio. Come scrive Civati (che sull’immigrazione si spende da sempre) nel suo post:

L’atto unico (senza appello, potremmo dire) è forse la cosa migliore che sia stata pensata e messa in scena sul luogo comune più scontato della politica nazionale (e non solo nazionale, ahinoi): una vera lezione sul modo di rendere «plastica» l’esperienza delle migrazioni e dei suoi protagonisti.

Del resto sono anni che lo sentiamo dire, «Aiutiamoli a casa loro», a cui qualcuno (totalmente svaporato) ha voluto aggiungere: «davvero». Uno slogan che non spiega niente ma liquida tutto, come lo speculare «padroni a casa nostra», con l’immancabile corollario del «prenditeli a casa tua».

Ecco. Ora facciamo in modo che A Casa Loro vada in giro per casa nostra. Grazie a tutti.

#acasaloro

Un post condiviso da Giulio Cavalli (@giuliocavalli) in data:

La Libia siamo noi

«La circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona Sar non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai soccorsi, soprattutto nel momento in cui il coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina militare italiana, con propri mezzi navali e con quelli forniti ai libici»: sono le parole (messe nero su bianco) da Nunzio Sarpietro, giudice di Catania, nel decreto di convalida del sequestro della nave di Open arms. Dice, fuori dal lessico giudiziario, che è l’Italia a coordinare e decidere ciò che avviene in quelle acque, è l’Italia che ricaccia indietro i disperati in fuga, è l’Italia che si occupa, travestita da guardia costiera libica, dei respingimenti in aperta violazione di tutti i trattati internazionali di cui si fregia.

La vera notizia, quindi, non dovrebbe essere l’ennesima inchiesta già mezza sbriciolata del pm Zuccaro ma piuttosto il fatto che l’Italia, con tutto il suo finto carico di contrizione istituzionale, debba raccontarci ben altro. Scrive il giudice: «Si è creato un polverone intorno all’ong spagnola Open arms ma in pochi stanno ponendo attenzione su ciò che dicono realmente gli elementi di indagine. All’interno della ricostruzione dei fatti il giudice riconosce, per esempio, che l’ong ha ricevuto minacce esplicite anche con armi e che la situazione in Libia è quella che conosciamo, ma si spinge ad effettuare osservazioni che ritengo non condivisibili sul piano giuridico. L’interpretazione delle norme vigenti sul favoreggiamento (art. 12 d. lgs. n. 286/1998) mi sembra infatti discutibile alla luce della riserva di legge assoluta in materia di misure restrittive della libertà personale (art. 13 Cost.) e soprattutto della riserva di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo (art. 10, commi 2 e 3 Cost.). Inoltre si dice che Open arms, come le altre ong, non può decidere a propria discrezione dove portare le persone, perché questa decisone fa parte di accordi tra gli Stati, con un ragionamento che sembra dimenticare che la materia non è e non deve essere soggetta alla discrezionalità degli Stati ma solo alle normative internazionali sul soccorso in mare e alle normative sulla protezione dei rifugiati e sul divieto di tortura. Inoltre si parla del Codice di condotta come di una sorta di norma regolamentare auto accettata, quando nella realtà esso non è una fonte secondaria. La ricostruzione infine non si sofferma, invece, su quanto prevedono la convenzione di Ginevra, le leggi internazionali che regolano il soccorso in mare (che l’associazione umanitaria è tenuta a rispettare) e sulle ragioni per cui non era possibile individuare nella Libia un luogo sicuro».

In pratica, la Libia brutta sporca e cattiva, che Minniti e compagnia hanno provato a farci credere che fosse rieducata e ammorbidita dal nostro bravo governo, in realtà siamo noi. E non siamo colpevoli del silenzio su ciò che accade, ma evidentemente siamo la causa degli accadimenti. Del resto è un vecchio trucco che funziona sempre quello del poliziotto buono e del poliziotto cattivo che convergono sullo stesso risultato finale.

Buon venerdì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/03/30/la-libia-siamo-noi/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono. Anche l’indifferenza uccide, sì, anche quella: i morti per indifferenza li riconosci perché quando muoiono se gli apri gli occhi, con le dita, come si aprono due lembi, dentro ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così. Non sono mica come i morti improvvisi, quelli con lo sguardo interrotto che non ha nemmeno fatto in tempo di stringersi per il buio che gli veniva addosso: se avessero un minuto, un minuto ancora, un minuto di quelli che un minuto prima di andarsene uno torna e dice – ah! Scusa, un’ultima cosa – se avessero avuto quel minuto lì ve l’avrebbero raccontato anche loro che il mare, il mare non uccide. Uccide trascinarsi per il deserto come una mandria zoppa in balìa di pastori a forma di soldati; uccide farsi porto a forza di pregarne uno e provare a farsi legno per non bollire di sole e sale; uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalla parte del dirupo; uccide l’indifferenza. Sì, l’indifferenza uccide, eccome se uccide. Ci sono più morti di indifferenza della somma di tutte le guerre mondiali, anche delle guerre dei tempi passati. Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.
Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.

(dal mio spettacolo “A casa loro”, scritto insieme a Nello Scavo, che è uno spettacolo teatrale ma forse sarebbe il caso che fosse un bigino da tenersi in tasca durante questa brutta campagna elettorale. Buon venerdì:)

Il petrolio (illegale) libico però non affonda mai. Arriva sempre in Sicilia, tranquillo.

La Guardia di Finanza ha sgominato un’associazione a delinquere internazionale che riciclava gasolio libico rubato dalla raffineria libica di Zawyia, a 40 km a ovest di Tripoli, trasportato via mare in Sicilia e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo.

Militari del comando provinciale di Catania, con la collaborazione dello Scico, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Procura Distrettuale etnea, hanno eseguito un’ordinanza del Gip effettuando sei arresti (3 in carcere e 3 ai domiciliari): due sono maltesi, due libici e quattro italiani. Altri tre libici sono ricercati. Uno è detenuto nel suo Paese. Dopo il furto il gasolio veniva scortato da milizie libiche e portato in Sicilia e poi immesso nel mercato italiano ed europeo mediante una società maltese. Il traffico è stato monitorato con mezzi del Comando operativo aeronavale della Gdf.

 

(da Ansa, qui)

Lo scrive anche Le Monde: “Accordo tra l’Italia e i trafficanti libici per fermare i flussi”

“Fra i trafficanti libici e l’Italia sono stati stipulati piccoli accordi contro i migranti”. Dopo i reportage di Reuters e Associated Press, anche Le Monde accende i riflettori sui motivi che starebbero dietro allo stop delle partenze di migranti dalle coste libiche. Il quotidiano francese dedica all’argomento il titolo di apertura dell’edizione di questo pomeriggio, 14 settembre, e le prime due pagine interne.

Le Monde spiega di aver parlato al telefono con una personalità di Sabratha, la città costiera della Tripolitania da cui fino a poche settimane fa partivano quasi tutti i migranti diretti in Italia. “C’è un accordo tra gli italiani e la milizia di Ahmed Al-Dabbashi. L’ex trafficante oggi fa la guerra contro il traffico di esseri umani”, scrive il giornalista citando la fonte, che vuole rimanere anonima. L’articolo spiega che “Al-Dabbashi, soprannominato Al-Ammu (lo zio), è il capo della brigata dei martiri Anas al-Dabbashi, che fino a luglio dominava il traffico di migranti da Sabratha”. Le informazioni coincidono con quelle contenute nel reportage di Associated Press e anche del Corriere della Sera. Una fonte di Ap aveva definito Al-Dabbashi e il fratello “i re del traffico” di migranti.

 

“Roma è sospettata di aver pagato i servizi delle milizie libiche per fermare l’afflusso di migranti sulle sue coste. Il governo smentisce. Le imbarcazioni vengono intercettate in mare. Conseguenza: il numero di traversate del Mediterraneo verso Lampedusa è crollato ad agosto”, continua Le Monde. “Alcune associazioni umanitarie denunciano trattamenti crudeli e accusano l’Unione europea di lasciar prosperare un ‘sistema predatorio’. Di fronte a questa situazione, chi aspira all’Europa cerca altri punti di ingresso, in particolare attraverso la Romania“. È proprio di ieri, 13 settembre, la notizia che un barcone con a bordo 153 migranti, tra cui 53 bambini, è stato intercettato e bloccato nel Mar Nero dalla guardia costiera romena. Il battello, fatiscente, è stato condotto nel porto di Costanza, dove i profughi sono stati identificati.

Nelle ultime settimane si sono intensificati i casi di imbarcazioni cariche di migranti fermate nel Mar Nero e partite dalla Turchia. Tra il 9 e il 10 settembre sarebbero arrivate in Romania più di 200 persone a bordo di due barconi. Chiusa la rotta balcanica, che dalla Turchia proseguiva via terra o via mare verso la Grecia e nei Paesi della ex Jugoslavia, e bloccate, almeno per ora, le partenze dalla Libia, sarebbe il Mar Nero la nuova via battuta dai migranti.

 

“I Paesi dell’Unione europea non fanno che mantenere quest’organizzazione criminale”, continua Le Monde citando la presidente di Medici senza frontiere, Joanne Liu. Una nuova smentita su questo punto, dopo quella del governo italiano che ha sempre rigettato l’ipotesi di accordi con le milizie libiche, è arrivata dal commissario Ue per le migrazioni Dimitris Avramopoulos: “Il calo dei flussi sulla rotta del Mediterraneo centrale è frutto di una cooperazione ben coordinata con i Paesi della regione e del ruolo di pioniere dell’Italia, col ministro Minniti. Tutto è stato fatto nella chiarezza e nella trasparenza, non ci sono stati canali nascosti o negoziati dietro le quinte”.

Le Monde traccia anche un ritratto del ministro dell’Interno italiano Marco Minniti in cui lo definisce un “apparatchik dell’ombra diventato Mister Anti-migranti” e in cui dice che “ha negoziato il blocco del traffico in Libia in condizioni di opacità”. Accuse che il titolare del Viminale ha sempre negato, rivendicando gli accordi stretti con i sindaci libici.

(fonte)

Lo chiamano “blocco dell’immigrazione” ma in italiano sarebbe “favoreggiamento”

Si chiama Ahmad Dabbashi ma è meglio conosciuto come “Al Ammu”, che in arabo vuol dire “zio”. Guida la brigata libica “Anis Dabbashi” ed è diventato uno degli uomini più potenti – e temuti – della Tripolitania occidentale. Questo perché ha saputo riconvertire il suo ruolo di “principe degli scafisti” in “collaboratore di primo piano” del governo italiano per il blocco dei flussi migratori. A raccontare la sua storia è il Corriere della Sera oggi in edicola, che pubblica un lungo reportage a firma dell’inviato Lorenzo Cremonesi.

Il servizio di intelligence della polizia locale ci dice “che ultimamente avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez Sarraj”.

Scrive ancora il Corriere:

Il capo del clan Dabbashi però è un ricercato, per lui è difficile viaggiare, specie all’estero. Tocca allora a Yihab, il fratello giovane più fidato, fungere da negoziatore e businessman del gruppo. Sulla rete difende il buon nome dei Dabbashi, oggi li rilancia come gruppo legittimo e garante della legge. “Yihab ha trattato per conto del fratello anche l’accordo sui migranti. Abbiamo le tracce dei suoi movimenti recenti. Sappiamo che tra fine luglio e fine agosto è volato a Malta con la compagnia privata Medavia. Di recente è stato a Istanbul, in Germania e in altre due nazioni europee. Con gli agenti dei servizi italiani si è incontrato più volte in alcuni hotel di Gammarth, la costa turistica di Tunisi. Sarraj e gli italiani si sono assicurati la sua collaborazione in cambio di almeno 5 milioni di euro e la promessa che i Dabbashi ne usciranno puliti e le loro milizie saranno legalizzate”, leggono dai loro documenti i capi dell’intelligence.

(fonte)

«Minniti? Uno sbirro in guerra contro i migranti»: parla Gino Strada

«Minniti è il ministro più apprezzato del governo Gentiloni? Bene, andiamo proprio bene! Minniti ha una storia da sbirro e va avanti su quella strada lì. Per lui ributtare in mare o riconsegnare bambini, donne incinte poveracci a quelli lì in Libia, e farli finire nelle carceri ammazzati o torturati, è una cosa compatibile con i suoi valori. E si sente orgoglioso di quel che fa»: l’attacco al ministro dell’Interno è del fondatore di Emergency Gino Strada, al microfono di Radio Capital, che lo ha reso noto. «Questi accordi con la Libia e il decreto del ministro Minniti sono niente di più e niente di meno che un atto di guerra contro i migranti. Noi già oggi siamo responsabili di diversi morti, diverse persone torturate, centinaia o migliaia di casi di violazione dei diritti umani, e per soddisfare il nostro egoismo e la necessità di una politica di livello infimo, non esitiamo a ributtare questa gente in quell’inferno, nelle mani di torturatori assassini», ha aggiunto Strada.

(fonte)

Ma l’Italia ha fatto un accordo con i trafficanti di migranti?

Ne scrive Il Post:

Un’inchiesta pubblicata ieri da Associated Press ipotizza che per fermare il flusso di migranti dal Nord Africa il governo italiano abbia stretto degli accordi con due potenti milizie libiche che solo qualche tempo fa erano direttamente coinvolte nello stesso traffico. Il governo italiano ha smentito di avere un accordo di questo tipo e rispondendo ad AP ha detto che «non negozia con i trafficanti». L’inchiesta sembra comunque molto solida e cita molte e varie fonti, fra cui il portavoce di una delle due milizie coinvolte che ha confermato l’accordo con le autorità italiane.

L’approccio del governo italiano in Libia – un paese che da circa cinque anni non ha un governo funzionante, e che è diventato la tappa finale di decine di migliaia di migranti diretti in Europa – è stato molto lodato dagli altri paesi europei, e dal punto di vista dei numeri sta portando dei risultati. Nell’agosto 2017 sono sbarcati sulle coste italiane solo 3.507 migranti, contro i 21.294 dell’agosto 2016. In molti però hanno criticato il governo italiano per aver stretto accordi con partner poco affidabili come il governo di Fayez al Sarraj, che controlla quasi solo il territorio della città di Tripoli, e la sua Guardia costiera, un’accozzaglia di bande armate che è difficile descrivere come un unico corpo di polizia. L’inchiesta di Associated Press porta le accuse al governo italiano a un altro livello: lo accusa di aver saltato l’intermediazione di Sarraj e aver stretto accordi direttamente con gli stessi personaggi che fino a poco tempo fa erano in combutta con i trafficanti.

In Libia le milizie armate hanno riempito il vuoto di potere che si è creato dalla caduta del regime di Gheddafi: secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, oggi fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Fra le altre cose le milizie controllano anche i centri di detenzione per migranti (dove i diritti umani vengono sistematicamente violati).

Le due milizie di cui parla Associated Press si chiamano “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48” ed entrambe hanno la sede a Sabratha, una piccola città non distante da Tripoli che negli ultimi mesi è diventata il principale punto di partenza dei barconi e gommoni dei migranti. La prima milizia è sicuramente nota ai funzionari italiani: dal 2015 si occupa della sicurezza dell’impianto di Eni per l’estrazione di petrolio nel vicino paese di Mellita. La seconda è stata oggetto di un’inchiesta di Reuters pubblicata il 21 agosto, che descriveva l’efficacia della campagna anti-trafficanti in corso a Sabratha. I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che controlla la città, quello dei Dabbashi.

Cinque fonti fra funzionari di sicurezza e attivisti hanno confermato ad Associated Press che entrambe le milizie erano coinvolte nel traffico di migranti: una di loro ha definito i fratelli Dabbashi i “re del traffico di migranti” a Sabratha. «I trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi», ha raccontato una fonte di sicurezza libica sentita da Associated Press.

(continua qui)