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Marco Travaglio

Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza?

Tenetevi forte perché manca poco al ritorno dello spettro dei migranti clandestini, degli sbarchi sconsiderati e di tutta quell’orrenda narrazione contro le Ong nel Mediterraneo lasciato sguarnito in modo criminale dall’Europa. E preparatevi perché se è vero che conosciamo già perfettamente alcuni personaggi in commedia, a partire da quel Salvini che già da qualche giorno è tornato sull’argomento per provare a frenare lo scontento tra quei suoi elettori affamati di cattivismo e ancora di più incattiviti dalla pandemia, e a ruota ovviamente Giorgia Meloni per occupare quello spazio politico, soprattutto tornerà alle origini quel Movimento 5 Stelle che si è ammantato di solidarietà per incastrarsi nel secondo governo Conte ma che ora è pronto al ritorno delle sue radici peggiori.

La tromba della carica l’ha suonata ovviamente Marco Travaglio in uno dei suoi editoriali che sostituiscono da soli le assemblee di partito e che ha usato tutto l’armamentario del razzismo con il colletto bianco per puntare il dito contro le Ong, per irridere le “anime belle” (che per Travaglio sono la categoria di tutti quelli che non la pensano come lui ma che non possono essere manganellati con qualche indagine trovata in giro) e mischiando come al solito le accuse con le sentenze, gli indagati con i colpevoli, le ipotesi dei magistrati come “fatti” e gli stantii pregiudizi come acute analisi. Così la chiusura delle indagini della procura di Trapani per un presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Iuventa basta al suggeritore dei grillini per richiamare tutti alle armi: picchiamo sui migranti, bastoniamo le Ong e chissà che non si riesca spremere qualche voto anche da qui.

E fa niente che sia dimostrato dai dati (e da anni) che “gli angeli delle Ong” (come li chiama Travaglio per mungere un po’ dalla vecchia accusa di “buonismo”) non “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani”: Travaglio trova terribilmente sospetto che delle organizzazioni dedite al soccorso in uno spicchio di mare conoscano perfettamente quel mare e i luoghi dei naufragi. La competenza del resto da quelle parti è vista con diffidente apprensione. Ma agli osservatori più attenti, quelli che semplicemente non si sono fatti infinocchiare dallo storytelling del Conte bis, forse non sarà sfuggito che Di Maio sia proprio quel Di Maio che discettava allegramente delle Ong come “taxi del mare” quando c’era da accarezzare l’alleato Salvini e Giuseppe Conte sia proprio quel Giuseppe Conte, nessuna omonimia, che partecipava allegramente alla televendita dei Decreti Sicurezza che andarono alla grande durante la stagione della Paura.

Ovviamente nessuna parola sull’omesso soccorso in violazione del Diritto internazionale del Mare che è un crimine di cui il governo italiano e l’Europa si macchiano almeno dal lontano 2014 quando il governo Renzi decise di stoppare l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare e niente di niente su quella Libia (e qui invece ci sono tutte le prove e tutte le condanne per farci una decina di numeri di giornale) che è un enorme campo di concentramento a forma di Stato, così amico del governo italiano. Ma la domanda vera è chissà cosa ne pensa il Pd, questo Pd che ci promette tutti i giorni che domattina si risveglierà più umano e attento ai diritti e che è sempre pronto (giustamente) per opporsi sul tema a Salvini ma che è stato così terribilmente distratto con i tanti Salvini travestiti che ci sono qui intorno.

Il Pd che ci ha indicato come “punto di riferimento riformista” il presidente del Consiglio che fece di Salvini il più splendente Salvini, il Pd che ancora fatica a riconoscere le responsabilità del “suo” ministro Minniti, il Pd che con il precedente governo prometteva “un cambio di passo” sui diritti dei migranti fermandosi solo alla sua declamazione, mentre la ministra dell’Interno del Conte bis, lo racconta il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, bloccava contemporaneamente ben sette barche delle Ong tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 riuscendo a fare meglio perfino di Salvini, rispettando in tutto e per tutto la linea d’azione del leader leghista stando con la semplice differenza di non rivendicarla sui social insieme a pranzi e gattini.

Se il nuovo Pd di Letta vuole recuperare credibilità forse è il caso che ci dica parole chiare su questa irrefrenabile inclinazione dei suoi irrinunciabili alleati perché alla fine Salvini rischia di risultare onestamente feroce in mezzo a tutti questi feroci malamente travestiti.

L’articolo Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza? proviene da Il Riformista.

Fonte

Cosa ha scritto Marco Travaglio su Virginia Raggi. Oggi.

(Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano. Oggi.)

L’arrivo a Roma del quarto assessore al Bilancio in un anno, senza contare i valzer all’Ambiente, all’Urbanistica, all’Ama (rifiuti) e all’Atac(trasporti) è l’ennesima prova del dilettantismo, del pressappochismo, dell’improvvisazione e dell’inesperienza con cui non solo Virginia Raggi, ma tutto il M5S hanno affrontato un’impresa già di per sé disperata: governare Roma. E questo lo sappiamo, ma repetita iuvant, visto che i 5Stelle si candidano nientepopodimenoché a governare l’Italia. Ciò che pochi notano, in un panorama informativo a senso unico, è che ai fallimenti grillini nella Capitale s’aggiungono quelli della “società civile” che avevano coinvolto nell’avventura romana. Fra i tanti errori, la Raggi ne aveva evitato almeno uno: quello di chiudersi nel recinto grillino con un monocolore pentastellato. A parte un paio di nomi, aveva pescato il grosso degli assessori, collaboratori e manager all’esterno, tra figure indipendenti “di area”, alcune brave e titolate. Ed è proprio da queste – tranne il vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo e pochi altri – che ha subìto le più cocenti delusioni.

Paola Muraro, fra i massimi esperti di compostaggio-rifiuti, ha pagato suo malgrado un’inchiesta della Procura poi finita quasi nel nulla (a parte un’infrazione al Testo Ambientale oblabile con pochi euro) e un massacro mediatico mai visto per così poco, che infatti s’è interrotto il giorno delle dimissioni. L’urbanista Paolo Berdini, icona della sinistra ambientalista, aveva collaborato col M5S negli anni dell’opposizione in Campidoglio e aveva finalmente l’occasione di fare ottime cose: purtroppo l’ha persa, con pochi fatti e troppe parole, dalle continue giravolte sullo stadio della Roma e persino sulle Olimpiadi all’intervista-harakiri sugli amori (peraltro inventati) della sindaca. All’Atac, dopo vari sommovimenti, era giunto per concorso un fuoriclasse come Bruno Rota, risanatore dell’Atm milanese: la Raggi gli aveva dato carta bianca sul concordato preventivo, ma un po’ la paura di finire nei guai con la giustizia per qualche firma di troppo in quel verminaio, un po’ le resistenze dell’assessore Mazzillo, l’hanno indotto a fuggire dopo pochi mesi. Il primo assessore al Bilancio era Marcello Minenna, tecnico Consob di indiscusso prestigio, che però se ne andò in due mesi perché la sindaca aveva seguito il parere Anac sull’illegittimità del contratto d’ingaggio della giudice Carla Raineri come capo-gabinetto. Minenna fu sostituito con Raffaele De Dominicis, ex Pg della Corte dei Conti, che però era indagato e non aveva avvertito la sindaca.

Fu così che la Raggi optò per un grillino doc, Andrea Mazzillo. Che ha lavorato benino, ha superato i rilievi dei revisori su un bilancio che tutti giuravano impossibile far quadrare. Poi, ai primi caldi, ha sbroccato: interviste a raffica per attaccare la sindaca, Grillo e Casaleggio sui “manager dal Nord Italia” (manco portassero la peste), lanciare bizzarri “allarmi sui conti” (e a chi, se l’assessore era lui?), sparare sul concordato preventivo di Atac e addirittura sposare il referendum radicale per privatizzare la municipalizzata. Una bestemmia per un Movimento nato nel 2009 proprio per difendere i servizi pubblici (una delle cinque Stelle era proprio il trasporto comunale) e in prima linea per il referendum 2011 suibeni comuni. Se voleva farsi cacciare, Mazzillo non poteva scegliere parole migliori, infatti era noto a tutti che dopo le ferie sarebbe stato sostituito con uno che condividesse il programma M5S. Cosa che, mentre Mazzillo bloccava alcuni pagamenti ad Atac mettendo a rischio gli stipendi, è avvenuta l’altroieri con l’ingaggio di Gianni Lemmetti, l’assessore uscente della giunta Nogarin che in tre anni ha risanato i conti di Livorno e gestito il concordato preventivo della municipalizzata dei rifiuti Aamps. Quest’operazione gli ha procurato, in tandem col sindaco, un avviso di garanzia per concorso in bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in bilancio tuttora pendente dopo due anni e probabilmente destinato all’archiviazione: non solo l’Aamps non ha fatto bancarotta, ma non è neppure fallita. Se la Raggi e i vertici M5S pensano che Lemmetti replicherà a Roma il piccolo miracolo livornese, possono pure assumersi il rischio di arruolare un indagato. Ma devono spiegare perché ciò che valeva per Muraro e De Dominicis non vale per Lemmetti. Ne va della trasparenza: spetta ai partiti valutare il merito di un “avviso” e deciderne le conseguenze politiche; ma se poi, anziché l’archiviazione, arrivasse il rinvio a giudizio, bisognerebbe cercare il quinto assessore. E supererebbe il ridicolo.

Intanto Mazzillo, come tutti gli ex della giunta Raggi, è stato prontamente adottato dai giornaloni, Repubblica in testa, come mascotte. Era già accaduto a Raineri, Minenna, Muraro e Rota: quando la Raggi li nominava, erano dei deficienti o dei delinquenti; quando se ne andavano o venivano cacciati, diventavano dei geni e dei gigli di campo da usare contro la putribonda sindaca. Quando Rota arrivò a Roma, i giornaloni gli diedero il benvenuto spacciandolo per un arraffa-poltrone imposto da Casaleggio (mai conosciuto) e superpagato dalla Raggi. Poi, quando se ne andò, ne magnificarono il sacrosanto concordato Atac ostacolato dal pessimo Mazzillo. Ora che l’ex incompetente Mazzillo si fa cacciare, diventa il competentissimo martire che vuole salvare l’Atac dall’assurdo concordato dell’ex incompetente ed ex genio Rota. Ora, la Raggi ha commesso un’infinità di errori. Ma è improbabile che sbagli sia quando sostiene il concordato, sia quando caccia Mazzillo perché si oppone al concordato. A meno che il vero errore della Raggi non sia quello di esistere.

Un’oligarchia di servi cortesi

71taB1G1hfL._SL1500_Credo che ormai non sia più semplicemente una questione di meritocrazia mancante: è proprio distorto il concetto di meritocrazia. Oggi il merito più grande che possa capitare (perché i meriti capitano, ai nostri tempi) è quello di essere vicini alla persona giusta che si ritrova improvvisamente (perché da noi i meriti capitano spesso improvvisi, ai nostri tempi) in una posizione di potere. Così intere filiere di classi dirigenti sono riconducibili ad un cortile frequentato insieme qualche anno prima fortunatamente diventato nuova “stanza dei bottoni”. Pur questo trovo utilissimo il libro di Marco Travaglio (per, da amico, non condividendo tante sue posizioni politiche) Slurp: Lecchini, cortigiani e penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati.

Perché almeno togliamoci la soddisfazione di tenerli bene a mente, i maniaci del servilismo. Ci farà bene. Il libro lo potete comprare qui.

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

#JeSuisCharlie con il culo degli altri

Ultimamente non mi capita spesso ma trovo perfetto questo articolo di Marco Travaglio:

Eppure non è poi così difficile capirlo che difendere la libertà di espressione non significa condividere tutto quello che pensano, dicono, scrivono e disegnano quelli che se ne avvalgono. Non è poi così difficile capire che difendere la satira senza limiti non vuol dire che chi la fa non possa avere limiti (tutti ne abbiamo, e sono unici al mondo: dipendono dallo stile, dalla cultura, dall’educazione, dalla sensibilità, dall’eventuale fede di ciascun individuo). Vuol dire che quei limiti non possono e non devono essere fissati per legge, con tanto di sanzione a chi li viola: fermo restando il Codice penale per punire chi commette violenze, o istiga a commetterle, ma non chi esprime un pensiero, foss’anche il più bieco e ributtante.

Giovedì a Servizio Pubblico e venerdì sul Fatto ho ricordato come i nostri politici e i loro servi hanno risolto in Italia il secolare dibattito sulla satira: abolendola dalla Rai. Ieri un poveretto con le mèches che scrive su Liberomi ha accusato di aver fatto «senza vergogna» un «odioso paragone tra l’editto islamico e quello bulgaro», cioè di aver messo sullo stesso piano «la vostra industrietta macinasoldi e le vostre barzellette sporche» con «la satira vera, quella degli ammazzati di Parigi». Poi ha ripetuto la vecchia barzelletta dei programmi di Luttazzi e di Sabina Guzzanti «morti da soli» perché «non facevano ascolti» (uahahahahahah). Se ogni tanto capisse ciò che legge e ascolta, il tapino scoprirebbe che non ho fatto alcun paragone («quella di Parigi è una tragedia, in Italia siamo sempre alla farsa», ho detto).
Ho semplicemente sbeffeggiato l’ipocrisia di una classe politica e giornalistica, con e senza mèches (questa sì “macinasoldi”, e pubblici), che ha passato la vita a praticare e giustificare le peggiori censure, salvo poi strillare «Je suis Charlie» e difendere la satira senza limiti, ma solo in Francia e dopo che l’hanno ammazzata. Ieri ho citato un articolo di Pigi Battista sul Corriere nel 2006: diceva – capita persino a lui – cose condivisibili e liberali. E cioè che «non sarà superfluo un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette di cui pure deve essere libera la circolazione». Cioè criticava delle criticabilissime vignette, ma al contempo metteva in guardia chiunque osasse anche soltanto pensare di vietarle per legge o di chiudere i giornali che le pubblicavano.
È la stessa critica che faceva Vauro, sulla reazione violenta che certe vignette sul Profeta potevano innescare, senza citare Charlie Hebdo né invocare censure o chiusure: quindi è ridicolo che oggi Battista additi Vauro al pubblico ludibrio. La satira scortica tutto e tutti, ci mancherebbe che pretendesse l’immunità dalle critiche. Perciò è sciacallesca l’operazione del Giornale, che sbatte Vauro in prima pagina accusandolo di versare «lacrime di coccodrillo» sui giornalisti e i vignettisti assassinati. Come se chi ha criticato una vignetta su Maometto bombarolo fosse un complice dei macellai islamisti. Ciascuno è libero di ritenere sbagliata o anche repellente una vignetta, un articolo, un libro, un programma tv, un film. Ciò che nessuno può fare è proibirli o chiuderli (come s’è fatto ripetutamente in Italia, con buona pace dei servi di regime), in nome di un “limite” che nessuno ha il diritto di fissare.Cantava Lucio Dalla: «È chiaro: il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce, e come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare, com’è profondo il mare. Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche: il pensiero, come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare…». A me, personalmente, non verrebbe mai in mente di pensare o di scrivere che “il Corano è merda”, come dice una delle vignette incriminate di Charlie Hebdo. Perciò, se ci arrivasse una vignetta così gratuita sul Corano, sul Vangelo, sul Talmud o sul libro sacro o sul simbolo di qualsiasi altra religione, anche noi che ospitiamo più satira di tutti gli altri ci penseremmo un bel po’ prima di pubblicarla.

In nome di un limite che è chiaro e dichiarato: la sensibilità dei lettori, fossero anche soltanto uno o due quelli che potrebbero offendersi. Un quotidiano libero di informazione non è la buca delle lettere né Hyde Park Corner, ma un servizio ai propri lettori. Al contempo, è giusto e liberatorio che esistano giornali come Charlie Hebdo (ne avevamo anche in Italia, pensiamo al Male e a certe fasi di Cuore), interamente consacrati alla satira più libertina, che non hanno né debbono avere limiti. E, se qualcuno tenta di zittirli, chiudendoli o addirittura decimandone la redazione a raffiche di kalashnikov, le pagine di questo giornale libero sono a loro disposizione per ospitarli. A scatola chiusa.Ronald Reagan, ancora in piena guerra fredda, raccontava questa barzelletta: «Un giornalista americano dice a un collega sovietico: “La differenza fra i nostri paesi è che io posso scrivere che Reagan è uno stronzo e non mi succede niente, perché noi siamo una democrazia”. E il sovietico: “Ma pure noi! Infatti anch’io domani posso scrivere che Reagan è uno stronzo”…». È facile per gli integralisti cattolici, protestanti, ebrei solidarizzare con la satira, ora che è stata colpita da tre islamisti sanguinari: bisognerebbe farlo sempre contro ogni censura (non contro ogni critica), anche quando nel mirino c’è la propria religione.

Invece era tutt’altro che scontata la condanna degli stragisti parigini da parte degli ultraradicali di Hamas e di Hezbollah. La satira ha questo di bello: il suo linguaggio immediato e scioccante illumina e spalanca i cervelli. Chissà, forse il sacrificio dei ragazzacci di Charlie non è stato inutile.

(Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2015)

Se lo dice anche Travaglio

Nel primo editoriale, intitolato “Autoscacco a 5 Stelle”, Travaglio ha scritto quello che secondo lui, Crimi e Lombardi avrebbero dovuto fare da Napolitano per uscirne “vincitori”:

Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane).

Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.

Nel secondo editoriale, intitolato “Con scappellamento a destra”, Travaglio spiega che l’autogol dei grillini ha spinto a una soluzione “non-soluzione”, paragonando il ricorso ai saggi alla Restaurazione e alla Bicamerale dei tempi di D’Alema.

L’altroieri M5S aveva un rigore a porta vuota: l’ha tirato in tribuna. E, con la partecipazione straordinaria di Napolitano e Bersani, ha perso un’occasione unica di spingere l’Italia verso un po’ di futuro. Ieri le lancette della politica hanno ripreso a camminare a ritroso verso il peggiore passato

Se questi sono saggi, i fessi dove sono? Eppure piacciono a tutti. Anche ai 5Stelle, gli unici esclusi dalla spartizione quirinalesca, gli unici ignari della vera natura della bi-Bicamerale: una stanza degli orrori per rimettere in pista B. e patteggiare alle nostre spalle, una siringa di anestetico per infilarci la supposta dell’inciucio senza che ce ne accorgiamo.

Non hai visto Silvio?

img1024-700_dettaglio2_big_Berlusconi-Santoro-2Me lo chiedono in molti: essersi persi il duello Berlusconi – Santoro evidentemente è una colpa da espiare con dolore per una settimana buona.

Però ho letto Giorgio stamattina sul suo blog e concordo con lui quando dice: credo che il fenomeno di cui parli non abbia evoluzioni significative: credo anzi si ripeta in una modalità sempre identica. Forse, invece, dovremmo domandarci perché lo spirito critico di chi vi assiste non è maturato. E spesso si accontenta della critica sotto forma di un tweet sarcastico, o dello spettacolo stesso cui ha partecipato Berlusconi – uno spettacolo ben impostato, ma che obbediva alle regole stesse del suo sistema.

E già mi ero annotato le sue parole di marzo quando scriveva a proposito del berlusconismo e dell’approccio di questo Paese al berlusconismo:

La domanda è ora se siamo finalmente immuni da questo germe. Io non credo. Che il suo aspetto più ridicolo e grottesco sia sopito non è una buona ragione per ritenere la guarigione avvenuta. Meglio procedere con maggiore cautela.

Quello che sembra ragionevole dire, invece, è che ci troviamo di fronte a un abisso narrativo. La dialettica berlusconismo/antiberlusconismo ad ogni costo è stata svuotata: il palcoscenico appare deserto. Questa è un’ottima notizia: le modalità di lettura del reale saranno costrette a uscire da una gabbia che ci ha inchiodati per anni. Eppure, una nuova strada per raccontare l’Italia del presente è ancora tutta da trovare.

Perché una tossina del berlusconismo particolarmente complessa da smaltire è proprio questa: il disinteresse per la verità. La naturalezza con cui le dimensioni più importanti del discorso pubblico — argomentazione, approfondimento, dialogo — vengono sepolte da tutt’altro: la facile reazione di pancia, l’enfasi ad ogni costo, la legittimazione strisciante dell’egoismo. Tutto questo non è scomparso con il novembre 2011. È ancora lì. Non ci siamo trasformati di colpo in un popolo responsabile, cosciente e pronto a mettere il bene comune di fronte a quello privato.

Abitiamo un Paese che ha alle spalle un’autentica catastrofe dell’immaginario. Il modesto consiglio che si può offrire è quello di non pensare di averla già superata, ma di adoperarsi fino in fondo per superarla realmente.

Gaber diceva di non temere “Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in me”. A costo di essere un po’ pessimista, io temo la facile e improvvisa scomparsa di questo “Berlusconi in me” dal palcoscenico delle nostre anime. Essersi sbarazzati di lui politicamente — ah, ma sarà davvero così? — non corrisponde affatto a una liberazione simbolica. Gli ultimi mesi non sono una forma assolutoria per ciò che il berlusconismo — un affare ben più ampio e complesso del singolo individuo — ha determinato.

Per combattere un virus linguistico e morale come questo ci vuole un grosso sforzo. Limitarsi a darlo per morto significa reiterare la solita mancanza d’intransigenza di cui l’Italia ha dato prova nel corso della propria storia: dimenticare rapidamente un passato difficile, invece di farne i conti fino in fondo. Per quanto complesso o doloroso possa essere.

Allora vale la pena rileggersi il libro di Giorgio Fontana “La velocità del buio” e studiare il senso del narcisismo e delle sue infezioni.

 

Beppe Alfano 20 anni dopo

A3-VENTENNALENon so se succede anche a voi ma quando si comincia ad entrare nel ventennale di un omicidio e non si ha ancora un quadro completo della verità mi assale un senso di inadeguatezza verso i famigliari della vittima. Inadeguatezza come cittadino di un Paese che deve commemorare con la voce sempre più alta perché la memoria (e la verità) non si incaglino negli scogli del silenzio o peggio di una versione pervertita dei fatti.

Quest’anno sono venti anni che è stato ucciso dalla mafia Beppe Alfano e il 7 e 8 gennaio ci ritroviamo nella “sua” Barcellona Pozzo di Gotto (ME) per coltivarne memoria.

Beppe Alfano per me è anche l’amicizia che oltrepassa la stima politica con Sonia e forse essere lì con lei è anche la faccia di un’umanità di affetti (e di intenti) a cui proprio non voglio rinunciare: sarò teatrante il 7 gennaio alle 21.30 con Nomi, Cognomi e Infami e politico il giorno successivo in un dibattito con Sonia, Luca Tescaroli (Sostituto procuratore, Procura di Roma), Salvatore Borsellino (fratello del magistrato Paolo Borsellino), Rosario Crocetta (Presidente della Regione Sicilia), Fabio Repici (avvocato famiglia Alfano), Beppe Lumia (Senatore, già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia) Marco Travaglio (giornalista), Luigi De Magistris (Sindaco di Napoli)e Giorgio Ciaccio (Deputato, Assemblea Regionale Siciliana) moderato da Peppino Lo Bianco.

Teatrante e politico, appunto.

Il programma completo lo trovate sul sito di Sonia.

Il caso Sallusti oltre Sallusti

Ho fatto un sogno. Niente di rivoluzionario, per carità, ma qualcosa di utile: provare a cogliere le opportunità oltre che crogiolarsi nelle piccole soddisfacenti vendette. E provare a cogliere nel recente caso Sallusti (almeno per la dimensione mediatica che sta suscitando) un quadro generale di tutela non tanto per chi ha fatto della diffamazione e l’aizzamento a mezzo stampa un marchio di fabbrica (verrebbe da dire che a Sallusti stia capitando un banale contrappasso, del resto) ma per i molti giornalisti precari che non hanno casse di risonanza.

Come scrive Matteo su ValigiaBlu:

La difesa del diritto all’informazione non può essere subordinata allo scalpore provocato dal caso di turno, o allo status del giornalista coinvolto. Non deve diventare, implicitamente, una questione di classe riguardante i giornalisti di serie A. Spesso è proprio il giornalista che lavora nella piccola redazione locale  a subire le pressioni più forti, a essere più esposto a ogni tipo di censura, anche solo antropologica. Perché quando esce dalla redazione, e va in piazza o al bar, si trova gomito a gomito con quei personaggi di cui ha indagato e denunciato le malefatte. Lì trova il sindaco, l’assessore, l’amministratore delegato. Lì vede in faccia chi potrebbe, il giorno dopo, rivolgersi a un avvocato per zittirlo a suon di milioni, una volta letta la cronaca locale. In questi casi il rischio di querela è come avere una parte del cervello chiusa in un carcere le cui pareti sono fatte di paura, ansia, frustrazione e incertezza. Diventa dunque vitale, per poter svolgere al meglio la professione, essere tutelati.

Vale la pena di leggere il suo post e la sua intervista a Stefano Santachiara.

Giulio Cavalli a Carpineti con Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Magistrati in prima linea, esperti di mafia, giornalisti. Esperti di grandissimo profilo nazionale e internazionale per un pomeriggio davvero straordinario, in cui si discuterà di Mafia, di infiltrazioni mafiose, di lotta alla criminalità con protagonisti della vita italiana del calibro di Antonio Ingroia, Gian Carlo Caselli e Concita De Gregorio.

Domenica 6 giugno è in programma una delle giornate principali – e più attese – di Duemiladieci – Il tempo delle storie, i luoghi per raccontarle”, il ciclo di eventi in programma a Carpineti, paese appenninico in provincia di Reggio, sino al 4 luglio, con giornalisti, magistrati, attori, fumettisti di spessore internazionale. In totale si parla di 35 eventi e 64 ospiti di grande respiro da Milena Gabanelli a Marco Travaglio, da Pier Luigi Celli a Carlo Lucarelli, da Gian Carlo Caselli a Antonio Ingroia, da Concita De Gregorio a Giancarlo Mazzuca, da Carlo Bonini e Daniele Biachessi a Silver. Il tutto organizzato dal Comune di Carpineti con il patrocinio della regione Emilia Romagna e della provincia di Reggio Emilia e la direzione artistica di Patrick Fogli, scrittore noir bolognese.

Domenica 6 Giugno si affronterà il tema della mafia e delle infiltrazioni con un parterre davvero prestigioso. Si parte alle 15 con Parliamo di cosa nostra, che vedrà come ospiti i magistrati Antonio Ingroia e Gian Carlo Caselli e il direttore dell’Unità Concita De Gregorio. Alle 16.30 Nicola Biondo e Alfonso Sabella discuteranno de Il patto, mentre alle 18 si ragionerà su L’infiltrazione della mafia al nord con Giulio Cavalli, Enrico Bini, Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, Maino Marchi e Cristina Zagaria. I tre incontri si svolgeranno in Piazza Matilde di Canossa, nel centro di Carpineti, e sono a ingresso libero. In caso di maltempo, è previsto il trasferimento alla struttura coperta del Parco Matilde, a poche centinaia di metri di distanza.

Conclusione a sera, alle 21.45, con lo spettacolo di Giulio Cavalli A cento passi dal duomo, in Piazza Matilde di Canossa (e in caso di maltempo al Parco Matilde), con ingresso a 5 euro.

Gian Carlo Caselli è attualmente a capo della Procura di Torino, dopo una carriera che lo ha visto in prima linea nelle inchieste contro la mafia e il terrorismo. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo, è cresciuto nel pool antimafia di Falcone e Borsellino. Dialogheranno della loro grande esperienza sul “mondo mafia” con Concita De Gregorio.

Alle 16.30 Nicola Biondo, giornalista, e Alfonso Biondo, presenteranno il loro libro “Il Patto”, dedicato agli intrecci e alle decennali trattative fra Stato e Mafia, tornate di attualità negli ultimi tempi.

Alle 18.30, infine, tavola rotonda sulle infiltrazioni mafiose al Nord con Enrico Bini, presidente della Camera di Commercio di Reggio e fra i primi a denunciare queste infiltrazioni, il parlamentare reggiano del Pd Maino Marchi, l’attore, regista e politico Giulio Cavalli, Antonio Nicaso, ricercatore e uno dei massimi esperti internazionali di ‘ndrangheta, Nicola Gratteri attualmente Procuratore aggiunto al Tribunale di Reggio Calabria, e Cristina Zagaria, scrittrice, autrice de “L’Osso Di Dio” con Dario Flaccovio, storia vera di ‘ndrangheta.

A sera, conclusione teatrale con “A cento passi dal Duomo”, scritto da Giulio Cavalli assieme al giornalista Gianni Barbacetto (prossimo ospite di Duemiladieci), dedicato alle infiltrazioni mafiose a Milano e le vicende della finanza lombarda.

“Quella di domenica 6 giugno è una delle giornate principali della nostra rassegna, un momento davvero importante con personalità di grandissimo respiro. Siamo onorati e contenti che abbiano accettato il nostro invito e che abbiano gradito la nostra proposta. Non è certo evento da tutti i giorni avere nomi di questo calibro riuniti tutti insieme, e per di più in un paese dell’Appennino come Carpineti. Siamo davvero orgogliosi. E i gli argomenti di cui si parla sono sempre, purtroppo, di grande attualità: basta sfogliare i giornali ogni giorno. Con Duemiladieci vogliamo raccontare il presente e fare riflettere, e una giornata come il 6 giugno è sicuramente importante in questo senso”.

DAhttp://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Carpineti,+si+parla+di+lotta+alla+mafia&idSezione=14268