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450 (quattrocentocinquanta) milioni di euro: dedicato a chi riesce a parlare di economia senza preoccuparsi di mafia

Case, terreni, società e aziende per un valore complessivo di oltre 450 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo siciliano, in accoglimento della proposta avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo. L’operazione è la risultante di una complessa attività di indagine svolta dal Gruppo investigazione sulla criminalità organizzata GICO del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo sulle presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della grande distribuzione alimentare e di prodotti per la casa, nel corso della quale è stata ricostruita la ‘storia economico-finanziaria’ di un importante gruppo imprenditoriale palermitano leader nel settore, che si è potuto affermare sul mercato grazie ai rapporti di reciproco vantaggio instaurati con le famiglie mafiose del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo ed al riciclaggio di proventi di estorsioni, traffico di stupefacenti ed altre attività illegali riconducibili ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Interessato dal provvedimento è un imprenditore palermitano di 56 anni, Giuseppe Federico, già indagato nel 2006 per associazione mafiosa e impiego di denaro di provenienza illecita (aggravato dal favoreggiamento mafioso), per le sue molteplici e radicate relazioni con l’organizzazione mafiosa (in particolare con le famiglie del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Carini), emerse dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e da corrispondenza riservata sequestrata ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, il cui contenuto è stato puntualmente riscontrato dalle investigazioni dei finanzieri. I beni sequestrati, del valore stimato in oltre 450 milioni di euro, consistono in 7 società e relativi complessi aziendali, operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi, prodotti per la casa ed alimentari, ubicate in Palermo e Carini, 2 terreni in località Cardillo di Palermo, 13 appartamenti ubicati a Carini e Palermo, 1 fabbricato in corso di costruzione a Carini e diverse disponibilità finanziarie.

Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo La Manna, l’imprenditore nella gestione della sua attività di commercializzazione di detersivi, aveva operato utilizzando anche risorse finanziarie di Claudio Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore e di altri esponenti della famiglia di Partanna Mondello e si era interposto nella titolarità di immobili ad uso commerciale in realtà riferibili alla famiglia mafiosa di Carini. Di analogo tenore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Fontana, per il quale l’imprenditore aveva immesso nelle proprie società 400 milioni di lire provenienti dalle estorsioni e dal traffico di sostanze stupefacenti, nonché di Manuel Pasta e di Maurizio Spataro, secondo i quali l’imprenditore era a ‘disposizione’ di Cosa Nostra e la notevole espansione economica crescita delle sue società era in parte legata al finanziamento occulto dei Lo Piccolo. La contiguità dell’imprenditore con la famiglia mafiosa di Tommaso Natale è stata poi ulteriormente confermata dal rinvenimento di missive manoscritte all’atto degli arresti di Bernardo Provenzano e di Salvatore Lo Piccolo. Dalle investigazioni è complessivamente emerso che l’imprenditore ha cercato ed ottenuto il sostegno economico e relazionale dell’organizzazione mafiosa nella fase iniziale della sua attività per acquisire nuove posizioni di mercato e per l’acquisto di immobili commerciali, pagando l’organizzazione criminale per i servizi ricevuti. Gli approfondimenti economico-patrimoniali svolti dalle Fiamme Gialle hanno evidenziato, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, una notevolissima quanto ingiustificata crescita delle società riferibili all’imprenditore, in cui sono stati nel tempo assunti parenti o soggetti comunque legati ad ambienti mafiosi. Dall’analisi dei volumi d’affari, la Guardia di Finanza ha ricostruito che il gruppo imprenditoriale ha incrementato il fatturato del 400% nell’arco di dieci anni, mentre l’esame dei bilanci e delle scritture contabili ha evidenziato, oltre a conferimenti di capitali e finanziamenti sproporzionati rispetto alle reali capacità reddituali dei soci conferenti, numerose e ripetute anomalie contabili utili a nascondere la reale provenienza dei flussi finanziari.

#ballottaggi e sballottati

Non mi piacciono i commenti a caldo. Mi piace leggere i numeri prima di proporre le analisi e invece sento già molti lanciati in tribune televisive con la smania dei cacciatori al safari di ferragosto. Non mi piace questa abitudine tutta italiana di deridere le vittorie degli altri, appropriarsi vittorie di sponda e questa eterna indecisione nell’ammettere le proprie debolezze. Le amministrative dicono che contano le persone oltre che i partiti (ricordate quanto l’hanno ripetuto nelle scorse settimane?): bene, le persone da candidare le scelgono i partiti (ne dovrebbero essere la sintesi politica) e la classe dirigente non può esimersi da questa responsabilità. Perché qui quando vince qualcuno diventa sempre “nostro” in senso larghissimo. Personalmente sono contento dei nuovi sindaci che conosco da vicino, penso a Fois a Senago, Lucini a Como, Scanagatti a Monza, Monica Chittò a Sesto San Giovanni e tanti altri: hanno l’occasione di provare a raccontare un’altra storia, sul serio. Non mi conforta Leoluca Orlando a Palermo: l’ho conosciuto da vicino, non mi piace, ma gli elettori hanno scelto lui (nell’anno del ventennale della morte di Falcone, poi).

Una cosa mi piace: Roberto Formigoni è stato sfiduciato dagli elettori in Lombardia. Ma questo non significa che dall’altra parte per forza si sia pronti ad essere convincenti. Partire da qui sarebbe un buon punto per qualcosa di veramente diverso. Ora studio e vediamo di andare più a fondo. A dopo.

Mafiosi per finta

Facevano finta. E se funziona c’è da chiedersi quanto veramente abbiamo il polso della credibilità delle mafie.

Cinque persone sono finite in carcere altre tre ai domiciliari nella notte a Trapani nel corso di una operazione della squadra mobile denominata “Pizzo al Pomodoro”. In manette sono finiti otto pluripregiudicati del quartiere San Giuliano a Erice. A capo della organizzazione malavitosa: Francesco Paolo Cammareri che si faceva chiamare da tutti “padrino”, ma non aveva alcun collegamento con la mafia. La banda si era specializzata in estorsioni e traffico di droga, eroina in particolare. L’organizzazione si avvaleva anche di ragazzini, “i picciriddi”,  incaricati di eseguire ritorsioni e danneggiamenti ai danni di attività commerciali o anche di accompagnare gli indagati, armati di coltello, presso gli esercizi commerciali taglieggiati di Trapani ed Erice. Gli indagati, a vario titolo, chiedevano la corresponsione mensile di somme di denaro o l’esecuzione gratuita di commesse di lavoro (ad esempio la realizzazione di infissi in alluminio), prospettando la necessità di adempiere a quanto richiesto per assicurarsi la necessaria “protezione” ed evitare spiacevoli episodi di danneggiamento alle attività commerciali.  

Le macerie dell’antimafia

Lettera dei sindacati di polizia (tutti!) al Ministro Maroni. O meglio: lettera della declinazione istituzionale e operativa dell’Antimafia (quella che respira anche nelle scuole, nei libri, nei comitati, negli incontri, negli studi) ad un Paese che (mentre sbadiglia, si svende e si arrocca) sta mangiandosi il cuore della sua storia migliore. Ma soprattutto: lettera da tenere in tasca in ogni angolo della vostra città in cui ancora danza impunito il mito di un Governo (e un Ministro) che ‘ha fatto’ contro le mafie.

Onorevole Signor Ministro,
ci rivolgiamo a Lei con fiducia nella Sua veste di massima Autorità politica quale Ministro dell’Interno e per quello che in questi anni ha dimostrato con coerenza d’indirizzo, ponendo sempre grande attenzione ai temi riguardanti il contrasto alle mafie.

Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera ma gli ultimi avvenimenti che si sono verificati presso la Direzione Investigativa Antimafia ci hanno spinto a farlo. Dai primi giorni di luglio, come Lei sa, si è insediato il Direttore della D.I.A. “pro tempore”, di nuova nomina. Questi, come primo atto, senza concertazione alcuna, ha messo a disposizione del Dipartimento della P.S. l’indennità aggiuntiva che i dipendenti D.I.A. percepiscono dal 1992, come previsto dalla legge istitutiva: un taglio di circa 7 milioni di euro, che comporterà una decurtazione dello stipendio al personale pari al 20%; una “punizione” nei confronti di chi, fino ad oggi, ha costantemente raggiunto brillanti risultati di servizio.

L’indennità “incriminata”, peraltro, è notevolmente inferiore a quella percepita dai dipendenti delle Agenzie di informazione DIS, AISI e AISE e, nonostante sia a questa legata, non è mai stata adeguata a livello ISTAT. I circa 1300 operatori D.I.A., grazie alla loro professionalità, hanno conseguito risultati eccellenti nell’azione di contrasto. A titolo esemplificativo, in tema di aggressione ai patrimoni mafiosi, nel periodo 2009 – 2011 (primo semestre) sono stati sequestrati e confiscati beni stimati, rispettivamente, per un valore di 5,7 miliardi di euro e di 1,2, miliardi di euro. Tutto ciò rende la D.I.A., in termini aziendalistici, “un’impresa in attivo” che contribuisce in maniera significativa ad implementare le risorse del Ministero dell’Interno e della Giustizia attraverso il FUG.

Il vertice della struttura, prima di intraprendere azioni estemporanee, avrebbe potuto proporre risparmi di spesa conseguenti ad una gestione più oculata delle risorse: anziché mettere le mani nelle tasche dei dipendenti, avrebbe potuto operare sui costi di locazione delle sedi occupate dai Centri Operativi trasferendole in immobili demaniali oppure confiscati alla criminalità organizzata. A questo proposito citiamo l’esempio del Centro Operativo di Palermo che in questi giorni si trasferirà presso una villa confiscata alla mafia.

Altra nota dolente è il costo dell’immobile che ospita a Roma, in zona Anagnina, gli uffici centrali della Direzione Investigativa Antimafia, della Direzione Centrale Servizi Antidroga e della Direzione Centrale Polizia Criminale, il cui canone di locazione, esorbitante, ammonta a circa 17 milioni di euro annui.

Con il suo “atto d’imperio” il Direttore della D.I.A. sembra volersi sostituire a Lei ed al Legislatore, quindi all’intero Parlamento.

Come Lei può immaginare, l’iniziativa ha creato malumore e mortificazione in tutto il personale D.I.A., di ogni ordine, qualifica, grado e provenienza (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Amministrazione Civile dell’Interno), generando in esso un senso di mancata considerazione per l’opera prestata con impegno costante ed abnegazione, a volte mettendo a repentaglio la propria incolumità, nella consapevolezza e convinzione di rendere un servizio al Paese.

Sicuramente l’azione della D.I.A. ha dato prestigio allo Stato in campo nazionale ed internazionale ed ha riscosso il massimo consenso anche nell’opinione pubblica.

I risultati ottenuti sono tangibili: è sufficiente consultare le relazioni semestrali periodicamente inviate al Parlamento.

Tutto ciò con le difficoltà che Lei può immaginare, dovute a risorse economiche destinate alla D.I.A., sempre minori nel corso degli anni: dai 28 milioni di euro stanziati per la D.I.A. nel 2001 si è passati ai 15 milioni di euro attuali; a personale sotto organico, poco più di 1300 unità contro le 1500 previste; a continue emorragie di personale D.I.A. impiegato in “uffici doppione” presso la D.C.P.C. (i gruppi di lavoro sulle “Grandi Opere”, G.I.C.E.R., G.I.C.E.X., G.I.T.A.V.); alla disparità di trattamento nella progressione in carriera riservato al personale D.I.A. nelle rispettive amministrazioni di appartenenza non essendo mai stato istituito il previsto “ruolo speciale”.

Ci creda, Signor Ministro, tutto questo appare avvilente ed inaccettabile. Abbiamo il dovere morale di denunciare questo ennesimo tentativo di depauperamento della D.I.A., così fortemente voluta da Giovanni Falcone, attentando così anche alle sue idee.

Le nostre parole non sono una difesa corporativista della Struttura ove siamo onorati di prestare servizio ed a cui abbiamo dedicato con orgoglio gran parte del nostro percorso professionale: sono invece espressione del senso di sentita appartenenza allo Stato per il quale magistrati, uomini e donne delle Forze di Polizia e cittadini hanno dato la propria vita.
Signor Ministro, ci dia una risposta: è stato questo soltanto il frutto di un’iniziativa scomposta da parte di un alto burocrate del Dipartimento o è l’espressione di una precisa volontà politica?

In quest’ultimo caso, La invitiamo ad assumersi, innanzi al Paese, la responsabilità, chiara e trasparente, di “cancellare” l’Istituzione che rappresenta l’organismo antimafia per eccellenza. Se, invece, tutto ciò è avvenuto a sua insaputa, come noi crediamo, ci attendiamo un suo immediato, diretto e risolutivo intervento, capace di restituire a tutto il personale della D.I.A. la serenità necessaria ad operare in un settore così delicato della sicurezza.

Il cambiamento preconfezionato: Leoluca Orlando sindaco di Palermo

Sarà che la Storia se non si impara si è condannati a riviverla, sarà che tutti parlano di cambiamento e vogliono farci l’ultimo giro possibilmente senza cambiare ma la notizia di Leoluca Orlando che si propone sindaco di Palermo è la sostituzione della politica del cambiamento con la politica cangiante. Che non sono proprio la stessa cosa. E tra il PD che appoggia la giunta Lombardo in Sicilia, Genchi che ne è consulente e un’orda di indagati tra gli eletti, rischierebbe anche di sembrare una buona notizia. Cambiare significa farsi da parte. Almeno a 64 anni dopo avere già dato e già preso. Per favore.

Ipse dixit

De Magistris? Ha bisogno di un bagno, di un bagno di umiltà. Mannino? Non è un mafioso. Il processo Andreotti? andava archiviato. Cuffaro? punizione esagerata. Lombardo? vittima di un complotto giudiziario. Lo dice Genchi qui.

Antica Focacceria a Milano: 2 anni serviti d’antipasto

focacceriaOggi in una giornata di serpentine nel traffico come una luce al neon nella foschia di Milano mi sono fermato dall’amico Vincenzo Conticello alla Antica Focacceria San Francesco di via San Paolo 15. Mentre ritrovavo quel suo sorriso mai domo mi è gocciolato il brivido della Focacceria sorella maggiore giù a Palermo e ho respirato la mia Sicilia insieme a Beppe, Carmelo, Francesca e Saro.

Come se mi avessero apparecchiato a lume di candela la mia Palermo prima che iniziasse questo mio biennio a forma d’imbuto.

Non avrei mai pensato di sentirmi adottato a Milano.

Antica Focacceria San Francesco

Operazione MATASSA nel Lodigiano: arrestati due funzionari pubblici. L'adulterio tipico è servito.

SEDEITALIA90Adesso tutti sanno, tutti sapevano e ricomincerà pronto il circo dei profeti muti che l’operazione “Matassa” l’avevano annusata già da tempo. Perché è innegabile che, soprattutto a Sant’Angelo Lodigiano, girasse quella strana voce di metodi non convenzionali di qualcuno della società “Italia 90” nel “tirare giù dai camion quelli della Meco per dirgli di smetterla” oppure di uno strano profumo di mafia per una società che si arricchiva tanto in fretta. Eppure oggi, calmate le acque, risuonano gli spigoli di una vicenda che affila una gestione dei rifiuti dubbia e spesso sottovalutata e soprattutto il solito noioso vizio antico di proclamare sorpresa verso un fenomeno che pretende invece coscienza e programmazione:

Tra gli arrestati ci sono un dirigente e un funzionario del comune di Sant’Angelo Lodigiano (Giuseppe Tacchini, ora rinchiuso nel carcere di Lodi, e Stefano Porcari, agli arresti domiciliari); secondo le accuse il dirigente del comune Tacchini avrebbe avuto un intenso scambio epistolare con Claudio Demma (procuratore speciale, nonché unico proprietario delle quote di “Italia 90”) per calibrare l’offerta e intascarsi l’appalto con il vecchio trucco delle due buste (con offerte diverse) da estrarre dal cilindro al momento opportuno. Questo a ricordare come l’infiltrazione mafiosa attecchisce lì dove la pubblica amministrazione apre uno spiraglio e la politica non vigila se addirittura non nega. E suona simpatico che proprio Sant’Angelo Lodigiano sia il feudo di un sindaco sceriffo (perfetta incarnazione della fanteria leghista) che ha come parole d’ordine “Sicurezza Pulizia Ordine Territorio” e che si ritrova beffato da una filo che parte proprio dalla pulizia e finisce sul territorio; per di più con il placebo della sicilianità dell’azienda coinvolta rovinosamente sfumato dal sangue sant’angiolino del proprio dirigente. Oggi il sindaco Domenico Crespi dice solo: “Sicuramente non posso che esprimere il mio rammarico. Naturalmente non posso che occuparmi anche del lato umano della vicenda, esprimendo attenzione per le persone coinvolte e le loro famiglie”. Amen.

Il presidente della Provincia di Lodi Pietro Foroni parla di un “preoccupante livello di infiltrazione mafiosa che ha raggiunto il Lodigiano e Cremona” e assicura di avere sempre guardato con sospetto “Italia 90” precisando di “non averli mai incontrati di persona”. I comuni di Mulazzano e Zelo Buon Persico più semplicemente avevano notato il certificato antimafia “sospetto” di Italia ’90 segnalandolo in procura. Il territorio ha forze sane e guardinghe che, forse, meriterebbero di essere stimolate con l’informazione e la sensibilizzazione.

Appropriarsi dei valori di “ordine e sicurezza” in campagna elettorale per delegarle completamente, ad elezioni vinte, alle forze dell’ordine e alla magistratura è un giochetto politico da vigliacchi.

OPERAZIONE MATASSA

1. Nel corso dell’aprile del 2008 militari del Nucleo Operativo Ecologico hanno ricevuto diverse notizie confidenziali relative a sospette attività poste in essere dal management della società “ITALIA 90 s.r.l.” (con sede legale in Palermo via dello Spasimo n. 62-64 e sede operativa in Ospedaletto Lodigiano (LO) via Fermi) in relazione ad eccessivi ribassi nell’ambito dei procedimenti di aggiudicazione delle gare d’appalto per la raccolta e gestione di rifiuti urbani in diversi comuni della provincia di Lodi e Cremona. Oltre a tale scenario – che faceva asseritamente riferimento ad ipotesi di riciclaggio di denaro e violazioni ambientali (smaltimenti illeciti) – le fonti indicavano atteggiamenti intimidatori posti in essere da uno dei soci verso potenziali concorrenti delle gare d’appalto che si sarebbero dovute aprire. Primi elementi di riscontro acquisiti e relativi alla mappatura degli appalti attualmente in corso di esecuzione dalla “ITALIA 90 s.r.l.” hanno permesso di comprendere come la società operasse in diversi comuni della provincia di Lodi (10 comuni tra cui Maleo, Zelo Buon Persico, Sant’angelo Lodigiano) ed in quasi i due terzi della provincia di Cremona (38 comuni) per un ammontare totale superiore a Euro 8.000.000 di fatturato distribuiti nel corso degli anni in cui vigevano i contratti con le pubbliche amministrazioni. La stessa ITALIA 90 srl conduceva appalti anche in alcuni comuni della regione Liguria.

2. Ulteriori approfondimenti esperiti nel corso dell’estate 2008 hanno permesso di rilevare come nel giugno di quell’anno il comune di Mulazzano (LO) depositava presso la locale Procura della Repubblica una denuncia nei confronti della società relativa a ipotesi di falso documentale riferita alla correttezza dei requisiti soggettivi del procuratore (assenza di precedenti penali) nelle autocertificazioni prodotte per l’aggiudicazione della gara d’appalto bandita. La conseguente analisi, estesa agli appalti in corso di esecuzione nella provincia di Lodi, ha consentito di evidenziare che, rispetto a diverse gare, la società aveva prodotto atti falsi in relazione alla sussistenza delle qualità soggettive ed oggettive necessarie alla aggiudicazione dei contratti.

3. In relazione a quanto sopra è stata depositata una informativa presso la Procura della Repubblica di Lodi a carico del management della “ITALIA 90 srl “, per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di atti pubblici, turbativa d’asta e corruzione. Il quadro indiziario è stato condiviso dalla Procura della Repubblica di Lodi che ha concesso l’emissione di decreti di intercettazione telefonica nei confronti delle utenze mobili in uso ai procuratori ed amministratori della società, nonché al Dirigente dell’Area Tecnica del comune di Sant’Angelo Lodigiano (LO) sospettato di mantenere improprie relazioni, verosimilmente di natura corruttiva, con almeno uno degli indagati.

4. La prosecuzione della manovra investigativa ha permesso di individuare una gara d’appalto bandita dal comune di Sant’Angelo Lodigiano avente per oggetto l’affidamento dei servizi di raccolta integrata dei rifiuti urbani e dei servizi di igiene urbana per un importo complessivo a base d’asta di 5.159.091,00 euro (oltre IVA ) per una durata di 5 anni a partire dal 01.01.2009, servizio già condotto dalla società “ITALIA 90 srl” dal 2003. Gli elementi probatori acquisiti nel corso dalle attività tecniche in ordine a tale appalto, hanno permesso di accertare come il procedimento di formazione del capitolato speciale veniva in parte condiviso tra il Pubblico ufficiale responsabile del procedimento amministrativo e il titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl”. Tra la data di pubblicazione del bando di gara e la data di presentazione delle offerte (1° dicembre 2008) il grado di collusione tra i due soggetti diventava più evidente, come testimoniato dai diversi incontri effettuati presso gli uffici comunali tra il Dirigente dell’Area Tecnica e l’imprenditore della “ITALIA 90 srl”. Nel corso del monitoraggio tecnico era infatti emerso il ricorso, per lo scambio di informazioni particolareggiate, anche all’uso di fax “civetta” e linguaggi telefonici criptati. Inoltre, la documentazione di gara presentata da “ITALIA 90 srl” e rinvenuta nel corso degli accertamenti appariva da subito incompleta ed inesatta: in tale contesto il titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl” veniva continuamente avvisato sulle verifiche in corso e indirizzato su come aggirarle e/o comunque acquisire quella documentazione mancante utile alla assegnazione della proroga del contratto di appalto avente termine il 28 febbraio 2009.

5. L’apertura dell’offerta economica evidenziava ancor di più come quella proposta da “ITALIA 90 srl” fosse inaccettabile dalla Pubblica amministrazione del Comune di Sant’Angelo Lodigiano anche alla luce della offerta effettuata dalla concorrente società “MECO srl” (con sede in Trapani via Generale Ameglio n. 37). Il tutto portava all’aggiudicazione provvisoria dell’appalto a favore di quest’ultima società che avrebbe dovuto iniziare il servizio di smaltimento rifiuti a partire dal 1 marzo 2009. Venivano messe in atto dal titolare di fatto della società “ITALIA 90 srl” una serie di “pressioni” anche attraverso minacce nei confronti degli aggiudicatari dell’appalto; l’indagine ha permesso di evidenziare come – prima della formalizzazione dell’affidamento del servizio – presso un’importante società di fornitura di automezzi industriali per la raccolta degli rsu palermitana, la “MAVI spa” (con sede in Palermo viale della Resurrezione n. 83), fosse stato tenuto un incontro tra il management della società “ITALIA 90 srl” e quello della “MECO srl”. Nel corso della riunione i responsabili di quest’ultima avevano esternato la volontà di recedere dall’appalto e concordato le modalità di uscita dalla gara senza subire danni economici per la mancata esecuzione dell’appalto, pensando anche ad un possibile ricorso “pilotato” al TAR.

6. Successivamente è stato verificato che la “MECO srl” aveva effettivamente formalizzato la richiesta di recessione dal contratto ad esito della aggiudicazione provvisoria dell’appalto. Il comune di Sant’Angelo Lodigiano dapprima affidava in urgenza il servizio di smaltimento dei rifiuti alla società “Astem Gestioni srl” e successivamente garantiva in via definitiva l’appalto alla società “ITALIA 90 srl”.

7. L’attenzione investigativa si è appuntata anche sulla gara pubblica bandita nel mese di ottobre 2008 dal comune di Zelo Buon Persico per l’affidamento del servizio di igiene urbana dell’importo a base d’asta di 255,000.00 euro l’anno per 5 anni, servizio di appalto già condotto da “ITALIA 90 srl” nel corso di svariati anni. Dopo l’aggiudicazione provvisoria a favore della citata società, unica partecipante alla gara, il comune ha richiesto la prevista certificazione antimafia alla Questura di Palermo. L’esito della richiesta ha evidenziato “infiltrazioni mafiose“ (come risulta da dati di fatto acquisiti nel corso dell’indagine, sono state verificate relazioni di parentela (fratelli) tra la consorte dell’amministratore di fatto della società Italia 90 srl – che ricopre la qualifica formale di procuratore speciale della stessa – ed Abbate Luigi, nato a Palermo il 18.04.1958 detto “Gino u’ mitra” ed Abbate Ottavio, nato a Palermo il 08.07.1966, considerati rappresentanti di spicco della famiglia mafiosa di Porta Nuova del rione “Kalsa” di Palermo.): il comune di Zelo Buon Persico ha avviato pertanto immediatamente il procedimento di annullamento dell’affidamento provvisorio della gara.

8. Nel corso delle indagini è stato individuato anche un traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti prodotti presso il cimitero di Sant’Angelo Lodigiano ed illecitamente smaltito con falso codice CER presso un impianto di trattamento rifiuti di Montanaso Lombardo. Sono state, altresì, evidenziate una serie di truffe perpetrate dalla società “ITALIA 90 srl” nei confronti di alcuni comuni del lodigiano, consistenti nell’indebita attribuzione del costo di smaltimento di alcune tipologie di rifiuto – che avrebbe dovuto sopportare la stessa società per via del contratto d’appalto – ad ignari amministrazioni comunali.

9. Il gip presso il Tribunale di Lodi, concordando con le risultanze investigative prodotte da NOE di Milano ed in conformità alla richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, ha emesso n. 9 (nove) misure cautelari personali restrittive (2 in carcere e 7 agli arresti domiciliari), in base alla sussistenza dei reati di:

  • Turbativa d’asta aggravata;
  • Traffico illecito di rifiuti;
  • Falso ideologico;
  • Associazione a delinquere finalizzata ai reati di falso e truffa.

Nel corso dell’operazione sono stati eseguite complessivamente 9 ordinanze di custodia cautelare. Cinque di queste sono state eseguite a Palermo, più precisamente quattro agli arresti domiciliari ed una in carcere.

I quattro soggetti tradotti agli arresti domiciliari sono:

1. Madonia Mario, titolare della concessionaria autocarri 1. Renault MAVI s.r.l.

2. Abbate Maria, dipendente della società ITALIA 90 s.r.l.;

3. Gatti Tiziana, impiegata amministrativa della società ITALIA 90 s.r.l.;

4. Ingargiola Susanna, amministratore unico della società ITALIA 90 s.r.l..

Demma Claudio, socio della società ITALIA 90 s.r.l. ma di fatto gestore della citata società, è stato invece tradotto presso la Casa Circondariale Ucciardone di Palermo.

Sicurezza Pulizia Ordine Territorio