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pierluigi bersani

Il piglio dei saputelli. E vorrebbero essere classe dirigente.

Non se ne esce. Ogni tanto si ha la sensazione di stare in un imbuto dove il restringimento è il sentiero stretto di chi non è più abituato a discutere e mettersi in discussione. Il problema non è del PD, il problema è culturale in uno scollegamento che sembra una lacerazione definitiva. La politica che non si mette in discussione è la politica che agisce senza discutere. Delle scelte da adottare a testa bassa e pancia a terra. Quella che non porta buoni risultati nemmeno allo stand delle salamelle. Ma la forma mentis che impera è quella del piglio da saputelli di una classe dirigente che pretende di avere il diritto di non esprimere una direzione. Una freccia spuntata che non vuole ingorghi. E nemmeno immaginazione. Lo scrive bene oggi Irene Tagli su La Stampa:

Non importa se poi Berlusconi cambierà di nuovo idea o se il Pd farà davvero le primarie aperte dentro al partito: quello che colpisce di queste dichiarazioni è il tono e il messaggio che lanciano. E’ il modo con cui questa classe dirigente, che ci accompagna da decenni e che ci ha portato sull’orlo del disastro economico e sociale, si ripresenta di fronte ai cittadini col piglio di chi è il padrone assoluto della vita politica del Paese, e che quindi si riserva il diritto di decidere se, quando e come un rinnovamento sarà concesso.

Una spocchia che denuncia non solo una visione della politica ma anche del rapporto intergenerazionale e dei processi di rinnovamento completamente distorta. Una mentalità perfettamente sintetizzata dal segretario del Pd Pierluigi Bersani quando qualche mese fa, replicando a distanza al sindaco di Firenze Matteo Renzi, dichiarò che il partito era apertissimo ai giovani, purché si mettessero «a servizio». Un’immagine terribile, che evoca i giovani come materiale ad uso e consumo dei dirigenti e delle logiche di partito. Berlusconi, che ama definirsi uomo di fatti più che di parole, non ha fatto dichiarazioni del genere ma ha semplicemente agito seguendo questa stessa logica quando ha indicato Alfano come suo successore, per poi buttarlo in un angolo pochi mesi dopo e riproporsi egli stesso in prima linea. E non danno esempi migliori le alte dirigenze di partiti più piccoli come la Lega Nord o l’IdV.

Al di là delle ripercussioni che questa situazione politica ha sulla nostra immagine e credibilità internazionale, non va sottovalutato l’effetto che esso ha al nostro interno. Atteggiamenti e dichiarazioni di questo genere, infatti, non solo mortificano i cittadini e la loro voglia di cambiamento, ma anche tutte le migliaia di persone giovani e meno giovani che da anni si battono con passione all’interno dei partiti per un loro rinnovamento, per un ricambio di idee e di persone vero e profondo.

Fino a un paio di anni fa si diceva che la colpa era delle giovani leve, che non erano abbastanza critiche, indipendenti, che non avevano il coraggio di sfidare i propri leader, di discutere, di proporre, di lanciare messaggi chiari. Ma negli ultimi anni di giovani indipendenti e determinati abbiamo cominciato a vederne, in entrambi gli schieramenti. Le elezioni amministrative, per esempio, sono state occasioni in cui alcune di queste figure «rinnovatrici», più o meno giovani, hanno saputo mettersi in gioco ed affermarsi con successo. Ciascuno di questi successi avrebbe dovuto lanciare un segnale chiarissimo ai vertici nazionali dei partiti. E invece niente.

Minetti, trota e tutto quell’inquinamento intellettuale lì. Per l’ultima volta.

Sì, me lo chiedete. Ho letto del ritorno di Berlusconi. E in fondo lo ripetevo come una litania (ma eravamo in tanti) ultimamente. E in fondo è la mossa che tutti sapevano, che qualcuno fingeva di contrastare e che mi ha sempre lasciato perplesso in alcune scelte degli amici del PD. Però oggi mi interessa altro: questi partiti che si ripuliscono così in fretta. Che a guardarli da fuori ti sembra un gesto da impuniti dell’etica e la morale.
La Lega caccia Renzo Bossi e in Lombardia si erge a moralista. Ci siamo puliti! Festeggiano, pure. E pensi che non possa bastare così poco. Che non sia possibile. Che non ci sarà nessuno che se la beve così facilmente, che la sottrazione di fondi pubblici (pubblici perché di tutti, mica della Lega, eh) non si possa lavare chiedendo al Trota di dimettersi e a suo padre Umberto Bossi di fare l’ammaestrato per qualche mese (perché tornerà anche lui, contateci).
Poi arriva Silvio e decide di fare fuori la Minetti. E pensi che in fondo l’analogia ci sta. Ma siccome Silvio è un fantasista di quelli che fa notizia anche se non tocca mai la palla (come quei talenti inespressi del calcio che chissà perché si sono comunque meritati l’etichetta di “talenti”) decide di chiedere alla sua amichetta del cuore di fare un passo indietro e che basti così.
Mentre l’Europa crolla, il lavoro scompare e i diritti si sgretolano.
Lui, Silvio, si toglie l’ammaliante sassolino dalla scarpa e basta così. Non finge nemmeno un periodo da mansueto in quinta alla Bossi, per intenderci.
E pensi che non possa essere possibile che qualcuno ci creda ancora. Poi guardi gli anni indietro. Però, ti dici, in fondo lì ce l’aveva fatta perché gli altri (cioè noi, di qua, nel centrosinistra) siamo stati sempre timidi e confusi. Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
Timidi, poco credibili, indecisi e confusi.
E ti assale la paura.

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Sarò scemo

Perché di colpo mi sembra di non capirci più niente. Eh, lo so, mi direte voi che la politica è roba da intellettuali, ma quelli veri, quelli che si confrontano con il superalcolico e il sigaro sulle terrazze romane, e invece noi ci sporchiamo di fango sui blogs (al plurale, ho sentito un veterocentristademocratico che lo pronuncia così, al plurale, alla moderna) e sudiamo disordinati e male ai presidi. Insomma qui il can can delle primarie si apre e si richiude, si schiude per una mezza giornata e poi si riaddormenta. Sul nazionale e in Lombardia.

Sul nazionale c’è un congresso di partito (ampio, sicuro, passa dal Monti bis all’uso improprio della parola “sinistra”) che chiamano primarie. Dentro c’è Bersani, c’è Renzi e da oggi Boeri (a Stefano chiedono di dimettersi da assessore per non intasarsi di impegni, intanto Tabacci fa l’assessore, il parlamentare e l’analista di Regione Lombardia).

E gli altri? Mi chiedono ma voi? Ma gli altri? Nessuno invece che chiede cosa siano. Che chiede le regole. Che chiede i tempi. Interessa sapere i nomi. Come la giostra con le bocce e i cavalli (minuscoli) che si trova al Luna Park, ve la ricordate? Ecco. Una cosa così.

Bersani parla di un “patto civico” che metta insieme la sinistra progressista, la sinistra meno progressista, i riformisti, i moderati, i conservatori illuminati, i Montiani (Monti incluso, ovvio), i cattolici, i laici, i diritti civili, i conservatorismi incivili e i filoberlusconiani che furono se si pentono e si dissociano: ci fossero anche i neonazisti sarebbe il Partito dell’Umanità Estesa. Anzi, il Partito delle etichette affibbiate all’umanità estesa, perché dentro di persone a forma di persone i sondaggi non dicono che ce ne siano tantissime.

In Lombardia la fotografia è la stessa. Con tanti piccoli personaggi minori. Ma la stessa. Con il segretario del PD che manda sms per dire che le primarie si fanno, altroché. Io e Civati l’avevamo frainteso, lui e Bersani, evidentemente. Meglio così, direte voi. E invece il patto UDCivico è lo stesso. E anche gli isterismi. Oggi qualcuno ha anche confezionato un sondaggio per le primarie. Fantastico. Non si sa chi è (anzi, meglio, che roba é) la coalizione e intanto danno i numeri. Con dentro Pisapia, Tabacci e Di Pietro. Tra l’altro il sondaggio è confezionato dal partito che a Roma Bersani non vuole sentire nominare. Della serie: se ci autoinvitiamo di nascosto nei sondaggi non se ne accorge nessuno.

Sì, sarò scemo io. Se sono da solo a credere che se in questo benedetto Paese c’è stato un momento buono, utile e urgente per costruire una forza di sinistra seria è quello che ci sta passando sotto al naso.

Buone primarie a tutti. Questa sera, quando tornate a casa dai vostri figli, regalatevene una anche voi. Vi sentirete peggio. Ma meno scemi.

 

Sarebbe poi di sinistra

Alessandro Gilioli sul suo blog:

Ad esempio, per me sarebbe di sinistra mettere i piedi nel piatto della finanza, vietando gli strumenti speculativi a rischio e i cda incrociati. Ma sarebbe di sinistra anche ridurre alla ragione un neocapitalismo palesemente impazzito e arrogante come mai era stato, ad esempio mettendo un tetto agli stipendi dei manager e introducendo nelle aziende un rapporto retributivo tra il dipendente a tempo pieno più pagato e quello meno pagato, più un’aliquota marginale oltre il milione di euro tassata al 60-70 per cento, e ovviamente una patrimoniale vera.
Oppure, sarebbe di sinistra l’abolizione di tutti i privilegi fiscali e di altro tipo per le Chiese, il taglio delle spese militari, la fine dellle ‘missioni di pace’, tutte.
Ma sarebbe di sinistra anche decidere di non porre nessun limite alla ricerca scientifica – neanche sulle cellule staminali embrionali – l’abolizione della legge 40/2004, il diritto di redigere le proprie volontà in tema di fine vita e di testamento biologico, compresa l’eutanasia, il diritto a ogni tipo di terapia del dolore, il diritto alla scelta farmacologica e indolore per l’interruzione volontaria di gravidanza, l’abolizione della necessità di ricetta medica per l’acquisto della pillola del giorno dopo per le maggiorenni, il diritto di matrimonio e adozione per ogni persona indipendentemente dal suo orientamento sessuale.
E poi sarebbe di sinistra, secondo me, decidere che l’otto per mille per il quale il contribuente non dà indicazione venga destinato al welfare, così come sarebbe di sinistra alleviare quella tortura che sono le carceri italiane con la diffusione degli arresti domiciliari con verifica tecnologica (sensori, gps etc), ma anche il diritto alla sessualità in carcere e l’abolizione dell’ergastolo.
Sarebbe di sinistra pure decidere, secondo me che ogni parlamentare ha l’obbligo di pubblicare, nello spazio riservatogli dal sito della Camera di appartenenza, la sua ultima Dichiarazione dei Redditi entro 15 giorni dalla consegna all’Agenzia delle Entrate, e che nello stesso spazio ha l’obbligo di dichiarare ogni tipo di contributo ricevuto non solo dal proprio partito ma anche da eventuali fondazioni o associazioni di cui faccia parte.
Penso anche che sarebbe di sinistra abolire il quorum per il refendum abrogativo e decidere che le leggi di iniziativa popolare non discusse e votate dalle Camere entro due anni dalla loro proposta diventino oggetto di referendum popolare propositivo, sempre senza quorum. E sarebbe di sinistra che ogni proposta o disegno di legge depositato alle Camere fosse messo on line almeno tre mesi prima della loro discussione per ricevere i contributi in merito dei cittadini.
Sarebbe poi di sinistra stabilire una dead-line oltre la quale proibire la circolazione sul territorio nazionale di automobili con motori a combustibili fossili, e inserire nella Costituzione l’accesso a Internet come diritto umano fondamentale, stabilendo che la Rete è libera e ogni legge che la riguarda debba essere ispirata alla salvaguardia e all’estensione della sua libertà e non al proibizionismo.

Mi sembra di averle già sentite queste parole. Ed è per questo che mi viene da sorridere quando dietro ai paroloni (penso al “patto civico” ad esempio) si vuole fingere di non sapere che le ‘nostre’ priorità sono in campo da un bel pezzo. Basterebbe dire sì o no. Il risultato sono le alleanze possibili.

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Prove tecniche per (ri)perdere in Lombardia

Pier Luigi Bersani ci crede: la Lombardia andrà al voto nel 2013. Un anno prima della scadenza naturale della legislatura. Ma il segretario nazionale del Pd per la prima volta frena sulle primarie per la scelta del candidato del dopo Formigoni: «Vedremo se ce ne saranno le condizioni». Rilancia un «patto civico aperto» e non esclude un accordo con l’Udc. Lo scrive oggi Repubblica e, chissà perché, ce lo aspettavamo. Che non significa che si sta proni ad aspettare ed ascoltare. Tutt’altro.

Un ‘patto civico’ è civico se il testimone sta in mano ai cittadini e le primarie sono il percorso unico per aprire la consultazione. E invece qui i capi bastone delle segreterie si incontrano davanti ad un caffè e elaborano i loro stratagemmi (ultimamente, in Lombardia, parecchio sfortunati) e li truccano con i costumi del civismo. No, questa volta non gli sarà possibile. Ma mica perché siamo in tanti a non concederglielo (e mi conforta il post e la quotidiana chiacchierata mattutina con Pippo Civati) ma perché il trucco è stato scoperto da un po’. E perché evidentemente resistono ancora quelli che intendono il “potere” con la voce del verbo “potere decidere da che parte vanno i voti fedeli alla ditta” nonostante le scelte suicide.

Nessuna concessione ai tiepidi pupi e ai sofismi programmatici: dieci punti dieci di denuncia e di proposta per un’alternativa (basta ascoltarli in giro da chi ci lavora da anni, basta rileggere quello che proviamo a raccontare da anni), i tempi chiari dei passaggi del cambiamento e interpreti non condizionati, non condizionabili e non ricattabili. Non sappiamo mica se questa cosa si chiami “primarie” ma noi siamo in quel posto lì. E non ci interessano i patti sottovoce negli spogliatoi.

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La sinistra vuole vincere da viva

È sempre più difficile trovare il bandolo della matassa di una politica vissuta come pura alchimia, indifferente ai problemi, ai dolori, alle speranze della società. Se qualcuno pensa che SeI sia aggregabile a un polo neomoderato fondato sull’alleanza strategica fra Pd e Udc, spiace deludere, si sbaglia. Non siamo gregari di un’ipotesi che non metta in campo una proposta forte e chiara di alternativa al ‘paradigma Monti’. Nichi in un’intervista al Manifesto oggi.

Ieri, rispondendo ad Affari Italiani, dicevo di quelli che fingono di contestare un sistema e poi invece hanno come progetto politico quello di cambiare gli interpreti e promettere che saranno un po’ più etici.

La mia idea è un po’ più eversiva dal punto di vista della progettazione politica. E non solo la mia, evidentemente.

 

 

Casini ha detto sì

Ad un’alleanza con il PD perché la colpa è di Berlusconi, della sua deriva populista e perché Bersani invece è serio: lo dice oggi in un’intervista al Corriere Pierferdinando Casini, l’uomo della politica dei due forni di vecchio stampo andreottiano ma con molta meno arguzia. E poi qualche altra chicca: dice di volere costruire un’offerta nuova per il Paese (lui, che è in Parlamento dal 1983) e che il fatto che il consigliere del Quirinale parli con Mancino è la dimostrazione dell’umanità (dice così) all’interno delle istituzioni.

Vengono i brividi.

 

Primarie “aperte”

Non so voi, ma mi hanno colpito le frasi di Bersani sul Corriere quando dice: «non andremo con un’ammucchiata». Quindi senza Di Pietro? «Se il voto fosse domani non ci sarebbe storia: lui sarebbe fuori». Invece la porta è sempre aperta per Casini: «I centristi sanno che non si può non governare con la sinistra riformista. D’altronde anche quello che sta succedendo in Europa lo dimostra: Bayrou in Francia si è spostato a sinistra. Quindi il Pd può pure vincere le elezioni, ma in ogni caso proporrò ai moderati un patto di legislatura».

Ecco, io trovo che sia una gran bella notizia che ci siano primarie aperte. Sul serio. E trovo anche che sia stato coraggioso Bersani a metterle sul tavolo. Ma sono solo io a non capire di quale coalizione si sta parlando? E, se ce ne sono diverse in campo, quali sono e chi propone cosa?

Cosa non deve fare il centrosinistra (subito) per vincere le elezioni

Da un editoriale di Lorenzo Zamponi e Claudio Riccio:

Meglio stare fermi e aspettare che passi la nottata, tanto la destra è allo sfascio e il centrosinistra non può perdere.

Non ci stupisce il cinismo di questo ragionamento, che passa con leggerezza sopra le vite dei tanti italiani che subiscono gli effetti concreti delle manovre di Monti, a quello siamo abituati. Ci stupisce la sua incredibile miopia.
Si tratta della stessa miopia che caratterizzò i mesi a cavallo tra il 2007 e il 2008, quando Walter Veltroni e i suoi accoliti credettero che fosse possibile, picconando a destra la già precaria e impopolare architettura del governo Prodi, riconquistare un consenso e andare al governo. Ciò che Veltroni non vedeva allora e che oggi sembrano non vedere i vari Bersani, Di Pietro e Vendola, è che non si può vincere a sinistra su un terreno di destra. Che l’autonomia del politico è un mito, che non esiste un momento elettorale asettico e isolato dal contesto in cui si situa, che, soprattutto a sinistra, esiste un nesso inscindibile tra potere politico e rapporti di forza sociali.

E non si vede davvero come il dibattito politico di questi mesi possa preparare uno sbocco elettorale in qualche maniera progressista. Il governo Monti, assolutamente privo di opposizione, in parlamento come nella società, sta mettendo in pratica una politica apertamente conservatrice, e nei dirigenti della sinistra si fa strada l’idea che, tutto sommato, non sia così male: il governo tecnico si fa carico delle “riforme impopolari che l’Europa ci chiede”, e così, tra un anno, un nuovo governo può andare da Angela Merkel, mettere sul piatto i sacrifici fatti dal popolo italiano, e pretendere in cambio margini di manovra un po’ più ampi.

Ma si tratta di puro wishful thinking, privo di qualsiasi razionalità. Perché mai le élite economiche che in 6 mesi di governo Monti hanno già portato a casa gran parte di ciò che Berlusconi aveva promesso loro 20 anni fa, cioè riforma delle pensioni, parziale liberalizzazione dei licenziamenti, facilitazioni e incentivi all’utilizzo di contratti precari, apertura alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, riduzione del pubblico impiego, ennesimo blocco del turn over all’università ecc., dovrebbero poi accontentarsi, e non trovare un nuovo campione a cui affidare le sorti del paese, a meno che chiaramente il presunto “centrosinistra” non sia disposto ad adottare l’agenda Monti? E perché mai Bce, Fmi e governo tedesco dovrebbero concedere a Bersani ciò che non hanno voluto concedere a Berlusconi e che oggi, vedi vertice europeo della settimana scorsa, non concedono neanche al fidato Monti? Ma, soprattutto: perché mai i cittadini italiani dovrebbero votare per chi promette di fare domani il contrario di ciò che vota in parlamento oggi, che è a sua volta il contrario di ciò che prometteva ieri? Quale sarebbe la proposta politica di un eventuale centrosinistra agli italiani? Sarebbe il portato delle mobilitazioni anti-austerity degli ultimi 4 anni, con la difesa dell’università pubblica, l’acqua come bene comune, la battaglia contro la precarietà e contro il modello Marchionne, oppure sarebbe l’agenda di Monti?

Perché (come si chiedeva ieri Alberto Burgio su Il Manifesto):

Di che cosa si può parlare oggi? Di che cosa dovrebbe parlare la politica oggi? 
Di solito la politica parla di se stessa. Schieramenti, alleanze, elezioni. Tutt’al più, programmi e decisioni. Questa sembra la materia naturale, questo l’oggetto di un discorso serio della e sulla politica. Infatti di queste cose si continua a parlare, in modo più o meno decente e coerente. Mentre, coerentemente, si persevera in pratiche consuete (nomine e spartizioni varie). E invece questo è precisamente il discorso che non si può più continuare a fare, che non è più possibile fare in questo momento. 

Se soltanto si avesse un vago sentore della gravità di quanto sta succedendo e dei rischi che stiamo correndo, si metterebbe da parte l’ordinaria amministrazione per guardarsi seriamente negli occhi. Che cosa ci dice questo scenario esplosivo (crisi sociale, crisi finanziaria degli Stati, distruzione degli apparati produttivi, ripresa dei nazionalismi e delle tensioni internazionali e intercontinentali), mentre le classi dirigenti europee non accennano a ripensare le politiche praticate da trent’anni, responsabili del disastro? Che cosa mostra, se non che questo sistema sociale (modello di sviluppo e gerarchie di classe) ha generato non per caso l’attuale situazione? 

In particolare la sinistra – in tutte le sue diramazioni – di che cosa dovrebbe occuparsi, se non del fatto, sin troppo evidente, che sta all’origine di questa crisi generale? Il capitalismo, lasciato solo, a mani libere, senza minacce né avversari, da oltre vent’anni finalmente libero di plasmare il mondo a proprio talento, sta ricreando puntualmente le stesse condizioni di caos e di conflitto ingovernabile che hanno prodotto i conflitti mondiali. 

E su questa partita si devono sciogliere i nodi con (pezzi) del Partito Democratico. Che ci piaccia o no. E che si possa dire o no per il quieto vivere che ci si consiglia tra i corridoi.