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La mancetta elettorale

Questo fotomontaggio l'ha pubblicato Giachetti nel suo profilo fb. Lui, eh.
Questo fotomontaggio l’ha pubblicato Giachetti sul suo profilo fb. Lui, eh.

Non bastavano gli 80 euro. Evidentemente a qualcuno non è ancora chiaro che un lascito o una promessa del governo nazionale a ridosso delle elezioni è sempre di cattivo gusto specialmente se arriva da Presidente del Consiglio autoproclamatosi statista e invece sempre più concentrato sul prossimo quarto d’ora. C’è un’inopportunità che rasenta il voto di scambio ogni volta che un politico quantifica con sospetta precisione il beneficio in grado di elargire in tempi strettissimi. Non è un reato, certo ma è una cosa schifosa. Schifosa sì.

A Roma Giachetti s’è sparato la campagna elettorale tirando fuori ciclicamente la propria vicinanza a Renzi e al governo: i suoi “chiederò a Renzi” pronunciati con la faccetta di quello che gigioneggia sulle sue amicizie che contano hanno trasformato la campagna elettorale in un bisticcio sul “mio padre è più bravo del tuo”, quelli da asilo, quei duelli che solitamente si conclude con qualcuno che sibila “io sempre uno più di te” e niente. Vince lui. Dibattiti profondi, insomma.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

A Torino l’ammucchiata si vuole fare partito

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In un’intervista a La Stampa l’ex UDC Michele Vietti propone a Fassino di far uscire il PD “dall’arroccamento” (giuro, dice proprio così) e allearsi senza indugi con il centrodestra. Qualche giorno fa l’ex governatore del Piemonte Enzo Ghigo (Forza Italia) ha detto che non c’è differenza tra loro e il PD.

Insomma, può sempre andare peggio di così. Ricordatelo.

“Brigada”: a Torino la mafia si fa rumena

Prima condanna al 416bis per una gang rumena, con riti di affiliazione e gerarchie:

Controllavano la prostituzione, i traffici di droga, racket, bancomat clonati e non solo. Imponevano con la forza i loro buttafuori nelle discoteche dei rumeni, così da controllarne le attività e ottenere parte dei loro ricavi. Altri locali erano obbligati a ingaggiare i loro cantanti, da cui ottenevano una parte dei compensi. Erano queste le principali attività della “Brigada”, organizzazione mafiosa rumena smantellata a Torino nel giugno 2013. Stamattina nell’aula bunker di Torino il gup Luisa Ferracane ha condannato quattordici appartenenti alla “Brigada” con pene dai cinque ai 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, spaccio, sfruttamento della prostituzione, lesioni e un tentato omicidio. Si tratta della prima condanna per 416 bis nei confronti di un’organizzazione criminale proveniente dalla Romania. La pena più alta è andata a Eugen Gheorghe Paun, detto Coco, 34 anni, ritenuto il capo della “Brigada” dal 2011.

L’inchiesta. L’indagine è stata condotta dalla Squadra mobile di Torino, guidata dal vicequestore Luigi Silipo e coordinata dai sostituti procuratori della Dda di Torino Monica Abbatecola e Paolo Toso. Gli investigatori, che indagavano sul racket dei buttafuori, sono stati aiutati dalla collaborazione di un pentito, S.V.L., spaventato dalla violenza dei connazionali, con cui era in attività: “Ho timore che poi scattino delle ritorsioni verso mio figlio o verso altri miei cari”. Ha così raccontato l’evoluzione criminale del primo boss, Viorel Oarza, che dopo aver fatto il buttafuori, si è dato al contrabbando di sigarette, allo sfruttamento della prostituzione e alle rapine dei Tir intrecciando legami con la famiglia mafiosa dei Corduneanu, potente clan della regione moldava. Ha continuato a guidare il gruppo fino al 2011, grazie alla mediazione della moglie e alla complicità di una suora che gli aveva portato un telefono in carcere.

Il racket di buttafuori e cantanti. Bastava creare un po’ di scompiglio nei locali per imporre la propria “security”. Uno sguardo di troppo, qualche insulto e parte la rissa che i buttafuori presenti non possono controllare. Poi, con calma, si passa a proporre l’affare con nuovi gorilla, più forti degli altri. “Era un modo per avere dei vantaggi – spiega il collaboratore di giustizia – ad esempio il controllo delle attività dei locali, nel senso del controllo di chi entra e chi esce, dei clienti e dei fornitori; era un modo per farsi vedere forti, e ciò fa paura agli albanesi, fa paura agli italiani, ai gestori dei locali”. I gestori pagavano direttamente i boss, che poi giravano i soldi ai loro uomini trattenendo 20 o 30 euro per ognuno.

Ma c’era anche un racket dei cantanti romeni, “esplicitamente minacciati affinché non cantassero in locali diversi da quelli gestiti dal gruppo delinquenziale”: “Il diretto controllo dei cantanti più gettonati garantirebbe un più elevato numero di frequentatori, innalzando indubbiamente gli introiti dei loro locali”, si legge nell’ordinanza. E questo vuol dire parecchi soldi fatti con le dediche: “Vengono dati soldi ai musicanti e vengono fatte dediche alle famiglie. Chi vuole dimostrare di essere più forte da somme più alte”. I cantanti poi dovevano fare a metà coi gestori del locale.

Dalla faida alla “pax mafiosa. Tra il 2009 e il 2010 Torino e la sua periferia sono stati lo sfondo di una serie di agguati, sparatorie e omicidi legati allo scontro tra i vecchi controllori della prostituzione, gli albanesi, e i nuovi arrivati. Obiettivo principale erano i capi. Nell’aprile 2009 un commando guidato da Oarza spara a Nol Sheu. Gli albanesi rispondono il 17 gennaio 2010, quando il fratello Pal Sheu uccide un parente di Paun. Quasi due anni dopo l’obiettivo è proprio il boss “Coco”: il 2 dicembre 2012 un commando di albanesi va allo Zimbru e aggredisce il gestore: “Da parte di Niko”, dice un aggressore dopo averlo lasciato a terra in gravi condizioni. Ora però sembra essere scoppiata la “pax mafiosa”: durante il processo al boss albanese Nol Sheu, detto “Niko” per il tentato omicidio di Paun, quest’ultimo – chiamato a rispondere come teste – ha detto di non ritenere il rivale mandante della spedizione punitiva.

(fonte)

Il calcio e le tragedie

++ Calcio: striscioni Superga, multa 25 mila euro a Juve ++Non sono oggettivo perché sono tifoso del Torino e certo ci sono argomenti più importanti ma pensare che lo sport (ma succede anche in politica, nella cultura e udite udite nell’antimafia) debba essere un condono tombale per esprimere le offese peggiori sulla pelle delle tragedie è una deriva che bisogna arginare. E per questo la denuncia ai tifosi della Juve che hanno esposto l’orrido striscione sulla tragedia di Superga non è solo un momento di giustizia sportiva ma una ridefinizione dei limiti. E ogni tanto alla sera forse ci farebbe bene a tutti provare a valutare i nostri eccessi: lì dove abbiamo accettato che il fine giustificasse i mezzi e i mezzi hanno colpito la dignità di qualcuno.

Gli stand e le bancarelle al Salone del Libro.

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Sono al Salone del Libro. Tutti gli anni ci dicono che è morto e che comunque non sta molto bene. Tutti gli anni balza all’occhio la differenza tra gli stand arredati come autogrill puliti prima ancora del primo cliente e le bancarelle un po’ scalcinate, sgarruppate per le unghie di tutto l’amore e la passione che ci sono appese e con i prezzi scritti a penna con il tratto del cartellino sul polso al primo nipote maschio della famiglia.
Ci sono amori di cui ti fidi solo se riescono a rimanere artigianali. Come il cibo con la nonna e le industrie.