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Giulio Cavalli

Sangue per terra: a Vimodrone ci rimane sparato Giuseppe Nista, il fratello di Tyson

Le notizie che arrivano vagliano tutte le piste possibili. Ma se l’omicidio fosse collegato alle dinamiche della criminalità organizzata l’indicazione è allarmante: nuovi equilibri cercano di assestarsi e probabilmente a qualcuno a Buccinasco stanno fischiando le orecchie.

Tre colpi di calibro 7 e 65 sparati da uno scooter in corsa. Tutti hanno raggiunto il bersaglio.Giuseppe Nista, pregiudicato 44 enne, nato a Melzo, legato ad ambienti della criminalità calabrese, è morto al Policlinico di Milano. Indagano i carabinieri di Monza comandati dal colonnello Giuseppe Spina.

Nista, che era titolare di uno sfasciacarrozze a Segrate, è stato colpito in via dei Mille a Vimodrone. Pochi minuti dopo le otto del mattino, uno scooter con a bordo due uomini si è avvicinato. La sparatoria è stata velocissima. Quindi la fuga. In zona nessun ha visto o sentito nulla. Tre ore dopo il decesso in ospedale. Gli investigatori indagano su diversi fronti. Anche se la matrice più gettonata resta quella del regolamento di conti. E’ mafia? Ancora non si può dire, anche se le modalità propendono per questa pista.

Se così fosse, quattro anni dopo l’omicidio di Carmelo Novella, a Milano tornerebbe a scorrere il sangue dei clan. Un’ipotesi, quella dell’ambito mafioso, sulla quale stanno lavorando i carabinieri di Monza. Giuseppe Nista, infatti, era il fratello di Domenico Nista, arrestato nel 2005 per traffico di droga e che a partire dal 2007 ha reso dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Il suo nome compare in almeno due inchieste. La prima è quella che nel 2009 ha raccontato le infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti della Tav. Un’indagine che però a processo ha visto cadere l’accusa di associazione mafiosa imputata dall’accusa alla famiglia Paparo. Nell’ambito di quella operazione il pm Mario Venditti annota nella sua richiesta alcune dichiarazioni di Nista sul rapporto tra i Paparo e la potente cosca Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

Le parole di Domenico Nista, soprannominato Tyson e che già nel 1995 era definito uno “spacciatore di medio calibro” vengono riprese dagli stessi carabinieri di Monza nella informativa conclusiva agli atti dell’inchiesta Infinito. In quel frangente Nista parla di Pio Candeloro, uno dei capi della ‘ndrangheta di Desio. “Dai Pio – racconta – ritiravo non meno di 5 chili per volta e la sostanza aveva un elevato grado di purezza”.

Decisamente particolareggiate sono, poi, i suoi racconti sulla locale di Pioltello comandata da Cosimo Maiolo e Alessandro Manno. Una locale che, raccontano i pm, fu aperta dallo stesso Carmelo Novella. “I due – annotano gli investigatori – vengono ricordati da Domenico Nista in occasione di più dichiarazioni rese in qualità di collaboratore di giustizia”. Qui “Nista più volte faceva riferimento ai Manno-Maiolo come persone che sono state in grado di gestire con la propria organizzazione, un vasto traffico di stupefacenti negli anni “90. Di più, il fratello dell’uomo ucciso questa mattina, sostiene di aver ritirato “dai Manno e Maiolo considerevoli quantità di stupefacente e che il loro rapporto si interrompeva dopo circa un anno e mezzo, dopo una lite che sfociava in un conflitto a fuoco” . Dopo tutto questo Domenico Nista non è entrato nel programma di protezione. E oggi si trova in carcere a Torino. Suo fratello, invece, è morto.

E nell’omertà il problema siamo noi (lettera di un padre alle maestre)

Egregio Dirigente Scolastico,

Gentili signore Maestre,

con la presente comunicazione voglio anticipatamente giustificare l’assenza di mia figlia da scuola nella giornata di martedì 22 marzo 2011. Voglio con voi scusarmi per avere permesso alla mia primogenita di andare a letto tardi e di aver permesso che saltasse un giorno di scuola per potersi riposare. Ben sapendo dell’importanza di un corretto rapporto con i proprio doveri e ben sapendo che la scuola, e l’istruzione in generale, siano fondamentali per la crescita e la vita di una persona, ho ritenuto in quest’occasione di dover fare un’eccezione. La scelta è stata difficile, sia per l’età di mia figlia, sia per i principi miei che cerco di insegnare in casa mia. La scuola innanzi tutto, la cultura è la base della vita, qualunque sia la strada che si decide di prendere. È l’unica via per essere sempre liberi, indipendentemente dal lavoro, dalle amicizie o dal luogo in cui ci si trova. Poter pensare con la propria testa, il saper pensare fanno di noi gente libera anche all’interno di stanze con mura di un metro. Ritengo che anche la classe prima della scuola primaria sia fondamentale, anche il primo giorno, quello che per la prima volta ci fa varcare la soglia che ci porterà, se sapremo approfittarne, in capo al mondo. Perché ogni grande cammino inizia sempre con il primo passo e la scuola è la strada. Purtuttavia ho ritenuto che per un giorno la scuola dovesse passare in secondo piano, perché c’è un ostacolo su quella strada che vale la pena di fermarsi a guardarlo, osservarlo per conoscerlo bene. La giovane età di mia figlia non le permetterà di capirlo fino in fondo, la sua piccola statura non le permetterà di abbracciarlo pienamente e coglierne le sfumature. Mi accontenterò che lei inizi a fare suo il concetto che quell’ostacolo, quel masso sospeso sulle nostre teste, esiste davvero ed esiste qui nel profondo nord. Non è una cosa di altri, non è una cosa lontana, non è una cosa che non ci riguarda. È sulla strada di tutti e tutti ci passano a fianco. Alcuni ci sbattono contro, alcuni lo usano, altri lo sfiorano e si sporcano facendo finta di non essersi lordati i vestiti e l’anima. Molti non sanno che quel masso esiste, io tra questi. Ho creduto fino a quindici giorni fa che la mia strada, per quanto tortuosa, per quanto altalenante tra salite durissime e discese da scavezzacollo, non avesse carichi sospesi al di sopra di essa. Guardavo avanti cercando di catturare il mio orizzonte mentre questo si spingeva sempre più in là. Guardavo avanti, ma non ho mai guardato in alto, e se anche l’ho fatto non ho mai visto nulla. Mi sono venuti in mente quegli autobus che portavano i prigionieri nei lager: per mascherare l’orrore a cui andavano incontro i detenuti, ai finestrini erano disegnate persone che ridevano e si godevano la vita. Ecco, noi ci siamo goduti la vita disegnata sui finestrini, abbiamo delegato la coscienza ai politici e i politici, troppo intenti a dipingerci le finestre, non si sono curati di quel capitava dentro alle loro regioni del nord, alle province, ai paesi che li hanno eletti. O forse se ne sono curati fin troppo riempendosi le tasche. È notizia di queste ore che il consiglio comunale di Bordighera è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Bordighera. Non Gela, non Corleone, ma Bordighera in Liguria! Mafia: una parola tanto grande quanto eterea per noi del nord. Soffocante per il suo peso, la sua vastità, la sua enorme cappa di silenzio e potere e tanto impalpabile che se non ci sbatti la faccia contro, non ti rendi nemmeno conto che esiste. E la faccia ce l’ho sbattuta, per caso come sempre accade quando qualcuno picchia il muso da qualche parte. Non lo si fa mai apposta a farsi male, capita e basta. A me è capitato qualche settimana fa quando ho letto un articolo sulla commistione tra mafia, politici locali, discariche e cave al nord. Ancora con il fiato corto per il dolore, mi è capitato tra capo e collo la serata con Giulio Cavalli che ha rimarcato la cosa, che ha sottolineato come i morti ammazzati dalla ‘ndrangheta ci siano stati anche a Torino, che le confische ai mafiosi ci siano anche in Piemonte, che la DIA sia presente nel nord come nel sud. E mi è mancata l’aria dai polmoni: possibile che sia stato così distratto da non essermi accorto di una tale cosa intorno a me? Che non mi sia accorto di una tale vastità che mi sovrastava? C’era sì un presidio di libera a Borgosesia, ma pensavo fosse opera di qualche fine pensatore che, con animo più sensibile del mio, volesse dare una mano a Don Ciotti e al sud della nostra penisola. Mai avrei immaginato che il problema è qui, tra noi. E nell’omertà il problema siamo noi. Per questo la decisione di portare una bambina di otto anni ad una fiaccolata per il giorno della memoria della lotta alle mafie. È stata una decisione sofferta, ed è per questi motivi che ho ritenuto di aver trovato una cosa più importante della scuola: il futuro stesso dei nostri figli. Perché, se è vero che la cultura li renderà liberi ovunque essi siano, è altrettanto vero che la conoscenza è il primo passo per formare una coscienza. Spero che di bambini martedì ce ne siano pochi a scuola, spero che siate voi insegnanti ad esortarli a prendersi un giorno di riposo dopo l’impegno della serata. Mi piacerebbe autorizzaste tutti ad entrare dopo l’intervallo, così non perdono un giorno di scuola, ma simbolicamente gli permettete per un giorno di pensare che c’è qualcosa di più alto, di più importante. Che c’è un noi che vale più di qualunque persona e un futuro che vale più di qualunque adesso. Vi prego quindi di giustificare l’assenza da scuola di mia figlia per improcrastinabili necessità di vita.

Distinti saluti

Un Padre

(da facebook)

Un regalo per Peppino Impastato

L’avevamo scritto: un Paese civile non può lasciare marcire i luoghi della memoria dei propri uomini lasciati soli già una volta; per questo abbiamo preparato una sottoscrizione per inviare una mail (tecnicamente: mailbombing) al sindaco di Cinisi ed esprimere il nostro sdegno. Cinisi non è lontana da nessun posto del mondo. E le idee di Peppino Impastato sono le idee di tante Cinisi nel mondo. Il nostro appello aveva raccolto quasi 4000 firme. E il risultato è raggiunto: oggi l’assessore regionale della Regione Sicilia Gaetano Armao ha dichiarato che “La Regione, nella ricorrenza del 34° anniversario della tragica morte di Peppino Impastato, ha gia’ avviato le procedure per l’espropriazione per pubblica utilita’, sulla base di un progetto di realizzazione di un sito della memoria, del casolare e del terreno circostante a Cinisi ove egli fu ucciso. Contiamo in tal modo di poter celermente avviare i lavori per trasformare questo luogo simbolo dell’efferata violenza mafiosa in un museo della memoria e della testimonianza della resistenza che ad essa ha condotto Impastato, intendendone cosi’ ricordare e commemorare l’impegno civile e giornalistico”.
Il casolare è salvo, la memoria almeno un poco più pulita.

Buon 2012, Peppino.

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Gli astenuti che vorrebbero la rivoluzione

Leggete l’analisi di Leonardo. Ne vale la pena:

Credo di poterlo anticipare, visto che in altre nazioni è già successo: quando l’Astensione sarà il primo partito in Italia, non succederà un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, qualche dibattito televisivo con ospiti molto accigliati… e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà, chi le ha perse starà all’opposizione, come sempre. Come è successo in altri Paesi, di più antica tradizione democratica, che siamo abituati a ritenere più politicamente evoluti del nostro. Per dire, nel ’96 Clinton fu rieletto Presidente con un’affluenza alle urne del 49%, che non fece certo di lui un’anatra zoppa – perlomeno finché non scoppiò il caso Lewinsky. Per contro un’alta affluenza (come quella di cui noi italiani eravamo orgogliosi ai tempi della Prima Repubblica) in generale nel mondo non è ben vista, spesso è un indizio di scarsa democrazia: è ai tiranni che piace far sfilare compatto alle urne il 99% degli aventi diritto.

Forse dietro al movimento astensionista militante c’è un equivoco, nato con la deriva dei referendum abrogativi: quando, a partire dagli anni ’90, l’astensionismo è diventato così importante che accanto ai comitati per i Sì e per i No sono nati veri e propri comitati per l’Astensione (come quello dei vescovi al tempo del referendum per la fecondazione assistita), che per 15 anni hanno vinto a man bassa tutte le consultazioni referendarie. Ma astenersi dalle elezioni non ha lo stesso peso politico: chi non si reca alle urne, semplicemente, si chiama fuori. Governeranno gli altri, e lo faranno anche in nome suo. Meglio spargere l’idea, perché in giro c’è chi davvero non lo sa, chi è convinto che si possano invalidare anche le elezioni politiche.

L’astensionismo, in effetti, ha un che di diabolico. È riuscito a spacciarsi per rivoluzionario, quando alla fine è una resa bella e buona alla famigerata Casta, che con una riduzione dell’elettorato avrà anche meno spese da affrontare per campagne e voti di scambio. E mentre lorsignori si votano e si governano da soli, all’Astensionista resterà la gran consolazione di poter urlare “non nel mio nome”. Come se davvero gli importasse qualcosa, a chi ti frega il futuro, di come ti chiami.

Continua qui.

Spending review? I CIE (scusate se insisto)

Il presidente del Consiglio Monti invita i cittadini italiani a segnalare via web gli sprechi che potrebbero essere eliminati. Insieme al taglio della spesa per gli F35 e alla cancellazione della parata militare del 2 giugno, suggeriamo un altro capitolo di bilancio della spesa pubblica che potrebbe essere utilmente tagliato per finanziare invece le politiche di welfare e di inclusione sociale. Si tratta degli stanziamenti previsti per i Centri di identificazione ed espulsione (CIE).

Nel pieno di una crisi economica che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, la legge di bilancio 2012 ha previsto un aumento delle risorse destinate alla attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di identificazione e espulsione per stranieri irregolari.

I 103 milioni di euro stanziati nelle previsioni assestate per il 2011 sono diventati più di 174 nel 2012 (cap.2351) e oltre 216 per il 2013 e per il 2014. Del resto il prolungamento del periodo massimo di trattenimento dei migranti in queste strutture da 6 a 18 (diciotto) mesi introdotto dalla legge 129/2011 ha aumentato ulteriormente i costi medi della detenzione.

Quello che solo in pochi ricordano è che i Cie (come prima i CPTA) non rispondono assolutamente alla funzione che è stata loro affidata dal legislatore. Meno della metà delle persone in essi trattenute viene effettivamente espulsa. L’inefficienza di queste strutture è dunque una motivazione che va ad aggiungersi a quella (ben più rilevante dal nostro punto di vista) della loro disumanità per sollecitare una loro chiusura.

Segnaliamo dunque al Governo che il sistema dei Cie rappresenta uno “degli sprechi da eliminare al più presto” e proponiamo di utilizzare le risorse per essi stanziate in modo migliore. Qualche suggerimento?

Ecco quelli di Lunaria e della campagna Sbilanciamoci!

Settimana in giro. Dove sono, cosa faccio.

Questa sera a Meda alle 21, all’oratorio Santo Crocifisso di Meda, in via General Cantore 2 (piazza del Lavoratore 1).Usa la testa, scegli la vita coinvolge 70 ragazzi come ideatori e realizzatori di un intervento di educazione tra pari per sensibilizzare sulle dipendenze.  I ragazzi realizzeranno a Meda delle campagne di guerrilla marketing. Ne hanno ideate 7 su diverse dipendenze.

Mercoledì 9 maggio, a Pavia, ore 21  Presentazione del libro di Giulio Cavalli “L’innocenza di Giulio”, Ed. Chiarelettere. Ne discute con me: Cristina Barbieri, Università di Trieste Modera: Claudio Bellinzona, Non Mi Fermo Collegio Ghislieri Aula Goldoniana Piazza Collegio Ghislieri, 4. Organizza Libertà e Giustizia.

Venerdì 11 maggio alle ore 14.30 presso il Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci 32, Aula Osvaldo de Donato: “Io non bacio le mani” con me Pino Masciari e Anna Canepa.

Sabato 12 maggio non potete mancare. Alle 14.30 Non mi fermo: Amo le differenze- inte(g)razione contro il razzismo. Intervengono:  GIULIO CAVALLI, EDDA PANDO, LUCIANO SCAGLIOTTI, PINO PETRUZZELLI, FILIPPO FOSSATI, MAURIZIO MARTINA, BRUNO GOISIS, MANILA FILELLA, HENRI OLAMA, ENRICO BALLARDINI, CLAUDIO BELLINZONA, ROMANA VITTORIA GRANDOSSI, UISP – UNIONE ITALIANA SPORT PER TUTTI, ENAR – EUROPEAN NETWORK AGAINST RACISM, UNIVERSITA’ MIGRANTES, IMMIGRATI AUTORGANIZZATI. Auditorium San Sisto via della Vittoria, 1 Bergamo.

Qualsiasi novità la trovate alla pagina degli appuntamenti.

Andreotti: le bugie non muoiono mai

Mi sono imbattuto per caso nella bella intervista di Paolo De Chiara a Mario BaroneMario Barone. Siciliano, collaboratore stretto di Andreotti, ex ufficiale di marina, ex amministratore delegato del Banco di Roma. Si conoscono dal dopoguerra, precisamente dal 1946. “Subito dopo la sua nomina – si legge nel saggio ‘Il Caffè di Sindona’ – Barone come responsabile del settore esteri del Banco appose la sua firma a un prestito di 100 milioni di dollari che l’Istituto erogò a Sindona attraverso la filiale di Nassau”. Con Barone, che ha confermato il prestito, abbiamo affrontato anche questi argomenti. “Sono il custode dell’archivio di Andreotti” ha tenuto a precisare, sottolineando che oggi ricopre anche il ruolo di presidente del Comitato Andreotti.

Nell’esercizio malato de L’Innocenza di Giulio si raggiungono vette vertiginose:

Andreotti per 10 anni è stato fuori dalla vita politica, assorbito completamente da processi che per fortuna si sono risolti in maniera positiva. Lui ha avuto il coraggio, a differenza di altri, di affrontarli a viso aperto. Lui fu tradito dal suo stesso partito al momento delle elezioni della Presidenza della Repubblica, quando venne fuori Scalfaro. Si eliminarono a vicenda lui e Forlani. Da allora è rimasto un pò fuori, meno interessato a quello che succedeva.

Andreotti con il suo partito non ha mai avuto un incarico. Era l’uomo più potente, ma non faceva parte del gruppo che comandava il partito. E il partito, quando Andreotti era il candidato naturale, gli mise tra i piedi Forlani, che si fece prendere da questa idea. Poi venne fuori il compromesso e presero Scalfaro. In Italia c’è l’abitudine che qualunque cosa succede è colpa della mafia. Io non lo so se la mafia era tanto potente. Io sono siciliano e faccio parte della Sicilia buona e non di quella cattiva. Credo che fu una lotta interna al partito. La politica, i giornali vivono di queste voci, io non lo credo. Certamente alcuni uomini del partito democristiano avevano legami con la mafia in Sicilia.

[Su Sindona] Una persona di grande genialità finanziaria. Poi, probabilmente, si fece prendere la mano dall’ambizione. Sindona era socio di Cuccia, aveva una società insieme a Cuccia. Era uno dei protetti di Cuccia, forse un giorno verrà fuori un pò di verità. Non posso parlarne né bene né male. Il suo fu un peccato d’orgoglio e si mise in un sentiero sbagliato.

A volte mi prende la paura che ce lo meritiamo, questo Paese.

Hollande e la strada da seguire per SEL

Il vento che parte da Milano, Cagliari, spira dalla Francia fino alle amministrative che saranno è un programma politico. E mentre continuiamo a non riuscire ad aprire un dibattito serio sui farfuglianti di chi vede antipolitica dappertutto la richiesta che arriva dall’Europa è chiara almeno in un punto: l’identità. Identità chiara, punti definiti e consapevolezza della propria posizione. Per questo oggi SEL ha un invito che non può non ascoltare: tenere la posizione, rivendicare le proprie diversità, non diluirsi negli alleati medioideologici o postideologici (brutti tempi, eh?).

Marco Damilano propone un’analisi interessante:

Seconda lezione: l’identità. Ancora ieri, in piazza della Bastiglia, Hollande ringraziava dichiaratamente la Gauche. E a sfogliare il suo programma c’è da restare allibiti: assunzioni nella pubblica amministrazione, aliquota del settantacinque per cento per i redditi sopra il milione di euro, abbassamento dell’età pensionabile, tassazione delle rendite finanziarie e soprattutto rimessa in discussione del fiscal compact. Insomma, il capovolgimento della vulgata corrente anche in Italia, per cui essere riformisti ha significato essere la sinistra della destra o, se vogliamo, un altro modo di essere di destra. Amore per la ricchezza, per i capitani coraggiosi, per i cuochi di grido, per le belle barche e per le belle scarpe. Hollande dice qualcosa di sinistra, qui da noi si fatica perfino a balbettare la parola patrimoniale. Il Pd ha votato appena una settimana fa per l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. E fa fatica a darsi un progetto di sinistra, tanto più che appoggia un governo la cui filosofia è esattamente all’opposto. Anni Novanta: tagli alla spesa pubblica, innalzamento dell’età pensionabile, liberalizzazioni, allentamento delle tutele nel mercato del lavoro… Tutte cose che avrebbe dovuto fare il centrodestra italiano, se fosse mai esistito. Invece nel Pd c’è chi pensa che debba farle la sinistra: i tardo-blairiani, molto agguerriti, che ancora qualche mese fa chiesero le dimissioni del responsabile economia Stefano Fassina. Da oggi la sfida è aperta: l’Europa non è un dogma, non ci sono soluzioni tecniche indiscutibili. Adieu alle politics, si torna alla politica.