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Giulio Cavalli

La mafia del Grillo

Ora il gioco sarà quello solito del gridare al ciarlatano per demolirne i contenuti. E’ il meccanismo per niente dolce della politica e delle sue regole e mi interessa poco. Però Grillo ha detto una cialtroneria di proporzioni mostruose. Le repliche sdegnate dei famigliari di vittime di mafia sono il minimo che si potesse aspettare. Ma mi lascia ancora più perplesso la reazione del candidato del Movimento 5 stelle: “Ancora una volta – ha detto Nuti – abbiamo avuto la conferma che ci sono mezzi di ‘informazione’ che tentano solo di denigrare il Movimento. Beppe Grillo nei suoi interventi utilizza spesso dei paradossi ed estrapolare una frase dal contesto è pretestuoso oltre che ridicolo: la dichiarazione che alcuni hanno contestato, fa infatti parte di un ragionamento molto più ampio e complesso. D’altra parte le nostre azioni parlano chiaro, essendo certi che le mafie siano il cancro che strangola l’economia legale e priva i cittadini di diritti e libertà.” E la replica, come si dice in gergo, è una cagata pazzesca. Perché la frase pronunciata è ben contestualizzata nei molti video che circolano in rete, perché essere fraintesi dopo gli ultimi anni politici fa sorridere e perché questa regolare scusa del paradosso ci trasporta subito all’antimafia burlesque.

*aggiornamento: giusto per chiarire nel Movimento 5 Stelle di Palermo (luogo del ‘fattaccio’) ho tanta gente che stimo per l’impegno sul tema e che da anni conoscono le mafie. Lo rivendicano giustamente qui. Il giudizio sul punto (che è un altro) rimane invariato.

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute

Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella mia vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.
La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande chiarezza… nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!
Ma non è questo, non è questo soltanto.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. (Italo Svevo, La coscienza di Zeno)

Giulio Lampada, Vincenzo Giglio, ‘ndrangheta e servizi segreti

Di professione fa il medico, ma nel tempo è riuscito a ritagliarsi spazi per altre attività. Intrattenere, ad esempio, stretti rapporti con la ‘ndrangheta. Mantenere contatti con uomini dei servizi segreti per carpire informazioni riservate e pianificare la sua carriera politica tra le fila della Rosa bianca, il movimento, ormai sciolto, fondato nel febbraio 2008 da Bruno Tabacci e Mario Baccini, all’epoca fuoriusciti dall’Udc di Casini. Tutto questo prima di finire in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sì perché fino al 30 novembre 2011, Vincenzo Giglio, nato a Reggio Calabria nel 1954, è un uomo di relazioni e potere, in grado, secondo il Ros, di pilotare appalti pubblici. 

Il quadro si tiene tutto sulla rotta Reggio Calabria-Milano. Dentro ci sono politici compiacenti, imprenditori addomesticati e finanzieri a libro paga. Sullo sfondo l’ombra della massoneria. Nel concreto, invece, contatti diretti con gli 007 di casa nostra. Quelli che per mestiere dovrebbero badare alla sicurezza del paese. E che, invece, si segnalano sempre più spesso per i loro rapporti con i colletti bianchi dei boss. Uno di questi è proprio Vincenzo Giglio che il 10 marzo 2010 incontra il colonnello Cristaudo, capo centro Aisi (ex Sisde) di Reggio Calabria. Un fatto che il gip definisce di “straordinaria gravità”. Soprattutto per le modalità con le quali avviene il colloquio.

Il giorno prima, infatti, Giglio riesce a contattare telefonicamente lo 007. La cronaca è impietosa. Dopo la telefonata, Cristaudo vede Giglio. Il giorno successivo ne parla subito con l’allora capo della squadra Mobile di Reggio Renato Cortese che invia una relazione al Servizio centrale operativo. Poche righe per spiegare come “nel corso del colloquio il dottor Vincenzo Giglio abbia chiesto se vi fosse qualche attività investigativa nei confronti dei fratelli Giulio e Francesco Lampada”. Davanti a tutto questo il gip si domanda: “Come fa Giglio a conoscere il capo centro Aisi e a farsi ricevere? Quali entrature istituzionali ha per potere accedere a funzionari dei Servizi Segreti? Con quale pretesa legittimazione il medico si presenta a fare domande che non potevano comunque avere risposta?”

Davide Milosa racconta tutto qui.

Mettetelo in agenda: #nonmifermo a Bergamo il 12 maggio per ‘AMO LE DIFFERENZE – INTE(G)RAZIONE CONTRO IL RAZZISMO’

Si continua. Per la Lombardia migliore e per partire dalle buone pratiche. Perché il tema dell’integrazione ha bisogno di uscire dalla retorica dei pro e dei contro e diventare amministrazione delle diversità. #nonmifermo non si ferma e ne parliamo a Bergamo, terra di Lega e di risposte poco convincenti del centrosinistra. Per smettere di parlare della categoria dei “deboli” e farsi carico delle debolezze di tutte le categorie. L’evento su facebook (da condividere e fare girare) è qui. Vi aspettiamo. Senza fermarsi.

Non Mi Fermo è il luogo in cui stiamo mentre ci prendiamo la responsabilità di ascoltare, ascoltarci e fare politica. Insieme. Non Mi Fermo non è un partito, non è una corrente (anche se le porte sono sempre aperte) e non è un movimento sostitutivo: Non Mi Fermo è un luogo di analisi e una proposta sempre in fieri. Cittadini e amministratori per cogliere l’opportunità, le buone pratiche e le possibili strade da percorrere.

Intervengono:

GIULIO CAVALLI – attore, scrittore, regista e consigliere regionale della Lombardia;
EDDA PANDO – membro del comitato immigrati auto organizzati e fondatrice del circolo Arci Todo Cambia. È sostenitrice della campagna per la cittadinanza “L’Italia sono anch’io”;
ANTONIO MUMOLO – Avvocato e Presidente Associazione Avvocato di Strada Onlus. Il progetto “Avvocato di strada” si pone l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone senza dimora.
MAURIZIO MARTINA – consigliere regionale della Lombardia e segretario regionale del Partito Democratico;
ROMANA VITTORIA GANDOSSI – insegnante di Adro (BS);
HENRI OLAMA – formatore, musicista e scrittore;
PINO PETRUZZELLI – attore e regista;
FILIPPO FOSSATI – Presidente UISP (Unione italiana sport per tutti). L’associazione ha l’obiettivo di estendere il diritto allo sport a tutti i cittadini;
LUCIANO SCAGLIOTTI – Presidente ENAR ITALIA (European Network Against Racism). L’European Network Against Racism (ENAR) è una rete europea di oltre 700 organizzazioni che lavorano per combattere il razzismo in tutti gli Stati membri dell’UE e agisce come la voce del movimento anti-razzista in Europa;
ENRICO BALLARDINI – musicista e attore teatrale;
FONDAZIONE MIGRANTES – organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per assicurare l’assistenza religiosa ai migranti, italiani e stranieri;
MANILA FILELLA – non mi fermo;
CLAUDIO BELLINZONA – non mi fermo;
BRUNO GOISIS – membro della “Comunità Ruah”. La Comunità Ruah è un centro di accoglienza maschile per immigrati situato nella città di Bergamo;
TODO CAMBIA – associazione interculturale antirazzista.

http://www.nonmifermo.it/

#salvaiciclisti per cambiare strada

Veni,vidi,bici. #salvaiciclisti sbarca a Roma e sembra passato un secolo da quando se ne cominciava a parlare. E invece quel secolo è il fiume di impegno che ha cominciato a scorrere e diventare urgenza sana per la mobilità dolce di questo paese. Eppure #salvaiciclisti è anche l’occhio finalmente vigile sulle morti continue di una strage che non si riesce ad arrestare.

Il temibile leader del movimento lascia le istruzioni per l’uso della bicifestazione di oggi. Pedaliamo in gruppo.

Se si spegne Telejato

Pino Maniaci e Telejato devono essere spenti. La notizia è di quelle che gelano il sangue perché Pino Maniaci e Telejato (con il suo telegiornale più lungo del mondo) da anni lottano per non essere spenti dalla mafia e invece alla fine a spegnerli sarà lo Stato. Non si sa se per superficialità, per miopia o per convergenza di interessi: certo quando lo Stato compie l’azione che la mafia ha tanto desiderato ne esce sconfitto il buon senso, la tutela del coraggio e la custodia delle fragilità attive.

Non serve solidarietà pelosa. Telejato, Pino e la sua famiglia ne hanno ricevuta a tonnellate in questi anni (buona e non buona). Serve mobilitarsi con un obiettivo chiaro: sappia il Governo cosa sta spegnendo, decida dopo aver conosciuto la vita, il progetto e le lotte di Telejato e dia delle spiegazioni. La mobilitazione deve puntare a chiunque possa scrivere un’interrogazione, un ordine del giorno o una mozione tra gli scranni del Parlamento. E noi possiamo chiederlo (e dobbiamo chiederlo) con insistenza: come Pino quando tiene in mano il microfono.

Auguri Renato Rascel

Oggi compirebbe 100 anni.

Il pubblico è come un bambino. Se gli si lascia un bel giocattolo lo rompe subito. Bisogna aver pazienza, giocare assieme.

Renato Rascel nasce “per caso” a Torino durante una tappa della tournée della compagnia d’arte in cui lavorano suo padre Cesare Ranucci, cantante di operetta, e sua madre Paola Massa, ballerina classica. Riceve il battesimo nella Basilica di San Pietro secondo il desiderio del padre, romano da sette generazioni, ed alla città eterna la sua vita resterà sempre legata.

Affidato dai genitori ad una zia, a causa del loro lavoro che li costringeva a continui spostamenti, Renato cresce nell’antico rione di Borgo insieme alla sorella Giuseppina (scomparsa prematuramente a soli diciassette anni). Frequenta la Scuola Pontificia Pio IX, gestita dai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia i quali, oltre ad impartire l’insegnamento scolastico, organizzavano corsi di canto, musica e recitazione. Già durante la partecipazione a queste attività Renato mostra i segni del suo precoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, all’età di dieci anni, del Coro delle Voci Bianche della Cappella Sistina, allora diretto dal Maestro don Lorenzo Perosi. Sempre in questo periodo si esibisce per la prima volta in pubblico come batterista di un complesso jazz di dilettanti scritturato dal Circolo della Stampa.

Poco tempo dopo debutta in teatro a fianco del padre, divenuto direttore della filodrammatica “Fortitudo”, nel dramma popolare Più che monelli, dove interpreta la parte di un ragazzino che muore a causa di un sasso tiratogli da un compagno di giochi.

Consapevole del fatto che la carriera artistica non è tra le più facili e remunerative, il padre cerca di avviare Renato a lavori più sicuri e redditizi. Per qualche tempo lavora come apprendista calderaio, muratore e garzone di barbiere, ma il richiamo dell’arte è troppo forte per lui. Renato ha solo tredici anni quando viene scritturato in pianta stabile come musicista dal proprietario del locale “La Bomboniera”, ed in seguito suonerà alla “Sala Bruscolotti” noto ritrovo della Capitale. A quindici anni entra a far parte del complesso musicale “Arcobaleno”. L’impresario teatrale napoletano Luigi Vitolo, notata la sua esuberanza, lo spinge ad improvvisare negli intervalli dell’orchestra numeri di danza e di arte varia che riscuotono ilarità e successo dal pubblico. Il resto qui.

#preferenzepulite per Articolo21

pubblicato su Articolo21

C’è un porcellum più odioso di qualsiasi alchimia elettorale dei partiti o tecnici di governo che arrancano per preservarsi. E’ una dinamica elettorale odiosa perché cresce sulla disattenzione degli onesti e lascia praterie da percorrere da indisturbati a pezzi di criminalità organizzata. L’utilizzo del voto di preferenza è il modo democratico per dichiarare che quella persona, quel nome e cognome, è il portatore dei nostri interessi leciti. E’ passato questo concetto? Tra i siti di informazione, i giornali, i blog ci siamo preso la responsabilità di dichiarare con forza che la lobby degli interessi leciti è obbligatoria per una cittadino utile alla democrazia? Perché negli ultimi anni ci siamo stupiti per i successi elettorali di uomini vicini alla criminalità organizzata e non ne abbiamo studiato le cause? Le mafie negli ultimi anni hanno utilizzato la convergenza sulle preferenze per avere la certezza di un proprio uomo all’interno delle istituzioni. Hanno vinto non solo sul piano dell’illegalità ma anche (e soprattutto) sulla consapevolezza e la conoscenza dei meccanismi politici. Noi non siamo stati abbastanza vivi: non abbiamo raccontato, analizzato, spiegato, alzato la voce. Per questo io e Pippo Civati chiediamo a voi (e a noi) di sfruttare le prossime amministrative per recuperare il tempo perso. La campagna #preferenzepulite è un memorandum per tutti: scegliete il vostro sindaco, la vostra coalizione ma presidiate anche il consiglio comunale scegliendo il vostro consigliere. Più si alza la soglia numerica di preferenze per entrare in Consiglio Comunale e più le mafie saranno disturbate nei loro uomini. E poi, in fondo, ogni volta che si sfrutta una possibilità di esprimere un voto, vince la Costituzione e la Democrazia.  Nelle ultime elezioni amministrative la criminalità organizzata ha avuto gioco facile nell’eleggere un consigliere all’interno delle istituzioni a cui fare riferimento e su cui esercitare le proprie pressioni. I dati elettorali degli ultimi anni indicano chiaramente come bastino qualche decina di voti per entrare nei consigli comunali di città importanti per dimensione, posizione e attività sul territorio. Ne parla spesso anche Nando Dalla Chiesanel suo decalogo antimafia e le ultime operazioni contro le mafie (anche in Lombardia) hanno stilato l’elenco dei nomi e dei cognomi.  Se ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra utilizzano lo strumento del voto di preferenza meglio e più consapevoli della stragrande parte degli elettori il problema non è solo politico: è un problema di cittadinanza praticata troppo poco. Se le mafie dimostrano di conoscere gli strumenti democratici e di utilizzarli a proprio vantaggio significa che anche su questo punto noi dobbiamo provare ad essere più vivi. Il “porcellum mafioso” è garantito dagli argini troppo bassi.  Per questo chiediamo in questi ultimi giorni di campagna elettorale che i candidati sindaci, la stampa, i partiti, la rete e la società civile alzino la voce sull’uso responsabile della preferenza da esprimere nel seggio. Indicare un cognome di cui fidarsi e a cui affidarsi non è solo il modo per non delegare solo alla coalizione l’attenzione per i punti di programma e avere una persona di riferimento; dare il voto di preferenza significa alzare l’argine contro le mafie per rendere più difficile la loro gestione del consenso.

Votate. E date una preferenza.

Su twitter #preferenzepulite

Giulio Andreotti, il politico bifronte

DA LEFT di SIMONA MAGGIORELLI

Andreotti non è stato assolto. “Ma in Italia la parola prescrizione viene scambiata per assoluzione”. Denuncia lo scrittore e attore Giulio Cavalli. Che nel libro L’innocenza di Giulio ricostruisce i rapporti fino al 1980 fra il senatore e la mafia.  Intano la gestione andreottiana del potere, con rapporti pericolosi con malavita e lobbies, ha  fatto scuola in Italia 

Vero è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani è convinta (in perfetta buona fede, perché questo le è stato fatto credere con l’inganno) che Andreotti sia innocente. Di più: vittima di una persecuzione», scrive Gian Carlo Caselli nella prefazione al libro di Giulio Cavalli L’innocenza di Giulio.Andreotti e la mafia(Chiarelettere).

Un testo che ha il merito di raccontare in modo puntuale come sono andate veramente le cose, riportando in primo piano il fatto che «l’imputato fu dichiarato responsabile del delitto di associazione a delinquere con Cosa nostra per averlo commesso fino al 1980», per dirla ancora con le parole di Caselli che, come capo della procura te dell’opinione pubblica italiana».

Anche per questo, per «un dovere di civile di ripristinare la verità storica» l’autore de L’innocenza di Giulio sta viaggiando in lungo e in largo per la penisola presentando il libro con intellettuali e magistrati, cercando di stimolare un pubblico dibattito:( il 29 al festival del giornalismo di Perugia con Caselli e il 30 a Milano con l’avvocato Umberto Ambrosoli, figlio di quel Giorgio Ambrosoli che si trovò ad indagare sulla banca di Sindona e che non si piegò ai ricatti. Per questo fu ucciso nel 1979.

Nel frattempo, per raggiungere un pubblico ancora più vasto, L’innocenza di Giulio è diventato anche uno spettacolo teatrale. In scena Cavalli ingaggia un serrato corpo a corpo con il “Divo Giulio” che, a mani giunte, giganteggia nella scenografia alle sue spalle. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare». «Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato»

. Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo pio. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare».

«Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato». Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo più intenso ed efficace.

«Penso che serva un linguaggio nuovo. Ma anche che sia venuto il tempo di fare una storia dell’antimafia pop», chiosa Cavalli, con un pizzico di provocazione. «Ma autenticamente pop, ovvero popolare. Non credo che la pericolosa perdita di memoria e di partecipazione che attanaglia l’Italia abbia bisogno solo di un nuovo Pier Paolo Pasolini, di intellettuali profeti. Penso piuttosto che sia necessario parlare semplice e chiaro perché la gente possa farsi autonomamente la propria opinione».

Pareggio di bilancio. Consapevole?

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Legge Costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, il principio del pareggio di bilancio entra nella nostra Costituzione.

Il provvedimento entrerà formalmente in vigore il prossimo 8 maggio anche se, come previsto dall’art. 6, le disposizioni della legge costituzionale si applicheranno a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.

Visto che in seconda lettura sia alla Camera dei Deputati sia al Senato della Repubblica è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti, non si dovrà ricorrere al referendum confermativo.

La riforma costituzionale dà così attuazione a uno degli impegni assunti prima dal precedente governo di Silvio Berlusconi e poi confermato dall’esecutivo di Mario Monti per rassicurare i mercati sulla sostenibilità del debito pubblico italiano.

Tale modifica prende spunto dalla necessità di rafforzare l’impegno italiano a risanare le finanze pubbliche, in attuazione dei vincoli posti dal “Patto Europlus” nel marzo 2011 e nel “Six Pack” nell’ottobre 2011 dal Consiglio ECOFIN (successivamente ribaditi nel “Fiscal Compact” nel gennaio 2012).

Stupisce il silenzio che ha accompagnato questo processo di modifica costituzionale in corso ormai da mesi, mentre in altri paesi europei su questi temi e sul connesso Fiscal Compact si stanno sviluppando discussioni e confronti assai vasti.

Stupisce come in un Paese come il nostro in cui su questioni di scarsa rilevanza si fanno spesso campagne di stampa ampiamente sopra le righe, su un tema di così rilevante portata, che tocca un cardine della Costituzione e la strumentazione della politica economica presente e futura, il silenzio è totale.

Ma c’è consapevolezza di ciò che è stato approvato? È ammissibile che ciò sia avvenuto su un tema così importante?

Carlo Rapicavoli prova a spiegare.