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Giulio Cavalli

Expo, Milano, Pisapia

Comunque la si pensi vale la pena leggere le riflessioni di Guido Viale su Il Manifesto:

Come per De Magi­stris, Zedda e Doria anche il sin­daco Pisa­pia era stato eletto sull’onda di una mobi­li­ta­zione straor­di­na­ria per par­te­ci­pa­zione, entu­sia­smo, crea­ti­vità. Pisa­pia doveva porre fine alle male­fatte di Leti­zia Moratti. E tra quelle tante male­fatte la peg­giore è senz’altro l’Expò: un “Grande evento” fatto di “Grandi Opere” che non hanno alcuna giu­sti­fi­ca­zione se non distri­buire com­messe, incas­sare tan­genti e tenere in piedi un comi­tato di affari impre­gnato di cor­ru­zione e di mafia che aveva già deva­stato la città per anni. Si badi bene: le tan­genti sono una con­se­guenza e non la causa.
Se ci fos­sero solo le tan­genti, il ter­ri­to­rio non ne rice­ve­rebbe danni irre­pa­ra­bili. Il vero danno sono le Grandi opere, la deva­sta­zione del ter­ri­to­rio e delle rela­zioni sociali; e il modello di busi­ness di cui sono frutto, fon­dato sull’indifferenza per le esi­genze delle comu­nità locali, sullo stra­po­tere di ban­che e finanza, sul subap­palto del subap­palto, che apre le porte alle mafie, sul pre­ca­riato (e ora anche sul lavoro gra­tuito) che hanno fatto dell’Expò il labo­ra­to­rio dell’Italia di Renzi; e, ovvia­mente, anche sulla corruzione.

Avendo ere­di­tato l’Expò dalla Moratti, Pisa­pia si era impe­gnato a ren­derla comun­que meno pesante pos­si­bile. Ma ha tra­dito quel man­dato. Non è in discus­sione la sua one­stà, né la sua buona fede; lo sono le sue scelte. Appena inse­diato è stato tra­sci­nato a Parigi da For­mi­goni per sot­to­scri­vere gli impe­gni con l’Ufficio Inter­na­zio­nale dell’Expò. Da allora l’Expò ha preso il posto dei pro­getti pre­sen­tati in cam­pa­gna elet­to­rale, alcuni dei quali san­citi dalla vit­to­ria di sei refe­ren­dum cit­ta­dini (senza seguito). E con l’Expò ha comin­ciato a dis­sol­versi quell’ondata di entu­sia­smo e di spe­ranze che aveva por­tato Pisa­pia in Comune.

La sensazione è che non si sia riusciti ad andare oltre alla “buonista” narrazione di un Expo diverso da quello che si temeva e poi alla fine è diventato. Certo Pisapia è rimasto incastrato tra Formigoni prima e Maroni poi ma di una netta posizione di dissenso non se n’è mai sentito il profumo. E oggi vale la pena riconsiderare addirittura gli allarmi di Boeri. Questo EXPO così com’è non era nella testa di chi ha votato la giunta milanese e questo è un fatto politico.

Patetici fascisti da facebook

L’attacco a Giuliana Sgrena propone un tema che sta diventando un classico: i neofascisti sono bagnanti da social network che non hanno nemmeno la faccia di esistere dal vivo. Il parafascismo diventa una moda sconsolata di figurine da bar mentre ci costringiamo a sopportare questa ignoranza colpevole sul tema della democrazia.

Roba da canzonette, da sagre e salamella, da archeologia dell’idiozia. Basta sopportare le commemorazioni colpevoli, i modi riciclati e le citazione per propaganda. Chi è parafascista anche solo per guadagno e per pochi minuti è feccia.

Si può dire?

Eleggibili se ricattabili

Vale la pena spendere quattro minuti per ascoltare la telefonata di Claudio Scajola alla moglie. Una telefonata strana nella motivazioni ma paradigmatica nei contenuti.

Primo: Scajola sapeva sicuramente di essere intercettato e quindi è molto probabile che quella telefonata sia rivolta più a qualcun altro piuttosto che alla moglie che incontrerà dopo qualche ora. Lei stessa cerca di parlare il meno possibile mentre l’ex Ministro si avventura in nomi e cognomi dando anche la propria disponibilità (e sarebbe bello sapere chi aveva in mente) per un’eventuale collaborazione.

Secondo: le carriere politiche (ancora oggi e forse oggi ancora di più) sono nutrite dalla potenza ricattatoria. Si diventa classe dirigente se si deve un piacere a qualcuno più in alto: così la meritocrazia si misura nell’obbligo alla servitù.

“sedersi a trattare il meglio per sé, in cambio di tutto quel che serviva”

Jacopo Tondelli analizza l’ebook di David Bidussa “I purissimi” riprendendo un’analisi che torna utile per la lettura di un momento storico:

Perché non è certo nuovo il racconto – anzi: l’autonarrazione – fondato su un «linguaggio antisistema», sulla «esaltazione del giovanilismo come categoria attiva e risolutiva della politica» e forte de «la sensazione di avere il vento della storia in poppa». Non è nuova, «soprattutto l’idea di essere qualcosa di diverso da “quelli lì”, da quelli del “Palazzo”», spiega con grande precisione Bidussa. È ancora più chiaro, nelle radici antiche da cui fiorisce, è quando spiega che quel dna culturale porta con sé «il solito pret-à-porter del complottismo», ossia «un’interpretazione paranoica della realtà (….) indicativo di un’intera impalcatura mentale» che genera la condizione bipolare (o schizofrenica) in cui convivono «angoscia e sollievo». Angoscia perché saremmo prigionieri di forze oscure, sollievo perché nulla è incomprensibile, e tutto ha una spiegazione tragica nella volontà del potere di pochi, che ovviamente sono altri da noi.

Bidussa torna così sui passi, importantissimi, che da studioso muoveva ormai una quindicina di anni fa, quando nel Mito del bravo italiano scopriva la tendenza lunga che il nostro popolo coltiva con costanza che meriterebbe miglior causa: la tendenza, cioè, ad autoassolversi, e anzi a commiserarsi pensandosi sempre come vittime e mai come carnefici, anche se messi di fronte a prove schiaccianti. Quella tendenza, per smettere con la filosofia e tornare alla storia, che prima portò un popolo a invocare il fascismo contro una élite misteriosa che complottava contro di lui, e poi a considerarsi vittima di una dittatura sanguinaria che aveva evidentemente complottato per sé, e contro quel “povero” popolo.

Quella stessa tendenza che, tanti anni dopo, portò un paese (quasi) al completo ad applaudire chi lanciava monetine alla politica, per poi trovarsi vent’anni dopo a trovarsi invecchiato mentre scopriva che chi si era promesso nuovo, giovane, diverso, non era altro che simile, già vecchio ed uguale, e in fondo lo era sempre stato. Maledetti questi approfittatori senza scrupoli, o questo popolo credulone e privo di coscienza critica, di cultura, di memoria? Entrambi, sicuramente, ma – chiosando Bidussa, ed anzi rilanciando la palla nel campo del nostro maestro – non solo loro. Perché nel prezioso lavoro di Bidussa, in questo viaggio tra “i purissimi” che ci lascia senza scampo e con l’amaro in bocca a sentire il nostro sapore, manca forse qualcuno sul banco degli imputati. Mancano le élite italiane, quelle dei Padroni del Vapore di Ernesto Rossi, non il popolino che credette a questo o a quell’imbroglione, ma gli intellettuali, i banchieri, gli imprenditori e le loro associazioni, pronti ad alzare il sopracciglio fino a un minuto prima, e poi ad abbassarlo mezz’ora dopo le assortite marce su Roma, per sedersi a trattare il meglio per sé, in cambio di tutto quel che serviva.

La pezza peggio del buco

L’assessore di Regione Lombardia Mario Mantovani si scusa per le sue schifose parole riprese in video (ne ho scritto proprio oggi qui).

Come si scusa?

In serata Mantovani ha fatto arrivare le sue scuse “se qualcuno ha inteso le mie parole come una raccomandazione”. Ma ha sostenuto che quelle dichiarazioni sono state solo un “incitamento” ai giovani.

Così Mantovani si conferma un’offesa all’intelligenza, oltre che all’etica.

Sfacciati, impuniti, eppur sopportati

Io mi chiedo quando si smetterà di affidarsi a tutti i costi ad una “moderazione” politica che suona quasi come collusione con questa feccia che tiene da decenni sotto scacco in Lombardia. Le parole di Mantovani durante il suo comizio nella città di Arconate evidenziano la solita arroganza di una classe dirigente che è la solita da Formigoni a scendere. Nonostante risulti chiaro che Maroni sia garante di vecchi equilibri e soliti modi sembra che perduri un atteggiamento di tolleranza (se non addirittura di “credibilità politica”) da parte del centrosinistra: le solite buone maniere che (si può dire?) hanno portato alla sconfitta elettorale alle ultime elezioni regionali (“bruciando” tra l’altro una persona validissima come Umberto Ambrosoli) e che sembrano sempre di più sclerotizzate nelle proprie posizioni. Quanto somiglia al suo EXPO questa Lombardia.

Le parole di Mantovani:

“Ho trovato tanti posti di lavoro. Adesso per esempio ho nelle mie disponibilità, perché voi me le avete consentite eleggendomi in Regione Lombardia, anche di segnalare delle persone. Ho bisogno di direttori generali, ho bisogno di persone che me lo chiedono. Anche lo Stomatologico di Milano me lo sta chiedendo. Io… come prima cosa mi vien da segnalare la gente di Arconate”.