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Giulio Cavalli

Era iscritto al PD

Conosco persone sospese dal partito per divergenze con il barone locale (come in tutti i partiti), invece Primo Greganti era tesserato, senza problemi:

Perché “il compagno G”, torinese di nascita, ex operaio Fiat, travolto da Tangentopoli nel 1993 e finito in manette ancora una volta 21 anni dopo con l’accusa di far parte della “cricca degli appalti” dell’Expo 2015, dagli ambienti del Pd non si era mai definitivamente allontanato. Con buona pace dei dirigenti, che oggi prendono le distanze.

Greganti, infatti, confermano dalla segretarie provinciale Pd di Torino, risulta essere stato iscritto nella quarta circoscrizione torinese San Donato (quartiere Parella) negli anni 2012 e 2013 e proprio in questi giorni avrebbe dovuto rinnovare la tessera per il 2014.
Una quota associativa che però, appunto, potrebbe non versare mai. Visto che in caso di arresto o di “dubbia condotta” le regole del partito sono molto precise. E il compagno “G” non fa eccezione.

“Dopo la notizia dell’arresto è scattato immediatamente il provvedimento di sospensione cautelativa – spiega il segretario provinciale del Pd di Torino Fabrizio Morri – ovviamente se in queste settimane dovesse chiederci di iscriversi anche per l’anno corrente non glielo consentiremo”.

Fuori da Pd, dunque. Anche se fino a pochi mesi Greganti presenziava a molti degli eventi locali del partito, come quello di pochi mesi fa al teatro Carignano di Torino durante la prima iniziativa pubblica in sostegno alla candidatura alla Regione Piemonte di Sergio Chiamparino. Dove il “compagno G” è stato visto in prima fila. (link)

Expo: la grande incompiuta

L’Expo rimarrà una grande incompiuta, con tutti i danni di immagine che ne deriveranno per l’Italia e per Milano. Legalità contro efficienza. Come tante volte è accaduto in questo paese, come sempre più sistematicamente è accaduto a botte di commissari straordinari, emergenze e urgenze internazionali. Si è arrivati perfino a sostenere, con argomenti giuridici surreali, che per l’allestimento dei padiglioni stranieri non debbano valere i protocolli, mica si può imporre la nostra legge agli stranieri. Ci si è perfino avventurati a teorizzare che questi padiglioni, in quanto rappresentanza di specifici Stati esteri, debbano essere equiparati alle ambasciate. Un gigantesco extra legem. Quel che è accaduto in un clima di accondiscendenza intellettuale ha avuto evidenza pubblica. Tanto che chi aveva il compito di offrire suggerimenti proprio in tema di rischio mafioso era stato facile profeta: dopo avere perso due anni solo per nominare l’amministratore delegato di Expo, ci sarebbe stata la corsa finale per trasformare in nemico della patria chi avesse sollevato qualunque problema di legalità.

Le parole (più che condivisibili) di Nando Dalla Chiesa.

La società incivile

Già, la legge è uguale per tutti. Il procuratore l’ha ripetuto più volte durante la conferenza stampa che si è tenuta stamattina al centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. «Se in un’inchiesta emergono gli invisibili, questi avranno lo stesso trattamento di tutti gli altri». Così è finito nella rete l’ex ministro Claudio Scajola. «Fa impressione il fatto che una persona, in passato con ruoli di vertici nello Stato, si occupi di un condannato per reati di mafia. Queste condotte hanno delle ripercussioni sulla cittadinanza, che non sa più di chi fidarsi. Il cittadino nel momento in cui esprime il proprio voto cerca rappresentanti che curino l’interesse generale. Invece capita di scontrarsi con una realtà ben diversa: i principi etici non sono rispettati da tutti. Il che ha delle conseguenza sulla credibilità dello Stato. Il nostro compito è dare segnali di certezza. Evitare, cioè, la confusione tra bene e male, tra legale e illegale. Una commistione che in questa città è molto forte. Abbiamo un dovere di responsabilità soprattutto nei confronti di quanti per lo Stato hanno dato la vita. Il rispetto delle leggi deve affiancarsi al valore dei comportamenti etici».

Il procuratore De Raho è approdato a Reggio Calabria dopo tantissimi anni nella trincea napoletana a combattere il Clan dei Casalesi. Mentre i boss di Gomorra stanno pagando a caro presso i loro crimini. Non è lo stesso in Calabria. «Qui nulla è cambiato. Le cose sono rimaste le stesse nonostante i processi e le condanne. Le cosche che dominavano un tempo sono sovrane ancora oggi. Il motivo è da ricercare in quella rete segreta che ha permesso alla ‘ndrangheta di crescere e di indossare gli abiti dei professionisti». Insomma, le complicità della «società incivile» – così il procuratore ha definito gli insospettabili al servizio dei clan – sono la vera forza della mafia calabrese.

Giovanni Tizian per L’Espresso.

La cor­ru­zione in Ita­lia è così dif­fusa che è pra­ti­ca­mente impos­si­bile cer­care di porvi rime­dio per via giu­di­zia­ria

No, secondo me è un pro­blema di cul­tura. Se si trat­tasse sol­tanto di leggi, quelle che puni­scono la cor­ru­zione ci sono. Non sono per­fette, ci man­cano una sacco di cose ma ci sono. Credo invece che sia pro­prio un pro­blema di cul­tura, di modo di pen­sare. La cor­ru­zione in Ita­lia è così dif­fusa che è pra­ti­ca­mente impos­si­bile cer­care di porvi rime­dio per via giu­di­zia­ria, occorre inter­ve­nire attra­verso sti­moli edu­ca­tivi. Leggi più severe non ser­vono. Vede le leggi c’è il pre­cetto, che dice cosa è vie­tato, distin­gue quello che è lecito da quello che è ille­cito. Ora que­sta parte cer­ta­mente è uti­lis­sima, però non serve a mio parere per­ché com­porta gene­ral­mente solo il car­cere, che invece di aiu­tare a mar­gi­na­liz­zare la devianza alla fine la faci­lita. Se noi usiamo la san­zione per ren­dere vero il pre­cetto, va a finire che ci mor­diamo la coda.

Un’intervista a Gherardo Colombo che vale la pena leggere.

Può diventare una favola la violenza sui bambini?

copertina libroHo provato a rispondere alla domanda quando per lavoro ho studiato i numeri del turismo sessuale su minori, orrore internazionale in cui noi italiani purtroppo eccelliamo. Credo che la parola sia un balsamo, certo, e come i balsami spesso ha bisogno di bruciare forte sulla ferita prima della sua cicatrizzazione. Eppure non credo e non voglio limitarmi a pensare che le storie troppo nere possano al massimo bussare alle porte della cronaca senza provare a volare nei cieli della letteratura. Non che questo mio Bambini a dondolo sia letteratura, per carità, ma è un tentativo di raccontare il pelo utilizzando i petali e di osservare l’ingenuità dei bambini usata come arma per demolire i soprusi. Forse funziona e forse no. Sta a voi deciderlo. Però a questo librino tengo moltissimo. Per tutte le informazioni sul libro cliccate qui. Per i commenti, le domande basta commentare qui sotto.



Su Sonia Alfano

Mi sono permesso di scrivere dal mio limitato punto di vista di amico ma credo possa aprire anche riflessioni politiche:

E quindi ora se ne può parlare, definite le liste per le candidature alle elezioni europee, finiti i proclami e i contro proclami e soprattutto esaurita la memoria breve della politica italiana e degli italiani. Sonia Alfano non è stata ricandidata. Non è un dramma, per carità, e sicuramente avrà modo di mettere a frutto le proprie competenze in qualche altro campo in un modo ugualmente fruttuoso ma la mancata candidatura dell’attuale Presidente della prima forma di “commissione antimafia” in Europa (lei che l’ha voluta, tra l’altro) mi riporta all’esperienza personale (e approfondita più volte) del limite del tifo e della devozione in politica e l’umanità come debolezza. Questo è un post sugli affetti, non politico.

Il mio articolo per L’Espresso lo potete leggere qui.

Non ci rendiamo conto di quello che ci succede a causa della situazione del mondo.

“Non ci rendiamo conto di quello che ci succede a causa della situazione del mondo. Il degrado del linguaggio, la distorsione paranoide dei valori, l’anonimità delle relazioni e l’idea romantica che l’amore individualistico possa salvarci, la sensazione che il sistema sia immensamente più grande di noi e che di fronte ad esso siamo impotenti, la televisione che ci osserva, il pericolo di essere spiati, noi trasformati in oggetti e le cose in soggetti” 

James Hillman