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Giulio Cavalli

La normalizzazione e le strumentalizzazioni

IMG_1281Ho letto con attenzione il post dell’onorevole del Movimento 5 Stelle Roberta Lombardi con cui si difende dalle accuse di filofascismo piovute un po’ da tutte le parti per le sue dichirazioni su Casapound. Dico subito che non mi interessa più di tanto entrare nel merito della disputa essendo profondamente antifascista, iscritto all’ANPI e dalle posizioni chiare. Mi interessa però leggere le parole con cui i capigruppo di Camera e Senato del Movimento si dichiarano sotto attacco e sotto assedio per ogni virgola che esca dalla loro bocca: ebbene sì, è il controllo democratico, signori, quella pressione che garantisce il rispetto delle regole e la conoscenza dei particolari. Ogni volta che sento parlare di “strumentalizzazioni” in politica penso a quanto sia duro pensare che l’esposizione pubblica di ognuno di noi (e non solo politica) ci sottoponga ad un’attenzione mediatica che ci rende ancora più responsabili nelle nostre parole e nelle nostre azioni. E’ la stessa pressione che ha dato così tanta soddisfazione a Beppe Grillo e i suoi mentre veniva compiuta dalla rete e ora si deve gestire dall’interno del palazzo. Per questo non mi interessano tanto le parole scritte e le varie interpretazioni sul fascismo della Lombardi quanto questo fastidio nell’essere osservati. E’ la politica, bellezza.

Stavate arrivando e ora siete arrivati

(Vale la pena anche leggere Alessandro qui).

30 euro al voto

Succede a Milano. Con di mezzo la camorra:

polizia-arrestoMaxi operazione dei carabinieri di Monza tra la Lombardia e la Campania per smantellare un’organizzazione camorristica che aveva stretti rapporti con ambienti della politica brianzola. L’indagine, denominata ‘Briantenopea’, ha avuto inizio nel 2010, da una rapina a un punto Snai a Gorgonzola nel mese di maggio, a cui sono seguiti altri due simili episodi a Brugherio ed Arcore, che hanno permesso, con intercettazioni e pedinamenti, di mettere in evidenza l’operatività di una “radicata associazione per delinquere composta, prevalentemente, da soggetti italiani di origine campana di elevato spessore criminale, in contatto con esponenti di clan camorristici del napoletano come Gionta e Mariano. Il nome più in evidenza è quello di Giuseppe Esposito, detto ‘Beppe ‘u curtu’. 

I carabinieri del gruppo di Monza hanno eseguito 43 ordinanze di misura cautelare, di cui 35 in carcere e 8 arresti domiciliari, nelle province di Monza, Milano, Lecco, Padova, Napoli, Avellino, e Salerno. Tra gli arrestati c’è anche l’ex assessore all’Ambiente e al Patrimonio del Comune di Monza, Giovanni Antonicelli (Pdl), a cui è stato contestato il reato di associazione a delinquere, come ad altri 20 soggetti. In sostanza, in cambio di voti, l’ex assessore avrebbe favorito gli affari del clan. Proprio sulla compravendita dei voti l’organizzazione avrebbe addirittura stilato un tariffario che andava dai 30 euro per il singolo ai 50 euro per il voto di un’intera famiglia. 

Due i fronti sui quali la magistratura di Monza, coordinata dal sostituto procuratore Salvatore Bellomo, ha concentrato le attenzioni nei confronti dell’ex assessore Antonicelli. Il primo è relativo alla manutenzione degli alloggi Aler, incarico affidato alla Pmg; il secondo riguarda la raccolta dei rifiuti nel capoluogo brianzolo, da anni affare della Sangalli. A giugno, la guardia di finanza si era presentata in Comune per acquisire materiale proprio sugli appalti delle case popolari e della raccolta rifiuti. Un passo a cui si era arrivati dopo che i carabinieri di Monza avevano messo in relazione una serie di scenari anomali su tutto il territorio. Scenari che hanno portato gli inquirenti a parlare di una vera e propria ‘enclave’ camorristica sul territorio di Monza in grado di respingere perfino tentativi di espansione della ‘ndrangheta.

I reati contestati in generale vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di gravi delitti quali rapine, estorsioni, usura, furti, ricettazione, al riciclaggio, spaccio di banconote false, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di armi e di reati contro la pubblica amministrazione. Citato ma non indagato, anche un ex consigliere comunale milanese del Pdl Renzo De Biase, in carica nella scorsa legislatura.

Direzione nazionale SEL, facciamolo anche noi

Il PD ha deciso che la direzione nazionale del partito di martedì sarà in diretta tv streaming. L’idea è stata lanciata e messa in atto dal Movimento 5 Stelle proprio oggi (con risultati che ognuno è libero di giudicare come meglio crede). Riprendere le buone pratiche degli altri è segno di autocritica e umiltà e fa bene a tutti, ancora di più se lo fanno anche i nostri alleati. Quindi la domanda è semplice: non vale la pena che siano in streaming anche le direzioni di SEL?

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Intendiamoci, io non ho niente contro la democrazia, ma io la fonderei piuttosto sulla coglionaggine.

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– E nessuno che ascolta.
– Non siamo più capaci.
– L’altro giorno, son venuti da me dei testimoni di Genova.
– Geova.
– E hanno detto che ai nostri giorni non c’è più nessuno che ascolta. Come noi.
– Noi invece ci ascoltiamo.
– Ma dicono che nessuno ascolta.
– È vero.
– E quando gli dico di dirmi quello che gli sta a cuore, che io son capace di ascoltare perché mi han dato un’educazione, non come ai nostri giorni…
– È una parola quasi dimenticata.
– Esatto. Allora quando gli ho detto così, mi hanno detto che avrei trovato tutto nella Bibbia e me ne hanno voluto vendere una per cento corone. Che ci avrei trovato la via. In una libreria, hanno detto, mi sarebbe costato almeno trecento cinquanta.
– La via è sempre più cara.
– Ma chiacchierare, no, non hanno voluto.
– È una cosa rara, oramai.
– Forse non erano dei testimoni di Genova.
– Geova.
– Forse erano dei Mermoni.
– Mormoni.
– Sì.
– Che non hanno la bibbia. Hanno la loro.
– Ma ce n’è solo una, di bibbie.
– Una santa, sì, ma ce ne sono anche delle altre.
– Allora non erano dei Mermoni.
– Mormoni.
– Sì.
– Si vede di no.
– Forse eran quegli altri, lì, del settimo giorno.
– Gli avventisti.
– Sì. Oggi qualsiasi abbrutito crede di avere il diritto di parlare.
– Sì.
– Se è questa, la democrazia…
– È questa.
– Lei ha senz’altro ragione. Ma a cosa serve?
– È democratica.
– Sì, e allora?
– Son d’accordo con lei.
– L’altro giorno, il presidente, per radio, ha detto che la democrazia si fonda sull’intelligenza.
– Non è mica una bestialità.
– Forse. Ma quanta ce n’è di intelligenza, qui?
– Non tanta.
– Vede?
– Lei forse ha ragione.
– Intendiamoci, io non ho niente contro la democrazia, ma io la fonderei piuttosto sulla coglionaggine.
– Sarebbe più semplice.

[Patrik Ourednik, Classé sans suite, Paris, Allia 2012, pp. 63-64]

Due parole sul futuro che ci aspetta (e ci spetta)

Una mia intervista ad Affari Italiani che (a parte il titolo) dice due o tre cose che penso:

Schermata 2013-03-04 alle 13.28.00di Fabio Massa

Giulio Cavalli è uno dei leader di Sel in Lombardia. In un’intervista ad Affaritaliani.it attacca la dirigenza del partito, dopo che alle ultime elezioni non hanno ottenuto neppure un seggio al Pirellone. “Noi fuori? Colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio. Sel? Bisogna che si faccia il congresso. Civati segretario del Pd? Sono pronto a seguirlo, sono a sua disposizione perché le sue idee sono anche le mie”

Giulio Cavalli, Sel è morta?
Non siamo morti. Abbiamo un progetto da rivedere perché abbiamo perso.

Siete fuori dal consiglio regionale lombardo.
Non abbiamo perso solo perché siamo fuori. La politica non si fa solo dentro o fuori. Abbiamo perso perché non abbiamo numeri che dicano che siamo vagamente convincenti. Il problema non è avere o no i consiglieri. Il problema è riuscire ad essere credibili: l’1,8 per cento non è abbastanza.

Di chi è la colpa?
E’ colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio, di una perversione di Sel di accodarsi al Pd per poi svicolare in modo labirintico. La sinistra ha mostrato di vincere quando fa la sinistra, sul modello Pisapia, e non quando scimmiotta il centro.

Pisapia è stato tra i main sponsor di Ambrosoli.
Pisapia prenderà le responsabilità politiche anche di questo. Perché dobbiamo prenderle solo noi?

Adesso che cosa succederà? Passa nel Partito Democratico.
No. Io penso che adesso bisogna capire Sel che cosa fa. Se vuole rimanere la correntina esterna, che poi visti i numeri significa un “refolo”, del Pd, mi pare non valga la pena. Se vuole raggiungere risultati importanti allora bisogna che riprenda a dialogare con pezzi con i quali ha smesso di dialogare da qualche tempo. Avevo scritto che il progetto era fare in modo che questa sinistra fosse meno diffusa a livello di partiti e un po’ più diffusa a livello di percentuali.

Lei che cosa farà?
Io sono un umile servitore nella vigna di Sel. I dirigenti si prendano le loro responsabilità.

Quindi?
Quindi in fase congressuale ci saranno delle linee da rivedere e da decidere nuove linee e nuove sintesi.

Lei parteciperà in maniera attiva al congresso?
Io faccio politica scrivendo libri e facendo spettacoli teatrali. Dentro Sel ho trovato tantissima gente che ha la stessa idea di Paese che ho io. Non permetterò che per spirito di autoconservazione basti ai dirigenti il fatto di aver ottenuto un posto ma che si lavori sempre come una chiave collettiva di ideale.

In questa sconfitta Chiara Cremonesi ha qualche responsabilità?
Non più di quante ne abbia io. Poi devo dire che in tutti i partiti si tenta in ogni modo di fare campagne elettorali che somigliano da fuori a masturbazioni interne.

Se Pippo Civati divenisse segretario del Partito Democratico lei seguirebbe il suo amico?
Io penso che il Pd non sarebbe più il Pd. Il partito di Pippo Civati ha la stessa agenda politica che ho io. Sicuramente sarei a disposizione di Pippo perché possa fare in modo che le sue idee, che sono anche le mie, possano essere maggioranza.

Libera tavola

CL230x126_8608E’ uscito. Le info qui.

Ricette d’autore dalle terre confiscate alle mafie. Con contributi di Andrea Camilleri, Rita Borsellino, Roy Paci, Allan Bay, Giulio Cavalli e tanti altri. 

di Jacopo Manni, Lorenzo Buonomini (Terre di Mezzo Editore)

Ottimi ingredienti coltivati sulle terre confiscate alle mafie sono combinati in preparazioni originali e tradizionali insieme: dalle maglie siciliane al pesto trapanese al pancotto di cavolo nero, mozzarella di bufala e crema di patate, dal timballo di caserecce ai fagottini “primavera” ripieni di verza viola con crema di cicerchie. Sette menu tematici promuovono in modo divertente e gustoso la lotta alla criminalità organizzata direttamente nel piatto.  

In più le ricette e i ricordi di chi si è speso in prima persona contro la cultura mafiosa. Scrittori, giornalisti, uomini e donne di spettacolo, politici, ma anche chef stellati, ci hanno regalato piatti speciali che hanno per protagonisti i sapori della legalità.

ISBN: 978-88-6189-237-8
Pagine: 176

 

Le categorie e i tipi umani cioè io

1giostraC’è qualcosa che mi sfugge nella lettura della politica che si sta propagando in questi ultimi anni. Fermi tutti: non voglio parlare di crisi di governo di soluzioni salvifiche o di alleanze per un nuovo centrosinistra. Niente di tutto questo. Parlo proprio di politica, quella con la p maiuscola che sta nei modi (e nei mondi) dello stare insieme, nel come ci guardiamo negli occhi, ci stringiamo la mano, interpretiamo il nostro essere colleghi, compagni, amici, amati o conoscenti.

Quando ho cominciato a fare politica (che poi seguendo il mio incipit si potrebbe dire “mai” nel senso di “da sempre”) mi sono accorto di un meccanismo perverso che ammalia tutte le classi intellettuali senza distinzioni di reddito o di istruzione:  la politica si può fare se eletti e una volta eletti si entra in un maleodorante pentolone da cui non ci si riesce a sciacquare nemmeno per tutti gli anni a venire. E non è un caso che quando si parla di impegno politico si usino diversi verbi di spostamento (scendere, salire, buttarsi) dando per scontato che la politica si trovi comunque “altrove”, in luoghi diversi secondo i partiti e le inclinazioni ma comunque non qui. Dove “qui” sta a significare il pascolo delle persone normali e i politici quindi diventano merce rara da riverire o vaffanculare a seconda dei propri umori; l’importante è che il sentimento sia comunque iperbolico.

Ecco, io non so se veramente il politico più lucido di tutti questi anni ad esempio non sia stato Don Ciotti, o forse il Ministro della Salute Internazionale non sia stato Gino Strada e Pasolini alla Coesione Sociale e Fo alla Cultura più di quanto non abbiano fatto molti altri ministri di cui non ricordiamo il nome se non è rimasto attaccato a qualche riforma da macelleria sociale. Come se il campo politico (o meglio sarebbe dire dei “condizionamenti sociali e culturali” che sono poi politica) si sia versato (ed è un bene) dappertutto e tutti continuino a fissare un bicchiere pressoché vuoto con solo i fondi di qualcosa che è Stato.

Quando ho cominciato a fare teatro, nella torbida provincia di Lodi per intendersi, in molti mi dicevano che “non era cosa”, che bisognava stare abbottonati senza lanciarsi in sfide senza prospettive (e senza reddito, perché che con la Cultura non si mangia l’ha detto uno ma lo pensano in molti). Quando la nostra sbrindellata compagnia ha cominciato a fare spettacoli proprio a forma di spettacoli che ormai non si potevano più annoverare tra le recite ci hanno detto che avevamo avuto fortuna e le conoscenze giuste. Così ci avevano detto. E tutti noi a chiedersi se veramente non fossimo riusciti a costruire un enorme assalto al mondo dello spettacolo lodigiano con macchiavellica incoscienza, roba da starci in analisi per qualche decina d’anni, per dire.

Poi abbiamo iniziato a costruire spettacoli “di teatro civile” (sì, lo so, civile e incivile sono cartellini buoni per un’esposizione fieristica ma volevo semplificare perché mi sta uscendo l’articolo più lungo degli ultimi mesi e mi chiedo sempre se viene la voglia di leggerlo tutto, un articolo del genere) e ci hanno detto che volevamo fare politica. Proprio così: troppo politicizzato, mi dicevano, anzi peggio, troppo comunista, barbone e capelli lunghi e tutte quelle cose lì che si dicono a quelli comunisti con la barba e i capelli lunghi che scrivono qualcosa che abbia cognomi di persone vere con condanne vere. Non si stava nemmeno male a fare il politicizzato: ti chiamano a fare il teatrante ma ti trattano da compagno come dovrebbero trattarsi i compagni sapendo che non ti sarebbe mai venuto in mente di prendere una posizione in un Congresso. Un compagno ma non troppo, nei luoghi e nei modi giusti, di quei compagni messi in condizione di non potere nemmeno sbagliare, direi.

Poi ci siamo detti che è una cosa strana questa cosa di dovere fare il politicizzato figlioccio dei politici (quelli della lettura propagata in questi ultimi anni) e alla fine non essere quasi mai d’accordo con loro, e fare la corrente di minoranza da un palcoscenico dietro le quinte non è proprio cosa, troppo fuori scena, troppo oscena. Facciamo politica, ci siamo detti. No, non farla, a ciascuno il suo, mi hanno risposto. Ed è una delle risposte che mi ha fatto arrabbiare di più di tutti questi ultimi anni. Poi siamo stati eletti. E’ stato eletto perché ha giocato la carte del vivere sotto scorta, mi dicevano.

Perché in tutto questo enorme catalogo di tipi che mi sono ritrovato ad attraversare c’è anche il fenomenale uomo scortato che in questa Italietta di stomaco e bocca piuttosto che cuore e cervello è una garanzia. Ma di questo ne ho già scritto e detto fin troppo e non tocca tornarci su. Per chi vuole informarsi c’è in giro parecchio materiale.

Ora succede anche che mi capiti (che fortuna) di scrivere. Scrivere proprio a forma di scrivere nel senso di libri a forma di libri. Quando per la prima volta avevo confessato di sognare un libro mi hanno guardato come mi hanno guardato quella volta lì che dicevo di volere fare teatro.

Poi è successo che nella vita si fanno delle scelte e ogni tanto la famiglia si declini al plurale. E allora diventano famiglie e diventa una scelta che in questo cattolicissimo Paese di preti troppo banchieri e puttane troppo parlamentari un padre che si separa è sempre un padre dissennato. Figurati poi se il letteratissimo, scortatissimo, politicizzatissimo decide di accompagnarsi con una donna di un’altra specie: vergogna, vergogna, una delusione, uno spreco, tutti uguali (e non si capisce mai chi a chi) oppure come scriveva De Gregori e poi tutti pensarono dietro i cappelli lo sposo e’ impazzito oppure ha bevuto. Anche su questo di materiale ce n’è fin troppo in giro ma non lesinerò una mia spiegazione una volta per tutte nei prossimi giorni, perché il sassolino voglio tenerlo in mano per qualche minuto anch’io.

Ora siamo qui, nella terra di mezzo come direbbe l’amico Fois, e in fondo ci sembra di essere nel luogo dove siamo sempre stati. Ma comincio a trovare noioso questo accalappiacani che vorrebbe insegnarci i tipi, le etichette e le normomodalità. Facciamo la nostra parte. In tutte le parti in cui ci è possibile dire qualcosa.

Se vi disturba, beh, se vi disturba allora funziona.

Niente sbaraccamenti

La rovina non sta nell’errore che commetti, ma nella scusa con cui cerchi di nasconderlo. (Massimo Gramellini, L’ultima riga delle favole, 2010)

19091_19091C’è in giro una certa voglia di sbarazzo. Le parole sono importanti (diceva quel tale che chiedeva di dire qualcosa di sinistra) e questa delusione che si spegne nella voglia di sbarazzarsene è un irresponsabile “fuori tutto” piuttosto che un sano trasloco per trovare luoghi e temi per una nuova slanciata connessione. Il tema non è da poco: ogni volta che un minuto dopo le elezioni si passa all’idea della smobilitazione si inquinano le mobilitazioni degli ultimi anni e si mina la credibilità delle successive. La responsabilità di questo momento (anche e soprattutto per SEL, qui in Lombardia) è la credibilità di ciò che abbiamo detto, di ciò che vogliamo fare (perché la politica è diffusa, un po’ come la sinistra) e dell’analisi dei nostri errori.

Diciamocelo, per favore: abbiamo perso. Proviamo anche a ripetercelo se serve per fissare il punto e renderlo collettivo. Abbiamo lavorato per una vittoria di Ambrosoli che aprisse scenari importanti e ci ritroviamo con Maroni governatore e lo stallo patafisico in Parlamento. Volevamo la discontinuità e ci terremo Formigoni come commissario EXPO e padre putativo di una garanzia confermata alle sue lobby ed ai suoi a mci. Abbiamo perso perché volevamo un’altra Lombardia, un’altra sanità, un’altra etica applicata e un’altra visione del futuro, prima ancora di avere perso per non essere entrati nel Consiglio Regionale. Partiamo da qui e avviamo l’analisi, seriamente.

Abbiamo chiesto ad Ambrosoli di essere più appuntito ma siamo stati anche noi punte spuntate.

Abbiamo chiesto discontinuità ma non abbiamo accompagnato la narrazione delle nefandezze (perché sono vergognose nefandezze, lo sappiamo vero?) degli altri con le nostre alternative (magari in modo chiaro, composto e fruibile).

Abbiamo messo in campo una brutta (posso dirlo?) competizione tra politica, civismo, politici prestati al civismo e civili prestati alla politica, avremmo dovuto competere su lavoro, cultura, ambiente, trasporti, piano cave, servizi sociali, artigianato, imprenditoria e terzo settore.

Abbiamo pensato (come sempre negli ultimi anni) Milano caput mundi mentre la Lombardia si snoda tra le valli, le pianure difficili e le montagne. Abbiamo pensato che le “menti” della politica milanese (alcune poi con un po’ di naftalina, posso dirlo?) fossero i luminari della visione d’insieme senza tenere conto dei limiti anagrafici, geografici e di appartenenza (posso dirlo?).

Abbiamo pensato che Maroni fosse invotabile  a prescindere, senza ascoltare cosa si diceva nei mercati.

Abbiamo voluto dare un valore politico al Trota e alla Minetti ripercorrendo lo stesso errore di chi ha voluto dargli dignità politica ponendoli come tema quotidiano mentre la nostra gente fatica già alla terza settimana del mese.

Abbiamo parlato dei diritti dei gay (giustamente) e troppo poco dei diritti degli esodati, delle famiglie quasi a fine mutuo che rischiano il pignoramento dei risparmi di tutta una vita, dei single, delle mamme costrette a scegliere tra un figlio o un lavoro, degli immigrati truffati, dei genitori separati, dei disoccupati e di tutti coloro che pagano i diritti come se fossero servizi o si trovano ad elemosinare riconoscenza politica.

Siamo stati fieri e boriosi dei nostri pregiudizi, convinti che fossero un dovere morale e forse ci siamo dimenticati di articolarli.

Ma non si sbaracca. No. Il lavoro è tanto.

Ed essere incluso in una fascinazione nazionale è deprimente.

televisione“Ho l’impressione che la televisione sia una persona che,argutamente travestita da macchina con pulsanti, da ordigno con valvole ed antenne, tenti di entrare in casa mia. Di questa persona diffido: la sospetto garrula, emotivamente instabile, moralmente dubbia, non immune da una punta di isterismo,alternativamente lacrimosa e ridanciana; soprattutto l’apparecchio televisivo mi pare vittima di un complesso, che definirei coazione a sedurre. Ed essere incluso in una fascinazione nazionale è deprimente.”

(Giorgio Manganelli nel libro con uno dei titoli più belli che si potesse immaginare: Improvvisi per macchina da scrivere)