Vai al contenuto

Scrivere

Le Figaro su “Nuovissimo testamento”

“Nuovissimo testamento” nella sua edizione francese finisce sulle pagine de

@Le_Figaro «Sotto la penna di Cavalli, leggere diventa un atto di resistenza, una dichiarazione di guerra, un attentato. Una distopia come lo sono i migliori del suo genere.»

Cavalli e Scavo “A casa loro” tra inchiesta e palcoscenico

(da Il Cittadino)

La premessa è che «il mare non uccide». E che «ad uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le diseguaglianze che rendono il mondo un inferno se nasci dalla parte sbagliata». Parte dalle coraggiose inchieste di un reporter internazionale come Nello Scavo – classe 1972, dal 2001 firma di “Avvenire”, le sue inchieste sono state rilanciate dalle principali testate di tutto il mondo -, per «provare a raccontare quella parte del mondo che ci illudiamo di conoscere e di poter giudicare guardando le immagini dei profughi mentre invece ci viene nascosta nel buio delle notizie non date», lo spettacolo “A casa loro” firmato dal lodigiano Giulio Cavalli, giornalista (La Notizia, Left, Oggi), autore teatrale, attore, questa sera sul palcoscenico del Teatro Bello di Milano (via San Cristoforo 1) insieme a un altro lodigiano, il chitarrista Federico Rama, come lodigiano è anche il supporto tecnico di Mario Raimondo. «Una nuova piccola comunità teatrale in nuce a Lodi – spiega Cavalli che, dopo essersi concentrato sulla scrittura (il suo Carnaio, Fandango Libri, è stato finalista al premio Campiello 2019) ha deciso di tornare al teatro civile e sul palcoscenico -: con la giullarata “Falcone, Borsellino e le teste di minchia” abbiamo fatto il tutto esaurito, e lasciato fuori un centinaio di persone, a Milano. La verità è che la risposta del pubblico in questo ritorno a teatro è stata eccezionale». E con la giullarata pungente per deridere le mafie, con cui Cavalli pesca nel lavoro fatto con Dario Fo, mercoledì è stato anche a Catania, al Piccolo Teatro di Città, nell’ambito dell’iniziativa della Fondazione Fava che si conclude con la consegna del premio Fava Giovani 2023. 

«Al progetto “A casa loro”, nato come un libro per People, io e Nello Scavo abbiamo iniziato a lavorare quando ancora il tema della migrazioni non era risalito come è accaduto poi – sottolinea Cavalli – e attraverso gli stralci di reportage e le testimonianze raccolte da Nello e da me, si concentra sulle condizioni di detenzione illegale che lo Stato Libico applica ai migranti. Dopo la tragedia di Cutro si è diffusa lancinante comprensione del dolore che obbliga tutti a uscire dalla dialettica politica per rendersi conto che si tratta di un’emergenza umanitaria. Il fenomeno delle migrazioni può essere gestito in base alla propria sensibilità da parte delle forze politiche, soccorrere invece è un pre-requisito dell’essere umani. Su questo tema, il mondo della Chiesa si muove con molto coraggio». •

20230324lodi_43

Migranti, la “denuncia” di Giulio Cavalli. “Prima del mare, i migranti li abbiamo inghiottiti noi”

(fonte)

In un certo senso, il suo è un debutto. Giulio Cavalli arriva a Palermo e con “A casa loro”, monologo sulle migrazioni scritto a quattro mani con il giornalista Nello Scavo, e per la prima volta si esibisce di fronte ad una platea composta in larga parte dai protagonisti dell’opera. In arido gergo burocratico li chiamano “minori non accompagnati”, ma sono i circa duecento ragazzi migranti che negli ultimi due anni hanno seguito il percorso di Harraga2, il progetto del Ciai, in collaborazione con Cledu, Send, Cesie e Comune di Palermo, che con loro ha costruito un percorso di formazione e inserimento nel mondo del lavoro. “È una bella responsabilità – dice Cavalli poche ore prima dello spettacolo in programma stasera al Biondo –  ed anche una sorta di verifica di quello che diciamo e come lo diciamo”. Attore impegnato, drammaturgo, scrittore, giornalista, più volte minacciato dai clan e per questo in passato obbligato ad accettare la scorta, torna al teatro. “In un momento in cui tutti siamo invasi da informazioni sempre più mediate, anche solo dagli strumenti che usiamo, è il ritorno a una presenza fisica che permette a chi ascolta che può verificare anche l’onestà intellettuale di chi è sul palco”. E quello delle migrazioni è tema caro, “profondamente umano oltre che tecnico, ancor prima che politico”.

Questo spettacolo ha uno scopo, un obiettivo?

“Riportare la discussione nell’alveo dell’emergenza umanitaria e non della gestione di flussi, parlare di persone. E in questo senso il teatro può essere il mezzo più adeguato”.

“A casa loro” non è stato scritto di recente, ma rimane di straordinaria attualità

“La prima versione è stata scritta quando c’era ancora Gino Strada. Di recente, Nello Scavo e io lo abbiamo rimaneggiato e aggiornato, ma la storia rimane la stessa. È cambiata la narrazione che viene costruita sopra, ma si continua a morire e anche gli appelli, che arrivino da Papa o dall’Onu, rimangono in un circuito endogamico, per cui li legge e li ascolta chi è interessato al tema. I morti li cominciamo a notare solo quando sporcano il tappeto dei salotti, allora andiamo nei salotti”

La strage di Cutro pensi abbia modificato la percezione in Italia?

“In parte sì. Dal mio angolo di osservazione vedo persone xenofobe che sono in difficoltà. Per la prima volta mi capita di vedere persone che sentono la necessità di scrollarsi di dosso una tragedia, quindi vuol dire che la tragedia è particolarmente appuntita. Certo, dover fare dei progressi sociali sulla pelle della gente è di un cinismo devastante”

Un italiano che va all’estero è “un cervello in fuga”, chi viene qui spesso un invasore. Perché?

“Primo, perché gli italiani hanno la fortuna di arrivare in Paesi più civili. In generale, c’è chi non capisce che queste persone non possono salire su un aereo perché non hanno un passaporto che glielo permetta”.

Come si è arrivati a questo?

“Prima di essere inghiottiti dal mare, i migranti li abbiamo inghiottiti noi. Oggettivizzandoli, anzi numerizzandoli, nel senso che per noi le migrazioni sono sempre state numeri. Flussi, numeri, grafici, abbiamo tolto le facce, i nomi. Ed è successo anche  con l’aiuto di utili idioti nel mondo del giornalismo che hanno trattato questo tema come se fosse una questione di statistiche e non di persone”.

Proviamo a fare un esempio

“Basta pensare alla differenza nell’accoglienza tra gli ucraini e quelli che vengono identificati come “i negri”. Per sentirci assolti nel respingerli, dobbiamo convincerci che siano altro da noi. E quelli hanno un particolare che li renda altro da noi”.

La politica che ruolo ha avuto in questo?

“Ieri, dopo il naufragio davanti alla Libia di persone che per giorni avevano chiesto aiuto, la destra e anche pezzi del centrosinistra si sono interrogati per tutto il giorno sui metri in cui sono morte delle persone, per decidere se sia responsabilità nostra. Se ci pensi questo è espressione pura del federalismo, che poi è diventato sovranismo. E questo è il grande danno del nostro Paese, culturale e sociale: averci convinto di avere il diritto di occuparci delle cose più vicine a noi. La  frase “io penso prima ai miei figli, ai miei amici, ai miei parenti” è totalmente sdoganata. Ed è incostituzionale”.

In nome della sicurezza, sono stati approvati decreti in materia di migrazioni, mentre i magistrati lanciano l’allarme sullo smantellamento della normativa antimafia. È un paradosso?

“Quando un sistema criminale diventa sistema di potere scompare dal radar delle emergenze. E in questo Cosa Nostra, ndrangheta, camorra ci sono riuscite benissimo. Nel momento in cui loro non sono più riconosciuti come emergenza, è inevitabile che ritorni l’impunità sotto le mentite spoglie del garantismo”.

E ai migranti identificati come minaccia come si arriva?

“È la percezioni criminale avvantaggiata dall’aspetto tattile. Siccome di mafiosi non hai più la sensazione di incontrarne uno per strada, anche se magari lo hai votato, e invece i migranti li incroci per strada, è rassicurante soprattutto per quelle persone che non hanno voglia di studiare, di informarsi avere la sensazione di poter riconoscere il pericolo. La riconoscibilità del pericolo fa sentire in grado di proteggersi, tant’è che molti votano non persone in grado di affrontare gli eventuali pericoli, ma coloro che ne danno un’identificazione semplice”.

« A l’autre bout de la mer », ou l’invasion de cadavres !

Titre : A l’autre bout de la mer
Auteur : Giulio Cavalli
Editions : 10/18
Date de parution : 6 janvier 2022
Genre : Roman

Nous sommes ravis de pouvoir vous conseiller ce livre tellement étonnant ! A l’autre bout de la mer est un véritable ovni littéraire, tant pour la forme que pour le sujet.

Commençons par ce dernier : l’histoire se passe dans la petite ville côtière de DF. De bon matin, un pêcheur retrouve le cadavre d’un homme jeune à la peau sombre flottant dans l’eau. Avant que l’on ait pu l’identifier ou commencer une enquête, un second corps est découvert. Et tout à coup, dans ce village paisible, les choses dégénèrent : un amas d’une centaine de morts arrive de la mer. Fait étonnant, ce ne sont que des hommes du même âge, de la même carnation et du même gabarit. Les spéculations vont bon train : résidus d’expériences génétiques ratées, esclaves ou encore aliens !

Tandis que les autorités de la ville s’interrogent pour trouver le fin mot de l’histoire afin d’apaiser tant les anxieux que les hystériques, la première vague s’abat sur DF. On ne parle pas de covid ici mais bien de 25 000 corps qui sont à dénombrer dans ce reflux maritime. Un tsunami de cadavres qui encombrent les jardins, de poids morts qui défoncent tout ce qui se trouve sur leur chemin et de globes oculaires qui s’agglutinent de façon écœurante contre les baies vitrées. Bref, les dégâts en tous genres sont gigantesques. Face à ce phénomène aussi incroyable que répétitif, les autorités de DF sont contraintes de trouver une solution des plus étranges…

On ne vous en dira pas plus, ce serait déflorer l’idée géniale de l’auteur. Imaginez un peu une vague de cadavres déferlant sur les plages du Zoute à l’heure du Gin-to. Que ferait le gouvernement ? A l’autre bout de la mer est le premier roman de Giulio Cavalli traduit en français, espérons qu’il y en ait d’autres ! Des sujets originaux qui dépotent et qui portent à la réflexion sont devenus trop rares.

Quant à la forme stupéfiante susmentionnée, l’écriture correspond au phénomène : de grandes vagues ininterrompues de phrases. Si cela semble rebutant en début de lecture, on est rapidement happé par le récit brut et non édulcoré qui nous emporte dans son tourbillon infernal de mots sillonnant à travers les macchabées et l’eau salée. L’auteur a choisi de décrire l’histoire vue par différents personnages, allant notamment des simples citoyens en passant par le maire ou encore le médecin. Interpellant de voir jusqu’où les Hommes peuvent raisonner avant de mettre leurs limites…

Cette fable cynique d’un peu plus de 200 pages est assurément à mettre en toutes les mains !

(fonte)

Lo Storiofago su Carnaio e Nuovissimo testamento

(fonte)

Giulio Cavalli è una figura poliedrica e originale nel panorama artistico e letterario italiano: autore, regista e attore teatrale, giornalista e scrittore. Nei suoi lavori a teatro ha sempre toccato temi molto delicati e scomodi, dal turismo sessuale minorile fino ai “riti e conviti” mafiosi (ne sono seguite minacce mafiose di morte e una vita sotto scorta). Come giornalista collabora con Fanpage.it, con il giornale online TPI e Left, per cui cura la rubrica “Il Buongiorno di Giulio Cavalli” visibile ogni giorno anche su Facebook in forma audio, video e scritta. 

Negli ultimi suoi due romanzi, “Carnaio” (2018) e “Nuovissimo testamento” (2021), difficilmente classificabili in un genere letterario, (si possono definire distopici, iperbolici o altamente metaforici), ha tratteggiato un affresco spietato della nostra società al limite del fiabesco, due fiabe irrimediabilmente oscure, ma quanto mai realistiche. In mezzo c’è stata “Disperanza” (2020), una raccolta di fragilità, messaggi ricevuti dall’autore che costituiscono una riflessione sulla nostra società, che mira a riscoprire ottimismo e positività, come una vera e propria cassetta degli attrezzi per continuare a sperare.

Finalista al Premio Campiello 2019, Carnaio è un romanzo che per certi versi ricorda il Saramago di Cecità, non solo per l’evento insolito che irrompe nella realtà, ma anche per lo stile narrativo magmatico di mescolanza tra prosa e dialoghi tipico dello scrittore portoghese. Una metafora che diventa iperbole, grottesco, assurdo, ma allo stesso tempo resta strettamente legata alla realtà contingente. La trama, in breve. DF, una cittadina italiana su una costa non ben definita, viene inondata di cadaveri che arrivano non si sa da dove, forse da un Paese dall’altra parte del mare. All’inizio i ritrovamenti sono singoli, poi man mano le maree di morti che si riversano sul paesello diventano sempre più grandi. La comunità applicherà soluzioni incredibili, orribili ed estreme non solo per sopravvivere, ma per usare questa “calamità” a proprio vantaggio. Un libro importante, da leggere per cercare di leggere l’oggi.

Anche nel successivo Nuovissimo Testamento Cavalli indaga la società odierna, con i suoi vizi, la sua apatia, le sue battaglie perse, attraverso una serie di metafore che colgono nel segno. In uno Stato dove la vita di ogni cittadino è quasi del tutto regolamentata da ordinamenti implacabili (ad esempio la vita di coppia deve seguire dei protocolli ben precisi) e dove i sentimenti sono in qualche modo, non rivelo come, tenuti a bada, un manipolo di rivoluzionari male in arnese lotta per la liberazione delle coscienze. Ma c’è un risvolto imprevisto, che accenno soltanto, senza fare spoiler sulla trama: se tutti si è assuefatti a un regime o a una dittatura morbida le scelte sono comuni, praticamente eterodirette, ma se si lascia a ognuno la libertà di azione e di auto determinazione, si deve anche accettare l’ipotesi che la maggioranza non la pensi come noi. La libertà comporta la diversità di opinioni e di vedute. Un romanzo che non può lasciare indifferenti, anche perché, se alziamo un po’ le antenne…ci siamo dentro ogni giorno.

The Book Advisor recensisce Carnaio

Tempo fa, durante la preparazione di un progetto accademico, mi sono dedicato ad approfondire il tema della migrazione, e una delle analisi che mi è rimasta più impressa è stata quella del Prof Bañon Hernández, che si è occupato dello studio della terminologia utilizzata per raccontare il fenomeno migratorio. L’associazione ricorrente è quella che riporta a eventi climatici di grande impatto (flusso, ondata, etc) che creano un effetto di preoccupazione e di allarme nell’opinione pubblica connotando negativamente l’immigrazione, identificata di conseguenza come un pericolo.

Inizio da questo concetto per raccontarvi Carnaio di Giulio Cavalli, un libro il cui titolo risulta già piuttosto eloquente, perché in maniera cruda ci mette davanti a una storia di orrore e cinismo nella quale si ritrovano tanti, forse anche troppi, punti di contatto con la realtà attuale. Siamo a DF, una città costiera situata in un posto non specificato dell’Italia, luogo senza arte né parte in cui i cittadini conducono una vita mediocre. Un giorno, però, la città viene travolta da un’ondata di centinaia di migliaia di cadaveri di stranieri, che piombano sulle spiagge e sulle strade riversati direttamente dal mare. È una vera e propria catastrofe, perché nessuno riesce a capire da dove provengano questi morti, che sembrano sputato violentemente dal mare. Ed è così che, chiamata a reagire, la comunità cerca un sistema per affrontare l’emergenza, trovando una soluzione decisamente sorprendente.

“Eppure i morti quando non c’è occasione di salvarli e quando, come nel nostro caso qui a DF, non c’è stato nemmeno il tempo di vederli vivi, oserei dire nemmeno di immaginarli vivi poiché questi morti sono inumani come un esercito di soldatini di plastica, gemelli in pose che non ci crederebbe nessuno, cadaveri che se fossero vivi morirebbero di crampi dopo un quarto d’ora per la tensione di mirare il niente, quando i morti sono così non sono morti: sono materia che occupa spazio e richiede cure come un vaso di gerani mollato in mezzo al salotto”.

Carnaio di Giulio Cavalli è un libro durissimo, costruito su un climax di cattiveria e di violenza, che racconta come il cinismo sia in grado di disumanizzare un’intera comunità, che si sgretola lentamente e si dibatte tra buonisti e lungimiranti, tra egoisti e pluralisti, tra razzisti cattivi e razzisti buoni, facendo emergere quanto piccolo può essere l’animo dell’uomo e la fine a cui questa pochezza può portare. Un romanzo che affronta una tematica delicata e lo fa senza retorica, ma neanche strizzando l’occhio al lettore, che invece viene colpito, masticato e risputato da una centrifuga di parole in cui emerge tutta l’ignoranza che può essere contenuta all’interno di un solo esemplare di essere umano.

Fonte: