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A Siracusa il concerto in parrocchia lo organizza il boss

(L’articolo di Saul Caia per Il Fatto Quotidiano)

Due serate con canzoni neomelodiche, balli e raccolta fondi. Sembra un evento comune, se non fosse che ad organizzarlo sono due pregiudicati del clan mafioso locale condannati per estorsione, e la location è il campo di calcetto di una chiesa cittadina.

Succede a Siracusa dove i nomi di Concetto e Sebastiano Garofalo compaiono addirittura nella locandina che pubblicizza il concerto del neomelodico Daniele De Martino. I Garofalo, padre e figlio, sono stati arrestati per estorsione nel 2013 dopo le denunce di Marco Montoneri, titolare di un rivenditore di moto. Facendo leva sull’appartenenza al clan mafioso Urso-Bottaro, i Garofalo insieme ad altri affiliati ottenevano macchine e moto senza pagarle.

La parrocchia scelta per il concerto, invece, è quella di Maria Ss. Madre della Chiesa, sempre nella città aretusea, meglio nota come Bosco Minniti, dove padre Carlo D’Antoni da molti anni ospita migranti e si batte per i diritti rifugiati. Proprio per questo motivo, nel marzo 2015 ha ricevuto da Amnesty International il premio per la “difesa di diritti umani“. Qualche anno prima però, nel febbraio 2010, era finito ai domiciliari con l’accusa di far parte di un’organizzazione che rilasciava falsi permessi di soggiorno a clandestini sfruttando come base logistica proprio la sua parrocchia. L’inchiesta, condotta dalla procura di Siracusa e dalla dda di Catania, si è poi conclusa con il proscioglimento del prete che per ingiusta detenzione ha anche ottenuto un risarcimento di diecimila e ottocento euro.

“È stata strumentalizzata la parrocchia, sono 26 anni che concedo questo spazio a eventi e incontri per iniziative che promuovono il quartiere – racconta a ilfattoquotidiano.it il sacerdote – mi avevano chiesto il permesso di organizzare unafesta di compleanno con musica, poi mi hanno detto se potevano fare una seconda serata e ho acconsentito. Se avessi saputo chi erano, non lo avrei permesso”.

Appena nell’aprile scorso i Garofalo sono stati condannati per estorsione, rispettivamente a otto e tre anni, insieme ad altri cinque componenti del clan, grazie alle denunce di Montoneri. Al momento del concerto però, ‘Cuncittazzu’, come viene chiamato Garofalo senior dagli amici , si trovava in carcere, dopo la richiesta della dda di Catania di aggravare le misure cautelari nei suoi confronti, viste le ripetute evasioni dai domiciliari.

“L’evento non è stato minimamente autorizzato, noi non abbiamo ricevuto nessun preavviso”, spiega Rosalba Stramantino dirigente della Squadra mobile di Siracusa. “In merito alla vicenda stiamo svolgendo due diverse indaginiinsieme con la Procura, – aggiunge la dirigente – per valutare le mancate autorizzazioni e per accertare i profili che hanno organizzato e partecipato all’evento”. Padre Carlo D’Antoni sostiene anche di essere stato tenuto all’oscuro del fatto che si pagasse l’ingresso al concerto e che l’evento fosse stato organizzato con l’obiettivo di raccogliere fondi. La sezione Siae di Siracusa, invece, conferma che sono stati pagati i diritti d’autore dai promotori della serata, ma che “sotto l’aspetto tributario non c’è l’obbligo di certificare niente”, in quanto i “soggetti richiedenti avevano codice fiscale” e non “partita iva”.

A denunciare l’evento era stato il deputato del Pd Davide Mattiello, componente della commissione Antimafia, sul Corriere.it. Tra l’altro l’attrazione principale della serata organizzata dai Garofalo era il cantante De Martino, giovane promessa palermitana del genere neomelodico, balzato agli onori della cronaca nei mesi scorsi per la canzone “U spara spara”, dedicata a Gaetano Castiglione condannato a dieci anni e otto mesi per rapina, detenuto nel carcere Ucciardone di Palermo.

In realtà, la location originale doveva essere il centro sportivotensostatico di Via Lazio nel rione popolare Mazzarrona, ma la serata è stata spostata in parrocchia. Il motivo è spiegato in un video, postato sui social network, in cui Tony Urso, organizzatore dell’evento e cugino di Concetto Garofalo, spiega di non aver avuto le concessioni. “Per colpa di qualcuno, non faccio nomi perché c’è invidia, non ci hanno dato le autorizzazioni. Ci hanno messo i bastoni tra le ruote, – spiega – ma se pensano che Tony Urso e mio cugino Concetto annullano la serata per questo motivo, non hanno capito niente, ho un principio, e una faccia, quando organizzo qualcosa vado fino in fondo”.

Una riforma scritta male perché pensa male

Forse non si è accorto, Matteo, di essere riuscito a condensare in una sola frase molti dei problemi di questa riforma che comincia a non piacere anche ai servi più fedeli oltre che agli stessi estensori: una legge scritta male (ancor di più che si tratti di Costituzione) è il viatico perfetto per una libera interpretazione pro domo sua da parte del potente (e soprattutto del prepotente) di turno. Non ci si può permettere del lassismo lessicale nel comporre le linee guida costituzionali semplicemente perché ciò significa demandarne l’interpretazione e il controllo agli organi giuridici che, di questi tempi ovvero in questi ultimi vent’anni, hanno subito una costante opera di delegittimazione.

Chi scrive male pensa male. Vive male. E amministra ancora peggio. Un legislatore confuso e impreciso lascia (più o meno consapevolmente) un largo spazio di applicazione ad una legge. In sostanza le complicazioni in politica (e la storia ce lo insegna) non sono altro che il condono preventivo per ogni tentativo di legittimazione delle cazzate future.

Renzi sostanzialmente ammette di non essere stato chiaro nella riscrittura del documento cardine della nostra democrazia, dell’insostituibile argine a governanti egoisti o malfattori e delle fondamenta della nostra legislazione. È qualcosa da poco? Decidete voi.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

10 anni fa. Di un padre in una scatola da scarpe.

Il 6 settembre di dieci anni fa moriva Michele Landa, metronotte a Mondragone, padre e nonno.

La sua storia (ne scrive qui Sergio Nazzaro) è il cuore del mio romanzo con cui ormai da un anno giro l’Italia. Ed è una storia che profuma d’amore dall’inizio alla fine. E allora mi sembrava giusto pensarci, oggi.

Povera Roma. Parte seconda.

Cercando di tenere il punto: l’assessora Muraro della giunta Raggi è stata iscritta nel registro degli indagati il 21 aprile di quest’anno nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti romani e ne sarebbe venuta a conoscenza il 18 luglio; il giorno successivo avrebbe avvisato la sindaca Virginia Raggi.

Di per sé, scritta così, è la storia di accertamenti giuridici su personaggi politici come accade ogni giorno in ogni parte d’Italia. Chi fa sbaglia, dicevano i nonni. Ma non è questo che ci interessa, ora. La Muraro da settimane continua a negare di essere indagata. Anzi, ieri, audita in commissione Ecomafie, ha dichiarato di avere risposto alla domanda dei giornalisti che le chiedevano se avesse ricevuto un avviso di garanzia ha rilasciando una dichiarazione da pelle d’oca:

«I giornalisti mi chiedono: hai avuto un avviso di garanzia? questo è quello che mi chiedono. A una domanda così cosa posso rispondere? No, non ho ricevuto un avviso di garanzia. Essere indagato o ricevere un avviso di garanzia sono due cose molto diverse».

“Ci pisciano in testa ma dicono che piove”, scriveva Travaglio qualche anno fa. Ecco, la metafora funziona perfettamente. Solo che qui non siamo di fronte a consumati attori della politica che navigano in acque agitate dai tempi della prima repubblica: qui siamo al cospetto di chi s’è dichiarato “il nuovo” e ha ripetuto mille volte che l’onestà è il prerequisito essenziale per amministrare.

È disonesta la Muraro quando si arrampica su un gioco retorico per tentare di giustificare una bugia? Forse formalmente no ma riesce comunque a fare di peggio: è sleale. Consapevolmente artificiosa nel parlare e nell’agire per modificare la proiezione dei fatti a proprio vantaggio.

(Il mio buongiorno per Left continua qui)

Apriamo noi i nostri teatri agli artisti turchi

La bella idea del Teatro Piccolo di Milano raccontata da Anna Bandettini:

“Apriamo le porte agli attori e ai registi turchi”, dicono rivolti ai teatri europei, “ospitiamo tutti i loro spettacoli”. Inoltre chiedono al Parlamento europeo una pubblica dichiarazione in difesa della libertà della cultura, come unica radice e prospettiva per l’Europa. E proprio a questi valori il Piccolo Teatro dedicherà gli appuntamenti del settantesimo compleanno, il prossimo maggio. “Alla censura di Erdogan bisogna rispondere con gesti concreti”, dichiarano Sergio Escobar e Stefano Massini, rispettivamente direttore e responsabile artistico del primo teatro pubblico italiano da dove è già partita la lettera per i teatri tedeschi, inglesi, francesi, ungheresi… raccolti nell’Ute, Unione Teatri d’Europa, e la richiesta all’Unione Europea di una condanna chiara e netta contro la decisione del governo turco di mettere al bando autori e artisti occidentali, da Shakespeare a Brecht, da Goldoni a Dario Fo fino allo stesso Massini, perchè “rischiosi” e “contrari ai valori del sentire comune”.
Sono queste le inquietanti parole recapitate proprio allo scrittore e drammaturgo fiorentino. “Da mesi ero in contatto con un traduttore e agente per la messa in scena di mie opere in Turchia – racconta Massini- Erano stati individuati quattro miei testi e proposti al Teatro Nazionale turco e ad altri teatri pubblici, Lehman Trilogy sulla crisi economica del 2009, Credo in un sol odio che parla delle tensioni israelo-palestinesi , 7 minuti su questioni del lavoro e Donna non rieducabile sull’assassinio della Politovskaja. Pochi giorni fa invece ricevo una mail in inglese del mio agente, di cui preferisco non dire il nome per non metterlo nei guai, il quale mi scrive che alla luce di una nuova presa di posizione sugli autori stranieri, i teatri finanziati dallo Stato da ora in poi devono occuparsi solo ‘di autori e testi legati all’identità turca, alla lingua e ai valori locali, che preservino l’eredità e le tradizioni del popolo turco’. E, testuali parole, per questo si declina ogni interesse per le mie opere ritenute “pericolose per l’ordine pubblico’, e ‘contrarie ai valori del sentire comune’ ”. Non solo: nella mail l’agente fotografa una situazione drammatica: “potenzialmente i teatri privati potrebbero rappresentare autori occidentali, scrive, ma in realtà hanno anche loro le mani legate” .
“Parole che fanno venire la pelle d’oca, evocano i periodi più bui del secolo scorso”, dice Escobar. E Massini: “Sono stato rappresentato in Algeria , in Marocco, ma è la prima volta che mi succede una simile cosa. Da autore mi vien da dire che ci eravamo illusi di aver lasciato alle spalle un mondo di steccati, muri, cortine di ferro. Torniamo all’autarchia dei regimi totalitari”.

(l’articolo è qui)

Povera Roma

Povera Roma. Appena uscita dalle grinfie di un PD che ha “licenziato” Ignazio Marino come un Pizzarotti qualsiasi mentre Mafia Capitale si infilava nei calzini dell’ultimo eletto di circoscrizione. Povera Roma. Capitale a cui sembravano avere tagliato anche la speranza s’è buttata nelle braccia della Raggi con il voto di chi non sa più dove sbattere la testa e s’è ritrovata le croste di Alemanno, le correnticchie tra uni che valgono uno e sullo sfondo gli impuniti del Pd che vorrebbero fare i moralisti.

Povera Roma. Che a sinistra s’è lanciata su Fassina che s’è lanciato su Roma per posizionarsi per un congresso che non si farà più di un partito (Sinistra Italiana) che traballa anche nel girello. Povera Roma. Una vita a crescere gli intellettuali della storia d’Italia e oggi filosofeggia sulle cinquanta sfumature d’avviso di garanzia.

Povera Raggi. Tutto questo tempo a raccontarci che schifo che fa “il partito” e poi a pagare lo scotto della mancanza di una comunità politica. Partito, in italiano. Immersa nella banda di chi dice che uno vale uno e lasciata sola come l’ultimo attivista di Ceppaloni. «Grillo mi ha mandato un sms», dice. Come se la politica non fosse solidarietà. Come la vita, del resto.

Povero Pd. Tutto intento a twittare i presunti fallimenti degli altri mentre su Roma si litiga per una delega di quartiere. Tutto intento a fare il maestrino dopo essere stato bocciato, bocciato e ribocciato. In attesa di un verbo sbagliato per spammare veleno su twitter. Con il vicepresidente della Camera che per hobby gioca a fare l’opposizione al servizio della compagna di Franceschini, ovviamente eletta. Povero Pd.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

La satira secondo il PD

Sergio Staino ha detto sulla vignetta di Charlie Hebdo: «Neanche un ubriaco o il pazzo di quartiere farebbe una cosa simile, che senso ha? Quando ti metti al tavolo per disegnare qualcosa o c’è un senso in quello che fai o meglio non farlo tanto per offendere qualcuno. E’ tempo speso male. Ripeto, sarebbe meglio non parlarne. Altrimenti si fa il loro gioco.». Lo potete leggere qui.

Poi ha disegnato la vignetta qui sopra per perculare la Raggi e il M5S. Ecco. Appunto. Vedere per credere.

 

Aristofane e Charlie Hebdo

Galatea l’ha scritto come non si sarebbe potuto dire meglio:

«Aristofane era uno stronzo.

Non faceva satira. Almeno non sempre. Quando se la prese con Socrate, per esempio, mica se la stava prendendo con il potere. Aveva potere, Socrate? Ma quando mai. Era un filosofastro con le pezze al sedere, che manco era chiaro come campasse, forse facendosi mantenere sotto banco dai suoi discepoli, più probabilmente arraffando qua e là a scrocco ai banchetti uno spritz e i salatini.

Era un poveraccio, buffo e facile da prendere in giro, per giunta noto per essere tollerante. Uno che non avrebbe querelato, e nemmeno avrebbe mandato a casa di Aristofane qualche amico potente a minacciare. Era un poveraccio, Socrate, ma di buon carattere e inoffensivo.

Aristofane lo prese a bersaglio. Ci scrisse sopra una intera commedia, presentandolo come uno svampito intrallazzone. Fu feroce, e cattivo. Gratuitamente.»

Il suo post è qui.

#Fertilityday: i contenuti sono peggio della campagna

Che la campagna per il #Fertilityday fosse una cagata pazzesca direi che ha messo d’accordo tutti: governo, opposizione, pubblicitari e cittadini. Forse solo la Lorenzin non ha colto pienamente l’errore, ma tant’è.

Però l’orrida campagna rischia di distoglierci dai contenuti di un’iniziativa politica che nei contenuti è ancora peggio. Per questo credo che sia importante analizzare i contenuti politici (usiamo un eufemismo, eh) che la Lorenzin ha pensato di avere messo in campo. Per Possibile Franz Foti ha instancabilmente preparato un documento di analisi (lo trovate qui) che ne affronta tutti i passaggi più critici. Se avete tempo e voglia vale la pena leggerlo, credetemi.

Ma il #Fertilityday può diventare un’occasione: la sfida ora (ne ha scritto Pippo qui) è fare di quel giorno l’occasione di una controproposta che raccolga piuttosto buone idee e buone pratiche per cambiare le condizioni culturali e politiche di questo Paese nei confronti della maternità. Beatrice Brignone e Ilaria Bonaccorsi sono già al lavoro. Se avete idee o proposte vi basta scriverci a campagne@possibile.com. Ci proviamo?

Analfabeti funzionali, analfabeti sentimentali e satirofobi

Succede sempre così: se il mondo che ci circonda non corrisponde alla nostra idea di mondo ci impuntiamo come patetici indignati telecomandati.

Se Charlie Hebdo sfancula l’Islam (che odiamo poiché lo temiamo) allora tutti che reclamano la libertà di satira. In realtà scrivono “libertà di satira” ma intendono un fantomatico diritto di piasciare smargiassi sui propri nemici. La satira, in quel caso, è intesa come diritto di sottendere schifo verso gli altri. Se la satira attacca noi (la religione e in questo caso il traballante Paese che si sbriciola ogni terremoto) allora ci invertiamo: “e no, e non si può, e ci vuole rispetto!”. Qualcuno in queste ore addirittura scrive “hanno fatto bene a sparargli, a questi di Charlie Hebdo”.

Che brivido il conformismo benpensante. Che pena il sindaco di Amatrice che non ci spiega della ricostruzione della sua scuola e si indigna per la vignetta. Che pena questa rivolta sui social che non s’è accorta di un condannato nella squadra nominata a ricostruire Amatrice (basta leggere qui), che ha dimenticato gli “inciampi” di Errani (eccoli qui), che abita spesso sotto cemento mafioso depotenziato, che è convinta che L’Aquila sia stata ricostruita e si coagula invece intorno a una vignetta. Un’orda di rabbia vendicativa che ha lo stesso conato degli integralisti. Islamici, italiani, ipercattolici: le mandrie indignate che non riuscendo a cambiare il mondo pretendono di non essere disturbate dal mondo.

Tutti alla ricerca di un luogo in cui non dovere fare fatica, in cui essere sempre d’accordo. Il pensiero unico come sogno della nuova borghesia morale. E poi ci si lamenta di avere una classe dirigente riducibile a piazzisti, pubblicitari e comunicatori turbospinti.

E nessuno si accorge che la vignetta ha funzionato. Un’altra volta ancora.