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Ancora minacce, questa volta tocca a Pietro Nardiello

minacce-nardiello-300x225Pietro Nardiello è giornalista, scrittore, collaboratore di Articolo21 e tante altre cose. Uno che in Campania si fa sentire e lavora “sul campo”. Ha ritrovato la sua auto danneggiata con un cartello che non ha bisogno di interpretazioni soprattutto per chi conosce la sua storia e il suo impegno. Ad Articolo21 ha dichiarato:

“Ho denunciato l’accaduto al Commissariato di Chiaiano  che poi provvederà a informare anche la Digos. In questa zona avevo subito in passato qualche piccolo dispetto all’auto, ma niente di che, anche se poi qualcuno non mi stima molto per quello che scrivo…”

Questo atto segue alcuni segnali che inducono a leggere una escalation di intimidazioni. Augurandoci e augurandogli che questa sia l’ultima gli mando un abbraccio da qui.

Un endorsement per la Sardegna

Murgia-Left-800x597Ne scriverò ancora di sicuro perché sto leggendo il libro della più bella campagna elettorale per chiunque abbia una visione di politica come cultura e perché lei è un’amica a cui auguro tutto il bene possibile in ogni campo si ritrovi: la #sardegnapossibile di Michela Murgia è una campagna elettorale di ascolto, pensiero, coesione culturale e politica alta. Non so perché le elezioni regionali dell’isola più bella d’Italia debbano passare così silenziose rispetto ad ogni ruttino provenga dalle segreterie romane ma ancora una volta (era successo per Renato Accorinti a Messina) i partiti sembrano non riuscire ad uscire dal fango dei soliti tatticismi e un gruppo di cittadini invece si sta mettendo in gioco in un campo difficile come quello delle elezioni. L’idea di cultura che propone Michela, ad esempio, dovrebbe essere un manifesto nazionale e non solo relegato alla possibile Sardegna.

Qualcuno negli ultimi giorni scrive che non ci si può permettere in Sardegna di votare la Murgia per non consegnare la regione alle destre: bene Michela, è il segnale migliore per capire che la campagna funziona.

Minacciato e picchiato a Librino

Ieri mattina intorno alle 10:30 a Librino, il grande quartiere-ghetto alla periferia di Catania,  un nostro collaboratore che stava scattando delle foto al Palazzo di Cemento è stato circondato da sei uomini, minacciato con un’arma e picchiato. Gli hanno rotto un dente. Hanno fatto i nomi dei suoi familiari, su cui sembravano molto bene informati.

Luciano Bruno (un suo articolo, due anni fa, ha aperto il primo numero di questa nuova serie dei Siciliani) è di Librino e più volte ha pubblicato articoli sulla drammatica situazione di questo quartiere, abbandonato e lasciato in mano alla mafia. E’ autore fra l’altro di un pezzo teatrale di denuncia sul dramma di Librino, che è stato portato in giro in varie città d’Italia.

Invitiamo tutti alla massima solidarietà verso Luciano e alla massima attenzione e vigilanza su Librino.

Riccardo Orioles

I Siciliani

Vale la pena anche buttare un occhio ai commenti sotto l’articolo. Per farsi un’idea.

Cosa ne penso prima delle elezioni europee (post politico, eh)

Sulla situazione politica e sul quadro prima delle elezioni europee ho risposto all’amico Alessandro che mi chiedeva cosa ne pensassi di questo e di questo. Lo riporto qui anche per rispondere ai molti che mi chiedono e mi scrivono. So già che qualcuno mi dice che qualche ora fa l’intervista di Vendola ha smentito le ipotesi riportate da Repubblica ma la mia sensazione attuale di poco cambia:

Io sono sfiancato da questa sinistra, ti dico la verità. Anzi, probabilmente sono sfiancato dalla mia idea di sinistra che continua a non intravedersi nemmeno possibile in uno scenario che a sinistra mi sembra diventare ogni giorno sempre più provinciale. Trovo che SEL si sia definitivamente affossata nel suo silenzio assenso ad un congresso del PD vissuto come spettatrice vogliosa dichiarando di non volere “interferire” in un processo politico che invece cade a valanga sui suoi programmi futuri. Credo che la sensazione che SEL sia nato come futuribile costola del PD sia evidente guardando le alleanze di qualsiasi elezione amministrativa in giro per l’Italia in cui L’Italia Bene Comune sembra essere una coalizione viva e vegeta e addirittura funzionante condonando il livello nazionale. In Italia serve una lista che abbia il coraggio di rinunciare al codardo limite dell’autopreservazione con lo stesso coraggio con cui Syryza s’è fatta partito come confederazione di bisogni e non di simboli. Ho sperato (poco) in Ingroia ma come sai ho sentito subito puzza di bruciato. Qui vogliono convincerci che il rinnovamento passi per la speranza di rinnovamento quotidiano dei soliti noti: si masturbano ma ci dicono che dobbiamo goderne anche noi. Con uno sguardo europeo credo che una lista di appoggio a Tsipras sia l’unica soluzione possibile per chi come me ritiene indispensabile essere radicale con se stesso ma a noi manca proprio la cultura dell’unione solidale tra le persone prima ancora che tra popoli e continuiamo a misurare chi ha la sinistra più lunga senza avere voglia di mettere in discussione nulla. Così alla fine l’antieuropeismo ingoia anche quelli che vorrebbero un rifondazione europea (che guarda sarebbe un nome bellissimo per una lista civica). Vendola ha avuto il coraggio iniziale di strappare creando orfani finalmente entusiasti e poi ha voluto riadottarli tutti lui: il mare aperto di cui parlava è un orizzonte lontano in cui vanno a cercare gli ultimi pesci gente come Ferrero, Di Pietro e altri che non hanno mai avuto la capacità di guardare l’orizzonte. Com’è possibile creare una lista in appoggio a Tsipras in un Paese analfabeta sull’europa e sulla differenza tra liberismo e solidarietà?
Insomma, questo è quello che penso. Vorrei non essere pessimista, Ale, non sai quanto lo vorrei.

Il boss della Lombardia è un aiuto gommista

MANETTEAbita a Buccinasco in via Lecco e lavora dal gommista in via Idiomi affidato dal tribunale ai servizi sociali e quindi con metà stipendio pagato con soldi pubblici, per dire. Non è indagato (per ora) ma Rocco Barbaro è l’uomo da cui partire per leggere la nuova geografia della ‘ndrangheta in Lombardia. Dopo Carmelo Novella (ucciso nel 2008 in un bar di San Vittore Olona) e successivamente Vincenzo Zappia (coinvolto nell’inchiesta Infinito) oggi Rocco Barbaro detto u Sparitu nato a Platì il 30 giugno 1965 potrebbe essere il nuovo reggente lombardo. Rocco ha un curriculum criminale di tutto rispetto: latitante per anni (arrestato poi nel 2003 per traffico di droga) è uscito 2 anni fa dal carcere di Piacenza per tornare nella “sua” Buccinasco e assumere i gradi del capo per eredità famigliare: Rocco Barbaro, infatti, è il figlio di Francesco Barbaro Ciccio u Castanu, classe 1927, uno dei personaggi più in vista delle ‘ndirne da Platì, città  in cui è tornato il 5 febbraio dell’anno scorso con obbligo di soggiorno . Il fratello di Rocco invece, Giuseppe Barbaro è uno degli autori del primo sequestro di persona a Milano  (Giuseppe Ferrarini, il 9 luglio 1975) ed è da sempre vicino a Domenico Papalia (il fratello del potente Rocco). Ad ascoltare le parole intercettate ad Agostino Catanzariti con il compare Michele Grillo (entrambi arrestati nei giorni scorsi nell’operazione “Platino”) sembra che Rocco Barbaro abbia ottenuto le stigmate del reggente lombardo più per nobiltà parentali che una vera e propria decisione comune (“Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti” dice Cataranziti) anche se lo stesso Grillo, e sicuramente non solo lui, sembra non accettare nomine per eredità (“Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto”).

In Lombardia la ‘ndrangheta si riorganizza affidandosi al sangue e alla tradizione (come storicamente ha sempre fatto dopo gli arresti) e la geografia comincia ad assestarsi e noi non possiamo che seguirla con attenzione anche perché insieme a quelli che ci dicono che la mafia non esiste cominciano a spuntare i cretini che ci vorrebbero raccontare la ‘ndrangheta lombarda è stata decapitata.

Quando la politica si fa alta

Il messaggio sobrio, intelligente e responsabile del proprio ruolo della Deputata della Repubblica Laura Castelli del M5S:

 

 

Aspettando il grande capo Rocco Papalia

rocco-buccinasco-interna-nuovaViale del Buon Cammino, civico 19. Carcere di Cagliari. Le due del 23 aprile 2011. Un uomo ha appena varcato il portone d’ingresso. In strada respira il profumo dei pini marittimi. Il sole lo colpisce agli occhi. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Si stringe nella giacca. Poi gonfia il petto. Si sente libero come non lo era più stato dal 10 settembre 1992, quando iniziò la sua vita da carcerato. Diciannove anni dopo, il primo permesso e una sensazione che aveva imparato a dimenticare. Oggi la vita ricomincia, il sangue torna a scorrere, la mente a ingranare idee. Ancora, però, non è finita. Il rientro è fissato per le undici di sera. Meglio non pensarci. C’è la famiglia da riabbracciare, progetti da far ripartire.

Fino al blitz di questa mattina, quella data ha scavato come un tarlo nella testa dei carabinieri di Milano. Sì perché quel signore non alto, ma robusto, il volto indurito dagli anni di galera, lo sguardo che ghiaccia lo stomaco, non è uno qualsiasi, ma il boss dei boss, il padrino rispettato che assieme ai suoi due fratelli per oltre vent’anni ha giostrato gli affari della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo. Questo, infatti, è Rocco Papalia nato a Platì il 24 ottobre 1950. Un supercapo che dal suo fortino diBuccinasco, comune dell’hinterland milanese, ha programmato sequestri e traffici di ogni genere. Erano gli anni Ottanta. All’alba dei Novanta, poi, lo Stato reagì. Centinaia di mafiosi finirono in carcere. Negli archivi giudiziari quel blitz fu classificato sotto il nome di Nord-sud. A dare la stura le parole del pentito Saverio Morabito, ascoltate e trascritte da un giudice coraggioso, Alberto Nobili, e da un sbirro eroico, Carmine Gallo. Il resto è una storia, quella che traghetta Milano verso il terzo millennio, fatta di dimenticanze politiche, smemoratezze istituzionali e voglia di cancellare l’assedio mosso all’epoca dalla mafia più potente del mondo.

Il brusco risveglio una mattina di luglio del 2008. Di nuovo la cosca Barbaro-Papalia, ancora l’incubo di un’ammissione che si può tradurre in un titolo: Milano provincia di ‘ndrangheta. L’operazione Cerberus fa saltare il tappo. In quattro anni la Procura mette a segno centinaia di arresti, narrando di una Lombardia che si è fatta mandamento mafioso con le sue regole e i suoi riti. Decine di informative raccontano di colletti bianchi e politici collusi. I giudici condannano senza sconti. Eppure tanta solerzia investigativa ha intaccato solo la superficie di una infiltrazione molto più profonda e devastante. Ecco perché questa storia non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Una storia sulla cosca Barbaro-Papalia, sui suoi nuovi assetti, sul suo tesoro (mai trovato), e sugli affari: dal traffico dei rifiuti agli appalti pubblici. Una storia che parte (o riparte) da Rocco Papalia e dai suoi fratelli (Antonio e Domenico), che, pur ergastolani, da anni ormai hanno abbandonato i rigori penitenziari del 41 bis. Ma anche da un gruppo di colonnelli, oggi tornati liberi, che negli anni Ottanta, stando alle parole di un pentito, componevano “il governo” della ‘ndrangheta a Corsico e Buccinasco.

Così, per capire quanto quel 23 aprile 2011 abbia tenuto gli investigatori inchiodati per oltre due anni sul territorio di Bucicnasco,  basta scorrere le oltre cento pagine di un’informativa del 17 giugno 2011. Nelle prime pagine dell’annotazione, che ha dato inizio all’indagine conclusa oggi, i militari, ricordando le ultime inchieste che hanno colpito la cosca Barbaro-Papalia (Cerberus nel 2008 eParco sud nel 2009), mettono nero su bianco un ragionamento che inquieta: “Non vi è alcun segnale che si sia verificato un vuoto di potere. Oggi, per di più, s’inizia a intravedere il giorno in cui Rocco Papalia potrà tornare a Milano e fruire dei permessi; il primo gli è stato concesso a Cagliari (…). Nel frattempo, sono tornati in libertà membri autorevoli dell’organizzazione (…) membri la cui fedeltà alla cosca e a Rocco Papalia, in particolare, è certificata nelle condanne passate in giudicato”. E ancora: “Le innumerevoli attività investigative che, dagli anni Ottanta a oggi, hanno riguardato la cosca insegnano che essa, nonostante gli arresti, le tante e pesantissime condanne, è caratterizzata da una solida continuità di comando. E da un rispetto assoluto delle gerarchie. E’ una cosca che, proprio in ragione di ciò, non ha mai subito né faide né scissioni”. Una data per capire: 1983. Scrive il brigadiere Giuseppe Furco della locale stazione di Platì: “In merito alla posizione di capo indiscusso, con ruolo di prestigio anche sugli altri capi non vi è dubbio, infatti, che Domenico Papalia, fratello di Antonio e Rocco, cugino dei Barbaro soprannominati I Nigri, è tenuto in ottima considerazione”. Ecco invece cosa annotano i carabinieri nel 2011: “Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Giuseppe Furco scrisse quell’informativa (…) e gli equilibri, in seno alla cosca Barbaro-Papalia restano immutati”.

Corsico oggi. Un bar di via Salma. La storia riprende da qui e da una telefonata del 2011. “Sei al bar?”, chiede Agostino. “Sì”, risponde Michele. Il nastro delle intercettazioni registra. Il contenuto non è decisivo. Ai carabinieri serve per fissare nomi e luoghi della nuova pattuglia della cosca. Agostino, infatti, è Agostino Catanzariti nato a Platì nel 1947. Michele, invece, è Michele Grillo, anche lui platiota, anche lui classe ’47. Oltre all’anno di nascita, i due condividono l’appartenenza “al nucleo storico di ‘ndranghetisti che, alla fine degli Anni ’70, diede il via alla terribile stagione dei sequestri di persona in Lombardia“. Il 18 giugno 1987 Michele Grillo viene condannato a 18 anni per il sequestro di Tullia Kauten. Espiata la pena, oggi Grillo ufficialmente fa il camionista e vive a Casorate Primo, uno dei tanti comuni, a metà strada tra Buccinasco e Pavia, che rappresentano l’ultimo avamposto della ‘ndrangheta lombarda.

Di rapimenti è esperto anche Agostino Catanzariti. Secondo la ricostruzione dei carabinieri viene condannato per i sequestri di Angelo GalliAlberto Campari (1977)Giuseppe Scalari (1977),Evelina Cattaneo (1979). Il 24 maggio 1981 viene arrestato. In carcere ci resta fino al 2009. Quindi rientra a Corsico nella sua casa di via IV novembre dove finisce di scontare gli ultimi due anni ai domiciliari. Il 6 ottobre 1981, quando Catanzariti è in carcere da pochi mesi, la sua cella viene perquisita. Salta fuori un pizzino che i carabinieri riproducono integralmente nella loro informativa del 2011. “In quel pezzetto di carta – scrivono – si riesce a leggere: “Agostino Catanzariti capo, Rocco Papalia Supercapo”. Anche per questo: “Si ha motivo di ritenere che, nonostante la lunghissima carcerazione, egli sia tutt’ora personaggio autorevole”.

I luoghi in questa storia sono decisivi per cogliere affinità e rapporti. Ci sono i bar come quello di via Salma e come il Lyons di via dei Mille a Buccinasco, veri e propri “uffici dei Papalia”. Ma ci sono anche altri posti dove, secondo i carabinieri, la sola presenza è sinonimo di appartenenza. Uno di questi è il sagrato della parrocchia di San Silvestro. Qui il 30 aprile 2011 si celebra il funerale di un parente dei Papalia. I carabinieri ci sono, filmano, fotografano e scrivono: “È noto che nella ‘ndrangheta le cerimonie religiose (battesimi, matrimoni, funerali) sono occasioni sociali alle quali non è ammesso sottrarsi”. E in effetti l’album fotografico che ne viene fuori resta un documento importante per individuare i pretoriani della cosca. Agostino e Michele ci sono. Con loro i militari immortalano anche Natale Trimboli. Classe ’56, originario di Platì, Trimboli oggi vive a Zelo Surrigone. In passato è stato condannato a otto anni per armi e droga. Ufficialmente si occupa di movimento terra. Uno dei suoi figli assieme al pronipote di Catanzariti ha aperto un bar a Corsico in via Fratelli di Dio.

Alla cerimonia funebre, poi, compaiono altri due personaggi che fanno drizzare le orecchie ai militari. Quel giorno si vede Antonio Musitano detto Totò Brustia. Pure lui della truppa dei platioti di Buccinasco, Musitano fa 17 anni di carcere per l’operazione Nord-sud. Dal 2007 è libero. Di lui ha parlato a lungo il pentito Saverio Morabito: “Papalia si faceva coadiuvare da Antonio Musitano (…) Tra la fine dell’83 e dell’84 (…) Rocco Papalia si avvaleva della collaborazione di Musitano che si era rivelato un ragazzo sveglio”. Per molto tempo, racconta un investigatore, “è stato l’uomo di riferimento su Milano di Giuseppe Barbaro detto u’ Nigru”. Confermano i carabinieri nella loro informativa: “Antonio Musitano può essere considerato una delle figure apicali in seno alla cosca Papalia”. La riprova? “Il 27 maggio 2010, lo stesso Musitano accompagnò Rosa Sergi al carcere di Padova per un colloquio con il marito Antonio Papalia, fratello di Rocco”.

Funerali, ma non solo. I legami di sangue cementano il sodalizio. E come nella più rigorosa tradizione nobiliare, ci si sposa per elevare il lignaggio. Succede con Giuseppe Pangallo nato a Platì nel 1980. I compari lo chiamano Peppone. Oggi vive in provincia di Como assieme alla moglie Rosanna Papalia, figlia di Rocco. Dirà lei, intercettata durante l’inchiesta Marine della procura di Reggio Calabria. “Io stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare a te”. Definito “personaggio degno di attenzione”, nel 2005 viene condannato a 3 anni per droga, ma andrà assolto in Appello.

Questi sono i personaggi che vengono monitorati dai carabinieri di Milano. Eppure la storia non finisce qua. Negli ultimi anni, infatti, molti protagonisti dei maxi-processi degli anni Novanta sono tornati in libertà. Attualmente non risultano indagati e vivono da liberi cittadini nei comuni a sud di Buccinasco. Un lungo elenco dal quale spicca il nome di Paolo Sergi, boss di rango e cognato di Antonio Papalia. Al termine del processo Nord-sud incassò diversi ergastoli. Dal luglio 2011 vive in una villetta di Zibido San Giacomo con la possibilità di uscire solo poche ore al giorno. Suo fratello Francesco, invece, sconta l’ergastolo in carcere. Per tutti gli anni Ottanta ha gestito droga e sequestri ai tavolini del bar Trevi di via Bramante a Corsico. Il terzo fratello Sergi, Giuseppe detto Peppone, vive da libero cittadino e gestisce un esercizio commerciale a Corsico. Altro grande frequentatore dei bar-uffici della ‘ndrangheta è Antonio Parisi. Anche lui coinvolto nei maxi-blitz degli anni Novanta (condannato a 30 anni in primo grado), oggi vive a Buccinasco. Stesso destino per Diego Rechichi, ex luogotenente di Rocco Papalia, arrestato nell’aprile 2013 per traffico di droga. L’elenco è lungo. Ne fanno parte i fratelli Trimboli. Oltre a loro anche l’omonimo Domenico Tromboli, detto u Murruni, è tornato in libertà. In passato ha sposato una Papalia. Insomma, questa è la geografia. Un risiko fitto di protagonisti e comparse. Tutti in attesa del ritorno di Rocco Papalia, “il supercapo”.

(Un pezzo del solito Davide Milosa e dell’antimafia con nomi e cognomi come piace a noi da stampare e tenere in tasca)

La morte della ragione

E’ morto Amiri Baraka, un poeta, uno scrittore oltre che un critico musicale. Ha fuso il razzismo, il colonialismo e il blues con una lingua forte e cattiva quanto serve per gridare nello scrivere. Qui da noi è rimbalzato semplicemente per le accuse di antisemitismo quando ha provato a chiarire più colte di non avercela con gli ebrei ma con lo Stato di Israele. Non so a quanti mancherà; a me certo moltissimo.
1

La mia rabbia, talvolta,
è talmente brutta, è come se stesse seduta
fuori dalla natura, chiamando anche me
fuori, in qualche freddo vento merdoso
dell’inferno dell’uomo di colore. Le morte preghiere
che mi inaridiscono. Che rifiutano a me
e ai miei simili che camminano
la luce della calma razionale.
I denti del tempo
in una zona temperata. Vento tagliente
che mi strappa il respiro e gli abiti.
Tutta la mia perspicacia se n’è andata, io dissi,
disseccata per fare logica in polvere morbida
di cui ci imbrattiamo il volto per farci trovare
nelle notti quando la luna batte sulle
case, e fantasmi siedono a respirane
il sangue. Queste sono frasi, ordinati
termini logici, capricci del ritmo, perduti
in un bagliore di grazia missionaria.

2

Mio nonno era un omone grosso
che lasciò un cadavere ancor più grosso
quando lo uccisero. Matto
com’era, si aggirava per la città di gesso
di notte, declamando le mie poesie.
Oh, per l’amore di chiunque
da ascoltare per il Dio di chiunque. Io sostengo
che questa non è la condizione generale
dell’uomo. Questa non è
l’agonia e la morte di chiunque.
Mi condussero là nella sua giacchetta accorciata.
Guardavo mentre lo calavano giù. Oh,
dio di Chiunque, faceva un freddo tale, e la pioggia
mi veniva addosso così forte. Ma tirai su la giacca
contro la faccia. E diedi un calcio alla cassa:
e i becchini la lasciarono cadere imprecando.

Fernanda Pivano
http://www.amiribaraka.com/

A proposito delle generazioni perdute

Ritrovo grazie a Adrianaaaa una nota di Cesare Pavese che colpisce per contemporaneità nonostante sia stata scritta nel 1950:

Per oggi ci preme rilevare la frase che uno “scrittore comunista” ha detto a Falconi intorno alla crisi, all’insufficienza narrativa del nostro tempo: “La nostra è una generazione in un certo senso perduta, e non si può pretendere di più…La nostra testimonianza non può essere che polemica e imperfetta… Domani i nostri figli… potranno essere invece i testimoni liricamente o epicamente sereni, ecc ecc”. A noi questa frase ripugna profondamente, e non abbiamo difficoltà a dire il perché. Non ci sono generazioni perdute – ci sono dei lavoratori e dei fannulloni, dei confusionari e delle persone intelligenti. Se anche una sola generazione avesse il destino culturale di riuscire perduta, di sacrificarsi in toto alla successiva, allora per tutte sarebbe così e ci si domanderebbe a che scopo lavorare ancora. Chi non sa di essere felice “qui e ora”, non lo sarà mai. E scrivere, sia pure combattendo, vuol dire essere felice. Lo scrittore che non si contenta del suo lavoro nei giorni che gli è toccato di vivere, non è uno scrittore. E siamo certo che non lo sarà nemmeno nel giorno beato in cui la società finalmente socialista gli offrirà i più impeccabili modelli di civismo. Allora troverà che il mondo non è ancora comunista. E così via.
La poesia (anche quella dei neorealisti) non ha nulla a che fare con queste velleità, con queste scappatoie. La poesia è l’immagine “chiara” di ciò che nell’esperienza ci è parso “oscuro”, “misterioso”, “problematico”. In qualunque esperienza. E in qualunque momento storico ci tocchi di vivere.

(Da La Letteratura Americana e altri saggi)