Vai al contenuto

Blog

Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»

Schermata 2013-09-30 alle 15.25.59

Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»
(29 settembre 2013 da ILCITTADINO)

Ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa Giulio Cavalli, l’attore, regista, scrittore e politico impegnato contro la criminalità organizzata, in occasione dell’incontro al Circolo Arci 1°Maggio di Lodi Vecchio, venerdì sera per la presentazione del libro «L’innocenza di Giulio» (edito da Chiarelettere) in cui Cavalli tira le fila del processo Andreotti. Sulla scia del blitz contro la mafia che ha portato ad arresti e denunce anche nel Lodigiano, lo scrittore ha fatto tra l’altro nomi e cognomi di indagati del territorio, ha raccontato numerosi episodi che sono indiscutibilmente sintomo di come il Lodigiano sia un territorio inquinato dalla criminalità organizzata (basti pensare alle vicende legate a “Italia 90”). «Qualcuno mi dovrà delle scuse, dicevano che a Lodi non esisteva la mafia, che io ero un visionario. Oggi sono qui mentre due collaboratori di giustizia, di cui uno è Luigi Bonaventura (ospitato il 5 maggio scorso all’Arci di Lodi Vecchio per raccontare le sua storia, n.d.r.) stanno raccontando al magistrato il piano che avrebbe dovuto uccidermi. Il problema è di avere intorno una città che si accorge di quello che succede e prova a chiedere spiegazioni, occorre fare un patto sociale: chi non vede la mafia non è in grado di gestire il nostro territorio, oppure è un colluso». Cavalli cita molti esempi: «Ricordo con molto fastidio Lodi che accoglie un imprenditore che si compra numerosi bar del centro, e non si capisce come abbia costruito una ricchezza così velocemente. Arricchirsi non è reato, ma un po’ di attenzione e sensibilità degli atteggiamenti istituzionali nei confronti di figure che non appaiono limpide è obbligatorio». Cavalli ha poi lanciato un appello a istituzioni e cittadini: «L’impegno è prendere una posizione chiara contro le infiltrazioni mafiose. Occorre non essere indifferenti, sapendo che decidere di scendere in battaglia non significa riconoscere di essere un territorio inquinato, ma dichiarare da che parte stare». Cavalli ha anche chiesto che gli amministratori pubblici rispettino il confine «tra mediazione e compromesso».

Sonia Battaglia

Ma sul serio glielo lasciamo fare?

Vale la pena stamattina leggere il post di Leonardo che, con coraggio, parte dalla vecchia proposta di Asor Rosa di ripristinare con la forza la democrazia e rilancia:

Tutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) – ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?

È uno dei “l’avevamo detto” più dannoso della nostra democrazia.

Quegli sporchi comunisti di Famiglia Cristiana

Scrive Famiglia Cristiana in homepage sul proprio sito:

Impegnato nell’ennesima fuga dalle proprie responsabilità politiche e giudiziarie, Silvio Berlusconi scarica come sempre sugli italiani il costo dell’avventura.

Risponde il pidiellino Gianfaranco Rotondi:

“Famiglia cristiana ha perso ogni filo di carità cristiana. E’ un giornale comunista schierato sempre con i poteri forti”.

Perdio, verrebbe da dire.

I soloni strateghi

Insomma è già crisi. O forse no, come succede, e alla fine magari ci diranno che hanno trovato un’intesa. Certamente oggi l’affidabilità di Berlusconi e i suoi è evidente in tutte le sue molteplici forme. Sono dovuto passare 150 giorni per capire quello che tutti già sapevano: l’agenda politica di questo centrodestra qui è solo la risoluzione dei guai giudiziari di Berlusconi e un po’ di propaganda. Nient’altro. In compenso il PD è riuscito (nel governo dei rinvii su tutto) a fare realizzare l’unico spot elettorale del centrodestra abolendo l’IMU, per poi essere talmente stupido da farsi incolpare per qualsiasi altra forma di rientro economico (basta guardare la prima pagina de Il Giornale di oggi, per intendersi).

Chissà dove sono i soloni e gli strateghi che ci hanno detto in tutte le salse che questo sarebbe stato un governo responsabile e di scopo (tra l’altro, scusate, che scopo?) e dove sono tutti coloro che vedevano fantascienza nel mettere in piedi un governo guardando altrove (e guarda guarda che forse oggi, si bisbiglia, potrebbero anche esserci i numeri).

Si è riusciti in un miracolo: logorare il PD, deresponsabilizzare il M5S e infilarsi ancora una volta nelle mutande di Silvio. Chapeu, eh.

Apriti SEL!

Abbiamo bisogno di una discussione vera e trasparente per affrontare la nuova fase senza equivoci o ipocrisie. Ma è necessario aprirci sin da ora, prima del congresso, per contribuire a costruire una sinistra più grande di noi, capace di pensare il cambiamento e di cimentarsi con la sfida del governo.
La qualità del nostro congresso non dipende solo dalla nostra discussione ma da quanto sapremo costruire nei movimenti, nelle lotte sindacali, nelle esperienze associative che producono nuova politica, nuovi saperi, nuova socialità.
Per farlo dobbiamo cambiare pelle, liberare la nostra discussione, aprire i nostri spazi di partecipazione, liberarci dei notabilati, vincere una cultura che “militarizza” il confronto politico e rimuove il disagio.
Non è più possibile tenere distinte le forme di partecipazione dalla qualità e credibilità della proposta politica. Dalla capacità di SEL di affrontare questo nodo dipende la sua credibilità, la possibilità di svolgere un ruolo autonomo e al tempo stesso unitario, di raccogliere domande e intelligenze, di interloquire con ciò che si muove nella società, di sviluppare la sua capacità di elaborazione.
Non basta stigmatizzare l’antipolitica, per esorcizzarla, bisogna cambiare la politica, a cominciare da noi.

A cosa serve Sel 
SEL deve lavorare alla costruzione di un processo di aggregazione e confronto che porti alla costruzione di una nuova forza della sinistra, plurale, unitaria e innovativa. La manifestazione di piazza SS. Apostoli ce lo ha ricordato ma è rimasta senza seguito anche per una nostra incertezza di prospettiva. Non la sommatoria di frammenti di ceto politico teso all’autoconservazione, ma una nuova esperienza capace di aggregare risorse per produrre un’elaborazione inedita.
La missione costitutiva di SEL è uscire dall’asfittica alternativa tra la rinuncia alle proprie ragioni per accedere al governo e la marginalità per rimanere fedeli a se stessi.
La costruzione di un’alleanza capace d’innovazione non è però, oggi, un dato scontato ma un obiettivo da conquistare.
È quindi fuorviante contrapporre il rilancio di una autonomia politica e culturale di sinistra alla costruzione di una  coalizione di governo: si tratta di due obiettivi oggi inscindibili.
La scelta non è dunque “rinchiudersi nel partitino” né tantomeno sciogliersi nell’indistinto “campo dei democratici”, ma costruire una sinistra più larga di noi, capace di coniugare governo e trasformazione ponendola in relazione con le domande della società.
Con l’iniziativa di Carlassare, Don Ciotti, Landini, Rodotà e Zagrebelsky e con l’appuntamento del 12 ottobre si apre un nuovo cantiere che mette al centro la difesa della Costituzione. Si è aperto un percorso di cui SEL deve essere protagonista e non mero interlocutore, contribuendo a orientarlo e a rafforzarlo.
È una sfida che non vale solo per l’Italia ma che riguarda l’Europa e non si esaurisce nella mera adesione a una o all’altra famiglia: è necessario ricostruire una soggettività che promuovendo nuove forme di mobilitazione tra i cittadini europei cambi le politiche e il ruolo dell’Europa.

Un documento-appello che trovate qui. E che è utile a tutto il centrosinistra per una riflessione più ampia.

Fondazione Maugeri: gli innocenti che patteggiano

Un milione di euro a titolo di sanzione pecuniaria e la confisca di immobili per un valore di 16 milioni di euro. È il patteggiamento della Fondazione Maugeri, ratificato oggi dal gip di Milano Andrea Ghinetti. La fondazione pavese era indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa nell’inchiesta milanese a carico, tra gli altri, dell’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni, ora senatore del Pdl.

L’accordo di patteggiamento era stato raggiunto nei mesi scorsi tra i pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta e la difesa e stamattina è stato ratificato dal giudice al termine dell’udienza. I 16 milioni di euro sono parte del profitto del reato, in relazione all’associazione per delinquere e alla corruzione di cui rispondono gli ex vertici e i consulenti del polo di riabilitazione con sede a Pavia, tra i quali l’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e l’ex presidente Umberto Maugeri. Anche loro, così come altri indagati (cinque in tutto), hanno concordato patteggiamenti che dovranno essere ratificati nelle prossime settimane.

La notizia la riposta La Stampa e mi riporta alla Commissione Sanità della scorsa legislatura, quando abbiamo dovuto sopportare i pidiellini (e i leghisti al seguito) che ci accusavano di essere dei giustizialisti e di volere mettere in discussione l’etica del patron della Fondazione. Ancora una volta la giustizia arriva mentre la politica è secondaria (nel senso che arriva seconda) mentre passano le legislature e gli anni.

Ma il meglio deve arrivare: tra poco tocca l’udienza preliminare per Roberto Formigoni, che qualcuno in questa legislatura è riuscito a far diventare Presidente di Commissione, tra l’altro.

La disfatta del Nord

disfattaHo appena finito di leggere l’importante libro di Filippo Astone “La disfatta del Nord” e credo sia un fondamentale manuale politico per la classe dirigente padana. Dentro c’è il manuale delle cattive pratiche del nord e dei suoi amministratori in questi ultimi anni, con tutte le dannazioni delle esasperazioni leghiste e formigoniane. Leggendolo mi viene da pensare a quanto poco siamo riusciti a comprendere con ampiezza un fallimento culturale oltre che amministrativo.

Nel 1994 la nuova classe dirigente leghista e berlusconiana calava su «Roma Ladrona» con il preciso intento di risolvere la questione settentrionale e con essa tutti i mali del Paese. Celebrando le virtù del libero mercato, del lavoro e dell’imprenditoria, il nuovo potere nordista proclamava di voler cancellare decenni di centralismo, inefficienza e corruzione partitocratica.
A vent’anni di distanza non solo i leader del Nord non hanno imposto i loro presunti valori al resto d’Italia ma paiono averli dimenticati. Alla meritocrazia si è sostituito il nepotismo, alla concorrenza i favori personali, al libero mercato i sistemi di potere foraggiati con i soldi pubblici, all’austera operosità borghese una sfacciata rincorsa alle ricchezze, all’onestà i legami più o meno consapevoli con la criminalità organizzata.
Passando da Maroni a Formigoni, da Monti a Tosi e Ponzellini, dalla Lega a Comunione e Liberazione; tra banche che finanziano gli amici anziché le piccole imprese, grandi aziende pronte a fuggire all’estero, ricchezze accumulate a scapito della salute dei cittadini e amministratori che antepongono gli interessi privati al bene collettivo, Filippo Astone sfata definitivamente il mito dell’efficienza settentrionale.
La disfatta del Nord ripercorre passo dopo passo l’inesorabile corsa verso il declino economico, politico e morale delle regioni che pretendevano di guidare il riscatto del Paese ma hanno finito per scoprire che Meridione e Settentrione non sono poi così diversi e che esiste solo un’eterna, irrisolta questione italiana.