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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Per stare nel merito: un’analisi della scheda referendaria

Gran pezzo di Enzo Palumbo (qui):

In questi giorni stiamo assistendo a vivaci polemiche in ordine al quesito che si presume possa comparire sulle schede del referendum prossimo venturo, traendo inevitabile spunto dallo spot pubblicitario del Presidente del Consiglio nel corso dello scontro televisivo su La7 con Marco Travaglio, allorché ha mostrato in TV il fac-simile della scheda da lui immaginata per il referendum costituzionale, il cui decreto d’indizione, in quel momento, non era stato ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, sulla quale sarebbe comparso solo il giorno dopo.

Per propinare ai telespettatori, con una sorta di messaggio subliminale, la sua lettura della “deforma” costituzionale, Renzi ha enfatizzato il testo della scheda referendaria, che pedissequamente riporta l’intitolazione del ddl costituzionale, che recita: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione“.

Intitolazione, è appena il caso di dirlo, è passata in parlamento senza che le opposizioni, che non se n’erano accorte, facessero una piega, non avendo ben compreso di quanta e lungimirante furbizia fosse capace il premier.

Tuttavia, siccome tra furbizie legislative, immaginario televisivo e realtà giuridica c’è sempre qualche differenza, ci è sembrato il caso di fare qualche verifica, per vedere come stanno effettivamente le cose sulla base della legge che regola il referendum.

In proposito, l’art. 4 della L. 352-1970 recita testualmente: “La richiesta di referendum di cui all’art. 138 della Costituzione deve contenere l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata”.

A questo punto l’Ufficio costituito presso la Corte di Cassazione, nel predisporre il modello di verbale per le richieste referendarie, ha tralaticiamente riprodotto l’intera intitolazione del ddlapprovato dalle Camere.

Per la verità, avrebbe anche potuto farne a meno, e i richiedenti il referendum, che pure avrebbero potuto accorgersi della tendenziosità di quel richiamo, nulla hanno eccepito; e tuttavia, almeno sino a quel punto, nulla quaestio, perché il verbale con cui è stato richiesto il referendum è atto che riguarda esclusivamente quei richiedenti, e non si riverbera necessariamente sul corpo elettorale, non essendo scritto da nessuna parte che il testo del quesito debba necessariamente essere riprodotto sulla scheda di votazione.

Infatti, l’art. 16 della legge 352-1970, non richiama il precedente articolo 4, e non ne riproduce la dizione, ma stabilisce che la formula destinata a finire sulla scheda deve avere il seguente testo: “Approvate il testo della legge di revisione degli articoli ……….. della Costituzione, concernenti ……….., approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 88 del 15 aprile 2016 ?».

Sono evidenti le differenze tra le due tipologie di nuova normativa costituzionale (revisione della Costituzione e altre leggi elettorali), e tra la le due norme che rispettivamente regolano la richiesta e la scheda referendaria.

Per fermarci qui solo a quest’ultimo aspetto, mentre la richiesta referendaria deve contenere, tra l’altro, “l’indicazione della legge di revisione”, e qui ci può anche stare il riferimento alla titolazione del ddl, la scheda referendaria deve invece contenere l’elencazione “degli articoli” revisionati e di ciò che essi “concernono”, vale a dire della materia effettivamente revisionata.

E, se la specifica indicazione di tutti i 47 articoli toccati dalla riforma risultasse eccessivamente lunga e farraginosa per una scheda referendaria, si potrebbe, pur con qualche forzatura, limitare il riferimento ai soli Titoli della Costituzione interessati dalla riforma.

Illuminante in proposito è il confronto con la formulazione, sobria e neutrale, del quesito relativo alla riforma del 2006, che semplicemente recitava: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2006?”.

Anche allora si riduceva il numero dei parlamentari (518 deputati, 252 senatori) mantenendone però l’elezione diretta; e anche allora il bicameralismo da paritario diveniva differenziato, tuttavia restando equilibrato allorché consentiva a ciascuna camera di potere riesaminare le leggi di competenza dell’altra; e anche allora il rapporto fiduciario col governo era riservato alla Camera, che, eletta sulla base della coeva legge 270-2005 (il c. d. porcellum) finiva per introdurre ilpremierato, senza tuttavia i furbeschi sotterfugi della riforma del 2016, che tende invece a introdurlo egualmente, ma senza dirlo.

E comunque, in quel caso, il quesito comparso sulla scheda referendaria non suscitò alcun problema, anche se riproduceva il titolo del ddl riformatore, sulla considerazione che esso era assolutamente neutro e faceva riferimento all’intera Parte II della Costituzione.

Insomma, una riforma, quella del 2006, sbagliata, ma che almeno appariva chiara negli intenti e nel modo di proporsi, senza alcun riferimento a capziose formulazioni, buone per captare la benevolenza degli elettori.

Quella di oggi, anch’essa sbagliata nel merito, porta con sé l’aggravante di una presentazione sotto mentite spoglie, attraverso un’intitolazione che affastella cose diverse: a) alcune vere (riduzione del numero dei parlamentari, soppressione del CNEL, revisione del titolo V);b) altre parzialmente vere o parzialmente false, che è poi la stessa cosa (superamento del bicameralismo paritario);c) e infine una cosa assolutamente generica e fuori posto (contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni), che non dovrebbe proprio starci perché non “concerne” alcuna specifica norma della Costituzione, mentre l’irrisorio contenimento dei costi  sarebbe solo la conseguenza delle altre titolazioni (circa 40 mln. dalla riduzione del numero dei senatori, e circa 9 ml. dall’abolizione del CNEL).

Se la scheda referendaria recasse effettivamente il capzioso quesito che è stato preannunziato e che è poi stato inserito nel DPR pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, essa veicolerebbe nell’opinione pubblica un messaggio tendenzioso e demagogico, politicamente anche volgare, al solo scopo di vellicare le pulsioni populistiche che si aggirano nel Paese e raccattare qualche voto in più speculando sulla (presunta) credulità dei cittadini.

Correttezza istituzionale vorrebbe che il quesito che comparirà sulla scheda referendaria, se si vuole semplificare, faccia esclusivo riferimentoai soli Titoli (I°, II°, III°, V° e VI°) interessati dalla riforma, con relative norme finali e transitorie.

E, se invece si riterrà di dovere entrare nel dettaglio (come richiede la legge),si dovranno citare anche tutti gli articoli revisionati, alcuni dei quali particolarmente rilevanti e invece neppure menzionati nel titolo del ddl.

E’ il caso del referendum propositivo (la cui regolamentazione è però demandata a una futura legge costituzionale), e delle proposte di legge d’iniziativa popolare (le cui firme vengono triplicate, mentre la loro effettiva trattazione viene rinviata ai futuri regolamenti parlamentari); in entrambi i casi, modifiche di là da venire.

Ma è anche il caso di altre modifiche ben più rilevanti e d’immediata attuazione, come quelle riguardanti le modalità di elezione del Presidente della Repubblica e dei cinque membri della Corte Costituzionale di derivazione parlamentare, che sono state invece taciute per evitare d’ingenerare contrarietà nell’opinione pubblica.

Insomma, nella titolazione del ddl di riforma c’è qualcosa che non doveva esserci, e manca invece qualcosa che doveva starci; sin qui, poco male, ma ciò che è inammissibile è che si utilizzi quellatendenziosa titolazione per ingannare gli elettori.

#CzarnyProtest perché ce ne dobbiamo interessare

Come scrive Martino qui:

«Oggi le donne polacche scioperano contro il loro governo e contro un disegno di legge, attualmente in fase di revisione da parte delle commissioni parlamentari, che quasi cancella il loro già limitato diritto all’aborto. avrebbe permesso solo l’aborto per salvare la vita di una madre, anche se la legge attuale è già tra le più restrittive in Europa. uso dei medici di una “clausola di coscienza” per scegliere di eseguire un aborto ha già messo fuori dalla portata di molte donne polacche. La proposta di legge eliminerebbe l’accesso all’interruzione di gravidanza anche per le vittime di stupro o incesto. E minaccia le donne che abortire con un’indagine, perché rende causando la morte di un “bambino concepito” punibile con una pena detentiva. Questa disposizione è anche probabile che spaventare i pochi medici ancora disposti a fornire aborti.

Ma la proposta di legge eliminerebbe l’accesso anche per le vittime di stupro o incesto. Peggio ancora, se possibile, è la minaccia alle donne che hanno un aborto spontaneo di venire indagate perché possibilmente sospette di aver causato la morte di un “bambino concepito”, reato punibile con il carcere. La legge farà in modo di ridurre ulteriormente il numero di medici non obiettori ancora disponibili per le donne che decidono di abortire. Il testo di legge è il frutto di una petizione firmata da 450mila persone promossa dall’organizzazione Ordo Iuris e sostenuta dalla chiesa cattolica locale. L’unica ragione tollerata dalla legge per consentire l’aborto è il grave pericolo per la vita della donna.»

E se è vero che accade in Polonia (che non è così lontana ed è Europa) e altresì vero che anche qui, anche nel nostro Parlamento, ultimamente sono molti i vagiti di restaurazione di un’epoca che sembra avere voglia di tornare indietro. Vale la pena interessarsene. Davvero.

Eschilo e i mercanti. L’obiettivo è limitare gli studi classici solo ai ricchi.

Una riflessione di Tiziana Drago:

«Tutte le volte che negli studi di antichità si fanno sentire esigenze di rinnovamento, tanto più è necessario, se non si vuole costruire sulla sabbia, mantenere l’esercizio del “mestiere”». D’altra parte, «senza il possesso della deprecata »tecnica» l’interesse storico rimane velleitario». Così un filologo materialista e «leopardiano» come Timpanaro prendeva posizione, negli anni ’70, contro l’eclettica disponibilità con cui la filologia inglobava i nuovi strumenti strutturalistici e antropologici, spesso in nome di malcelate «civetterie interdisciplinari».

Oggi, nel contesto duro e inasprito del declino italiano, in cui il diritto alla formazione è diventato un costo non più sostenibile, l’ipocrisia dilagante ammanta di ragionevolezza l’attacco portato al cuore delle discipline classiche sotto forma di auspicata amputazione della lingua greca e latina. L’argomentazione si sposta di volta in volta dall’ambito statistico (il calo di iscrizioni al liceo classico) a quello economico (i saperi improduttivi, la spesa senza ritorno immediato) a quello sociologico in versione falsamente egualitaria (gli studi classici come sacca di privilegio: è l’argomento di detrattori di comprovato egualitarismo quali Vespa, Ichino, Berlinguer).

L’amorevole premura di preservare i più giovani dalla innegabile difficoltà di interpretare un testo antico è un regalo avvelenato che cela molti degli inquietanti propositi di trasformazione della scuola e dell’università che sono nell’aria e la volontà di sanzionare la colpevole distanza dal mercato dei saperi teorici. Tanto più autoritario questo intendimento, in un curioso connubio di liberismo selvaggio e controllo dei destini individuali e collettivi, quando nega la possibilità di studiare le lingue antiche nelle loro sfumature all’interno dell’unico curriculum scolastico pubblico in cui questo è ancora consentito. Quando questo progetto sarà compiuto, chi può avrà a disposizione il college privato in cui studiare a dovere le lingue classiche e chi annaspa capirà senza equivoci che il liceo classico è roba da ricchi e dovrà accontentarsi di qualche briciola di cultura dell’antico.

Racconta Franz Mehring che Karl Marx «ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale, restò sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal tempio con la verga quelle meschine anime di mercanti che volevano togliere agli operai l’interesse per la cultura antica».

Però essere fieri di non saper comunicare no. Questo no.

Parto dal confronto di ieri tra Renzi e Zagrebelsky ma non è di riforma che vorrei parlare ora, piuttosto del tono dei commenti che piovono il giorno successivo e mi piacerebbe farlo (e discuterne) cercando di non turbare gli animi a sinistra. Se succede va bene lo stesso.

Ancora un volta colgo una reazione bifronte dopo un confronto con Matteo Renzi: c’è che si dice deluso per come l’oppositore sia stato “schiacciato” dal punto di vista televisivo e, insieme, chi invece rivendica orgoglioso proprio questa disabitudine ai modi della comunicazione più contemporanea: in pratica quando qualcuno si permette di dire che Zagrebelsky forse non sia proprio la persona giusta da contrapporre al premier in una trasmissione come quella di Mentana (e praticamente tutta la nostra televisione) viene assalito da chi invece ci vorrebbe convincere che essere poco avvezzi alla televisione sia un vanto. “Preferisco un professore poco comprensibile a un venditore di pentole.” Beh, scusate, io no. Io no.

Non sono appassionato ai venditori di pentole ma credo che l’abilità comunicativa non sia un vizio di per sé condannabile. Non sopporto le strumentalizzazioni, le bugie, l’irrisione delle parti opposte, la truffa sulle cifre, la banalizzazione, il capovolgimento della realtà e tutto il resto ma trovo stupido e controproducente accusare le capacità comunicative di qualcuno. Anzi, di più, sono molto dispiaciuto che qualcuno abbia potuto pensare che Zagrebelsky possa essere efficace in un campo che non è il suo e mi chiedo quando (e chi) abbiamo deciso che sia necessario essere stinti e pallosi e grigi per essere autentici? Perché io, se posso, non sono d’accordo. Ma proprio per niente. Perché la sinistra storicamente ha avuto leader che sono stati molto pop (ne senso etico del termine, mica quello neo melodico) tra gli stessi strati sociali che oggi mi pare che qualcuno dall’alto giudichi con uno stesso snobismo. Perché a me,  perdonatemi, interessa arrivare a tutti, almeno avere la soddisfazione di sapere se sono o no d’accordo con le mie posizioni; non mi accontento di avere una luccicante minoranza di menti eccelse che sono d’accordo con me. No.

Tutto questo mi ricorda alcune esperienze giovanili quando ci si ritrovava a partecipare a spettacoli di solidarietà o sensibilizzazione (a gratis) insieme a nomi anche molto popolari incappando in organizzazioni che sembravano volutamente sciatte. «Ma perché non avete preso un palco più funzionale?» chiedevo, e mi si rispondeva che non si poteva rischiare di sembrare berlusconiano. Come se il bello (e il funzionale, anche in televisione) fosse un tradimento.

Ecco io questa sinistra che oggi si fregia di comunicare peggio del Comitato del sì, proprio non la capisco. E non la condivido. Proprio no.

Il Bomba

Ancora. Ieri Renzi ha ancora detto che con il Sì al referendum si risparmierebbero 500 milioni di euro.

E invece la Ragioneria di stato (la ragioneria di stato, eh) l’ha scritto nero su bianco che il risparmio è di 49 milioni di euro. Per aiutare gli indecisi ecco il documento qui sotto:

Scriveva Leonardo Da Vinci: «La talpa ha li occhi molto piccoli e sempre sta sotto terra, e tanto vive quanto essa sta occulta, e, come viene alla luce, subito more perché si fa nota. Così la bugia».

La sete siriana

Bevono dalle pozzanghere. Nei crateri delle bombe improvvisano piscine di acqua e melma. E sono bambini.

Tutti gli ingredienti per una spendibile commozione universale e invece niente. Ogni tanto abbiamo una pietà che ci si incaglia per motivi oscuri. Basterebbe trovare quella leva, quel filo impigliato, per fare la rivoluzione

Quella vera.

Gli abusi sugli uomini

Un gran pezzo di Igiaba Scego:

Nell’ottobre del 2011 una ragazza di 19 anni, Grace Brown, ha un’intuizione. Grace studia fotografia e le piace uscire con gli amici. È giovane, allegra, disinvolta e ha tutta la vita davanti a sé. Una sera, un sabato sera come un altro, un’amica le racconta qualcosa a cui non era preparata. Le racconta di un’aggressione sessuale che ha subìto. Grace Brown ascolta con attenzione il racconto dell’amica.

Purtroppo non è la prima volta che le capita di ascoltare la storia di un’aggressione. Ma ogni volta si stupisce. Non si sente preparata. Ogni volta è totalmente spaesata nell’udire un racconto così terribile e intimo insieme. Grace Brown si rende subito conto ascoltando l’amica che la sua brutta esperienza non è un caso isolato e che succede ogni giorno a tante, troppe persone. La sera finisce, il sabato diventa già domenica, e Grace va a dormire. Ma la storia della sua amica non l’abbandona. Succede a troppe persone, troppe persone, troppe…

Ed ecco che quel pensiero quasi ossessivo di Grace, condito da rabbia e voglia di cambiare il mondo, partorisce Project unbreakable, ovvero come – attraverso la fotografia – dare spazio e voce a chi ha subìto aggressioni sessuali, violenza domestica, abusi di vario genere.

All’inizio per Grace non è facile convincere le persone a esporsi. Ma poi con il tempo tutto è diventato molto naturale. Donne e uomini hanno cominciato ad aprirsi con lei: oltre a metterci la faccia, tutti e tutte hanno aggiunto una frase legata a quel momento di violazione profonda. E la frase, riportata su cartelloni neutri con pennarelli neri o blu, spesso era quella detta da chi aveva commesso un abuso sul loro corpo. Le frasi del carnefice.

Da Project unbreakable: “Nessuno ti amerà, nessuno si occuperà di te, ora sei guasto” – Il mio aggressore. - Tumblr

Da Project unbreakable: “Nessuno ti amerà, nessuno si occuperà di te, ora sei guasto” – Il mio aggressore. (Tumblr)

Le foto sono molto potenti nella loro semplicità. La persona guarda senza paura dritto dentro l’obiettivo, rivendica il suo essere persona, la sua umanità ferita, umiliata, vilipesa, ma non vinta o almeno non del tutto sconfitta. C’è forza in queste giovani donne e in questi giovani uomini. Forza nella loro postura, nel loro modo di sfidare l’ipocrisia latente che un tempo avrebbe costretto persone in questa situazione al silenzio.

Loro parlano. I loro corpi parlano. Non c’è solo indignazione o rabbia. C’è voglia di andare oltre, oltre se stessi e il mondo che non li sta ancora capendo.

Le violenze su uomini e ragazzi sono sempre esistite. Solo che non ne parliamo quasi mai. La sola idea ci disturba, ci disorienta

Personalmente sono stata colpita dalle foto dei ragazzi. Soprattutto di due di loro, di Montclair, nel New Jersey. Con candore e un atteggiamento di sfida affrontano non solo la violenza, ma anche il tabù che non vuole vedere dei “maschi” vittime di violenza sessuale.

“Non volevo ferirti”, c’è scritto in un cartello, “Sei così bello”, dice l’altro cartello e il ragazzo aggiunge in basso, con una scritta più piccola (e chissà quanto gli sia costata quell’aggiunta) “dopo averlo fatto”. Frasi inquietanti. Frasi che fanno male. Frasi apparentemente normali, dette da chi stava umiliando i loro corpi. Eccoli i due giovani del New Jersey che con coraggio si offrono all’obiettivo amico di Grace. Due giovani uomini si denudano davanti a noi di un ruolo, quello dell’uomo forte che non si spezza mai, che la società gli ha cucito addosso. Due ragazzi del New Jersey rompono un silenzio durato secoli.

Le violenze sugli uomini e sui ragazzi sono sempre esistite purtroppo. Solo che non ne parliamo quasi mai. La sola idea ci disturba, ci disorienta. C’è un velo spesso che copre tutto questo. Ed è così che chi è vittima non solo non trova giustizia, ma non ha la possibilità di fare un percorso che lo aiuti a elaborare il dramma che ha vissuto.

Chi era il padre di Edipo?
La prima volta che mi sono resa conto che anche gli uomini subivano violenza ero nella primissima adolescenza e mi trovavo in una biblioteca comunale. Avevo visto dei film sul carcere, ma non li avevo messi davvero a fuoco. Poi c’è stata la biblioteca e un vecchio libro sbrindellato dalla copertina rigida, una copertina marrone mi pare. Il libro era un compendio sugli dèi, gli eroi, i comprimari della mitologia greca. Io adoravo soprattutto la storia di Giasone e il vello d’oro. Ma devo dire che le avventure di Minerva e Diana non erano affatto male.

Erano strani dèi quelli dell’Olimpo greco. Irosi, egoisti, tutti presi dalle loro pulsioni primarie. Alcuni poi erano proprio antipatici, a dir la verità. La storia che più mi inquietava era quella di Edipo. Anche chi non conosce a fondo quei miti conosce Edipo, forse per la famosa sindrome legata al suo nome. Il suo, di fatto, era un destino infame: uccidere il padre e giacere con la madre. Difficile dimenticarlo.

Ma del padre ucciso, che si era attirato l’ira degli dèi, sapevo/sappiamo qualcosa?

È in quel libro marrone che scoprii, con sgomento, che Laio, ovvero il padre del futuro Edipo, trasgredendo a ogni regola di ospitalità, amicizia e onore, rapisce e abusa del giovane figlio del suo ospite Pelope. Crisippo, questo il nome del ragazzo, in alcune versioni è un adolescente, in altre (quella di Euripide per l’esattezza) un bambino. Sta di fatto che questa storia terribile fu lo svelamento di un’autentico buco nero di cui non sospettavo l’esistenza.

Succede anche a loro, pensai. E questo pensiero mi addolorò.

Con il tempo ho imparato che intorno alla violenza sugli uomini circolano numerosi miti, e molte associazioni che tutelano le vittime fanno fatica a sfatarli. Nella vulgata corrente molti ritengono che gli uomini non possono essere vittime di abuso e se lo sono devono essere gay o trans. Sbagliato. Gli uomini, a prescindere dal loro orientamento sessuale, possono essere vittime di abuso o violenza. L’uomo può diventare vittima a qualsiasi età, può avere qualsiasi aspetto, essere di qualsiasi colore, può essere etereo, gay, transgender, avere dimensioni corporee di qualsiasi tipo.

Da Project unbreakable: “Sei gay. Questo dovrebbe piacerti “. Uno dei miei migliori amici, prima di picchiarmi con un cavo elettrico per farmi stare fermo. Io avevo 13 anni, lui 14. Una settimana prima gli avevo detto di essere gay. - Tumblr

Da Project unbreakable: “Sei gay. Questo dovrebbe piacerti “. Uno dei miei migliori amici, prima di picchiarmi con un cavo elettrico per farmi stare fermo. Io avevo 13 anni, lui 14. Una settimana prima gli avevo detto di essere gay. (Tumblr)

È sbagliato pensare che l’uomo sia protetto dal solo fatto di essere uomo, non è detto che un uomo possa difendersi da un’aggressione. Inoltre, al pari delle donne, gli uomini possono essere manipolati psicologicamente durante la violenza. Possono avere un’erezione o una eiaculazione del tutto meccanica, a volte anche un orgasmo, ma questo non significa che lo abbiano voluto o peggio che abbiano cercato la loro tortura. Inoltre ci sono varie forme di abuso e gli uomini oltre a essere vittime di altri uomini sono anche vittime delle donne.

In quasi tutto il mondo sono in aumento le denunce. Anche perché ci sono state numerose campagne per rompere il silenzio su queste aggressioni. Basti pensare all’associazione Survivors Manchester che ha lottato per far includere gli uomini vittime di abusi come beneficiari dei fondi destinati dal governo britannico alla violenza di genere. La campagna Break the silence mette a disposizione degli utenti una guida prodotta e scritta da uomini che hanno avuto queste esperienze e che vogliono condividere non solo le loro storie di dolore, ma vogliono dare una guida pratica sugli aspetti legali e medici della situazione che hanno dovuto vivere. Nella guida vengono decostruite parole come colpa o vergogna, amore e violenza.

(continua su Internazionale qui)

Il populismo s’è fatto bullo

Tira una brutta aria nel campo del referendum costituzionale. Aria densa, che puzza di fritto e che s’appiccica addosso. Aria di propaganda che si fa lama là dove la distruzione dell’avversario è l’obiettivo nemmeno troppo simulato: fa niente se la Costituzione diventa la carta igienica per pulirsi la bava. Non è nemmeno banale populismo; sarebbe meglio forse. Invece qui siamo di fronte al circo delle pulci con l’animo da zecche. Derisioni, congetture spacciate per verità e un certo qualunquismo altezzoso di chi s’atteggia a snob e invece è solo stupido.

Oggi su Repubblica si legge la definizione “il teatrino del no”. “Il teatrino del no” consiste, secondo l’ennesimo illuminato editorialista, nel mettere insieme tutti quelli che sono contro la riforma senza rispettarne i ruoli, le storie e le sensibilità. È il comandamento di Renzi, del resto: “metteteli insieme tutti, fate vedere che stanno insieme alla destra” ha detto catechizzando i suoi. E fa niente se con la destra Reni ci ha governato per anni, si prepara a rivedere la legge elettorale e se con gli scarti della destra (Verdini docet) ha trovato una risicata maggioranza per imporre la riforma della Costituzione. Lui martella sul populismo (mentre dichiara di cercare i voti a destra, eh) e gli altri per eccesso di servilismo bullizzano senza averne contezza.

Ma no, non è nemmeno questo il punto. A questo portamento ormai stinto ci abbiamo fatto il callo. Il tema vero è che l’antipolitica così lungamente condannata per tentare di scalfire il M5S quand’era appena nato e in crescita (a proposito, ha funzionato un mondo, tra l’altro) oggi è l’asse portante della propaganda di governo. Come scrive anche Pippo qui, dei politici che maledicono i politici sono il monumento equestre all’idiozia che ormai s’è attorcigliata su se stessa. Pur di raschiare il fondo del barile ci si riduce a produrre cartelloni pubblicitari i cui si invoca un’Italia con meno politici con una campagna finanziata dagli stessi parlamentari del PD. Ve lo ricordate Totò Cuffaro quando da presidente della regione siciliana appese un po’ dappertutto i cartelloni con scritto “la mafia fa schifo”? Ecco, il sapore del conato è simile a quei tempi lì.

Di cosa c’è bisogno quindi per costruire consenso? Di instupidire il tutto per essere immediati e non dover dare spiegazioni. Quello che Berlusconi faceva con la magistratura, che Salvini fa con gli immigrati e che Trump sta facendo con i messicani qui da noi Renzi e la sua banda lo stanno facendo alla Costituzione. Tirate le somme.

Il fatto è che in campo per questa campagna ci sono tante brave e preparate persone. Tante, davvero. C’è un’Italia fortemente politica che vuole fare politica oltre che sentirsela dire: ci sono professori, costituzionalisti, giornalisti, imprenditori, studenti, ricercatori, insegnati, giovani e giovanissimi, anziani, casalinghe disoccupati. C’è tanto Paese. Tantissimo. Sia del sì che del no, intendiamoci. E mentre questi discutono con misura e impegno, mentre questi studiano i cannoni di governo fanno il deserto tutto intorno. Colpendo anche i loro, se fossero ancora capaci di accorgersene, se fossero ancora capaci di intendere un senso di comunità che non sia utilitaristico nell’immediato.

Che in fondo se lo scopo è davvero quello di “meno politica”, beh, cari Renzi e renzini, ci siete già riusciti senza nemmeno bisogno di togliere il diritto di voto per il Senato che avete in mente: dovrebbe essere un dibattito e invece è una fanfara. La politica, quella alta, è rimasta a casa, ha già spento tutto e chiuso le finestre.

Ma non è tutto male, credetemi: mentre questi giochicchiano a convincerci che destra e sinistra siano uguali noi continuiamo ad impegnarci ad essere seri. Convinti che anche il “come” insieme al “perché” sia politica nonostante questi si siano incagliati sul “per chi”. E prima o poi arriverà, come negli spettacoli troppo superficiali e troppo immaturi, la replica stanca con il patetico sforzo dell’orchestrina. E non riusciranno a cancellare le loro orribili orme. E nemmeno questo teatrino di editorialini.

Proteggere

Ilaria Capua è una delle più apprezzate ricercatrici italiane all’estero. Ilaria è finita in Parlamento per la sua eccellenza professionale:incredibile di questi tempi. Ilaria Capua ha subito un processo che ne ha messo in discussione non solo la lealtà ma anche tutta la carriera. Ne è uscita pulita, alla fine, ma ha deciso di dimettersi. L’editoriale più bello sono le parole delle dimissioni di Ilaria Capua dal Parlamento. Perché ci vuole coraggio a versare umanità lì dove viene considerata una debolezza e ci vuole dignità, tanta dignità, a scrivere parole così pulite nonostante il sudore e la polvere. Se questo buongiorno deve essere un buon mattino allora meglio lasciarlo a Ilaria:

«Sì, perché non ci piace pensarlo, ma ognuno di noi ha un tempo limitato che gli resta da vivere – e utilizzare al meglio quel tempo è una forma di rispetto verso se stessi e verso gli altri. Anzi un dovere. Ho sentito quindi, che fosse giunto il momento di tornare ad usare il mio tempo al meglio, di tornare nel mondo scientifico, purtroppo non in quello italiano, in un ambiente nel quale non avessi mai perso la credibilità e nel quale fossi riconosciuta ed apprezzata. Ho accettato, su richiesta di una organizzazione internazionale, un incarico di Direttore di un Centro di Eccellenza all’Università della Florida. Ho deciso di trasferire la mia famiglia negli Stati Uniti per proteggerla dalle accuse senza senso ma nel contempo infamanti che mi portavo sulle spalle.

Perché una mamma ed una moglie deve farsi carico anche di questo. Proteggere. E aggiungo, una donna di scienza nel quale questo Paese e l’Europa hanno investito ha il dovere di non fermarsi. Ha il dovere di continuare a condurre le proprie ricerche nonostante tutto, perché la scienza è di tutti ed è strumento essenziale per il progresso.

Venti giorni dopo il trasferimento negli Stati Uniti la Procura di Verona in sede di udienza preliminare ha smontato il castello accusatorio pezzo per pezzo, prosciogliendomi dai molteplici capi d’accusa perche «il fatto non sussiste». Secondo la giudice una sola accusa meritava di essere eventualmente approfondita in dibattimento, ma il presunto reato era ormai prescritto da tempo e quindi sarebbe stato inutile proseguire. La sentenza è passata in giudicato e nessuno l’ha impugnata. Nessuno. Ora che è finita, potrei tornare indietro, ma vi dico la verità, non me la sento. Devo recuperare forze, lucidità e serenità, devo lenire la sofferenza che è stata provocata a mia figlia e a mio marito. Devo recuperare soprattutto fiducia in me stessa, appunto perché voglio usare al meglio il tempo che ho a disposizione. Lo devo ai miei genitori che mi hanno fatto studiare, ai miei maestri, ai miei amici e ai miei allievi di ieri e di domani.»

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il partito del ni

(scritto per i quaderni di Possibile, qui)

Ieri Romano Prodi ha dichiarato che la la campagna referendaria è “una rissa più dura di quella del confronto tra Hillary Clinton e Donald Trump” aggiungendo che non prenderà posizione nemmeno “sotto tortura”. Di Bersani e Speranza, insieme alla cosiddetta “sinistra del PD”, ne leggiamo praticamente tutti i giorni: a loro la riforma così com’è non piace, dicono, forse voterebbero “no” al referendum ma non sanno dirci cosa voteranno, lasciando intendere che c’è spazio per una trattativa. Su cosa vorrebbero trattare in realtà si è capito ancora meno. Giuliano Pisapia, sempre messianico nelle interviste, si dilunga per dirci che non ci dice cosa voterà. Da altre parti, qui a sinistra, fuori dal PD ogni tanto si scorge qualche incertezza sulle posizioni del “no” dove incertezza in realtà è un eufemismo per non scrivere imbarazzo e un poco di viltà: le posizioni referendarie più disparate compaiono negli articoli di indiscrezioni parlamentari ma non vengono smentite. In compenso le leggono tutti.

Stessa cosa sull’ultima renziata del ponte sullo Stretto: evidentemente è bastata una notte per portare consiglio e oggi in molti si scoprono favorevoli a ciò che hanno sempre combattuto. Dicono che è di sinistra creare lavoro e verrebbe voglia di citare Loredana Lipperini e Giovanni Arduino che nel loro ultimo libro (Schiavi di un dio minore, UTET) scrivono che se “è di sinistra creare lavoro, non parlarne, dunque i faraoni erano di sinistra”. Ma, anche sulla questione del Ponte di Messina, a pesare sono i silenzi. Tanti, troppi e ormai tristemente preventivabili.

C’è in Italia, di questi tempi, il consolidamento del nuovo grande partito del “nì”. Una coalizione bipartisan che galleggia dentro e fuori il Parlamento e che coinvolgi intellettuali, uomini di spettacolo, ex girotondi e un pezzo di ex cittadinanza rumorosa attiva. Attenzione, non sono quelli che concordano con il governo e con le sue riforme: quelli tengono (più o meno coerentemente con la loro storia) una posizione politica e la esprimono. Questi invece, i professionisti del non prendere posizioneciondolano aspettando di vedere la piega che prenderà il Paese: lucrano sul tempo e sulle energie (degli altri) spacciando l’esitazione per saggezza. Intervengono ampollosi riuscendo a non dire nulla mentre si scrollano la responsabilità di stare in campo.

È obbligatorio prendere una posizione? No, certo che no. Ma è obbligatorio prendersene la responsabilità politica. Anche del non decidere, se necessario. E conviene ricordarsene, segnarsene i nomi perché in questo Paese in cui ritorna tutto (e soprattutto in cui resuscitano le pulsioni peggiori del berlusconismo) poi almeno non vorremmo prendere lezioni da maestri fannulloni. La prossima ramanzina dei santini della sinistra che è stata e che non decide almeno evitatecela. Almeno quella.

Noi intanto non cadiamo nella tentazione di inseguire il frastuono delle promesse e delle sparate. Continuiamo a essere seri e, possibilmente, ad essere abbastanza intelligenti da nutrire continuamente dubbi, anche ad alta voce. I chilometri che stiamo percorrendo in giro per l’Italia con il nostro Tour Ricostituente sono un patrimonio politico che abbiamo il dovere di investire. E rivendicare.

Proviamo a essere dappertutto. Casa per casa, nei paesi minuscoli come nei capoluoghi. Abbiamo costituzionalisti commessi viaggiatori che rendono potabile ciò che parrebbe difficile; compagni che allestiscono tavoli, dispiegano bandiere, sistemano l’acqua e distribuiscono volantini; seminiamo incontri e dibattiti con l’impegno di restare nel merito e ci confrontiamo con quelli che (quegli altri) non invitano. Il nostro Tour Ricostitutente, insieme all’attività parlamentare e alla polvere di costruire un movimento, sono risultati inimmaginabili fino a qualche mese fa. E, senza proclami, lo facciamo grazie ai nostri elettori e alle vostre donazioniPer questo vi invitiamo a sostenerci con una donazione o acquistando un nostro gadget.

Grazie a chi condivide con noi la sfida costituzionale.