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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Il partito della fiducia

Massimo Bray (uno dei Ministri di cui avremmo bisogno) riprende sul suo sito il tema della (s)fiducia nella politica. Il partito della fiducia è una minoranza ben più piccola del computo totale dei votanti. già misero, in cui stanno anche i professionisti delle prebende e dei personalissimi stretti ritorni economici. Raramente ci capita e ci succede di sentire in ambito politico una fiducia “etimologica”, cioè qualcuno che speri che si realizzino i progetti in cui crede, in un momento dove anche il meno peggio può raggiungere percentuali a due cifre. Per questo la ricostruzione di un’area politica che “faccia” la sinistra non può che passare attraverso la ricostruzione di un modello di cittadinanza profondamente diverso nel curare le proprie speranze senza svenderle a nessuno, senza nomi, senza salvatori ma semplicemente (e non è per niente semplice) aderenti ad un progetto. Come scrive Bray:

La fiducia si basa principalmente – e naturalmente – sulla percezione di una possibile realizzazione delle aspettative: l’unico genere di società in grado di rendere felici i suoi cittadini è la repubblica virtuosa, la res pubblica ciceroniana, nella quale tutte le leggi sono rivolte al bene pubblico e i governanti agiscono nell’interesse del popolo. La repubblica ‘virtuosa’ è tale in quanto edificata su una serie di valori condivisi e rispettati. Il rischio insito in una perdita di fiducia, dunque, è quello di rendere difficile, o anche impossibile, come accennavo prima, quei processi di identificazione dei rappresentati con i rappresentanti che sono stati da loro direttamente o indirettamente delegati a gestire la cosa pubblica; di rendere difficile o impossibile che le forze positive che vengono, per così dire, dal basso, vale a dire dall’impegno individuale e collettivo dei singoli e dei gruppi, possano incontrarsi con le responsabilità di chi ha il compito istituzionale di gestire l’ambito pubblico nell’interesse della comunità.

Ho avuto già occasione di riflettere, in altre occasioni, su quello che è forse il dato che più mi ha colpito durante i dieci mesi nei quali ho ricoperto la carica di Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: nei moltissimi incontri, nelle moltissime occasioni di dialogo e di ascolto, nelle numerose esperienze di conoscenza con tante realtà del nostro Paese che mi sono state offerte dal mio ruolo, mi sembra di aver colto soprattutto un forte bisogno di cambiamento, una forte richiesta di attenzione: quell’energia positiva che attraversa l’Italia alla quale accennavo prima, un’energia che rappresenta la parte migliore del Paese, un’energia che chiede un futuro differente, un’energia sulla quale siamo chiamati a costruire il nostro futuro. Perché questo sia possibile, tuttavia, è necessario ricostruire la fiducia; e per far questo occorre che cambi il modo di fare politica, occorre ripensare i modi, le forme, i contenuti dell’impegno della politica e delle istituzioni.

In questo senso, vale la pena tornare a riflettere su quella che può apparire, e indubbiamente è, una nozione ben nota, che tuttavia vorrei recuperare in chiave non soltanto critica, ma anche propositiva. La nozione è quella per la quale l’epoca in cui ci troviamo a vivere è caratterizzata dal predominio dell’apparire sull’essere: un fenomeno che pervade ogni aspetto della comunicazione e della vita associata, e che può essere sintetizzato, con riferimento più diretto alla vita politica, nel semplice assunto per il quale, mentre in passato un esponente politico ‘compariva’ perché si era guadagnato la notorietà con le proprie azioni rivolte alla difesa del bene pubblico, oggi viceversa si è famosi perché si compare, a prescindere da qualsiasi merito personale o da qualsiasi altra considerazione. Quando invece occorrerebbe forse sovvertire questo paradigma, rinunciando preventivamente ad apparire e concentrandosi esclusviamente sul ‘fare’. Non si tratta, si faccia attenzione, di un’istanza etica, o – in ogni caso – esclusivamente etica: la rinuncia all’apparire si lega anche, infatti, a un più diretto impegno per il bene comune, a una concezione dell’agire politico come servizio alla comunità, contrapposto ad ogni forma di sterile protagonismo. Mi piace ricordare a tale proposito come nello scrivere, nelle Origines, la storia di Roma dalla fondazione all’epoca a lui contemporanea, Catone sceglieva di non chiamare per nome i singoli condottieri, vale a dire i massimi protagonisti delle vicende da lui narrate: una scelta che potrà apparire oggi certamente estrema, ma con la quale egli intendeva opporsi al culto carismatico dei membri delle famiglie nobili, elaborando una concezione della storia di Roma come opera collettiva del suo popolo, e contrapponendo in tal modo al prestigio delle gentes quello della res publica. E mi piace ricordare anche, recuperando – con qualche cautela in più – un esempio a noi più distante dal punto di vista sia geografico che cronologico, quelle società primitive dell’America Meridionale descritte da Pierre Clastres, l’antropologo considerato da molti l’erede di Claude Lévi-Strauss, nel libro intitolato, significativamente, La società contro lo Stato: le società cosiddette ‘senza potere’, nelle quali il capo è al servizio della comunità, e non viceversa.

 

Ecologia nella cronaca

Anche per la mia esperienza personali non posso non sottolineare due punti del post di Alessandro:

2. Sto pensando di costituirmi parte civile contro tutte quelle testate che parlando del genitore biologico di Giuseppe Bossetti lo definiscono “il vero padre” (tipo La Stampa, pagina 5). Il vero padre, se c’è stato, e buono o pessimo che sia stato, è quello che ha cresciuto Giuseppe dalla nascita all’età adulta, come sa qualunque genitore adottivo: non chi si è fatto una trombata quarant’anni fa poi è sparito. Qui siamo ai basici, eh.

3. E no, Bossetti non è un “figlio illegittimo”, come hanno detto tivù, giornali, siti e radio: i figli non sono mai illegittimi, né per la legge (vedere diritto di famiglia) né per chi conosce l’italiano. Semmai del famoso autista di autobus il signor Bossetti è figlio biologico: e se proprio non vi viene, va bene anche naturale. Ma illegittimo, proprio no, grazie, e pure da parecchi anni.

«A me risulta che altri lasceranno, nei prossimi giorni»

Il deputato Michele Ragosta, eletto nel partito Sinistra Ecologia Libertà, ha annunciato di aver deciso di cambiare gruppo parlamentare, passando a quello del Partito Demcratico. In una breve intervista su Repubblica, Ragosta – che si dice “uno dei fondatori di SEL” – spiega che quello è “rimasto un partito del Novecento, inadeguato” e che lui viene dal PCI e “oggi torno a casa”. E aggiunge:

«A me risulta che altri lasceranno, nei prossimi giorni»

(link)

Expo 2015: la confessione di Sala e la Grande Bugia

GIUSEPPE SALADice Sala, commissario unico della società che gestisce Expo 2015:

 “Io mi riconosco due errori – afferma -Non aver capito quello stava facendo Paris (Angelo Paris, direttore generale di Expo fino all’arresto dell’8 maggio, ndr) e non essermi impuntato quattro anni fa, quando avrei voluto affidare appalti e lavori a un general contractor esterno, da scegliere con una gara internazionale. E invece mi lasciai imporre da Formigoni e Moratti Infrastrutture Lombarde e Mm“.

La confessione è importante: dichiara che nonostante le scatole cinesi la politica (senza confronto politico quindi senza politica) avevano già deciso il finale. Cioè: i cittadini sono solo spettatori inermi e scemi.

Nella terra di mezzo non c’è più quasi nessuno

Sono politicamente molto lontano dalle posizioni di Claudio Fava e in generale con tutti gli “irresistibilmente attratti” dal PD ma concordo con lui sulle critiche alla non-posizione uscita ieri dall’assemblea di SEL in cui si è deciso di non decidere. La sinistra guardinga e timida finisce sempre per essere risucchiata verso il centro o diventare malinconicamente residuale e oggi a SEL è chiesto di decidere se fare grande il germoglio delle ultime europee oppure farsi piccola ma sicura nel confortevole PD: il resto è esercizio oratorio.

Poi magari un giorno qualcuno avrà il coraggio di dire che Vendola ha esaurito la sua parabola di spinta. Poi. Magari.

Come raccontiamo questo tempo: Marcello Dell’Utri

Mi chiedo spesso cosa penseranno di noi quando la Storia avrà delineato i contorni di ciò che ci è accaduto accanto, se saremo stati impreparati, irresponsabili, veggenti o banali o folli o semplicemente leggendoci ci troveranno completamente fuori strada. Quando scrivo e poi racconto una storia, che sia spettacolo o libro, ho sempre la fisima della contemporaneità, che in teatro o su carta mi lascia l’illusione di essere “presente” e potere contribuire (nella mia piccola parte) se non all’acutezza del dibattito almeno all’esistenza di un dibattimento che dovranno riconoscerci. Per questo ci siamo messi a scrivere L’innocenza di Giulio nonostante in molti ci dicessero che il processo di Andreotti a Palermo avesse “già fatto il suo tempo”: non vogliamo accontentarci di ciò che non ci accontenta.
Marcello Dell’Utri vorrebbe essere già ieri: farebbe a comodo a lui, ai suoi padroni, ai suoi sodali e perfino ai suoi blandi oppositori. L’interesse per il suo processo si è spento, la sua estradizione è durata per il tempo medio di una buona notizia e ora basterà reciderlo in fretta per ricostruirsi (lui e i suoi “vicini”) una verginità fondata sulla memoria corta.
Vale la pena volere essere “contemporanei” anche nell’arte e nella narrazione? Sì, anche prendendosi il rischio di avere sopravvalutato qualcosa o qualcuno ci togliamo la soddisfazione di parlare a lui e ai suoi “vicini”. E sentiamo come ci rispondono, se rispondono, e non potranno incolparci di essere stati dalla parte di chi non aveva nulla da dire. E per questo abbiamo deciso di farne una “produzione sociale” per chi vuole essere con noi.

La cupola delle spiagge romane: arrivano le condanne

Mafia, Roma e ora anche le condanne:

Associazione a delinquere di stampo mafioso. Questo il reato costato otto anni di carcere a Diego Rossi. Uno degli uomini di spicco di Carmine Fasciani, il boss del litorale di Roma. Quest’ultimo sotto processo per lo stesso reato ma ancora in attesa di giudizio perché ha optato per il rito ordinario.

Col rito abbreviato ieri è stato invece messo un primo punto sulla presenza di una cupola a Ostia. Una sentenza storica che non si vedeva dai tempi della banda della Magliana visto il tipo di reato contestato.

Oltre a Rossi, anche se non per l’associazione di stampo mafioso ma per essersi intestati in modo fittizio beni riconducibili al clan Fasciani, sono stati condannati a tre anni e quattro mesi di reclusione Antonio Basco a due anni e quattro mesi Giovanna Basco e Daniele Carbone e a due anni Maria Luisa Piselli. Assolti da tutti i reati altre quattro persone. Inoltre, il gup Alessandra Tudino, ha disposto la confisca di locali e degli stabilimenti balneari: il Porticciolo, Malibu beach, Emmediesse e Dottor Fish. Visibilmente soddisfatti per l’esito del processo il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il sostituto Ilaria Calò.

Traffico di droga e armi, pizzo, estorsione, acquisizione in puro stile mafioso dei locali di Ostia. Solamente che qui siciliani, calabresi e campani non c’entravano nulla. O meglio quella del clan Fasciani è una mafia “made in Roma”, come emerge dalle indagini dei magistrati capitolini.

E’ infatti romano, Diego Rossi, uno degli sgherri di Don Carmine. Colui che, per la procura, non esitò a sparare “in una pubblica via”, a un uomo che offese la figlia di Carmine Fasciani. Persona colpevole per Rossi, di aver sputato sull’automobile di Sabrina Fasciani.
“C’è stato un drastico ridimensionamento dell’ipotesi accusatoria  –  spiega l’avvocato di Diego Rossi, Salvatore Sciullo  –  dal momento che il pm aveva chiesto 14 anni di reclusione per il mio assistito. Aspetteremo, comunque, le motivazioni della sentenza”.
Nel giudizio erano costituite come parte civile la Regione Lazio, Roma Capitale, Libera e Sos Imprese. Per loro il giudice ha stabilito il risarcimento dei danni da quantificarsi in separata sede.

Ma Renzi ci fa vincere!

Infatti dicono soltanto questo: ma Renzi ci fa vincere! E che te ne fai di una vittoria se non hai idee da promuovere, uno stile da affermare, una visione della vita da illustrare?

Salvatore Settis intervistato da Antonello Caporale

L’acqua alta di Matteo

Appena il sindaco di Venezia ha dichiarato di essere stato “invitato” a incassare tangenti perché così facevano tutti e si faceva da tempo e perché così voleva il Partito Democratico la questione politica veneziana è stata “chiusa”, Orsoni si è dimesso, ha patteggiato e poi si è dichiarato innocente e subito il problema è diventato individuareil prossimo candidato. Fine. Stop.
La questione morale per la politica italiana (e purtroppo anche in questi tempi di Renzi) è diventata una ginnastica alla momentanea additazione del colpevole e conseguente scaricamento giù per il buco tirando l’acqua senza nemmeno spendere il tempo di individuare l’eventuale errore politico e la responsabilità di partito: Orsoni è il mostro, Orsoni è il ladro, ciò che dice è falso e tutti sono immuni ad Orsoni. Passa anche Fassino che ha giurato sull’integrità del sindaco veneziano e ora tace sul patteggiamento, passa il silenzio sui dirigenti democratici del veneto che si prendono il lusso di non rispondere alle accuse e l’argomento del giorno diventa Mineo e i senatori dissidenti che non si possono permettere di porre nessun veto sulle riforme.
Eppure un uomo così attento alla comunicazione come Renzi non può essere così stupido da pensare che la nomina di Raffaele Cantone e l’atteso decreto anticorruzione possano bastare per chiudere un tema che è scottante per il Paese (sì, certo) ma anche per questo PD che sembra già così lontano da quel 40%: da Renzi che dichiara (e twitta) su tutto ci si aspetterebbe una visione completa e complessa di ciò che accade a Venezia con la stessa furia rottamatrice con cui ci ha dipinto i Letta e i D’Alema e una scoppiettante intuizione su corruzione, mafie e l’atteso Comitato per la protezione dei testimoni di giustizia. Invece no, niente e ad ora nemmeno Dell’Utri è riuscito a dare un’ispirazione: così viene il dubbio che il riformismo e il nuovismo spinto valga solo se combacia in una direzione, la sua.

E’ rientrato l’amico degli eroi

Alla fine Marcello Dell’Utri è stato estradato e sono state mantenute le promesse. Nonostante ultimamente non se ne facesse più cenno le trattative dipolmatiche hanno portato i frutti sperati e ora dovremo fare i conti con questa storia che sembra avere raggiunto la propria conclusione giudiziaria passando liscia il dibattito pubblico.
Noi facciamo la nostra parte cercando di non perdere nemmeno una briciola di un arresto che illumina decenni di storia che si fatica a raccontare con il nostro libro e il nostro spettacolo. Per scriverlo e portarlo in scena vi chiediamo una mano, qui.