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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

A Viareggio, invece, il mafioso presiedeva la squadra di calcio

A Lucca sette indagati e 18 milioni di euro sequestrati:

Il principale indagato è un imprenditore lucchese, Pietro Raffaelli di 65 anni, abitante a Camporgiano in provincia di Lucca, ex presidente del Viareggio quando patron della squadra era Giorgio Mendella. Raffaelli, riferisce la guardia di finanza, è stato già condannato dal tribunale di Bari nel gennaio 2008 con sentenza definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso, contrabbando di tabacchi esteri e riciclaggio, dato che ricopriva un ruolo di primo piano nelle organizzazioni dei traffici di sigarette dal Montenegro alla Puglia procurando ai clan della Sacra Corona Unita motoscafi veloci utilizzati per i trasporti dei cartoni di ‘bionde’.

 

La mafia a Pisa non esiste

Me lo ripeteva tra il serio e faceto un amico pisano con cui mi capita di ritrovarsi davanti ad un buon bicchiere di vino della sua zona.

Oggi c’è stato un sequestro importante di beni ai danni del boss Orlando Galati Giordano. Beni per 400 mila euro riconducibili a Orlando Galati Giordano, ritenuto esponente di spicco del clan dei ‘Tortoriciani’, operante nella fascia tirrenica-nebroidea della provincia di Messina, ed al figlio Eros Gennarino sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia di Messina. Il provvedimento, emesso il 25 settembre scorso dalla Corte di Assise di Appello del Tribunale di Reggio Calabria, fa seguito ad un precedente sequestro eseguito dagli investigatori della Dia nel luglio scorso. La confisca riguarda un’unità immobiliare a Tortorici (Messina) ed una ditta individuale operante nel settore della rivendita di giornali e periodici intestata al figlio e con sede a Pisa, città nella quale risiede da diversi anni il nucleo familiare dell’uomo. La confisca trae spunto da un’attività d’indagine delegata alla Sezione Operativa di Messina dalla Procura Generale di Reggio Calabria per accertare la situazione patrimoniale di Orlando Galati Giordano, attualmente detenuto, al 9 marzo del 2010, data in cui era divenuta definitiva la sentenza di condanna a venti anni di reclusione emessa dalla Corte di Assise di Appello di Messina per i reati di associazione mafiosa, omicidi ed estorsioni consumati dal medesimo nella provincia peloritana tra il 1986 e il 1993. Le investigazioni patrimoniali della Dia hanno consentito di fare emergere evidenti profili sperequativi tra i beni posseduti ed i redditi dichiarati ai fini delle imposte sul reddito dall’uomo, ritenuto elemento carismatico nell’ambito del gruppo mafioso dei ‘tortoriciani’ tanto da divenirne, intorno alla fine degli anni ’80, capo indiscusso dell’omonima frangia che si contrapponeva a quella dei Bontempo Scavo.

Tra i beni sequestrati c’è anche un’edicola a Pisa. Pisa. Perché proprio a Pisa la famiglia del boss si è trasferita da anni. Pisa.

La solidarietà è un reato

Dunque i bambini, gli uomini e le donne accatastati uno sopra l’altro lì a Lampedusa nel Centro di Prima Accoglienza sono indagati perché colpevoli.

Dunque i pescatori che solidali hanno prestato soccorso a quel bambino di 11 anni aggrappato ad una bottiglietta sono colpevoli di favoreggiamento.

Insomma gli unici innocenti nel mare di dolore e solidarietà sono i morti.

Non basta questo per valutare la giustizia (umana) che c’è dietro la Bossi-Fini?

Corpi morti allineati

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I corpi di alcuni emigranti italiani sulla spiaggia di Cartagena dopo il naufragio della nave Sirio. Secondo il Lloyd i morti furono 292 ma il bilancio fu contestato dalle controparti che, accusando gli armatori d’aver caricato più persone di quante dichiarate, stimarono le vittime tra le 440 e le 500.

Non siamo nemmeno all’altezza dei nostri morti

img1024-700_dettaglio2_Lampedusa-tragediaLa strage di Lampedusa non sanguina oggi, no. Sanguinerà domani sera, forse, e sicuramente dopodomani quando verrà archiviata tra le morti straniere in patria e riempirà il faldone delle cose da dimenticare subito dopo l’erezione fisica dovuta all’indignazione.

Piangere oggi le vittime di Lampedusa è un diritto di chi ha il giusto sentore delle sevizie dei CIE, di chi non scambia lo schiavismo per libera prostituzione, di chi giudica un morto perché è morto e non dove è nato o, ad esempio, di chi ha il mirabolante coraggio di inserire tra le cifre del femminicidio quelle ragazzine puttanelle che rimangono ammazzate ai bordi delle strade tra i profilattici usati e il bidone incendiato per scaldarsi.

Piangiamo lacrime italiane per gli italiani, lacrime non comunitarie per gli extracomunitari e lacrime da pasto per i profughi: diversifichiamo il dolore con una pratica del lutto che, nemmeno lei, riesce a non essere federalista e democratica.

Mio nonno si chiamava Gregorio, Gregorio Cavalli, detto Gigeto per quell’abitudine veneta di smitizzare per diluire la fatica di vivere, e si era trasferito in America per lavorare prima al canale di Panama e poi aprire un bar americano come si vedono i bar americani nei film americani. Quando è tornato a Carpanè (Carpanè Valstagna) per tutti era “l’americano” e si è comprato anche una bella casa: con nonna e poi mio padre e i suoi fratelli. Quando era tornato a casa mio nonno Gigeto aveva perso un braccio. Nei racconti epici del bar giù a Carpanè si raccontava di Greogorio Cavalli l’Americano che aveva lasciato un braccio sotto la ruota di un carro. Lì, in America, probabilmente, avevano scritto che “un italiano ha perso un braccio sul lavoro” e tutti a dire che guarda questi italiani che lavorano come muli, disposti a tutto per un tozzo di pane, e forse chissà che giri loschi aveva l’italiano e magari vuoi che sia stata una vendetta. Una cosa così.

Oggi a Lampedusa sono morti centinaia di nonni Gigeto che non hanno nemmeno avuto l’occasione di essere epici nel proprio bar dopo essere stati servi in terra straniera. Oggi a Lampedusa sono morti di adrenalina, vomito, placenta e sangue dei morti che muoiono tutto il giorno e solo oggi faranno un po’ più di rumore perché hanno superato i chili di cadaveri ammessi per la normalità del lutto quotidiano.

Le discussioni politiche sono state strumentali alle persone piccolissime che gareggiano in propaganda. Le morti invece no, le morti, mannaggia dio, sono sempre altissime nonostante i colori e le provenienze. E noi sempre immaturi vivi davanti ai morti. Adolescenti di fronte ad ogni sentimento che sia più del tifo o dell’odio.

Fedeltà e fiducia #governoletta

Attenzione: questo non è un post di analisi politica. Per fare un’analisi politica bisognerebbe avere lo stomaco a posto e non essere disgustati da una giornata che sacrifica le parole tra le più belle di questa nostra lingua: fedeltà e fiducia. Oggi Silvio Berlusconi ha provato ad esercitare il dovere alla fedeltà dei suoi accoliti e ha scoperto di avere sbagliato qualcosa nella sua pratica di allevamento; così qualcuno (Alfano & co.) ha cominciato a pensare e la cosa non era prevista. Intanto la parola fedeltà si stacca una volta per tutte dalla meravigliosa aderenza comune a valori comuni e diventa ufficialmente l’esecuzione di un ordine. Ne abbiamo letto e studiato sugli sterminati prati di battaglie ma questi ultimi vent’anni ci hanno insegnato che il servilismo paga anche in altre aule. Eppure questa legge elettorale implica perfidamente una gratitudine insana che è un po’ homo faber fortunae tuae, oltre che suae. Così Silvio si innervosisce come un padre schiaffeggiato dal figlio ma lo stesso Grillo tiene lo stesso comportamento da qualche mese (e oggi al Senato). Similitudini.

In un contesto in cui l’aspetto valoriale è ripieno buono solo per la propaganda diventa ancora più difficile capire la natura della fiducia che si è votata oggi: l’Europa, la nuova (e la vecchia) DC, il Presidente Napolitano e l’ostinato asse PD-PDL hanno parlato (nelle vesti di Letta) di un programma che ha obiettivi talmente ampi (e fumosi) da lasciare il dubbio che l’obiettivo vero sia sopravvivere e (l’unico aspetto che un po’ ci ingolosiva) tagliare finalmente fuori dalla scena politica un condannato in via definitiva. Il primo intento è riuscito, certo, il secondo molto meno quasi niente. Perché vorrebbero farci credere che sia cambiato qualcosa ma in fondo nei numeri è lo stesso governo di prima, con più tensioni, più divisioni e altro tempo perso in un balletto completamente distaccato dalla realtà del Paese. Niente di più di giochi di palazzo di un palazzo che ha potuto permettersi di non dirci niente sull’aumento dell’IVA o su cosa succederà per quanto riguarda l’IMU.

Intanto il PD (o meglio, soprattutto un’ala del PD) è sempre più felice di assomigliare alla faccia “pulita” del PDL che si intravede all’orizzonte e tutti festeggiano questa somiglianza sempre maggiore che è uno strabismo della democrazia. Qui un giorno sarà “tutto centro” e monumenti “storici” e ci diranno che è una bella fortuna.

I congressi sono depotenziati da una ritrovata stabilità che sembra così promiscua da fare arrossire anche i più seriali adulteri da week-end a Cortina.

Tutto va bene, ci dicono. Loro hanno danzato sulle macerie e vorrebbero anche che battessimo le mani.

 

La cava di Bollate, Mandalari e le coincidenze

Ha fatto molto scalpore la retata di Cascina del Sole in via La Cava che pochi giorni fa ha portato agli arresti una banda che nascondeva in un appartamento della frazione bollatese armi da guerra e droga (cocaina).

Ha fatto scalpore non solo per il fatto in sé, ma anche per il luogo in cui è avvenuta la retata: a Cascina del Sole si trova la Cava Bossi, a lungo al centro di denunce e successive indagini che hanno portato con sé il sospetto della presenza della n’drangheta legata al movimento terra (denunciata anche da un comitato cittadino bollatese che si schierò tempo fa a favore della chiusura e bonifica della cava stessa).

Inoltre Cascina del Sole è stato il “feudo” di Vincenzo Mandalari, il boss dei boss arrestato nell’operazione “Infinito”.

Emerge qualche particolare in più dalla retata dell’altro giorno: l’appartamento soggetto alla retata è intestato all’unico italiano della banda.

La polizia sospetta che la banda si stesse preparando per una guerra territoriale contro altre bande rivali (ecco spiegata tutta la potenza di fuoco rinvenuta nell’appartamento). E si sfruttava il commercio e la gestione del traffico di droga per guadagnare il necessario per autofinanziarsi.

Inoltre gli esperti stanno analizzando l’abitazione e le armi per capire se queste siano state già usate in precedenti reati.

Eppure quando ne parlavamo qui, qui o qui eravamo proprio in pochi. I professori dell’antimafia erano impegnati nei saggi, loro.

Persone da non lasciare sole

Rosario Rocca è sindaco di Benestare, piccolo paesino della Locride. Rosario si è ritrovato, alle cinque di questa mattina, con la denuncia appena timbrata in caserma dove viene descritto l’incendio della propria auto. Nelle scorse settimane l’auto bruciata invece era stata quella della sorella. Decine di minacce, più o meno velate, che l’hanno portato a desistere e scrivere una lettera che non è la sua resa, è la nostra sconfitta:

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Il vocabolario del “potere”

Sul versante del potere politico, l’impressione è quella di un’oligarchia plebea assurta agli agi e alle opportunità del potere senza avere la minima educazione o cultura necessarie per non restarne ebbra. Sul versante dei notabili locali, si assiste invece allo spettacolo di un’accondiscendenza servile verso la politica. S’indovina in complesso una società legata a filo doppio alla politica locale in un intreccio e uno scambio continuo, pronta a dire sempre di sì, sicura di ottenere domani in cambio qualcosa. L’occasione della telefonata è miserabile ma significativa: una raccomandazione che la Lorenzetti chiede al rettore dell’Università (per il tramite di una professoressa sua ex assessore, naturalmente del Pd anche lei): nientedimeno che per far promuovere a un esame di medicina uno studente figlio di un «compagno». Come sempre l’elemento più rivelatore è il linguaggio. La prof alla Lorenzetti: «Ho capito, ha bisogno di non essere fermato ingiustamente, diciamo così per qualche finezza accademica» (chi parla, si ricordi, è una docente universitaria…); Lorenzetti: «Ecco hai capito perfettamente Gaia mia. Noi siamo concrete e pratiche senza tante seghe»; la prof (a raccomandazione inoltrata): «Il rettore si è prosternato perché gli ho detto da chi viene: a disposizione!» (ride); la Lorenzetti (a cose fatte): «Sei grande»; la prof: «Come si dice, a noi chi ci ammazza?»; l’altra, più tardi: «Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole» (leggi: di chi ha in tasca la tessera del suo partito).

Un’immagine dell’Italia attraverso le intercettazioni dell’ex governatrice Maria Rita Lorenzetti.

Caro Letta, menti

Roberto Giacchetti (parlamentare PD, eh) risponde ad Enrico Letta con un’onestà intellettuale che è merce rara:

Oggi Enrico, per replicare a Grillo, spiega che il Pd non era contro nel merito ma sul metodo. Mi viene da sorridere: l’accusa sarebbe quella che 4 mesi fa occuparsi di legge di salvaguardia sarebbe stata un’accelerazione impropria visto l’avvio del percorso delle riforme istituzionali. A prescindere da ogni valutazione sul concetto di accelerazione, dopo anni in cui si chiacchiera inutilmente di abolizione del Porcellum, anche in questo caso parlano i fatti. Stoppare quella iniziativa è servito solo a farci trovare nell’attuale situazione d’impasse. Oggi tutti mi spiegano che per cambiare il Porcellum non ci sarebbero i numeri e che quindi si potrà fare solo qualche correzione (legata ai possibili interventi della Corte Costituzionale) e quindi, addirittura, peggiorare l’attuale legge elettorale. Non so se sarà così ma certamente questo ragionamento vale per l’oggi.
Il 28 maggio vi erano le condizioni per farlo e se non lo si è fatto è perché Letta, Franceschini, Finocchiaro e vertici del PD non hanno voluto. La conseguenza, temo di non sbagliarmi, è che torneremo a votare con questa legge o con una peggiore senza aver per lo meno garantito quello che tutti gli italiani si attendono: scegliere i propri rappresentanti. Ed i primi responsabili di questo siamo noi. Occorre dirlo.