Vai al contenuto

Il rogo delle tessere, il giorno dello sciacallo, Maroni e Bossi: nella Lega l’hanno presa bene

Comincia a sparare l’assessora Rizzi: “Maroni segretario? Mi dimetto. Da lui caccia alle streghe”.

Ma chi si supera è un militante padano che nel giorno delle dimissioni del Capo ha scritto un testo dal titolo emblematico: “Il giorno dello sciacallo“.

“Oggi il barbaro sognante ha superato se stesso. Nel febbraio ’95 tradì la Lega Nord, oggi ha tradito l’Amico. Ha tradito colui che gli ha dato fama, soldi, potere. E’ inutile continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e far finta di non sapere cosa c’era e c’è in atto in Lega Nord. E’ più di un anno che Maroni tenta di prendere la testa del movimento con mezzi leciti e illeciti, questi ultimi sempre ben nascosti. Se oggi in Bellerio il grido di ‘traditore’ pronunciato dai Militanti si è levato spontaneo nei confronti del ‘barbaro’ è perché tutti hanno capito ‘la mossa del Giuda’”.

“Gli eventi di questi ultimi giorni hanno altre si fatto capire l’accordo con i poteri forti ‘italioti’. Come Robert Bruce tradì William Wallace il ‘Robert italiota’ ha tradito e venduto al nemico Umberto Bossi. La Lega è morta? può essere. Se mai succederà che il ‘barbaro traditore’ si impossessi del movimento la Lega morirà comunque, a lui interessa la struttura e la ‘cassa’, modificherà subito il Dna togliendo l’art.1, ‘l’indipendentismo’ e a quel punto noi Militanti, ‘Guerrieri di Bossi’, non avremmo più ragione di esistere. Fin d’ora vi invito a ‘bruciare la tessera’ in una grossa manifestazione che organizzeremo per il nostro ‘Condottiero‘. Un ultimo sogno nel cuore mi è rimasto: Bossi! La Lega mai a un ‘barbaro traditore’ portatela con te nella tomba”.

Beh, buon lavoro.

I suicidi e i cittadini clandestini

Ne scrive Barbara Spinelli su Repubblica oggi, riprendendo quello che scrivevamo ieri e proponendo un tema che è politica.

Quando il cittadino diventa un clandestino

RI­SA­LE a più di die­ci an­ni fa un ar­ti­co­lo di Paul Krug­man — uno dei più pro­fe­ti­ci — sul col­las­so del­la com­pa­gnia ener­ge­ti­ca En­ron. La Gran­de Cri­si che tra­ver­sia­mo fu pre­ce­du­ta da quel pri­mo cu­po se­gna­le, e in es­so l’e­co­no­mi­sta vi­de, sul New York Ti­mes del 29 gen­na­io 2002, la for­ma del­le co­se fu­tu­re. Quel­la sto­ria di fin­ta glo­ria mi­schia­ta a fro­de era ben più de­ci­si­va del­l’as­sal­to al Tra­de Cen­ter, che l’11 set­tem­bre 2001 ave­va se­mi­na­to mor­te e of­fe­so la po­ten­za Usa.

«Un gran­de even­to — era scrit­to — cam­bia ogni co­sa so­lo se cam­bia il mo­do in cui ve­di te stes­so. L’at­tac­co ter­ro­ri­sta non po­te­va far­lo, per­ché di es­so fum­mo vit­ti­me più che per­pe­tra­to­ri. L’11 set­tem­bre ci in­se­gnò mol­to sul wa­ha­bi­smo, ma non mol­to sul­l’a­me­ri­ca­ni­smo ».
La vi­cen­da En­ron mi­se fi­ne al­l’e­tà di in­no­cen­za del ca­pi­ta­li­smo, sve­lan­do le sre­go­la­tez­ze e il las­si­smo in cui era pre­ci­pi­ta­to. I sa­cer­do­ti di quel­l’e­tà era­no pri­gio­nie­ri di dog­mi, e nes­su­na do­man­da du­ra scal­fi­va la con­vin­zio­ne che que­sto fos­se il mi­glio­re dei mon­di pos­si­bi­li. Fu co­me il ter­re­mo­to di Li­sbo­na, che nel 1755 co­strin­se la fi­lo­so­fia eu­ro­pea ad ab­ban­do­na­re (gra­zie a Vol­tai­re, a Kant) l’ot­ti­mi­sti­ca fe­de nel­la Prov­vi­den­za. Nel­l’im­me­dia­to non uc­ci­se co­me l’11 set­tem­bre, ma sic­co­me non esi­ste sa­cer­do­te sen­za sa­cri­fi­ci cruen­ti an­che que­sto pre­sto cam­biò: fra il 2007 e og­gi la cri­si ha co­min­cia­to ad ave­re i suoi mor­ti, sot­to for­ma di sui­ci­di. So­no ini­zia­ti in Fran­cia, nel 2007-2008. Ora que­st’in­fe­li­ci­tà estre­ma, im­po­ten­te, lam­bi­sce Gre­cia e Ita­lia, col­pi­te dal­la re­ces­sio­ne e da mi­su­re che ren­do­no di­spe­ran­te il rap­por­to fra l’uo­mo e il la­vo­ro, l’uo­mo e la pro­pria vec­chia­ia, l’uo­mo e la li­ber­tà. Sen­za la­vo­ro, sen­za la pos­si­bi­li­tà di adem­pie­re gli ob­bli­ghi che più con­ta­no (ver­so i pro­pri fi­gli, la pro­pria di­gni­tà) la stes­sa li­ber­tà po­li­ti­ca s’ap­pan­na: di­ven­ti un emi­gran­te clan­de­sti­no in pa­tria, un tra­pian­ta­to.
Sui­ci­di di que­sto ti­po non so­no pa­to­lo­gie in­ti­me, di­slo­ca­zio­ni­del­l’a­ni­ma che nel­la mor­te cer­ca un suo me­to­do. In Fran­cia, in Gre­cia, in Ita­lia, so­no tut­ti le­ga­ti al­la cri­si. So­no com­mes­si da pen­sio­na­ti, la­vo­ra­to­ri, im­pren­di­to­ri pre­si nel­la gab­bia di de­bi­ti, mu­tui non rim­bor­sa­bi­li, azien­de fal­li­te. È si­gni­fi­ca­ti­vo che qua­si tut­ti si im­mo­li­no in piaz­za o nei po­sti di la­vo­ro, la­scian­do let­te­re-te­sta­men­ti che di­co­no l’in­di­ci­bi­le scel­ta. Di­mi­tris Chri­stou­las, il pen­sio­na­to che il 4 apri­le s’è tol­to la vi­ta in Syn­tag­ma Squa­re — la piaz­za del­le pro­te­ste — scri­ve che il go­ver­no, ri­bat­tez­za­to «go­ver­no col­la­bo­ra­zio­ni­sta di Tso­la­ko­glou » in ri­cor­do del Pre­mier che nel ’41-42 aprì le por­te ai na­zi­sti, «ha an­nien­ta­to la mia ca­pa­ci­tà di so­prav­vi­ven­za, ba­sa­ta su una pen­sio­ne di­gni­to­sa cui ave­vo con­tri­bui­to per 35 an­ni».
Chri­stou­las non vuol «met­ter­si a pe­sca­re nel­la spaz­za­tu­ra» di che so­sten­tar­si, e av­ver­te: i gio­va­ni de­ru­ba­ti di fu­tu­ro im­pic­che­ran­no i re­spon­sa­bi­li co­me fe­ce­ro gli ita­lia­ni a Piaz­za­le Lo­re­to con Mus­so­li­ni. «Vi­sta la mia età avan­za­ta, non pos­so rea­gi­re in mo­do at­ti­vo.
Ma se un mio con­cit­ta­di­no af­fer­ras­se un Ka­la­sh­ni­kov, sa­rei pron­to a sta­re al suo fian­co». Le sta­ti­sti­che sui pri­mi cin­que me­si del 2011 cer­ti­fi­ca­no un in­cre­men­to di sui­ci­di del 40 per cen­to, ri­spet­to al­lo stes­so pe­rio­do del 2010.
Di­sa­stri si­mi­li ac­ca­do­no in Ita­lia. La Cgia, As­so­cia­zio­ne ar­ti­gia­ni e pic­co­le im­pre­se di Me­stre, an­nun­cia che nel 2008-2010 i sui­ci­di so­no cre­sciu­ti del 24,6%: so­no usci­ti dal mon­do im­pren­di­to­ri, la-vo­ra­to­ri di­pen­den­ti, pen­sio­na­ti. Nel 2008 i sui­ci­di eco­no­mi­ci so­no 150, nel 2010 so­no 187. C’è un «ef­fet­to imi­ta­zio­ne», spie­ga la Cgia, ma il ter­mi­ne è le­ni­ti­vo. Ci si con­so­lò co­sì nel 2008, quan­do si uc­ci­se­ro 24 di­pen­den­ti di Te­le­com-Fran­cia (una pri­ma av­vi­sa­glia era ve­nu­ta l’an­no pri­ma da Re­nault: tre sui­ci­di in 4 me­si). Il mo­ti­vo so­cia­le ven­ne sot­to­va­lu­ta­to, co­me nel 2002 si sot­to­va­lu­tò il crol­lo di En­ron, ro­vi­no­so per i fon­di pen­sio­ne di mi­glia­ia di la­vo­ra­to­ri. Giu­sep­pe Bor­to­lus­si, se­gre­ta­rio del­la Cgia, par­la di «per­di­ta di si­cu­rez­za, so­li­tu­di­ne, di­spe­ra­zio­ne, ri­bel­lio­ne con­tro un mon­do che si sta ri­ve­lan­do ci­ni­co, ino­spi­ta­le ». Go­ver­ni, gior­na­li­sti, eco­no­mi­sti do­vreb­be­ro smet­te­re le sa­cer­do­ta­li li­ta­nie sul­la «re­si­sten­za al cam­bia­men­to». Fa­par­te del lo­ro me­stie­re pro­va­re a ca­pi­re le se­gre­te mol­le del­l’uo­mo, non so­lo dei bi­lan­ci. Il sui­ci­da è un in­di­gna­to che nau­fra­ga per­ché non ri­co­no­sciu­to, non vi­sto.
An­che su que­sto Krug­man fu veg­gen­te, nel 2002: «Per chi non è di­ret­ta­men­te im­pli­ca­to — gran par­te dei po­li­ti­ci non lo è — non con­ta quel che ha fat­to, ma quel che fa». Man­cò in­fat­ti ogni esa­me cri­ti­co del pas­sa­to, del con­sen­so a tan­te sre­go­la­tez­ze. Un de­cen­nio è pas­sa­to, e l’ot­tu­sa rea­zio­ne del mi­ni­stro del Te­so­ro di Bush, Paul O’Neill, fa tut­to­ra scuo­la: «Le im­pre­se ven­go­no e van­no. È il ge­nio­del ca­pi­ta­li­smo». I sui­ci­di in Gre­cia o Ita­lia so­no una ri­bel­lio­ne con­tro il fa­ta­li­smo di que­sta de­fi­ni­zio­ne — ge­nio — che ve­de nel ca­pi­ta­li­smo una for­za di na­li­mi­ta­re­tu­ra, con­tro cui nul­la si può se non ca­der fuo­ri dal­la gio­stra im­paz­zi­ta. Un fal­so pro­fe­ta, Sa­muel Hun­ting­ton, pre­dis­se nel ’92 pros­si­mi scon­tri tra le ci­vil­tà. Lo scon­tro è den­tro le ci­vil­tà: la no­stra. I sui­ci­di ne so­no il sin­to­mo. Chi non ci cre­de va­da al­l’A­qui­la. Sal­va­to­re Set­tis ha vi­sto una Pom­pei del XXI se­co­lo ( Re­pub­bli­ca 7-4). Le ro­vi­ne del ter­re­mo­to so­no re­sta­te ta­li e qua­li, co­me in un rac­con­to di fan­ta­scien­za. Chi ha det­to che il ca­pi­ta­li­smo è mo­vi­men­to?
Il sui­ci­dio stu­dia­to nel­l’800 da Emi­le Dur­kheim è l’au­toaf­fon­da­men­to del cit­ta­di­no cui so­no strap­pa­ti non so­lo i di­rit­ti ma gli ob­bli­ghi stes­si del­la cit­ta­di­nan­za: la li­be­ra sot­to­mis­sio­ne al­la ne­ces­si­tà del la­vo­ro, il sen­tir­si par­te di una so­cie­tà, di un or­di­ne pro­fes­sio­na­le, di un sin­da­ca­to che in­clu­da e in­te­gri. A dif­fe­ren­za del sui­ci­dio in­ti­mi­sta, o del­l’im­mo­la­zio­ne al­trui­sta, Dur­kheim lo chia­ma sui­ci­dio ano­mi­co. La sua ra­di­ce è nel­l’a­no­mia: nel­lo sva­ni­re di nor­me che ogni cri­si com­por­ta. Nel­l’im­pu­ni­tà di cui go­do­no gli ini­zia­ti che di nor­me fan­no a me­no.
In que­st’a­no­mia vi­via­mo, sen­za più gli av­vo­ca­ti del­l’in­di­vi­duo che so­no sta­ti i sin­da­ca­ti, gli or­di­ni pro­fes­sio­na­li, le chie­se, i par­ti­ti. La cor­ru­zio­ne di que­sti ul­ti­mi è una man­na, per chi vuol fa­re un de­ser­to e chia­mar­lo pa­ce. Gre­cia e Ita­lia ne so­no ma­la­te, e non a ca­so è qui che il cit­ta­di­no tra­mu­ta­to in clien­te non spe­ra più di es­se­re udi­to. «Mai gli uo­mi­ni con­sen­ti­reb­be­ro a i pro­pri de­si­de­ri se si cre­des­se­ro au­to­riz­za­ti a su­pe­ra­re il li­mi­te lo­ro as­se­gna­to. Ma per le ra­gio­ni sud­det­te non pos­so­no det­tar­si da so­li que­sta leg­ge di giu­sti­zia. Do­vran­no per­ciò ri­ce­ver­la da una au­to­ri­tà che ri­spet­ta­no e al­la qua­le si in­chi­na­no spon­ta­nea­men­te. Sol­tan­to la so­cie­tà, sia di­ret­ta­men­te e nel suo in­sie­me, sia me­dian­te uno dei suoi or­ga­ni è ca­pa­ce di svol­ge­re que­sta fun­zio­ne mo­de­ra­tri­ce, sol­tan­to es­sa è quel po­te­re mo­ra­le su­pe­rio­re di cui l’in­di­vi­duo ac­cet­ta l’au­to­ri­tà. Sol­tan­to es­sa ha l’au­to­ri­tà ne­ces­sa­ria a con­fe­ri­re il di­rit­to e a se­gna­re al­le pas­sio­ni il li­mi­te ol­tre il qua­le non de­vo­no an­da­re». (Dur­kheim, Il sui­ci­dio, 1897).
Del­la so­cie­tà fan­no par­te par­ti­ti, sin­da­ca­ti, im­pren­di­to­ri, go­ver­nan­ti: tut­ti si so­no ri­ve­la­ti in­ca­pa­ci di os­ser­va­re e dun­que im­por­re le nor­me, tut­ti so­no por­ta­to­ri di ano­mia. Per que­sto leg­gi e tu­te­le so­no co­sì im­por­tan­ti. Di­ce­va nel­l’800 il cat­to­li­co Hen­ri La­cor­dai­re: «Tra il for­te e il de­bo­le, tra il ric­co e il po­ve­ro, tra il pa­dro­ne e il ser­vi­to­re: quel che op­pri­me è la li­ber­tà, quel che af­fran­ca è la leg­ge».
Di leg­ge, di nò­mos, han­no bi­so­gno i cit­ta­di­ni gre­ci e ita­lia­ni, apo­li­di in pa­tria. Se è ve­ro che vi­via­mo tra­sfor­ma­zio­ni pla­ne­ta­rie, ur­ge sa­pe­re che es­se sca­te­na­no sem­pre un au­men­to di sui­ci­di: se­con­do Dur­kheim an­che i boom eco­no­mi­ci de­mo­ra­liz­za­no.
Dob­bia­mo in­fi­ne sa­pe­re che Ca­mus ave­va ra­gio­ne: la ri­vol­ta è la ri­spo­sta, l’u­ni­ca for­se, al sui­ci­dio (il pae­se «si sal­va al pia­no ter­ra », di­ce Er­ri De Lu­ca). Quan­do è po­si­ti­va, la ri­vol­ta ten­de a rein­tro­dur­re il sen­so del­la leg­ge lì do­ve s’è in­se­dia­ta l’a­no­mia.

Ripristinati i treni notte. Con un pensiero agli amici del Binario 21

La notizia circola con insistenza e se ne aspetta l’ufficialità a breve: dal 12 giugno ripartiranno tre tratte, Milano-Lecce, Milano-Palermo e Torino-Lecce. Le Ferrovie dello Stato corrono già ai ripari con una dichiarazione che lascia poco spazio a troppe deduzioni: «Non siamo stati noi a cambiare idea. Stiamo parlando di un servizio universale, non di una tratta commerciale, e quindi il nostro committente, in questo caso il ministero del Tesoro ci ha chiesto questo ripristino».
Sulla battaglia (che è di dignità, di lavoro e di unità nazionale) abbiamo scritto (qui gli articoli) e abbiamo presentato una mozione votata in Consiglio. Per questo credo che il ripristino sia una buona notizia non solo per i lavoratori ma per la politica che (una volta tanto) decide di ascoltare quello che succede giù dai palazzi. Dice Erri De Luca che le rivoluzioni si fanno al piano terra, questa volta ci si è riusciti sulla torre.
E forse la foto più bella sarebbe il sorriso dei figli preoccupati in questi mesi per i padri aggrappati e infreddoliti al binario 21.

Ogni promessa è debito: ecco la nostra proposta di legge su #opendata in Lombardia

Ne avevamo parlato (qui e qui) e ne abbiamo discusso molto sui social. Ora siamo pronti. Ho depositato la nostra proposta di legge open data per Regione Lombardia (con il consigliere Pizzul PD, sempre attento sul punto), ora passerà al vaglio della commissione prima di arrivare in Aula. E ovviamente va migliorato, modificato, tutti insieme. Qui potete seguire tutto il percorso della legge. Per ogni suggerimento siamo a disposizione. Perché oltre alle trote e alle minetti in regione ci stiamo per essere legislatori, preferibilmente seri, attenti e ovviamente aperti.

PROGETTO DI LEGGE N. 0154

di iniziativa dei consiglieri regionali: Cavalli, Pizzul

______

“Disposizioni in materia di accesso, pubblicazione e riutilizzo dei documenti e dei dati pubblici dell’amministrazione regionale in formato aperto tramite software libero e la rete internet”.

______

PRESENTATO IL 28/03/2012

ASSEGNATO IN DATA 03/04/2012

ALLE COMMISSIONI REFERENTE II

CONSULTIVA I

Altri pareri Comitato paritetico di controllo e valutazione

RELAZIONE

Il progetto di legge si propone di favorire il processo di innovazione tecnologica e informatica di Regione Lombardia in un contesto di trasparenza e di pluralismo informatico attraverso la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione, la fruibilità e la riutilizzabilità gratuita dei documenti e dei dati pubblici di cui è titolare o da essa detenuti in modalità digitale, favorendo anche la diffusione di software libero e formati aperti per la gestione dei dati e documenti, eliminando altresì ogni barriera dovuta a difformità di standard.

Con questo progetto di legge, si intende pertanto perseguire lo sviluppo della società dell’informazione e della conoscenza in ambito regionale per favorire il progresso sociale, il miglioramento della qualità della vita, lo sviluppo delle iniziative economiche private legate al riutilizzo delle informazioni del settore pubblico, e la partecipazione collaborativa di realtà pubbliche e private promuovendo forme di cittadinanza attiva.

In una realtà dove i dati, i documenti e i contenuti digitali pubblici sono una risorsa con una continua crescita esponenziale, la disponibilità in real-time di questi dati, potrebbe portare, in un mondo web-connesso, a prendere decisioni e cambiamenti comportamentali in tempo reale in base alle proprie esigenze personali. I dati pubblici possono permetterci di prendere un treno o un bus in tempo, pianificare i nostri spostamenti con uno sguardo verso le previsioni meteo, verificare in qualsiasi momento la disponibilità di punti car/bike sharing nelle vicinanze, calcolare la quantità di emissioni inquinanti del proprio veicolo e l’impatto sulla qualità dell’aria nella propria città, dove andare a vivere con la propria famiglia, in quale università studiare o quale prodotto comprare.

Un rilascio strutturato, centralizzato e aggregato dei dati, in conformità delle leggi vigenti in materia, permetterebbe quindi lo sviluppo di nuove applicazioni e soluzioni multimediali innovative che porterebbero nuovi business sul territorio lombardo, un indotto economico significativo e un insieme di servizi a valore aggiunto per tutti i cittadini lombardi. Per esempio, la disponibilità pubblica dei dati di tutta la rete lombarda dei mezzi di trasporto e della frequenza dei mezzi, potrebbe semplificare lo sviluppo di applicazioni che favoriscano la pianificazione ottimale dei propri viaggi, con uno sguardo continuo verso la riduzione delle emissioni inquinanti, o ancora applicazioni in grado di raccogliere dati su come migliorare la rete dei trasporti pubblici.

Obiettivo ultimo di questo progetto di legge è rendere la stessa amministrazione pubblica volano di innovazione.

Progetto di Legge

Disposizioni in materia di accesso, pubblicazione e riutilizzo dei documenti e dei dati pubblici dell’amministrazione regionale in formato aperto tramite software libero e la rete internet.

Articolo 1

(Finalità)

1. Regione Lombardia, in attuazione del Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82) e del decreto legislativo 24 gennaio 2006 n. 36 (Attuazione della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico), assicura la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione, la fruibilità e la riutilizzabilità gratuite dei documenti e dei dati pubblici di cui è titolare o da essa detenuti in modalità digitale.

Al fine di garantire la più ampia libertà di accesso all’informazione pubblica, di favorire la partecipazione dei cittadini, delle imprese, delle fondazioni e delle associazioni ai processi decisionali della pubblica amministrazione, di incentivare la collaborazione tra pubblico e privato e di rendere riutilizzabile il maggior numero di documenti e di dati pubblici, in base a modalità che assicurano condizioni eque, proporzionate e non discriminatorie, la Regione favorisce:

a) il processo di innovazione tecnologica e informatica della propria organizzazione in un contesto di trasparenza e di pluralismo informatico attraverso l’impiego e la diffusione di software libero e formati aperti per la gestione dei dati e documenti, eliminando altresì ogni barriera dovuta a difformità di standard;

b) lo sviluppo della società dell’informazione e della conoscenza in ambito regionale per favorire il progresso sociale, il miglioramento della qualità della vita, lo sviluppo delle iniziative economiche private legate al riutilizzo delle informazioni del settore pubblico e la partecipazione collaborativa di realtà pubbliche e private promuovendo forme di cittadinanza attiva.

Articolo 2

(Definizioni)

1. Ai fini della presente legge, si intende per:

  1. accesso: il diritto riconosciuto a chiunque di richiedere e ottenere informazioni, documenti e dati pubblici o di pubblico interesse gratuitamente qualora gli stessi non fossero già stati resi noti;
  2. dato pubblico: il dato conoscibile, accessibile e riusabile da chiunque liberamente;
  3. dato della pubblica amministrazione: il dato prodotto, o comunque in possesso direttamente o indirettamente, dall’ente pubblico regionale;
  4. documento: ogni rappresentazione elettronica, digitale, informatica, grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti dall’amministrazione regionale e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;
  5. dato aperto: un contenuto, un documento o un dato si definisce aperto se chiunque è in grado di utilizzarlo, ri-utilizzarlo e ridistribuirlo liberamente, soggetto, al massimo, alla richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo;
  6. formati di dati aperti: i formati di salvataggio ed interscambio di dati informatici le cui specifiche complete di implementazione siano note, standardizzate, a disposizione di ogni utente e liberamente utilizzabili per tutti gli usi consentiti dalla legge; siano documentati in modo completo e approfondito in modo che sia possibile scrivere un programma per elaboratore in grado di leggere e/o scrivere dati in tali formati sfruttando tutte le strutture e le specifiche descritte nella documentazione; non siano presenti restrizioni di alcun tipo all’uso di tali formati di dati;
  7. software libero: ogni programma per elaboratore elettronico distribuito con una licenza di software libero tale per cui sia garantita la libertà gratuita di eseguire il programma per qualsiasi scopo, la libertà di studiare il programma e modificarlo, la
    libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo, e la libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio;
  8. riutilizzo: l’uso del dato di cui è in possesso Regione Lombardia, da parte di persone fisiche o giuridiche, a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale per il quale il documento o il dato che lo rappresenta è stato prodotto o utilizzato nell’ambito dei fini istituzionali, secondo norme di copyright e licenze riconosciute a livello nazionale ed internazionale.

Articolo 3

(Accesso tramite la rete internet e riutilizzo dei dati e delle informazioni)

1. La Regione Lombardia utilizza le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per rendere fruibili i documenti e i dati pubblici di cui è in possesso, assicurandone la pubblicazione tramite la rete internet in formati aperti secondo gli standard internazionali e avvalendosi di software libero per la loro gestione, raccolta, archiviazione e pubblicazione.

I dati e le informazioni di cui al comma 1 sono gratuitamente accessibili tramite la rete internet, e sono riutilizzabili nel rispetto della normativa statale in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione, di accesso agli atti amministrativi, di protezione dei dati personali, di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico, di diritto della proprietà intellettuale e industriale.

Le licenze per il riutilizzo dei dati pubblici e delle informazioni, predisposte in ottemperanza al d.lgs. 36/2006 devono consentire la più ampia e libera utilizzazione gratuita, anche per fini commerciali e con finalità di lucro.

La Regione opera per rimuovere e arrestare gli ostacoli che impediscono la piena accessibilità ai documenti e ai dati pubblici assicurando la parità di trattamento tra tutti i riutilizzatori e si adopera per promuovere l’adozione da parte degli enti, delle società, dei consorzi e delle associazioni a cui partecipa delle misure necessarie per garantire la pubblicazione e il riutilizzo dei dati e dei documenti.

La Regione assicura che in presenza di ogni singola richiesta di documenti che li descriva ragionevolmente e sia stata fatta secondo le regole che specificano tempo, luogo, oneri e procedure da seguire, renderà i documenti, i contenuti e i dati pubblici immediatamente disponibili a chiunque, in formato aperto.

Articolo 4

(Reclamo)

1. La Regione assicura l’effettiva disponibilità tramite la rete internet e riutilizzabilità dei documenti e dei dati pubblici. I provvedimenti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera h), individuano le modalità per le richieste di messa a disposizione tramite la rete internet e di riutilizzo di dati e documenti pubblici, le modalità di reclamo e assicurano che i reclami siano verificati ed evasi entro trenta giorni dal ricevimento, salvo motivate proroghe, secondo i criteri individuati dagli stessi provvedimenti di attuazione.

Articolo 5

(Provvedimenti di attuazione)

1. La Giunta regionale e l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, secondo le rispettive competenze, adottano, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge e sentita la commissione consiliare competente, uno o più provvedimenti che – sulla base di un processo consultivo rivolto agli utenti in qualità di fruitori finali della presente Legge –  definiscono, in particolare:

  1. i dati, le informazioni, i contenuti e i documenti che possono essere oggetto di immediata pubblicazione e riutilizzo;
  2. le modalità per individuare ulteriori dati, contenuti e documenti, che possono essere oggetto di pubblicazione e riutilizzo in futuro;
  3. le modalità di pubblicazione dei dati, delle informazioni, dei contenuti e dei documenti, e le modalità di gestione e aggiornamento del portale regionale per favorire e semplificare al meglio l’accesso ai medesimi e per garantire un aggiornamento continuo dei dati pubblicati;
  4. le licenze per il riutilizzo dei documenti e dei dati pubblici di cui l’amministrazione regionale è in possesso sia direttamente che indirettamente;
  5. l’elenco dei formati di dati aperti utilizzabili, individuabili anche in via indiretta, tramite riferimento a standard internazionali per la gestione dei documenti e dei dati pubblici di cui l’amministrazione regionale è in possesso direttamente o indirettamente;
  6. l’identificazione delle soluzioni software libere più opportune che verranno utilizzate per la gestione, manipolazione, archiviazione e pubblicazione dei dati, dei contenuti e dei documenti identificati ai punti a) e b);
  7. le modalità per la presentazione del reclamo di cui all’articolo 4 nonché per l’evasione della richiesta da parte dell’ufficio competente;
  8. forme di coordinamento interregionale e di collaborazione con le amministrazioni locali e con altri soggetti pubblici e privati del territorio lombardo, affinché anche le amministrazioni locali si adoperino di formati open e software libero per la gestione dei loro dati e documenti;
  9. forme di collaborazione con università del territorio lombardo e realtà esperte del settore per la definizione di proposte progettuali che usino i dati, i contenuti e i documenti pubblici di Regione Lombardia al fine di definire nuovi servizi al cittadino a valore aggiunto.

Articolo 6

(Norma transitoria)

1. La presente legge regionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione Lombardia.

E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Lombardia.

Articolo 7

(Clausole Valutative)

1. Regione Lombardia deve definire le metodologie, i criteri, le modalità di valutazione, ed eventualmente identificare Enti Universitari del territorio lombardo accreditati, al fine di valutare annualmente sia l’operato in attuazione della presente legge (Art. 5) che i risultati ottenuti. L’attuazione della presente legge dovrà tenere in considerazione, di anno in anno, i risultati e le direttive raccolte attraverso le forme di valutazione che verranno definite in itinere.

#nonmifermo La piccola media impresa che va a fuoco

Questa è ormai un’emergenza tale per cui si è arrivati addirittura ad istituire una rete di psicologi ed un numero verde anti-suicidi come sostegno per coloro che ormai sono stati colpevolmente abbandonati dalle Istituzioni.

Non è sostenibile un sistema dove lo Stato pretenda di imporre una pressione fiscale insostenibile senza, però, far fronte ai propri debiti in tempi ragionevoli.

Ridurre l’intero dibattito sul lavoro alla mera regolamentazione delle modalità con cui i lavoratori possono prestare le proprie mansioni, denota una mancanza di conoscenza della specificità del tessuto sociale italiano. In tal modo, ancora una volta, si lasciano al di fuori del dibattito gli artigiani ed i piccoli imprenditori.

In Italia non esistono solo evasori fiscali, ma anche imprenditori che si uccidono per la vergogna di non poter più pagare i propri operai. Imprenditori che non possono far fronte all’insostenibile pressione fiscale, che non si traduce in servizi.

Ne scrive Davide Mapelli qui.

La famiglia leghista a carico dei lombardi (non se n’è accorto nessuno?)

«Adesso basta sono davvero stanca di attacchi senza senso» sbotta l’assessore regionale che definisce «atto di sciacallaggio politico» quello del segretario provinciale. «Colui che dovrebbe essere una figura di garanzia per l’intero partito, da quando è stato eletto ha superato il segno auto proclamandosi difensore della moralità, dimenticandosi però gli inghippi in cui lui stesso e alcuni esponenti cittadini del partito sono stati coinvolti». Proprio lui, che punta il dito sulla candidatura di Renzo Bossi – continua infatti Rizzi – «parlando di nepotismo sbagliato, dovrebbe pensare alla vicenda di sua moglie Silvia Raineri che, dopo aver fallito la sistemazione attraverso un concorso indetto dalla provincia di Brescia, poi congelato per presunte irregolarità, riceve prima un incarico di collaborazione al gruppo Lega in Regione e poi viene assunta tramite un concorso all’Asl di Milano ottenendo immediatamente l’aspettativa per tornare a lavorare in Regione.»

Le parole sono dell’assessore regionale Monica Rizzi contro il segretario provinciale della Lega a Brescia Fabio Rolfi che ne chiede le dimissioni. La moglie di Rolfi (lo dice la Rizzi) è stata sistemata con i soldi dei lombardia nella più formigoniana delle modalità. Insomma, rubano tra di loro e alla fine paga sempre il cittadino. In questo caso padanissimo. Niente da dire?

Noi abbiamo preparato un’interrogazione per saperne di più. Ad maiora.

La sinistra che ha paura a presentarsi come sinistra: l’occasione di SEL

E’ il solito Raffaele Simone, provocatorio e lucido, nell’intervista rilasciata al Clarin. E in fondo è la nostra sfida come Sinistra Ecologia e Libertà (che ‘sinistra’ ce l’ha nel nome mica per niente) di superare la timidezza e l’imbarazzo di una banalizzazione dilagante che ci vorrebbe tutti convergenti al grigio centro o (peggio) sulle post ideologie che nascondono il nulla sottovuoto. Il punto sta sull’idea che si ha di crescita, di sviluppo e di etica pubblica. E la differenza la gioca chi decide di non aspettare l’occasione ma si mette in moto per costruirla. Perché c’è bisogno di sinistra, di ecologia e di libertà.

Il linguista ed esperto di filosofia del linguaggio e della cultura ha scosso il suo paese con Il mostro mite, nel quale, partendo dalla scomparsa della sinistra tradizionale italiana, espone le cause della scelta del mondo di andare a destra.

Linguista ed esperto di filosofia del linguaggio e della cultura, Raffaele Simone è riuscito a scuotere le coscienze del suo paese con Il mostro mite (Taurus) provocatoriamente sottotitolato Perché l’Occidente non va a sinistra? nel quale, partendo dalla scomparsa della sinistra tradizionale italiana che si è fusa nella democrazia cristiana, espone le cause della svolta a destra del mondo e della trasformazione del capitalismo in una cornice confortevole che avvolge tutto – e per questo è una misura buona e invisibile – da lui definita mostro mite. Parla in castigliano perfetto, con grande dettaglio di finezza, sorprendente quando non si padroneggia la lingua madre.

– Una delle conclusioni del suo libro allude alla “naturalità” del pensiero di destra, contro la condizione “artificiale” del pensiero di sinistra nella misura in cui va contro la tendenza naturale all’egoismo
– Esattamente, è proprio questo.

– Gli evoluzionisti, nonostante tutto, hanno affermato che la generosità, la filantropia e la morale sono naturali, un vantaggio evolutivo nella misura in cui l’uomo è un essere sociale. Nel mondo primitivo le società con regole si impongono sulle altre perchè permettono la crescita demografica e la nascita di occupazione, e così via.
– Sta dicendo esattamente quello che affermo. L’idea che descrivo nel libro, per cosi’ dire drammatizzando un po’ (non è una teoria ma un’allegoria un po’ drammatizzata), è la stessa di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick: quando teoricamente tutto ha avuto inizio, un’epoca cui nessuno ha potuto assistere,  gli uomini primitivi si massacravano tra loro. A un certo punto, per evitare lo sterminio, per così dire, e in conseguenza del diffondersi della paura, sono state create gradualmente delle regole. E applicando questa metafora alla relazione tra sinistra e destra, credo che stare a sinistra sia meno “naturale” che stare a destra perchè la persona di destra dice: “Questo è mio e nessuno deve toccarlo. Nessuno deve discutere cio’ che io voglio fare”. Sono argomenti di tipo “primitivo”, (lo metta) tra virgolette per piacere, sono argomenti ancora non elaborati. Al contrario la sinistra dice: “Tu devi rinunciare a una parte del tuo perchè c’è gente che ne avrà più bisogno di  te”. O meglio: “L’interesse pubblico (che è un concetto molto sofisticato) prevale sull’interesse privato. Quello che tu decidi di fare deve esser mediato dal pensiero dell’interesse degli altri”. E’ un atteggiamento per cui impiego l’immagine della molla in tensione, perchè la tendenza naturale è verso l’egoismo, e dividere quello che si possiede tra persone che neanche si conoscono è contro natura, nel senso che incontra la resistenza della molla.

– Questo si collega all’eterno dibattito, molto vivace tra i gruppi femministi e tra gli educatori, tra cio’ che è naturale e cio’ che è culturale. Naturale sarebbe di destra e culturale di sinistra.
– Si, l’opposizione è questa, appoggiata in questo momento dagli studi degli etologi che lei menzionava, gli studi sul comportamento delle scimmie più evolute e così via. Sappiamo moltissimo dell’umano, molto di più di quello che ne sapeva Rousseau, che a suo tempo simpatizzava con le posizioni della Chiesa, che suppongono che l’uomo sia originariamente buono e che peggiori con il passare del tempo. Istintivamente credo il contrario. E in questo caso è un’immagine per spiegare il fatto che è molto più frequente e facile il passaggio da sinistra a destra a livello individuale che il contrario.

– E oltretutto è simmetrico.
– In che senso?

– Quando uno proviene da posizioni estreme di sinistra finisce in posizioni estreme di destra, e se uno è moderato, finisce con l’avere posizioni moderate. Dallo stalinismo al fascismo, e dalla socialdemocrazia alla democrazia cristiana, per così dire.
– Si, si. In Italia abbiamo molti casi. E’ esattamente così. In Italia il partito socialista si è quasi totalmente spostato sugli standard di Berlusconi senza subire cambiamenti. E la gente realmente socialista continua a chiedersi come abbiano potuto. Secondo la mia interpretazione è la molla: a un certo punto, stanchi di tenerla tesa, decidono di allentarla.

– Arrendersi?
– Esatto.

– Lei, e anche chi ha scritto il prologo, citate la scena di Aprile di Nanni Moretti (1998), nella quale il protagonista rimane davanti al televisore gridando a Massimo D’Alema: “D’Alema, dì qualcosa di sinistra!”. Moretti aveva già proposto una satira carnevalesca sul disfacimento del comunismo italiano, Palombella rossa (1993), trasformato in una partita di pallanuoto, con un testo esplicito sulla crisi della sinistra.
– In Moretti ci sono molti elementi di questo tipo. Inoltre fu Moretti che diede il via alcuni anni fa ad una manifestazione di protesta contro la gestione attuale della sinistra che si concluse in manifestazioni importanti, il movimento dei Girotondi. Fu lui uno dei promotori. In un dato momento il movimento si sgonfio’ perchè era troppo informale e forse mancavano leader, ma è stato un movimento importante che durò diversi anni.

– Lei è molto pessimista?
– No, no. Ho speranza.

– Si fa fatica a vederlo nel libro.
– Credo sia meglio analizzare i dati in maniera approfondita prima di elaborare una risposta.

– Non crede che la perdita dei principi o delle idee forti della sinistra che Lei denuncia si siano prodotte parallelamente nella destra, che il tradizionalismo o le espressioni più reazionarie in campo morale siano retrocesse?
– Per questo parlo di neodestra, è una destra diversa rispetto alla precedente. Non sono fascisti, hanno solo interessi materiali.

– Lei enumera le mete non raggiunte dalla sinistra in Europa negli ultimi 150 anni. Afferma che “non si è prodotto un progresso costante nell’istruzione e nella cultura”… Le statistiche sul progresso umano delle Nazioni Unite dicono un’altra cosa, che gli indici di alfebetizzazione non hanno smesso di crescere.
– Non abbiamo raggiunto l’obiettivo.

– Però lei sostiene che non ci sono progressi. Successivamente aggiunge che “non si è prodotta nessuna rivalorizzazione dell’attività intellettuale e creativa”. Non le posso fornire dati, però l’impressione è che sia il contrario, che il lavoro creativo non sia mai stato  tanto remunerato come di questi tempi.
– Però non sto parlando della modernità e del risultato nel tempo attuale della tradizione precedente di sinistra.

– Dice anche che non si è raggiunta “la diffusione generalizzata di una mentalità minimamente razionale e laica”. Questo ha avuto alti e bassi.
– Varie fasi, si. Quello attuale è un momento difficile in Spagna, Italia e Francia. Voi avete un futuro di controriforme durissimo.

– Però continuo: “Nemmeno si è raggiunta una coscienza civica solidale e di uno spirito di pace collettivo”. Ci sono esempi di progresso morale molto evidenti: nel 2003 per la prima volta c’è stata una mobilitazione sociale globale e di massa contro una guerra che ancora non era cominciata e che avrebbe avuto luogo a centinaia di chiometri di distanza. Non ci sono precedenti.
– Quello che volevo dire è che non sono tutti risultati di tipo socialista. Sono risultati di una coscienza nuova, post moderna, più o meno, nella quale la cultura giovanile gioca un ruolo fondamentale non necessariamente di tipo socialista. Significa che le grandi illusioni del socialismo possono essere state parzialmente realizzate però non totalmente. Per esempio, l’uguaglianza è un tema in grave crisi ed è uno dei tratti principali della sinistra. La disuguaglianza  trionfa praticamente in tutto il mondo ed era uno dei tratti principali della modernità. C’è un’altra lista nel libro, le date storiche, i grandi momenti non raggiunti dalla sinistra…

– Però ciò che lei denuncia della sinistra non accade anche alla destra? Vale dire la de-ideologizzazione? 
– Ma alla destra non interessa allo stesso modo, perchè essere di destra suppone che i fenomeni, i processi, alla fine vadano avanti da soli.

– Quindi la neodestra è apolitica?
Diciamo che non ha interesse a modificare i processi, e in questo senso, lo spiego nel libro, la sinistra ha finito per adottare lo stesso atteggiamento della destra, perchè ha abbracciato quello che io definisco “l’infinita tolleranza verso il sociale”, che significa che non conta quello che succede ma l’importante è che fluisca tranquillamente. In questo senso il tema dell’immigrazione clandestina è centrale. Nessun paese d’Europa ha elaborato un modo o un progetto per governare questo fenomeno che è immenso e che modifica l’aspetto del mondo in pochi anni. Altro tema che mi sembra molto rilevante, altro tema mancante della sinistra, è la rivoluzione digitale, che è considerata come un’ innovazione tecnologica pura e semplice mentre in realtà è un cambio di mentalità.

– Uno dei motori tradizionali della sinistra è l’idea di progresso, anche se originariamente non è marxista ma propria dell’Illuminismo.
– Si, l’idea che l’umanità è in moto, che cammina in modo ascendente.

– La sinistra l’ha abbandonata?
– Perchè lo dice?

– Perchè i messaggi che lancia, anche se legittimi, sono conservatori: salvaguardiamo l’ambiente, i diritti sociali, il benessere… cioè un atteggiamento difensivo, come se la sinistra, che è la sovrana del futuro, ora avesse, per così dire, paura del futuro.
– Esattamente. La sinistra ha perfino paura a presentarsi come sinistra. Sono d’accordo con lei, il posto del progresso è stato occupato dalla crescita, il mito attuale è quello della crescita, e credo che sia un altro mito pericolosissimo della neodestra. Io sono abbastanza favorevole alla decrescita, se non alla Latouche in un altro modo più dolce, però la mia idea è che la crescita sia un errore gravissimo. E’ un altro pezzo del mondo che va distrutto.

– Non si parla nemmeno molto del fatto  che l’evoluzione demografica è preoccupante
– Si, è un problema, ovviamente. In Italia se ne parla poco. E’ un tema importantissimo perchè il mondo fatto a misura di un determinato numero di abitanti, che non si può superare. Però è evidente che ci scontriamo di nuovo con il mito della crescita. Perchè il futuro deve essere necessariamente di crescita e non di stabilizzazione o redistribuzione. Per concludere, le dirò che la sinistra ha assunto i miti della destra, liberali o neoliberali senza rendersi conto di quello che stava facendo.

– Lei parla molto della perfida alleanza tra la socialdemocrazia italiana e la democrazia cristiana. Condividono un substrato filosofico non minoritario: l’esigenza di uguaglianza, la solidarietà, la compassione. Probabilmente non è un’alleanza contronatura.
– No, non lo è in assoluto. Hanno due elementi in comune, oltre allo spirito della Chiesa che è stato attribuito alla sinistra per anni. E’ l’elemento fondante dello statalismo, cioè lo Stato occupa il centro della vita della società, e inoltre, per lo meno in Italia, anche se credo che in Europa le cose vadano più o meno allo stesso modo, lo spirito dell’assistenzialismo, ovvero che lo Stato dev’essere obbligato ad assistere le persone che versano in gravi condizioni. Questi due elementi unificano le due componenti, in questo senso non è un’alleanza contro natura. Contro natura è il carattere chimicamente infelice di tale fusione, che si rivela a proposito di temi incandescenti, come per esempio quelli bioetici. Però quello che mi impressiona di più è che il termine stesso di socialismo in Italia sia scomparso completamente. Il suo amico Walter Veltroni dichiarò a qualcuno che lo accusava di inserire uno spirito socialista nel programma dell’appena nato Partito Democratico: “Ma per favore, non c’è niente di socialista”, come se fosse un’accusa, un’insinuazione offensiva.
E questo mi sembra un tradimento grave, un tradimento storico, perchè c’è gente che continua a credere nei principi del socialismo, come me, e non credo di essere il solo.

– Un’altra caratteristica che avvicina il socialismo e la democrazia cristiana è la visione paternalistica della società, forse addirittura accondiscendente.
– Credo di si, perchè nonostante la loro preoccupazione per così dire di democrazia democratica, sia gli uni che gli altri continuano ad avere fortissime gerarchie, praticamente una sfera di intoccabili. In Italia, ma anche in altri paesi, c’è una durissima polemica contro i costi della casta. Lo spirito democratico non è così incisivo da eliminare lo spirito di casta.

– Tra le forme aberranti della politica attuale, sia di destra che di sinistra, c’è il populismo. Sembra che la democrazia digitale punti a quello.
– E’ dovuto alla mediatizzazione del mondo. E’ qualcosa che accade in tutto il mondo, perchè i media permettono a chiunque di arrivare al singolo individuo e di indurlo a pensare che il potente è come lui. E che ha gli stessi bisogni, gusti, costumi, lo stesso linguaggio…

 Il movimento 15-M [cioè degli indignados, dal “15 maggio”, giorno del 2011 in cui è sorta la protesta, NdT] è sicuramente più un sintomo che un fenomeno…
– Si, è più un sintomo che un risultato.

– …è un indice del fatto che esiste una sinistra, però anche una disaffezione per i partiti di sinistra.
– Sono fenomeni in ebollizione, però l’ebollizione nella politica è una cosa diversa delle proposte e dall’elaborazione dei programmi. Nel momento in cui ci mettiamo a elaborare idee e programmi e progetti, dobbiamo creare una struttura, che è il contrario dello spirito che si manifesta nel fenomeno degli indignati. Inoltre gli indignati incorporano un’idea che storicamente si è dimostrata non falsa, ma impossibile, quella della democrazia diretta.

– Indesiderabile?
– Per me è indesiderabile, pericolosissima. Però sempre presente come illusione, come speranza, in un momento determinato della vita. Per questo motivo i partiti di sinistra non lo capitalizzano [il movimento degli indignados, NdT]. In ogni caso mi sembra che i politici dovrebbero riflettere con attenzione e in modo puntuale su questo fenomeno perchè implica l’espressione di un’inquietudine, un punto di saturazione nel quale non ci siamo mai ritrovati prima.

– Li si accusa di non avere un discorso articolato, però in ogni caso è molto più articolato rispetto a  quello del maggio del ‘68, che oltre ad avere slogan molto meno sofisticati come “sotto i ciottoli c’è la sabbia”, a poco a poco ha influito anche su tutto il pensiero della sinistra dei tre decenni successivi. 
– E’ vero, però se si ricorda misero alle corde lo stato francese. In Francia ci fu davvero il timore di un colpo di stato. Inoltre c’era un sentimento di gioia di vivere che negli indignati non è presente. E’ qui che appare la mediatizzazione e la cultura digitale. Ci sono vari elementi molto diversi. Nel momento in cui un movimento si concretizza in forma di proposta si è già convertito in partito. La differenza fondamentale è la perseveranza. Nella misura in cui il movimento dura, avrà i suoi capi e responsabili. Nel momento in cui li crea e si rende conto che alcuni capi sono necessari per la sopravvivenza, si sarà trasformato in partito. Il movimento come pura forma di ebollizione è solo un sintomo di inquietudine, niente di più.

– Non crede che riveli l’esistenza di una maggioranza sociale di sinistra non articolata?
– Non so se di sinistra, ma sicuramente esprime una saturazione. Non so se è solo di sinistra, perchè c’è una grande base proletaria nei movimenti della destra storica. Il fascismo nacque sulla spinta delle  classi più svantaggiate.

#nonmifermo Stupisce lo stupore

In Lombardia e sulla Lega. Perché, aldilà delle singole responsabilità ora in fase di accertamento, sono questi i rischi che corre una politica dove è pressoché inesistente il confine fra partito e famiglia (e la Lega non è certo un caso isolato) e l’ideale coincide con una cultura pressappochista e anticostituzionale, violenta e razzista, il cui immaginario è stato riempito nel tempo di facezie, parolacce, volgari gesticolazioni, come scrive Claudio su #nonmifermo nel suo ultimo post.

Il Nord dei grandi appalti, delle bonifiche, delle speculazioni edilizie, dell’Expo. Il Nord che “lava” il denaro proveniente dal business della droga, della prostituzione, del gioco d’azzardo. Il Nord operoso degli “amici degli amici”, di Don Verzé e Salvatore Ligresti. Il Nord dell’inchiesta Infinito, dei patteggiamenti per le mancate bonifiche a Rogoredo, delle truffe, le estorsioni, i capo-bastone e i capo-mandamento.

Quel Nord che faceva scrivere a Giuseppe Poggio Longostrevi nel 2000, prima di suicidarsi: “Per me pagare Abelli era come stipulare un’assicurazione”. L’Onorevole Gian Carlo Abelli, ancora oggi referente politico per la sanità lombarda, vicino agli ambienti di “Comunione e Liberazione” e delegato per i rapporti con il Parlamento del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.

La Lombardia, appunto: emblema dell’operosità nordista e motore del sogno federale caro a Umberto Bossi.

 

BeppeGrillo.it intervista Giulio Cavalli sul libro L’INNOCENZA DI GIULIO

da il Blog di Beppe Grillo

Tra la politica e la criminalità organizzata c’è, sin dai tempi dell’Unità d’Italia, una neppure tanto celata familiarità. Di solito vi è un triangolo formato dal Politico Inconsapevole, dal Tramite, un’interfaccia in apparenza rispettabile che fa da garante agli accordi, e da uno più esponenti mafiosi. Il finale è più o meno sempre lo stesso. Il Tramite finisce in galera o morto ammazzato come Totò Cuffaro e Salvo LIma, il mafioso si prende uno o più ergastoli, come Totò Riina e Provenzano e il Politico Inconsapevole, dopo aver gridato ai quattro venti la sua estraneità e innocenza, fa carriera. Una volta c’era Andreotti, ora ci sono i suoi figli e nipoti. Attenzione si scindono e si moltiplicano. Piccoli Andreotti crescono.

Intervista a Giulio Cavalli, scrittore, autore e attore teatrale

Un boss qualsiasi
“Ciao a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Giulio Cavalli, autore, scrittore e attore teatrale. Mi occupo di criminalità organizzata, mi occupo di mafie e corruzione, anzi mi occupo di mafia e politica perché mafia e politica in molti aspetti sono simili e poi, in fondo, sia la mafia che la politica noi possiamo non occuparci di loro ma loro inevitabilmente si occupano di noi.
Vorrei parlare del valore e dell’opportunità nell’analisi politica partendo da un personaggio su cui abbiamo sentito di tutto. Una discussione che molto spesso abbiamo deciso di delegare al Giovanardi di turno oppure a quelle tribune politiche dove si decide solo da che parte stare, tra colpevolisti e innocentisti. Lui è Giulio Andreotti ed è in fondo il protagonista politico di questi ultimi 50 anni. Il processo Andreotti dovrebbe essere un bigino, dovrebbe essere nelle cartelle, nei zaini degli studenti insieme al libro di geografia o di storia. Perché il processo Andreotti fondamentalmente ci racconta non solo l’innocenza del senatore a vita ma quanto e se siamo stati innocenti noi in questo paese e quanto siano stati innocenti i meccanismi democratici. All’interno del processo Andreotti, così come nel processo Dell’Utri e in molti altri processi che per via giudiziaria sono finiti con una prescrizione, che è molto diversa da una dichiarazione di innocenza, contiene dei fatti riscontrati, provati, addirittura confessati dall’imputato. E allora bisognerebbe pensare quanto possa un Paese essere degno rimanendo ancorato a meccanismi giudiziari che, a differenza di quello che ci vogliono far credere, sono ben diversi dai valori dell’opportunità.
Quanto è stato opportuno Giulio Andreotti che si è seduto fino alla primavera del 1980 con gli uomini della mafia? Quanto può essere opportuno un uomo di governo che ha attraversato la Prima Repubblica e la Seconda Repubblica e che forse riuscirà a vedere anche la Terza, che ha deciso che Cosa Nostra fosse un ottimo strumento per gestire il consenso e controllare il territorio, proprio come un boss qualsiasi, semplicemente in giacca e cravatta con una credibilità istituzionale e mondiale ben diversa da quello che può essere il boss di questo o di quel rione in Sicilia o in Calabria. Il processo Andreotti ci racconta che ormai ci siamo disabituati a separare il valore della opportunità dal valore della verità giudiziaria, nello stesso Paese in cui Pertini, ma anche Paolo Borsellino, persone politicamente e partiticamente molto diverse tra di loro, ci avevano insegnato che le ombre non erano tollerabili, in un Paese che è diventato bravissimo a essere intollerante con diverse forme di diverso e che invece sembra che non riesca più a essere intollerante con una classe politica che ci racconta che ha incontrato un mafioso ma non ne sapeva nulla, che per caso è capitata in una riunione tra boss ma non se ne era resa conto. Oppure che aveva fatto in modo inconsapevole a sua insaputa un piacere a questa e a quella famiglia.

Andreottismo oggi
Io credo che sia importante partire da Andreotti per chiedersi quanto oggi l’andreottismo funzioni, perché relegare la vicenda del processo Andreotti solo al divo Giulio è il modo più semplice per continuare a permettere alla politica di essere oscena, cioè fuori scena, lo dice bene Scarpinato in un suo libro “Il ritorno del principe”.
Gli Andreotti di oggi sono i politici che si sono serviti o che continuano a servirsi delle mafie per accelerare la loro carriera o per avere protezione in un Paese in cui corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono tre sorelle di un comune denominatore. Sarebbe il caso di provare a leggere in modo intellettualmente onesto ciò che è scritto nelle carte del processo Andreotti perché diventa urgente accorgersi degli andreottismi, che funzionano e che continuano a funzionare, e riconoscere chi sono oggi i figli di Andreotti. E quanto sia tollerabile al di là della prescrizione, al di là di una Cassazione come nel caso di Dell’Utri che decide che il processo debba ritornare in appello, quanto sia tollerabile sapere che questo o quel politico si sia seduto al tavolo della criminalità organizzata e abbia fatto da ponte, lui garante con le istituzioni.
Chiedersi se non sia il caso di diventare intolleranti, ma intolleranti sul serio, per dichiarare una volta per tutte che ci sono dei limiti che non possono essere superati e ci sono dei comportamenti che non possono essere accettati in un Paese civile. Stupisce della vicenda Andreotti che in fondo il suo processo sembra una favola, una favola strana perché, se ci pensate quasi tutti i cattivi che giravano intorno alla favola più o meno sono stati fotografati mentre bussavano alla sua porta. E però in fondo tutti i cattivi sono finiti abbastanza male, chi arrestato, chi morto ammazzato come i suoi solidali siciliani. E invece, molto spesso, i collegamenti e quindi gli uomini prestati alla politica e forse fratelli della criminalità organizzata sono sempre riusciti a salvarsi, non solo dalla giustizia ma anche nella memoria, nel giudizio morale di questo Paese. E verrebbe da chiedersi perché Dell’Utri sia riconosciuto e ricordato a Milano come un grande esperto di libri antichi, oppure Cosentino non debba essere visto come uomo endogamico ai casalesi prestato alla politica, ma debba essere un’altra vittima di magistratura o di un’opinione pubblica feroce che ha tentato di cannibalizzarlo. E nello stesso Paese in cui improvvisamente Totò Cuffaro, scaricato chissà se dalla mafia o dalla politica, invece si è ritrovato a pagare pegno, nonostante sia in ottima compagnia perché è visitato regolarmente da Pier Ferdinando Casini che riesce ad avere questa grande scissione, comune a molti della nostra classe politica, per cui i meccanismi morali e i meccanismi etici non debbano per forza coincidere con i meccanismi politici.

Le decisioni politiche della criminalità organizzata
Colpisce come molto spesso che le decisioni politiche (anche qui in Lombardia è successo) sono state prese dalla criminalità organizzata prima ancora della politica. E’ una criminalità organizzata che ha già dimostrato di essere politicamente molto più illuminata, è il caso ad esempio di Massimo Ponzoni,
il segretario dell’Ufficio di presidenza di Regione Lombardia, segnalato nell’operazione “Crimine infinito” e in alcune altre informative come molto vicino alle famiglie che contano della ‘ndrangheta brianzola. Stupisce che nelle elezioni del 2010 in una intercettazione alcuni uomini della ‘ndrangheta dicono che ormai non è più affidabile. E invece la politica nel 2012 non riesce ancora a sfiduciarlo e deve intervenire la magistratura e ancora oggi nella politica c’è qualcuno invece che si erge a difensore. Trovo molto andreottiane alcune intercettazioni che avvengono in Lombardia dove la mafia non esiste, di alcuni uomini di ‘ndrangheta che dichiarano di avere comprato questo o quel terreno che verrà sicuramente rivalutato e si vedrà modificata la destinazione d’uso in previsione di Expo, mentre Expo e la definizione dei terreni in realtà non passa ancora alla discussione degli organi di democratici, quelli eletti. Oppure dovrebbe colpire come negli ultimi casi di corruzione siano stati coinvolti non assessori, e quindi non gente nominata classe dirigente, ma ex assessori, semplicemente appartenenti a correnti importanti di questo o di quel partito che dimostrano di aver preso decisioni o almeno di aver fatto credere di poter prendere delle decisioni passando dagli uffici tecnici di assessorati diversi. Dimostrando una volta per tutte che probabilmente esistono degli interessi sotterranei e collaterali che riescono ad attraversare gli uffici che utilizzati legalmente invece ci richiederebbero tantissimo tempo e tantissime votazioni. E allora se, come nel caso di Andreotti, ogni tanto la mafia sembra sapere già quali sono le decisioni della politica, ci sono secondo me due ipotesi: la prima, quella meno preoccupante, anzi quella assolutamente più ottimista, è che la criminalità organizzata sappia con un canale preferenziale le informazioni della politica prima dei cittadini. La seconda invece, molto più preoccupante, che sia ispiratrice delle decisioni della politica. Quanto questo sia declinabile nel caso di Andreotti o nel caso di tanti piccoli Andreotti che imperversano in questo Paese poi io credo che stia alla decisione e alla consapevolezza di ognuno.”