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Cultura: dopo le firme le risposte

“Oltre 1300 tra operatori della cultura in Lombardia e cittadini hanno firmato l’appello che abbiamo lanciato lo scorso dicembre a sostegno di un settore letteralmente massacrato dall’azzeramento dei fondi regionali.

Pensiamo si tratti di un numero significativo di persone mobilitate in difesa di un bene primario, che non è soltanto strumento di diffusione della conoscenza, ma significa ben più concretamente anche lavoro e produttività, oltre che consapevolezza e democrazia.

E pensiamo che, dopo l’assordante silenzio di Massimo Buscemi e il recente rimpasto di Giunta, ora il nuovo assessore alla partita, Valentina Aprea, sia rapidamente chiamato a intervenire al riguardo.

Da uno stanziamento di 51 milioni di euro nel 2010, si è passati per l’anno in corso a neanche 8. Il che significa per Regione Lombardia non riuscire nemmeno a mantenere le convenzioni con gli enti teatrali attualmente in essere. Una situazione drammatica e inaccettabile, che colpisce la promozione culturale e che mette a rischio imprese con migliaia di lavoratori.

Occorre uno sforzo immediato per restituire fiato al settore. In tal senso chiediamo che il neoassessore dia un segnale forte e che apra quanto prima un tavolo di confronto con gli operatori, impegnandosi a dare risposte, a reperire, pur nel quadro generale di crisi, le risorse necessarie per un rilancio della cultura in Lombardia e a impostare una programmazione di ben più ampio respiro”.

Giulio Cavalli (SEL)

Pippo Civati (PD)

Rai, Fiat, Formigli e l’amianto

C’è qualcosa che mi sfugge nella condanna al giornalista di Anno Zero Corrado Formigli e alla Rai per il servizio “denigratorio” sull’Alfa Mito: 7 milioni di euro la cifra del risarcimento per la Rai. Un cifra impressionante che rischia veramente (come scrive Corrado) di essere un atto di intimidazione nei confronti di chi si azzarda a criticare un prodotto industriale. Ma il punto non sta solo qui. Pochi giorni fa, sempre a Torino, nella sentenza Eternit il tribunale condanna due dirigenti a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissioni di misure infortunistiche, e ai responsabili civili impone il risarcimento di 30 mila euro ad ogni famiglia che ha avuto un morto in casa per amianto. Il tribunale civile di Milano, nel 2011, ha aggiornato le tabelle che fissano i danni per perdita parentale.La morte di un figlio, di un genitore, della moglie o di un marito viene liquidata con tetto massimo di 308.700 euro. Per la perdita di un fratello o di un nipote il tetto massimo è di 134.040. Qualcosa non mi torna.

La lingua lunga della Marcegaglia

La Marcegaglia ha perso una buona occasione per non inasprire un dibattito sul lavoro che ha bisogno di contenuti (e posizioni chiare) piuttosto che frasi pop. Ecco, oggi Nichi ha usato le parole giuste per risponderle: “L’idea che i diritti sociali siano una macchia di fango, un luogo di protezione di atteggiamenti indecenti e malavitosi è un’idea caricaturale, drammaticamente caricaturale. Bisogna avere rispetto per il mondo del lavoro, rispetto per le organizzazioni sindacali e, forse, da parte della Confindustria qualche volta bisognerebbe avere anche qualche aspetto autocritico su cio’ che nel sistema di impresa non funziona, su cio’ che nel sistema d’impresa parla di penetrazione della malavita e corruzione”. Perché slegare il mondo dell’impresa in Italia dai dati su corruzione e riciclaggio è un trucco a cui veramente comincia a non credere più nessuno”.

Una ferita di nome Lea (Garofalo)

Carlo Cosco poco dopo ha deciso di parlare e, direttamente dalla cella, ha ricordato come in questo processo “noi vogliamo la verità su Garofalo Lea, mica su tutto”. A questa dichiarazione ne è seguita una dell’imputato Massimo Sabatino che, dal banco dei testimoni, ha letto una dichiarazione scritta in cui chiede che vengano ascoltate le registrazioni dei suoi interrogatori e non siano solo letti i verbali, poiché in esse sarebbe possibile rintracciare il suo animo spaventato. L’imputato ha asserito che gli sembrava “che si volesse dire a tutti costi delle cose su circostanze non vere durante gli interrogatori.” A Milano si svolge il processo sull’omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Tutto sotto un sinistro silenzio come se nessuno volesse sapere per evitare di farsene carico. L’uccisione di Lea Garofalo mi ha sempre lasciato stordito e spaventato: stordito dall’efferatezza dell’omicidio e spaventato dalle risposte che un giorno dovremo dare alla figlia di Lea, Denise. Se noi siamo stati abbastanza vivi. I ragazzi di Stampo Antimafioso seguono tutte le udienze del processo. Vale la pena passarci.

Quando Ada telefona a Veltroni

EBBASTA CO’STO CAZZO DE RIFORMISMO! Ogni vorta co’ ’sto riformismo e riformismo. Quanno apre bocca deve ricordà a tutti da quaa vorta c’ha perso. Ma nun s’è mai visto che ’ntervistano uno, e quello ogni vorta disce «Te ricordi quanno ho perzo che meraviglia?! Te ricordi quanno me l’hanno date forti, che so’ uscito caa faccia piena de sangue? Te ricordi che record de pugni in faccia me so’ preso, amo vinto la gara de’ litri de sangue!». Ma quello se deve ricoverà! Nun è normale! Sor Vertroni, io so’ preoccupata pe’ lei. Matteo Bordone geniale su Veltroni.

#nonmifermo Pronti per Milano

Art. 4 della Costituzione La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

NON MI FERMO è il luogo in cui stiamo mentre ci prendiamo la responsabilità di ascoltare, ascoltarci e fare politica. Insieme. NON MI FERMO non è un partito, non è una corrente (anche se le porte sono sempre aperte) e non è un movimento sostitutivo: NON MI FERMO è un luogo di analisi e una proposta sempre in fieri. Perché la politica è un bene comune che non possiamo più permettere di vedere vituperato. Riconosciamo il primato della politica. Della buona politica.

Quella del 3 marzo 2012 sarà la nostra prima Agorà (prima di una lunga serie) che abbiamo scelto di dedicare a etica e politica. I lavori inizieranno alle 14.30 fino alle 18.30 presso il Teatro della Cooperativa in via Hermada, 8 a Milano.

I temi di cui parleremo andranno dall’antimafia alla difesa del mandato costituzionale; dalla tutela di suolo e paesaggio alla lotta contro i tagli alla cultura; dal diritto di cittadinanza allo strumento dell’audizione; dal reddito minimo agli incentivi verso il consumo solidale; dalla difesa dei beni comuni all’innovazione digitale.

A contribuire con idee esperienze e progetti ci saranno politici, amministratori, accademici, giornalisti, rappresentanti della società civile, associazioni, movimenti e lavoratori. A ogni intervento, che durerà circa 8 minuti, corrisponderà poi un’azione o una proposta attraverso la consegna di mozioni, ordini del giorno, proposte di legge.

Perché l’idea di NON MI FERMO è anche quella di fare politica senza fermarsi davanti all’apparente solidità di un bel discorso, ma realizzandolo.

Interverranno, fra gli altri, Sonia ALFANO, Luigi DE MAGISTRIS, Giulio CAVALLI, Chiara CREMONESI, Loris MAZZETTI, Nicoletta RIBOLDI, Daniele BIACCHESSI, Renato SARTI, Patrizia QUARTIERI, Edda PANDO, Diego PARASSOLE, Federico CIMINI, Giovanni GIOVANNETTI, Claudio MESSORA, Jole GARUTI, Alessio BAÙ, Corrado DEL BO’, Piero RICCA, Vladimiro BOSELLI, Chiara PRACCHI, Iolanda NANNI, Daniele CASSANMAGNAGO, Rodolfo SERIANNI, Osservatorio Mafia Monza E Brianza, G.A.S., Comitati Pendolari, Rete Antimafia Brescia, Comitato Acqua Pubblica

Il sito di NON MI FERMO

L’evento su facebook

Vietato entrare ai zingari

Lo racconta Il Giornale di Vicenza in un articolo a firma di Marco Scorzato: «Vietato entrare ai zingari». Scritto così, con l’errore grammaticale. Un cartello arancione, scritta nera. Messaggio choc. Anche se nella sua interezza recita così: «Siamo spiacenti ma per maleducazione e non rispetto delle regole, vietato entrare ai zingari!» Postilla: «Non per razzismo». Lo choc è quello di chi come noi, ieri mattina, si è imbattuto nel cartello affisso sulla porta dell’Euro Point, un piccolo bazar al civico 8 di contrà XX Settembre. Ci sono clienti che entrano senza batter ciglio, mentre alcuni passanti si fermano a guardare e poi se ne vanno, chi mormorando, chi scuotendo il capo. «L’ho messo io quel cartello, qualche giorno fa», dice candidamente la giovane commessa intenta a servire una cliente. «Il titolare? No, lui passa di qua raramente, anzi, mi ha consigliato di toglierlo, perché dice che così rischio solo guai…». Si chiama Fatima, la commessa, e indossa un berretto nero in lana, un berretto alla moda che le copre tutta la chioma. Parla veloce e con stupefacente spontaneità chiede: «Che dice, lo lascio?». Guarda il cartello, poi fissa negli occhi chi le sta per fare almeno una domanda: quella domanda. Ma allora gioca d’anticipo e parte in quarta. La sua storia inizia così: «So cosa sta pensando, ma non ce la faccio più». Gesticolando, mostra il negozio, le collanine sullo scaffale e il bagnoschiuma su quello opposto. «Vede? Gli zingari passano sempre di qua, entrano in negozio in otto o dieci o anche di più; sono sempre gli stessi e hanno sempre dei bambini con loro, che vanno in giro per il bazar. Io non riesco a controllarli e poi, ogni volta, è sempre la stessa storia: rubano ». Sempre così? Cosa vuol dire «sempre»? «Vengono spesso, non dico tutti i giorni, ma spesso; alcune volte gli adulti si sono fermati a pagare, ma anche in quei casi poi mi sono accorta che avevano rubato qualcosa. Ma era tardi per farsi ridare la merce. Mi è capitato anche di dover abbandonare il negozio, e io sono qui da sola, per inseguirli. Non posso andare avanti così». Indica la vetrina dove ha esposto due manifesti: “Svendita totale, 50% di sconto”. «A fine marzo chiuderemo l’attività, non ce la facciamo. Quando abbiamo iniziato, ad aprile, speravamo andasse diversamente, ma la crisi è forte. Adesso svendo tutto e già così per certi prodotti incasso meno di quanto ho speso per comprarli, ma non posso anche accettare che me li rubino…». E poi, forse per analogia, aggiunge: «Vado e vengo con il bus e sul bus a loro è permesso di viaggiare senza biglietto o di non obliterarlo: ho visto coi miei occhi che gli autisti non li controllano nemmeno». Resta la domanda dell’inizio, comunque inevasa: un cartello che vieta l’ingresso agli zingari è una discriminazione razzista che ricorda un’epoca buia, forse la più buia dell’Italia unita. «So che questo è un luogo aperto al pubblico e so cosa può pensare la gente – risponde Fatima – Ma no, non sono razzista, l’ho anche scritto». Ma crede che basti averlo scritto? «Senta, sono marocchina, vivo qui da 12 anni e so che esistono le regole e io le rispetto. Non sono razzista ma le regole devono valere per tutti. Sennò non dite a me che tratto qualcuno in maniera diversa. Sa una cosa? I miei colleghi non mettono cartelli, ma mi dicono che non li fanno entrare. Cosa cambia?». Fatima Mechal, 20 anni, commessa di origini marocchine: da oggi i vicentini parleranno di lei.

È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda il razzi­smo di ieri. (Gian Antonio Stella)

Noi faremo le nostre proposte sul dovere di arginare i rigurgiti alla prossima agorà di Milano il 3 marzo.

Accendiamo la luce su Rossella Urru

scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Rossella Urru lavorava con la ONG  ‘Comitato internazionale per lo Sviluppo dei Popoli’. Fino al 22 ottobre scorso. Quella notte è stata rapita insieme ai suoi colleghi spagnoli Enric Gonyalons e Ainhoa Fernandez che lavoravano con lei al campo profughi di Tindouf, dove da 36 anni il popolo saharawi vive in esilio. Secondo Khatri Addouh, presidente del parlamento saharawi, sarebbe detenuta in Mali al confine con il Niger in mano ad un’organizzazione terroristica. Il sequestro è stato rivendicato  dal Movimento Unito per la jiahad in Africa, un gruppo in ascesa che probabilmente con questo sequestro ha puntato ad avere visibilità internazionale nel frastagliato mondo di piccoli e grandi gruppi in guerra tra loro in una torbida miscela di povertà, fanatismo e criminalità.

Il 12 dicembre un giornalista dell’Afp vede un video grazie un mediatore che si sta adoperando per la liberazione degli ostaggi. Il filmato si apre con il nome dell’organizzazione (Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya) e mostra i volti di un uomo e due donne: Rossella è viva, dunque. Nel video indossa una tunica di colore blu e un velo giallo come la sabbia,alle sue spalle uomini armati con il viso coperto da un turbante.

E’ l’ultima foto di Rossella che è rimbalzata per il mondo poi, passati i secondi veloci della sensazione, tra i media è calato un immorale silenzio. Ci sono sequestri che sono troppo complicati da spiegare e troppo ventosi e normali per rimanere notiziabili. Evidentemente bisogna avere anche la fortuna di essere sequestrati nel modo giusto per rimanere in pagina nei giornali. Da qualche tempo la voce d’indignazione e di vicinanza per Rossella è uscita dai confini sardi e ha cominciato ad urlare più forte: Geppi Cucciari dal palco di Sanremo ha alzato la voce, Il Tg3 ha dedicato a Rossella Urru uno spazio per chiederne la liberazioneil Comune di Milano ha acceso i riflettori a Palazzo Marinoil Popolo Viola ha rilanciato l’appello e molti altri si sono mobilitati.

Da qualche tempo è stato aperto anche un blog che si apre con questa parole: In molti abbiamo vacillato di impotenza. Ci siamo sentiti infinitamente soli di fronte a tanto assurdo, svuotati da tanta assenza improvvisa. Così ci siamo chiusi in un lungo silenzio. Ma quello che noi credevamo un silenzio si è rivelato essere in realtà un coro di voci giunte da ogni dove. Un coro di solidarietà e di affetto che, dalla notte tra il 22 e il 23 ottobre, diventa sempre più accorato, sempre più grande e sincero. Senza addentrarsi in considerazioni ed analisi di ordine politico o religioso, lasciando quindi che siano gli esperti ad occuparsene in altre sedi più appropriate, questo blog vorrebbe solamente essere il punto di incontro fra tutte queste voci. Raccogliendo e condividendo in un unico spazio libero e aperto a tutti le numerose testimonianze per l’immediata liberazione di Rossella Urru.

Non facciamoci sequestrare anche la voce: la solitudine ha bisogno del buio e del silenzio per bruciare impunemente. Accendiamo la luce su Rossella Urru.

(Foto: www.rossellaurru.it)

La mamma (RAI) dei cretini è sempre incinta

Sull’interpretazione di quel punto non ci sono dubbi: se una donna rimane incinta la Rai potrà valutare l’incidenza della gravidanza sulla produttività  della lavoratrice e, se questa ne risultasse compromessa, si riserva sostanzialmente di risolvere il contratto.  In Rai, quindi, l’azienda editoriale che lei dirige, non solo i giornalisti sono “consulenti”, pagati a cottimo e costretti a versare Inps o Enpals al posto dell’Inpgi. Ma hanno anche l’umiliazione di sapere che scegliere un figlio potrebbe implicare la rinuncia coatta al lavoro. Luca ne parla sul suo blog con foto annessa.

Dov’è l’Africa

Sarà che c’è Africa in ogni parte del mondo e in quasi tutte le propagande ma oggi mi è venuta la voglia di non scrivere ma rileggere Saramago. Perché le ultime righe sono un manifesto intellettuale.

AFRICA di José Saramago (l’articolo originale qui http://caderno.josesaramago.org/2009/08/12/um-rei-assim/)

In Africa, si dice, i morti sono neri e le armi bianche. Sarebbe difficile trovare una sintesi più adeguata della successione di disastri che è stata e continua a essere, da secoli, l’esistenza nel continente africano. Il luogo del mondo in cui si dice sia nata l’umanità non era certamente il paradiso terrestre quando i primi “esploratori” europei vi ci sono sbarcati (al contrario di quello che dice il mito biblico. Adamo non è stato espulso dall’eden, semplicemente non c’è mai entrato), ma, con l’arrivo dell’uomo bianco si sono spalancate, per i neri, le porte dell’inferno. Queste porte continuano a essere implacabilmente aperte, generazioni su generazioni di africani sono state sacrificate dinanzi alla mal celata indifferenza o all’impudente complicità dell’opinione pubblica mondiale. Un milione di neri morti per la guerra, per la fame o per malattie che sarebbero potute essere curate, peserà sempre meno sul bilancio di qualsiasi paese dominatore e occuperà meno spazio nei notiziari rispetto alle quindici vittime di un serial killer. Sappiamo che l’orrore, in tutte le sue forme, le più crudeli, le più atroci e infami, incombe e rabbuia tutti i giorni, come una maledizione, il nostro disgraziato pianeta, ma l’Africa sembra essere diventata la sua zona preferita, il suo laboratorio sperimentale, il luogo in cui l’orrore si sente più a suo agio nel commettere nefandezze che giudicheremmo inconcepibili, come se i popoli africani fossero stati segnati alla nascita da un destino di cavie, su cui, per definizione, ogni genere di violenza è permessa, tutte le torture giustificate, tutti i crimini assolti. Al contrario di quello che molti si ostinano a credere non ci sarà un tribunale di Dio o della Storia a giudicare le atrocità commesse dagli uomini sugli uomini. Il futuro, sempre così disponibile nel decretare questa tipologia di amnistia generale che è l’oblio mascherato da perdono, è anche bravo nell’approvare, tacitamente o esplicitamente, a seconda della convenienza dei piani economici, militari e politici, l’immunità a vita per gli autori diretti e indiretti dei più mostruosi gesti contro la carne e lo spirito. È un errore consegnare al futuro l’incarico di giudicare i responsabili della sofferenza delle vittime di oggi, perchè questo futuro non smetterà di avere le sue vittime e allo stesso modo non saprà resistere alla tentazione di rimandare a un altro futuro ancora più lontano il meraviglioso momento della giustizia universale a cui molti di noi fingono di credere come la maniera più facile, e anche più ipocrita, di eludere responsabilità che spettano solo noi, e a questo presente che siamo. Si può capire qualcuno che si scusi dicendo: “Non sapevo”, ma è inaccettabile che si dica: “Preferisco non sapere”. Il funzionamento del mondo ha smesso di essere il mistero che era, le leve del male sono sotto gli occhi di tutti, per le mani che le governano ormai non ci sono più guanti a sufficienza per nascondere le macchie di sangue. Dovrebbe essere quindi facile per chiunque scegliere tra il lato della verità e quello della menzogna, tra il rispetto umano e il disprezzo per l’altro, tra quelli che sono a favore della vita e quelli contro. Tristemente le cose non vanno sempre così. L’egoismo personale, la pigrizia, la mancanza di generosità, le piccole vigliaccherie quotidiane, tutto questo ha contribuito a questa pericolosa forma di cecità mentale che consiste nello stare al mondo senza vederlo, o vederne solo quello che, in quel momento, è più utile ai nostri interessi. In questi casi non possiamo desiderare altro che la coscienza venga a strattonarci con violenza per un braccio chiedendoci a bruciapelo: “Dove vai? Cosa fai? Chi credi di essere?”. Un’insurrezione di coscienze libere è quello di cui avremmo bisogno. Sarà ancora possibile?