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Mediaset/Vivendi: liberisti con i diritti degli altri e capitalisti senza capitali

 

Fanno sorridere questi capitalisti turboliberisti che d’improvviso diventano nazionalisti e per niente globali. I Berlusconi si lamentano della scalata di Bolloré al loro impero televisivo e improvvisamente il mercato globale (che hanno alimentato e elogiato per anni) diventa il peggiore dei mali. Insomma, questi sono liberisti solo se riescono a stare sulla cresta dell’onda del liberismo altrimenti diventano subito filocubani.

Coerenti con l’interesse personale, sempre: quando si è trattato di svendere i diritti dei lavoratori ci accusavano di avere uno sguardo troppo limitato e ora basta un francese come Bolloré per sentirli strillare urlando all’invasore.

E poi capitalisti ma per finta: il capitale fondamentale in questo Paese è la possibilità di mischiarsi con la politica rendendola convergente agli interessi della propria azienda. Liberisti a libertà alterna e capitalisti senza capitali. Perfetti. Bene così.

«Nessuno può offrirsi il lusso di ignorare questa situazione»: la lettera dal carcere turco della scrittrice Aslı Erdoğan

5.12.2016
Cari amici, colleghi

questa lettera è scritta dal carcere femminile di Barkirköy, situata fra un manicomio e un vecchio lebbrosario. In questo momento, un numero stimato fra i 150 e i 200 “giornalisti” – un record mondiale – sono imprigionati in Turchia e io sono una di loro.

Io sono una scrittrice, solo una scrittrice, autrice di otto libri tradotti in varie lingue inclusa quella francese (pubblicati da Actes Sud)*. Dal 1998 ho lavorato come commentatrice cercando di combinare letteratura e giornalismo. Gli ultimi due Premi Nobel mettono in evidenza quanto siano giustamente rimessi in discussione i limiti rigidi della letteratura.

Sono stata arrestata con il motivo, o con il pretesto, di essere uno dei “collaboratori” di Özgür Gündem, considerato “giornale curdo”. Nonostante la legge che regola il giornalismo non dia alcuna responsabilità legale ai collaboratori, e che nessuno fra le centinaia di processi intentati ai giornali abbia mai incluso nessuno di questi simbolici collaboratori, per la prima volta dopo vent’anni, sei di loro sono accusati di “terrorismo”: Necmiye Alpay, linguista e attivista pacifista, Bilge Cantepe, fondatore del Partito Verde, Ragıp Zarakolu, editore e candidato al Premio Nobel per la Pace, Ayhan Bilgen, parlamentare, Filiz Koçali, giornalista femminista. Infatti, fra questi 150 “giornalisti”, ci sono molti scrittori, accademici, critici letterari, ma si trovano tutti imprigionati per il loro lavoro giornalistico.

La situazione della stampa è allarmante. Circa 200 giornali, agenzie d’informazione, radio e televisioni sono state chiuse su ordine del governo negli ultimi quattro mesi. Una “punizione collettiva” è stata inflitta anche a Cumhuriyet, il più vecchio giornale turco, baluardo della social democrazia. Come per Özgür Gündem, tutti i collaboratori e gli editorialisti, compresi un editorialista culturale e un vignettista!, sono stati arrestati con l’accusa di essere fiancheggiatori di due differenti organizzazioni terroristiche. Cumhuriyet ha recentemente pubblicato un coraggioso reportage sui rapporti fra la Turchia e l’Isis e ha duramente contestato il tremendo attacco a Charlie Hebdo. Molti giornalisti, me stessa inclusa, sono stati perseguitati per aver espresso solidarietà a Charlie Hebdo, alcuni sono stati condannati per questo.

Abbiamo bisogno del vostro sostegno, della vostra sensibilità e solidarietà. PEN, che alla base è un’organizzazione per la difesa degli scrittori, si batte attivamente per la libertà dei giornalisti. Quando la libertà di pensiero e di espressione sono in pericolo, non può esserci nessuna discriminazione.

“Liberté, Egalité, Fraternité”: sono concetti che dobbiamo alla Rivoluzione Francese! Più di due secoli sono passati, a dare significato, e realtà, a tali concetti, cresciuti attraverso la riflessione, il pensiero e lo sviluppo letterario, scaturiti da secoli di fatica, di lotte e di sangue… Concetti che devono essere universali, nella teoria e nella realtà, per chiunque, senza eccezioni.

Il mio sentimento è che la recente crisi in Europa, conseguente al problema dei rifugiati e degli attacchi terroristici, non è soltanto una questione politica ed economica. È una crisi esistenziale, che l’Europa potrà risolvere soltanto reinvestendo nelle nazioni che la compongono. Troppi segnali ci indicano che le democrazie liberali europee non possono più sentirsi sicure mentre l’incendio si propaga negli immediati dintorni. La “crisi democratica” in Turchia, a lungo sottostimata o ignorata per ragioni pragmatiche, il crescente rischio di una dittatura islamica e militare, avrà delle conseguenze serie. Nessuno può offrirsi il lusso di ignorare questa situazione, e soprattutto non noi giornalisti, scrittori, accademici, noi che dobbiamo le nostre esistenze alla libertà di pensiero e di espressione.
Vi ringrazio molto.

Cordiali saluti,

Aslı Erdoğan

Prigione di Bakırköy C-9

In Italia aumentano gli stipendi (degli amministratori delegati delle società quotate)

Lo stipendio medio degli amministratori delegati di società quotate in Italia è stato nel 2015 di 1.660.000 euro all’anno, in crescita rispetto al 2014, quando è stato di 1.483.854 euro, e al 2013, quando è stato di 1.451.435 euro. I dati emergono dall’Italy Board Index 2016 di Spencer Stuart. Il rapporto analizza le prime 100 società quotate in Italia.

La media dei compensi all’anno totali dei presidenti nel 2015 è stata di 887 mila euro. Il valore massimo è di 5.387.000 euro, quello minimo a 15 mila euro. Un terzo dei presidenti percepisce oltre un milione di euro. Riguardo il compenso medio dei presidenti, l’Italia si posiziona al secondo posto dopo la Svizzera (2.148.120 euro) e prima della Francia (560.666 euro).

Il valore medio a livello europeo dei compensi totali dei presidenti è pari a 457.743. Il numero degli amministratori delegati con retribuzioni oltre il milione di euro è pari al 62% del panel analizzato.

(fonte Ansa qui)

‘Ndrangheta, operazione “Conquista”: decapitato il clan Bonavota

Un’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia è in corso a Vibo e Roma per l’esecuzione di un provvedimento di fermo a carico di sei esponenti della cosca di ‘ndrangheta dei “Bonavota”, con conseguente azzeramento dei vertici del gruppo criminale. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Reparto operativo e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. I sei sono ritenuti responsabili in concorso, a vario titolo, di omicidio; detenzione e porto di armi comuni e da guerra; danneggiamento; estorsione continuata ed aggravata dal metodo mafioso. Le indagini hanno consentito di individuare presunti mandanti ed esecutori materiali di due omicidi avvenuti nel vibonese nel 2004.

 

I NOMI

Pasquale Bonavota, Domenico Bonavota, Nicola Bonavota, Domenico Febbraro, Giuseppe Lopreiato e Onofrio Barbieri, le persone fermate nell’ambito dell’operazione “Conquista”. Tra le sei persone raggiunte dai provvedimenti ci sarebbero mandanti ed esecutori di due omicidi compiuti nel vibonese nel 2004 e di altrettanti episodi di danneggiamento, a colpi di armi da fuoco, ai danni delle aziende dell’imprenditore Filippo Callipo avvenuti nel 2004 e nel 2016.

Secondo gli investigatori, infatti, è stata fatta luce su dinamiche criminali, coincidenti con l’ascesa della famiglia dei Bonavota, da cui sono scaturiti i due gravi fatti di sangue del vibonese. Ma anche, sono stati individuati mandanti ed esecutori materiali, riconducibili alla famiglia dei ‘Bonavota’, dei danneggiamenti mediante esplosione di colpi di arma da fuoco avvenuti a Maierato nel 2004 all’azienda ‘Callipo Conserve Alimentari S.p.a.’ e nel 2016 al complesso residenziale ‘Popilia Country Resort’. I particolari dell’inchiesta sono stati resi noti nel corso di una conferenza cui hanno partecipato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, l’aggiunto Giovanni Bombardieri, il comandante regionale dell’Arma gen. Andrea Rispoli, il comandante provinciale dei carabinieri di Vibo col. Gianfilippo Magro e il cap. Valerio Palmieri.

“Un’operazione importante – ha detto Gratteri – perché banco di prova per le prime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, un pentito fondamentale”. Proprio Mantella, nelle dichiarazioni rese al pm Camillo Falvo titolare del fascicolo, avrebbe collocato i due omicidi “nella guerra tra cosche per imporre la propria autorità sull’area di Maierato in forte espansione industriale e commerciale”. In quest’ottica devono essere letti, ha spiegato Bombardieri, i due attentati alle aziende dell’imprenditore Pippo Callipo. Prima, nel giugno del 2004 all’azienda Giacinto Callipo Conserve Alimentari e poi, nell’aprile 2016 al complesso residenziale Popilia Country Resort. Il fermo, ha detto ancora Bombardieri, “si è reso necessario per evitare che soggetti pericolosi si dessero alla latitanza”. In alcune intercettazioni, infatti, “è palese la preoccupazione degli affiliati per le dichiarazioni di Mantella”. In una conversazione, intercettata dagli inquirenti, un esponente del clan Bonavota rivela: “Micu se ne va… non subito… appena è pronto”. Sospetti che si sono rivelati fondati questa mattina al momento del blitz. Due degli indagati, infatti, già da alcuni mesi non facevano ritorno alle proprie abitazioni e venivano ospitati da alcuni conoscenti. Oltre alle persone raggiunte dal fermo sono state arrestate altre due persone trovate con documenti falsi e una pistola.

Indagato anche avvocato 

C’è anche un avvocato tra le persone indagate in stato di libertà nell’inchiesta “Conquista”. In particolare il legale, Giuseppe Di Renzo, del foro di Vibo, indagato per favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato una cosca di ‘ndrangheta, è accusato di aver portato fuori dal carcere un pizzino di Andrea Mantella, al vertice della cosca Lo Bianco e ora collaboratore di giustizia, destinato a un imprenditore proprietario di un mattatoio nelle cui vicinanze venne ucciso, il 4 maggio 2004, Raffaele Cracolici. Proprio grazie a quella testimonianza Mantella evitò l’arresto. Con l’operazione di oggi gli inquirenti ritengono di aver fatto piena luce su quel fatto di sangue, commissionato dalla famiglia Bonavota per eliminare quello che ritenevano di ostacolo all’espansione territoriale sulla zona industriale della cittadina di Maierato. Nel provvedimento di fermo viene poi contestato un secondo omicidio quello di Domenico Di Leo, avvenuto il 12 luglio 2004, a Sant’Onofrio.

(fonte)

Ci sono anche un avvocato, un parente di Andrea Mantella (attuale collaboratore di giustizia) ed un imprenditore fra gli indagati dell’operazione antimafia denominata “Conquista” contro il clan Bonavota di Sant’Onofrio. In particolare Andrea Mantella, all’epoca detenuto ed accusato di essere stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Raffaele Cracolici, alias “Lele Palermo”, il boss di Maierato ucciso il 4 maggio del 2004 a Pizzo Calabro, avrebbe consegnato dal carcere un “pizzino” ad un avvocato.

Mantella
Andrea Mantella

Il legale a sua volta avrebbe portato il “pizzino” ad un parente di Andrea Mantella il quale l’avrebbe infine consegnato al titolare di un mattatoio avente sede nella stessa zona del territorio comunale di Pizzo dove è stato ucciso Raffaele Cracolici. L’imprenditore ha poi testimoniato a favore di Andrea Mantella in ordine alla circostanza che all’ora del delitto il futuro collaboratore di giustizia sarebbe stato presente nel suo mattatoio. Anche in virtù di tale testimonianza, Andrea Mantella – unitamente a Francesco Scrugli – è stato prosciolto nel 2009 dall’omicidio di Raffaele Cracolici, nonostante le indagini dei carabinieri basate pure sull’esame dei tabulati telefonici (era stata rilevata la presenza del cellulare di Mantella sul luogo del delitto) e sulle dichiarazioni del pentito Francesco Michienzi di Acconia di Curinga. In particolare, il titolare del mattatoio venne sentito per delle dichiarazioni difensive raccolte dal legale di Andrea Mantella che anche grazie a tale testimonianza ottenne l’annullamento dell’ordinanza a sua carico. L’avvocato è indagato per tale sua attività di “messaggero” della volontà di Andrea Mantella. Lo stesso collaboratore di giustizia ha anche spiegato agli inquirenti di non aver svelato all’avvocato il contenuto del “pizzino”. Il legale è comunque indagato per la trasmissione all’esterno del biglietto da parte del detenuto, con la consegna ad un soggetto – parente di Mantella – vicino ad ambienti criminali affinchè si adoperasse per creare un alibi falso in favore dello stesso Andrea Mantella.

AGGIORNAMENTO. Ecco il nome del legale. Si tratta dell’avvocato Giuseppe Di Renzo del foro di Vibo Valentia, accusato del reato di favoreggiamento personale aggravato dalle finalità mafiose. Il legale, su richiesta di Andrea Mantella, è accusato di aver violato i doveri derivanti dall’esercizio della professione e la disciplina prevista dall’ordinamento penitenziario a seguito del colloquio del 5 novembre del 2007 tenuto nel carcere di Palmi. In particolare, seconco le indagini della Dda di Catanzaro e dei carabinieri di Vibo, avrebbe portato fuori dall’istituto di pena la missiva di Andrea Mantella contenente l’indicazione a Francesco Lo Bianco (cl. ’70) di Vibo Valentia (altro indagato per il medesimo reato) di contatttare Antonio Falbo (altro indagato) al fine di fargli riferire circostanze false in relazione alla ragione per la quale il suo cellulare agganciava la cella di Francavilla Angitola Stazione il giorno dell’omicidio di Raffaele Cracolici (4 maggio 2004) ed anche nei giorni precedenti in cui venivano eseguiti i soprannomi in modo da scagionarlo dal delitto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’avvocato Giuseppe Di Renzo avrebbe redatto il verbale di assunzione ad informazioni nei confronti di Antonio Falbo, atto che verrà depositato al Tribunale del Riesame il 12 dicembre 2007, unitamente all’istanza di Riesame e sulla base del quale sarà scarcerato Andrea Mantella.

Francesco Lo Bianco, ad avviso della Dda (pm Camillo Falvo), dopo aver appreso il contenuto della missiva a lui consegnata dall’avvocato Di Renzo, avrebbe riportato ad Antonio Falbo quello che lo stesso avrebbe dovuto riferire in ordine alle ragioni di Andrea Mantella sul posto. Antonio Falbo avrebbe invece riferito falsamente all’avvocato Di Renzo, nel verbale di informazioni difensive, che nel periodo aprile-maggio 2004 Andrea Mantella si sarebbe recato nella sua azienda ubicata nella zona dove è stata agganciato il telefonino di Mantella alla cella telefonica di Francavilla Angitola.

Così facendo, tutti gli indagati sono accusati di aver aiutato Andrea Mantella – autore materiale dell’omicidio di Raffaele Cracolici – ad eludere le investigazioni, tanto che lo stesso dopo essere stato arrestato il 19 novembre 2007, veniva scarcerato dal Tdl il 28 gennaio 2008.

(fonte)

Imbecilli e forconi

Cittadini che arrestano Osvaldo Napoli (sfigati, tra l’altro, a prendere un ex parlamentare e non uno in carica, nemmeno quello sono riusciti a indovinare). Il movimento dei forconi: fascistelli invecchiati (male) che tentano di coagulare il malcontento peggiore per un po’ di visibilità.

Difendono la democrazia, dicono. da questo governo non eletto dal popolo.

Ma mi sorge una domanda spontanea? Invece chi ha legittimato loro per “arrestare” qualcuno in nome del popolo e quindi anche a nome mio?

Adesso mi vesto e corro ad arrestarli. Olè.

Pazza idea: evitare il referendum sul Jobs Act

Ne scrive Luca Sappino su Left qui:

La bomba l’ha sganciata Poletti, svelando ciò che Left aveva tristemente subodorato – tant’è che sul prossimo numero in edicola, Tiziana Barillà chiede direttamente a Maurizio Landini cosa farà se il Pd dovesse spingere per far finire la legislatura anticipatamente, con una tempistica utile a far slittare il referendum sul jobs act, quello sui voucher e gli altri quesiti “sociali” su cui la Cgil ha raccolto oltre tre milioni di firme. Perché questa, dice Poletti, è l’idea dei più. «Mi sembra», ha detto il ministro ai cronisti, «che l’atteggiamento prevalente sia quello di andare a votare presto. E se si dovesse andare ad elezioni anticipate diventa ovvio che per legge l’eventuale referendum sul jobs act sarebbe rinviato».

[…]

La legislatura, insomma, dovrebbe finire prima di aprile. O prima della data che si assegnerà alla consultazione. Questo perché la legge 352 del 1970 stabilisce che «ricevuta comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri», indica con decreto il referendum, fissando la data di convocazione «in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno». E però, «nel caso di anticipato scioglimento delle Camere», continua la legge, ben chiara nella testa di Poletti, «il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso», destinato a slittare ben un anno dopo, almeno, le elezioni. Renzi, così, non rischierebbe di veder demolita, dopo la riforma costituzionale, un’altra sua legge-manifesto.

(l’articolo completo è qui)

Intanto hanno arrestato l’imprenditore vicino a Matteo Messina Denaro

Mafia e appalti, vasta operazione a Castelvetrano: due persone sono finite in carcere, perquisiti anche alcune imprese e l’ufficio tecnico del Comune. Due funzionari raggiunti da avvisi di garanzia

Arrestato l’imprenditore Rosario “Saro” Firenze. Per gli investigatori è vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro. Stamane i militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani e del ROS hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti dell’imprenditore castelvetranese, Rosario FIRENZE, e il suo collaboratore, il geometra Salvatore  SCIACCA per le ipotesi di associazione a delinquere di tipo mafioso, fittizia intestazione di beni, turbata libertà degli incanti aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di beni. Le due aziende edili di famiglia di Firenze, che valgono sei milioni di euro, sono state sequestrate.

L’operazione si chiama Ebano. Altri quattro imprenditori di Castelvetrano sono stati raggiunti dalla misura cautelare del divieto di esercitare l’attività d’impresa.  Il divieto ad esercitare attività imprenditoriale è stato emesso nei riguardi dei presunti prestanome di Firenze, Giacomo Calcara, 38 anni, Benedetto Cusumano, 68 anni, Fedele D’Alberti 41 anni e Filippo Tolomeo, 38 anni, sarebbero stati loro ad aiutare Firenze per potersi accaparrare degli appalti, lavori di manutenzione stradale, fognari e demolizioni.

C’è stata anche la notifica dell’avviso di garanzia nei confronti di altri 4 indagati, tra cui due funzionari del Comune di Castelvetrano e due fratelli di FIRENZE.

Avvisi di garanzia per i due fratelli di Saro Firenze, Giovanni e Massimiliano di 44 e 41 anni. Saro Firenze raggiunto da una interdittiva antimafia aveva ceduto, fittiziamente, ai fratelli l’impresa, e sempre nonostante l’interdittiva era riuscito a restare iscritto nell’elenco delle imprese di fiducia del Comune di Castelvetrano. Secondo l’accusa Firenze controllava molti appalti al Comune di Castelvetrano, e con il ricavato finanziava anche la latitanza di Matteo Messina Denaro.Fra i lavori al centro dell’inchiesta quelli per la realizzazione della condotta fognaria, per la manutenzione ordinaria di strade e fognature, per la demolizione dei fabbricati fatiscenti all’interno dell’ex area dell’autoparco comunale.

Due avvisi di garanzia sono stati notificati ad ex dirigenti dell’ufficio tecnico comunale, uno di questi è l’architetto Leonardo Agoglitta: avrebbero permesso agli imprenditori di “truccare” gli appalti.

A tenere i collegamenti tra Firenze e il Comune sarebbe stato il geometra Salvatore Sciacca ufficialmente dipendente dell’impresa di Massimiliano Firenze, intercettato per esempio a preoccuparsi se in sede di gara di appalto l’imprenditore Filippo Tolomeo aveva notificato la sua appartenenza, “tu glielo hai detto a chi appartieni? A posto.2

I dettagli saranno resi noti durante la Conferenza Stampa che si terrà alle ore 11:00 presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Trapani.

La notizia non è proprio un fulmine a ciel sereno, perché già nel 2014 fu revocata l’autorizzazione per lo stoccaggio di inerti in una cava di proprietà di Rosario Firenze, a Castelvetrano. La revoca dell’autorizzazione arrivò dopo le indagini che svelarono i legami del titolare, Rosario Firenze, con la sorella e il cognato del boss Matteo Messina Denaro.

Nei rapporti investigativi  alla base dell’interdittiva della prefettura, e dal successivo provvedimento di revoca si racconta che Rosario Firenze, è «compare» della sorella e del cognato del superiatitante perché «ha battezzato il figlio» e da loro riceveva incarichi di lavoro. Tra le pagine dell’inchiesta c’è anche un’intercettazione in cui due donne parlano del rinvenimento in un fondo agricolo di materiale di risulta proveniente da demolizionl depositato da ignoti su indicazione del «signor Firenze… Saro…», che risulta «legato ai Messina Denaro… sono una cricca». E anche in questa nuova operazione c’è una intercettazione che svela il rapporto stretto tra Saro Firenze e Patrizia Messina Denaro, “idda si sta cazzuliando con Saro”.

(fonte)

E magicamente la ministra Fedeli ora torna “diplomata”.

La dicitura ora corretta

Ne ho scritto stamattina qui e tutti giù a indignarsi. Ma la risposta arriva proprio dallo staff della ministra, che ora è tornata “diplomata”. Lo scrive La Stampa, ecco qui:

Valeria Fedeli, la nuova ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è finita sotto accusa perché avrebbe mentito sul suo titolo di studio. A rivelarlo, tra gli altri, è  Dagospia, il sito di retroscena politici curato da Roberto D’Agostino, che ieri pomeriggio ha pubblicato una lettera anonima. Il corso di laurea in Scienze sociali, titolo rivendicato dall’ex sindacalista nel suo sito, è stato istituito solo pochi anni fa. «È partito in via sperimentatale a Trieste e Roma solo nel 1998 e poi dal 2000 nel resto d’Italia quando l’attuale ministra era già segretaria del sindacato dei tessili», si legge nella lettera.

Il diploma

La già vicepresidente del Senato Fedeli, 67 anni, ha conseguito un semplice “diploma” nella Scuola per Assistenti sociali Unsas di Milano. Correva l’anno 1971 e all’epoca non esistevano né le lauree triennali né, appunto, quelle di Scienze sociali. In pratica l’allora ventenne Fedeli frequentò un corso post-maturità. Dallo staff della Fedeli fanno sapere, però, che chi completava quel percorso di studi riceveva un “diploma di laurea”. «Si tratta di un disguido lessicale», dice il portavoce. Ecco spiegata la formula utilizzata sul sito della neo-ministra.

La correzione sul sito

Fatto sta che già mercoledì mattina la dicitura “laurea” è sparita dalla pagina web della ministra. Ed è rimasta la scritta “diploma per assistenti sociali”. «Sì, abbiamo corretto l’incomprensione visto le polemiche», conferma il portavoce. A sparire, dal sito di Fedeli, è stato anche il curriculum in formato Pdf in cui c’era scritto: «Laureata in Servizi Sociali (attuale laurea in Scienze Sociali)». La versione, però, è ancora recuperabile qui (e nel fermo immagine qui sotto).

(Un fermo immagine del curriculum in Pdf sparito dal sito della ministra Fedeli)

«Fedeli interverrà di persona sul caso – dice il portavoce – ma solo quando avrò modo di spiegare cosa vuole fare come ministra, una volta ricevuti tutti i dossier dal suo predecessore, l’ex ministra Stefania Giannini» .

L’onta nucleare

(di Giorgio Nebbia, per Ecologiapolitica)

Con mille esplosioni di bombe nucleari nell’atmosfera e altre mille esplosioni di bombe nucleari nel sottosuolo, nella metà del Novecento, Stati Uniti, Unione Sovietica (oggi Russia), Francia, Inghilterra, Russia, Cina, Pakistan e India, si sono dati da fare per assicurare i possibili nemici di possedere le più devastanti armi di distruzione di massa: se un paese avesse aggredito l’altro, sarebbe stato a sua volta distrutto; è la dottrina della “deterrenza”. Al club atomico si è poi aggiunto Israele, forse la Corea del Nord, e altri paesi hanno tentato di costruire le proprie bombe atomiche.

Per indurre i paesi non-nucleari a non dotarsi di armi nucleari e per scoraggiare la circolazione o il furto di uranio e plutonio, nel 1970 è stato proposto e poi firmato e ratificato, da “quasi” tutti i paesi, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, NPT. Era naturale che molti paesi, in questo turbolento mondo, si chiedessero perché alcuni potessero possedere armi nucleari vietate agli altri, per cui nel trattato fu inserito un “Articolo sei” che impegna tutti i firmatari ad avviare in buona fede azioni per l’eliminazione totale di tali armi, in maniera simile a quanto si era fatto con successo per l’eliminazione di altre armi di distruzione di massa, come quelle chimiche e batteriologiche.

Nel corso degli anni sono diminuite e cessate le esplosioni sperimentali nell’atmosfera o nel sottosuolo, ma solo perché sono stati inventati altri sistemi per controllare il “perfetto funzionamento” delle bombe nucleari esistenti. Delle sessantamila bombe nucleari esistenti nel mondo nel 1985 molte sono state eliminate e oggi ne restano “soltanto” circa 15.000, con una potenza distruttiva equivalente a quella di molte centinaia di migliaia di bombe come quelle che spianarono Hiroshima e Nagasaki. Alcune bombe termonucleari B-61 americane sono localizzate anche in Italia a Ghedi (Brescia) e Aviano (Vicenza).

L’esplosione anche solo di alcune bombe nucleari creerebbe sconvolgimenti climatici, desertificazione, avvelenamento e morte su intere regioni; per questo nel 1996 la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha dichiarato illegale anche solo la minaccia dell’uso delle armi nucleari. Intellettuali, premi Nobel e uomini politici (gli americani Kissinger e altri nel 2007; D’Alema, Fini, La Malfa e altri in Italia nel 2008), ma soprattutto movimenti pacifisti ed ambientalisti hanno chiesto ad alta voce, e finora senza successo, “un mondo senza armi nucleari”.

Nel 2014 la piccola Repubblica delle Isole Marshall, 68.000 abitanti di un gruppo di atolli nel Pacifico, in cui gli americani fecero esplodere centinaia di bombe nucleari cinquant’anni fa, ha “fatto causa” agli Stati Uniti e ad altri paesi nucleari che, pur avendo firmato il NPT, hanno sempre evitato di ottemperare agli obblighi dell’”Articolo sei” di tale trattato e anzi hanno continuato a perfezionare i loro arsenali.

Nel 2014 l’Austria ha redatto il testo di un “Impegno” per la totale eliminazione delle armi nucleari dal pianeta. Il disarmo nucleare totale, oltre ad aumentare la sicurezza internazionale e far diminuire i ben noti pericoli di danni ambientali, ha risvolti economici rilevanti. Intanto ogni anno nei soli Stati Uniti vengono spesi centinaia di miliardi di dollari per l’aggiornamento, il perfezionamento e la manutenzione delle bombe nucleari, soldi che il disarmo totale farebbe risparmiare.

Questo certo disturberebbe il vasto e potente complesso militare-industriale delle imprese che traggono profitti dalla produzione dell’uranio arricchito, del plutonio, dei composti di deuterio, gli ingredienti “esplosivi” delle bombe nucleari; simili attività sono fiorenti in tutti i paesi che possiedono armi nucleari e si capisce perché il disarmo incontra tanti ostacoli. D’altra parte l’eliminazione totale delle bombe nucleari, oltre a garantire maggiore sicurezza internazionale e a scongiurare il pericolo di catastrofi umanitarie e ambientali dovute alla stessa esistenza di tali armi, offrirebbe la possibilità di avviare un gigantesco impegno industriale e di ricerca per le operazioni di smantellamento delle bombe esistenti e di messa in sicurezza di migliaia di tonnellate di “esplosivi”, radioattivi e velenosi per millenni, altamente pericolosi da maneggiare; sarebbe la più grande impresa economica, finanziaria e di occupazione di tutti i tempi.

Molte utili informazioni si trovano nel libro, pubblicato dalle edizioni Ediesse a cura di Mario Agostinelli e altri, intitolato: Esigete ! un disarmo nucleare totale. L’11 aprile 1963 Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris” affermava: “Giustizia, saggezza ed umanità domandano che si mettano al bando le armi nucleari e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”. Gli ha fatto eco papa Francesco nell’appassionato messaggio del 7 dicembre 2014 alla conferenza sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari ripetendo: “Un mondo senza armi nucleari è davvero possibile”.

Ebbene un passo verso questo obiettivo sembra sia stato fatto nell’ottobre 2016 quando nella prima commissione dell’assemblea delle Nazioni Unite è stata votata la risoluzione L.41 che chiede che nel 2017 siano avviate trattative per arrivare ad un divieto delle armi nucleari con l’obiettivo della loro totale eliminazione. La risoluzione è stata approvata con 123 voti a favore, 38 voti contrari e 16 astensioni. L’Italia ha votato contro. E’ questa, a mio parere, una vergogna.

La risoluzione L.41 sarà oggetto di ulteriore votazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla fine di autunno 2016. Come elettore di questo Parlamento chiedo che esso dia mandato al suo potere esecutivo di votare a favore dell’inizio di un cammino che porti al divieto totale delle armi nucleari che è un obbligo giuridico, preso dall’Italia firmando il Trattato di non proliferazione NPT, oltre che un dovere umanitario. Siamo ancora in tempo a eliminare le armi nucleari: chiediamolo ad alta voce.

Baobab Experience: una storia di ordinaria umanità

Come al solito Valigia Blu racconta meravigliosamente le storie che meritano di essere raccontate:

Il Baobab, infatti, non è un luogo, ma un metodo di accoglienza. Lo scrittore Nicola Lagioia nel cercare di trovarne una definizione, scrive:

Non è semplicemente un centro di accoglienza per migranti, non è un centro sociale, non è (perlomeno non ancora) un progetto in cui la cittadinanza attiva incontra le istituzioni per offrire una soluzione anche parziale a un’emergenza drammatica. Il Baobab è piuttosto un corridoio umanitario per migranti in transito, che una rete di privati cittadini ha prima messo a punto e subito dopo si è caricato sulle spalle.

Con la chiusura, “il luogo” in cui i volontari “lavorano” a questo “corridoio umanitario” è cambiato nel tempo. Il progetto di accoglienza collettivo è stato infatti portato avanti dalla rete del Baobab, anche dopo gli sgomberi degli accampamenti di fortuna, continuati sotto la nuova amministrazione a Cinque Stelle del Sindaco Virginia Raggi.

Oggi il presidio dei volontari si trova nel piazzale est della stazione Tiburtina, dove per diverse settimane decine di migranti hanno dormito per strada, sotto la pioggia e al freddo della notte, non essendo stata disponibile fino alla fine di novembre alcuna struttura in cui dar loro riparo.
Il 2 dicembre scorso, dopo un incontro tra la delegazione del Baobab e il nuovo assessore alle politiche sociali del Comune, Laura Baldassare, sono stati messi a disposizione dei migranti “transitanti” circa 100 posti letto nel centro di via del Frantoio, gestito dalla Croce Rossa e sostenuto da Roma Capitale. Riferendosi a questa novità, i volontari hanno parlato di un “piccolo passo”, specificando però che si tratta di una “soluzione emergenziale maturata solo dopo mesi di appelli e sollecitazioni”. Anche perché, hanno poi aggiunto, il flusso migratorio nella Capitale non si ferma, visto che, ad esempio, tra il 3 e il 4 dicembre altre 35 persone sono arrivate in piazzale Spadolini. Per questo motivo, i volontari hanno invitato le autorità a intervenire in modo meno temporaneo e più strutturale.

Al di là dei fatti di cronaca, abbiamo pensato valesse la pena guardare da vicino e raccontare cos’è Baobab Experience. Come si organizza quotidianamente? A quali problematiche risponde? Che idea di accoglienza trasmette? Rappresenta un modello replicabile altrove? Per cercare di capirlo, abbiamo parlato con alcuni dei tanti volontari che rendono possibile questa esperienza.

(il post è qui)